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nità del sud, ora territoriale, se si parla delle comunità del nord, agricoltura<br />
che sempre fa perno sul rapporto tra natura e cultura <strong>in</strong> una logica di<br />
sviluppo di comunità. Ma quell’agricoltura, quella povera di lemmi, ha più<br />
facilità a commettere errori di ortografia, errori da pennarello blu, perché<br />
nel momento <strong>in</strong> cui siamo di fronte a delle catastrofi ambientali, quelle catastrofi<br />
rischiano di pregiudicare addirittura <strong>in</strong>teri programmi produttivi.<br />
Gli errori commessi nelle agricolture più ricche di sillabe evidentemente<br />
sono compensati dalla diversità: una malattia, una fitopatologia che si sviluppi<br />
quando la base genetica è così vasta, è immediatamente riassorbita<br />
dall’utilizzo di altre varietà che possono essere impiegate <strong>in</strong> ogni momento,<br />
non così <strong>in</strong> una monocoltura. Eppure il cibo sulle nostre mense, che<br />
non sono solo dei luoghi su cui collocare prodotti, avrebbe una simbologia<br />
ricca, diversa, che ci ricorda le sementi, che allude cont<strong>in</strong>uamente ai riti<br />
della vita. Ma adesso il l<strong>in</strong>guaggio non è più quello dell’agricoltore o della<br />
comunità che sceglie e produce, al contrario diventa quello della pubblicità:<br />
è la pubblicità a essere ricca, ricca di simboli, di idiomi, di <strong>in</strong>dicazioni,<br />
di colori, di paesaggi, che ci <strong>in</strong>ducono a credere che il nostro modo di alimentarci<br />
è ricco, sano, genu<strong>in</strong>o, adeguato.<br />
Oggi il cibo non sembra più servire per nutrirsi, tanto che accanto a effetti<br />
nutrizionali colleziona sempre più effetti fisiologici: siamo di fronte alla<br />
r<strong>in</strong>corsa di cibi funzionali, di cibi arricchiti con sostanze che non sono più<br />
naturali, ma <strong>in</strong>trodotte dall’<strong>in</strong>dustria chimica. È come se si fosse <strong>in</strong>ventata<br />
la dietetica del futuro, una dietetica che non fa riferimento alle stagioni, ai<br />
gusti, ai luoghi, che è priva di un sapere collettivo, di comunità, di tradizione<br />
e dunque di cultura, ma che tutto realizza all’<strong>in</strong>terno della fabbrica.<br />
Il soggetto protagonista è il tecnologo, non è certo l’agricoltore, e dunque<br />
così abbiamo posto fuori gioco le nostre sementi: perché le varie caratteristiche<br />
del prodotto possono essere corrette. Non c’è bisogno di una buona<br />
cultiva tradizionale per produrre una buona aranciata ricca di vitam<strong>in</strong>e, le<br />
vitam<strong>in</strong>e sono <strong>in</strong>trodotte fuori dalle operazioni di coltivazione e poi di trasformazione<br />
casal<strong>in</strong>ga sostenuta dalla corrispondenza alla stagione.<br />
I cambiamenti climatici impongono oggi il tema della carbon footpr<strong>in</strong>t,<br />
dell’impronta ecologica di un prodotto: eppure tutto questo sistema mult<strong>in</strong>azionale<br />
è stato pensato perché i prodotti debbano allontanarsi dai luoghi,<br />
debbano viaggiare, tanto che abbiamo creato anche le regole del diritto,<br />
perché il prodotto a quel punto deve essere sicuro, e per essere sicuro<br />
bisogna creare una media macch<strong>in</strong>a di regole per gli allarmi sanitari, per<br />
le analisi dei rischi, per i pr<strong>in</strong>cipi, che <strong>in</strong> un mercato corto <strong>in</strong>vece non servono.<br />
Perché <strong>in</strong> una filiera corta, territoriale, non ho bisogno di andare a<br />
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