Premio Nuova Estetica - SIE - Società Italiana d'Estetica
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è una proprietà della natura), ma si produce in un tempo specifico, che<br />
peraltro è quello dell’appercezione, della coscienza di sé. In contrapposizione<br />
a una lunga tradizione filosofica legata all’identità, Deleuze<br />
afferma: «“Io” [Je] è bensì un atto, ma un atto che posso rappresentarmi<br />
solo in quanto sono un essere passivo. “Io è un altro”» 45 . L’io-penso è<br />
come attraversato da un’incrinatura, in cui la stessa percezione di sé, il<br />
sé che diventa fenomeno, produce un’alterità all’interno del soggetto.<br />
Non è l’armonia, ma la disarmonia, l’abisso del sublime, che si apre nel<br />
cuore dell’identità 46 . Questo disaccordo che diviene accordo è ciò che<br />
manca all’Analitica del bello, che si muove su un piano esclusivamente<br />
formale. Deleuze riconosce la questione della temporalità, non solo<br />
come ciò che segna il punto di discrimine della terza Critica rispetto alle<br />
precedenti, ma anche come un divenire interno alla stessa Critica del<br />
Giudizio, determinato dalla compresenza di due parti, la prima dal carattere<br />
più formalistico, l’estetica dello spettatore, individuabile nella teoria<br />
del bello esposta nell’Analitica, la seconda invece rivolta alla produzione<br />
del bello, al riconoscimento della sua materialità, che Deleuze definisce<br />
estetica del creatore, presente nella teoria dell’arte e del genio. Occorre<br />
passare dall’Analitica, in cui si riscontra una certa indifferenza verso<br />
l’oggetto, all’indagine verso il bello come ciò che si produce “materialmente”<br />
nel tempo, in modo che quell’accordo fra le facoltà, puramente<br />
contingente e ipotetico, diventi reale. Occorre domandarsi, dunque, se<br />
non sia «possibile trovare un principio per la genesi dell’accordo delle<br />
facoltà» 47 . Non un principio per la possibilità del giudizio estetico, ma<br />
un principio per la genesi di questo principio. Esso rimarrebbe esterno<br />
al giudizio estetico che, esaminato nella sua forma pura, rimane indifferente<br />
all’esistenza dell’oggetto, dunque alla sua temporalità, in cui pure<br />
fattivamente si manifesta, per questo andrebbe mutuato dal sublime,<br />
che è invece il prodotto del rapporto dinamico, dunque temporale, fra<br />
le facoltà. Diversamente dal bello, il sublime genera, non la forma (anzi,<br />
è l’informe), ma direttamente il proprio oggetto, si potrebbe dire che lo<br />
genera “materialmente” (visto che il sublime non è propriamente nella<br />
natura, ma nella ragione, come modalità dell’autocoscienza), in modo<br />
dunque più radicale, secondo Deleuze, rispetto al giudizio di gusto, che<br />
produce solo la forma del bello. Il punto critico è che per Deleuze il<br />
bello presenta una natura maggiormente statica rispetto al sublime, in<br />
quanto sembra riferirsi a facoltà già formate (intelletto e immaginazione)<br />
che si mettono in relazione, piuttosto che a una trasformazione interna<br />
delle stesse facoltà, come nel caso del sublime, in cui, a proposito<br />
dell’immaginazione e della ragione, l’una conduce l’altra al limite, al<br />
confine della propria identità. È infatti solo in questo rapporto, che assume<br />
la forma della passione e della violenza, che ogni facoltà rivela a<br />
se stessa il proprio compito. Nel bello, invece, Kant sembra continuare a<br />
interrogarsi sull’uso legittimo delle facoltà, piuttosto che acquisire piena<br />
consapevolezza della loro natura in divenire.<br />
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