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RICORDANDO MASSIMILIANO CUPELLINI

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come il giovane pretore, dato il suo nobile e fiero carattere, non potesse<br />

restarvi a lungo senza correre rischio della propria vita. Fu perciò<br />

presto trasferito in altri piccoli centri del meridione. A Roccasecca, in<br />

provincia di Caserta, la sua attenzione fu richiamata non solo dalla<br />

delinquenza minorile di tanti piccoli ladruncoli di pollai, di bestiame<br />

e di prodotti agricoli, ma specialmente dalla « vendita», che veniva<br />

fatta di questi miseri fanciulli a trafficanti di carne umana, che li tra-<br />

sferivano nascostamente in Francia per essere adibiti nell'estenuante<br />

lavoro del soffiaggio dei vetri. Venivano poi restituiti alle loro famiglie<br />

solo quando, corrosi dalla tubercolosi, erano incapaci di qualsiasi utile<br />

lavoro. Raffaele Majetti sollecitò in proposito una vibrata interpellanza<br />

al Parlamento che non mancò d~ll'immediato effetto, con la restitu-<br />

zione e ritorno in patria di tutti i ragazzi italiani addetti al micidiale<br />

lavoro. Fu a Campobasso, dove Egli cominciò a guadagnarsi il titolo<br />

di « Buon Giudice».<br />

Un ragazzetto, già recidivo, si rivolse a lui pregandolo di farlo<br />

rientrare in prigione, avendo fame e non volendo essere condannato<br />

un'altra volta. Il « Buon Giudice» comprese la miseria e la tragedia<br />

del piccolo; se lo portò a casa, lo ristorò e l'indomani, munitolo di una<br />

cassetta da lustrascarpe, lo raccomandò a quanti conosceva od incon-<br />

trava, affinchè gli dessero lavoro. Come Raffaele Majetti, operava pure<br />

in Francia, in prò dell'infanzia derelitta e abbandonata un altro distinto<br />

magistrato, anche lui definito « Il buon Giudice» Paul Magnaud,<br />

Majetti non esitò a corrispondere con lui, a tradurne le sue interessanti<br />

pubblicazioni, ma, cosa strana, il destino non permise che i due « Buoni<br />

Giudici» si stringessero una sola volta la mano, poichè quando il<br />

giudice Majetti si recò a Parigi, certo di trovarvi il giudice Magnaud,<br />

questi era in America; e quando poi nel 1922 Magnaud venne in<br />

Italia, il « Buon Giudice Italiano », viaggiava, per lungo e per largo,<br />

tutta la Romania, dove rappresentava, nel suo ramo, degnamente<br />

l'Italia in un indimenticabile e trionfale viaggio.<br />

Rievocare seppur brevemente la sua opera, attraverso quegli istituti,<br />

o, meglio, quelle « Case aperte» all'infanzia abbandonata, la prima<br />

delle quali in via del Consolato e l'altra in Piazza d'Italia (ora Son-<br />

216<br />

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'I<br />

nino) con l'annesso interessante laboratorio di giuocattoli, sarebbe troppo<br />

lungo il dire. Basterà ricordare che la sua massima pedagogica sull'auto-controllo<br />

dei minorenni era concentrata nel motto « Salviamo<br />

il fanciullo e non vi saranno più uomini da correggere».<br />

Ma Raffaele Majetti, come tutti gli intellettuali, divenne presto, in<br />

Roma, un appassionato cultore e studioso dell'Eterna Città. Al suo<br />

alto grado sociale ed al titolo di Consigliere di Corte d'Appello, univa,<br />

con un certo orgoglio, anche quello di Vice Presidente di una antica<br />

e benemerita associazione culturale « L'Unione Storia ed Arte». Fu<br />

in una delle annuali assemblee generali di questa associazione, per<br />

il rinnovo e riconferma di alcune cariche sociali, che io ebbi a dubitare<br />

sulle sue qualità - di Buon Giudice - clemente e comprensivo delle<br />

miserie umane.<br />

Era stato donato all'Associazione un artistico vessillo, simbolo di<br />

Roma che non fu possibile offrire a quel Battaglione di Volontari<br />

Bersaglieri Ciclisti, partito nel 1915 dalla Caserma di San Francesco<br />

a Ripa fra un tripudio di fiori e di acclamazioni. Necessità militari<br />

richiesero l'incorporamento del bel battaglione in altre unità e, con-<br />

seguentemente il vessillo fu, da un modesto ed ignoto socio, offerto<br />

come si è detto all'Unione Storia ed Arte.<br />

Cassiere dell'Associazione era stato, per moltissimi anni, il Cav.<br />

Temistocle Ambrosi, uomo oltre sessantacinquenne, non disprezzabile<br />

poeta dialettale tiburtino e che, fu anche, per lungo tempo, cassiere<br />

presso l'Ufficio dei Telefoni dello Stato. lo mi recavo volentieri,<br />

all'Ufficio Cassa dei Telefoni, allora in Piazza S. Macuto, a pagare<br />

il canone del mio telefono, anche per aver l'occasione di scambiare con<br />

lui qualche parola; quando un giorno, non vidi più allo sportello il<br />

Cav. Ambrosi. Sorpreso da tale inaspettata assenza chiesi al riguardo<br />

notizie ad un usciere che mi rispose: « Ha fatto la fine che fanno tutti<br />

i cassieri». Rimasi sconcertato, e non ebbi il coraggio di chiedere di<br />

più'. Avevo sempre avuto, per il cav. Ambrosi, la massima stima,<br />

sapendolo anche « cassiere» dell'Associazione della quale ero consigliere.<br />

Vedovo e senza figli, godeva della simpatia di una bella e<br />

giovane signora.<br />

~ ~-<br />

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