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cantando le tue lodi e raccontando le tue imprese”».<br />

Camara nota come questa leggenda, e altre simili, mettano <strong>in</strong> luce, all’<strong>in</strong>terno<br />

della relazione griot-sangue, una forma di dipendenza esistenziale, che si<br />

potrebbe tradurre, secondo la s<strong>in</strong>tesi che ne ha dato l’antropologa Germa<strong>in</strong>e<br />

Dieterlen, con la formula: «In quanto essere vivente, sono parte di un altro».<br />

La parola e il canto diventano così, all’<strong>in</strong>terno di questo rapporto asimmetrico<br />

di dipendenza, il pegno offerto <strong>in</strong> cambio dello spargimento di sangue.<br />

Descrivendo l’educazione dei griot, del resto, è ancora Camara a sottol<strong>in</strong>eare<br />

come la società tradizionale mal<strong>in</strong>ké basi la formazione dei giovani uom<strong>in</strong>i su<br />

una serie di prove fisiche che comprendono, oltre al rito della circoncisione,<br />

una serie di scontri, cioè di microconflitti, <strong>in</strong> base ai quali si determ<strong>in</strong>eranno i<br />

successivi rapporti di potere – scontri dai quali il futuro griot è tenuto rigorosamente<br />

escluso: non può colpire e non può essere colpito. E «questa doppia<br />

educazione crea una psicologia differenziale di situazione sociale, sulla quale<br />

si fonda l’adattamento reciproco delle due parti», commenta Camara.<br />

Storie antiche, residui di un passato scomparso, anche nelle località più remote<br />

del Mali o della Mauritania, verrebbe da commentare, pensando alla<br />

rapidità con la quale i mezzi di comunicazione di massa (o almeno alcuni di<br />

questi media: la radio prima, il telefono cellulare <strong>in</strong> anni recenti) si sono diffusi<br />

<strong>in</strong> Africa. E <strong>in</strong>vece, come nota Mamadou Diawara nel saggio Le griot mande à<br />

l’heure de la globalisation (“Cahiers d’études africa<strong>in</strong>es” 36/4, 1996), la penetrazione<br />

dei media ha moltiplicato all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito il pubblico potenziale dei griot.<br />

Non solo: proprio grazie alle caratteristiche della loro formazione all’<strong>in</strong>terno<br />

di una casta “<strong>in</strong>feriore”, i griot si sono ritrovati oggi, <strong>in</strong> una società non più (o<br />

molto meno) guerriera, armi ben più potenti di quelle possedute dalle caste<br />

“superiori” – una lunga educazione all’ascolto, una memoria ben allenata, un<br />

uso sapiente della narrazione, una conoscenza profonda di quel l<strong>in</strong>guaggio<br />

globale che è la musica. «Il griot è un maestro nell’arte della parola», riassume<br />

felicemente Koffi Michel Fadonougbo <strong>in</strong> un s<strong>in</strong>golare libricc<strong>in</strong>o <strong>in</strong>titolato<br />

Pedagogia di un griot. Come si diventa “maestro della parola” <strong>in</strong> Africa,(Ibis<br />

2007).<br />

In questo “nuovo mondo” il griot e la griotte sanno muoversi con dis<strong>in</strong>voltura,<br />

varcando le frontiere, <strong>in</strong>trecciando rapporti con le “genti della parola” di altri<br />

paesi, facendo sentire la loro voce contro i potenti con quella libertà di espressione<br />

che era stata nei secoli il loro lasciapassare. Così è stato per Dimi M<strong>in</strong>t<br />

Abba, che ormai più di trent’anni fa, nel 1976, aveva v<strong>in</strong>to una medaglia d’oro<br />

al festival musicale tunis<strong>in</strong>o <strong>in</strong>titolato alla grande Oum Kulthum, cantando<br />

una canzone, Sawt al-Fan (La piuma dell’arte), le cui parole dicono che <strong>in</strong> ogni<br />

società i musicisti sono più importanti dei guerrieri.<br />

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