le esternalizzazioni “relazionali” - Fondazione Prof. Massimo D'Antona
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Integrazione contrattua<strong>le</strong> tra imprese: ricognizione dei modelli<br />
territorio […] (inadeguato, n.d.a.) a competere e consolidare <strong>le</strong> nicchie di mercato<br />
mondiali» 6 .<br />
Le trasformazioni intervenute non hanno comportato una riduzione del lavoro<br />
socialmente necessario 7 ma soltanto una contrazione del<strong>le</strong> attività manifatturiere, mentre<br />
sono diventati via via più diffusi i settori c.d. know<strong>le</strong>dge intensive contrassegnati dalla centralità<br />
di fattori cognitivi e immateriali quali i processi comunicativi e <strong>le</strong> dinamiche relazionali. In<br />
particolare, il valore del linguaggio e della comunicazione all’interno del sistema di<br />
produzione ha tratto notevo<strong>le</strong> impulso dalla necessità di rispondere tempestivamente al<strong>le</strong><br />
repentine contrazioni ed espansioni della domanda di merci f<strong>le</strong>ssibilizzando e adattando<br />
l’organizzazione del lavoro al<strong>le</strong> variabili e innumerevoli sol<strong>le</strong>citazioni provenienti dal<br />
mercato.<br />
Ciò che comincia ad emergere a partire dagli anni ’80 nel<strong>le</strong> economie occidentali è<br />
l’esigenza congiunta di una maggiore qualità dei prodotti e di una minore incidenza dei<br />
costi da perseguire attraverso l’articolazione di economie della diversificazione, in contrasto<br />
con <strong>le</strong> economie di scala tipiche della passata stagione tayloristica. Viene dunque<br />
abbandonata la tendenza alla standardizzazione nell’offerta di prodotti in nome della<br />
rincorsa ad una maggiore qualità, con merci capaci di raggiungere nicchie di consumatori<br />
esigenti: il mercato è via via cambiato poiché è innanzitutto diventata stazionaria – e, in<br />
taluni casi, financo regressiva – la domanda di merci standardizzate, prodotte in serie.<br />
1.2. L’economia dell’immateria<strong>le</strong>: la «fabbrica minima» e <strong>le</strong> sue ricadute<br />
sull’organizzazione del lavoro<br />
Le coordinate principali che definiscono il passaggio dal sistema fordista dell’impresa<br />
verticalmente integrata all’impresa snella e f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong> sono state anzitutto sperimentate con il<br />
modello di sviluppo giapponese consolidatosi a partire dal dopoguerra, il qua<strong>le</strong> ha ricevuto<br />
slancio e avallo teorico dagli studi di Ohno sul metodo Toyota del “pensare all’inverso”;<br />
posto che nell’ottica del toyotismo il termine di raffronto negativo era costituito dai tipici<br />
contrassegni dell’esperienza fordista-taylorista.<br />
Gli e<strong>le</strong>menti che hanno dato vigore alla «rivoluzione copernicana» del modello<br />
giapponese sono stati il principio zero scorte e la produzione just in time. A tal riguardo, Ohno<br />
opinava che la nuova economia giapponese, esemplificata dal sistema Toyota, doveva<br />
incentrarsi sulla produzione di «picco<strong>le</strong> quantità di numerosi tipi di prodotti». 8 In questo<br />
6 BONOMI A., Il capitalismo mo<strong>le</strong>colare: la società al lavoro nel Nord Italia, Torino, 1997, p. 55.<br />
7 Contra, RIFKIN J., La fine del lavoro: il declino della forza lavoro globa<strong>le</strong> e l’avvento dell’era post-mercato, Milano, 2002.<br />
8 OHNO T., Toyota seisan hoshiki, Diamond Sha, Tokio, 1978, p. 49, citato in CORIAT B., Ripensare l’organizzazione<br />
del lavoro. Concetti e prassi nel modello giapponese, Bari, 1993, p. 21: “Mentre il sistema classico della produzione di<br />
massa pianificata è relativamente rigido di fronte al cambiamento, il sistema Toyota si dimostra al contrario<br />
estremamente f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong> e si adatta facilmente al<strong>le</strong> più difficili condizioni di diversificazione”.<br />
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