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Marrone, in storici fra cui Strabone e Pausania, Tito Livio, Diodoro Siculo,<br />
Svetonio ed infine nelle favole di Esopo e di Fedro e nei poeti fra cui Omero,<br />
Esiodo, Virgilio e Ovidio.<br />
Uomini ed animali dunque nell’universo a creare la grande armonia che<br />
sovrasta il mistero dell’esistenza e della sua fine, delle stagioni e della natura che<br />
continuamente si rimodella rinnovandosi. Così ciascun vivente aveva un<br />
significato particolare legato alla religione o alle superstizioni, a credenze o modi<br />
di dire. Per questo alcuni volarono nella storia conquistandola come fosse un<br />
nuovo cielo, altri rimasero nell’aneddotica e alcuni riuscirono persino a<br />
raggiungere la religione. Come avvenne per il cardellino, il fiorrancino, il<br />
pettirosso ed il fringuello rimasti teneramente legati alla passione di Cristo.<br />
Alati misteriosi<br />
Ci sono alcuni animali però che paiono addirittura sfuggire persino al mito che<br />
essi stessi hanno contribuito a creare. Furono e rimarranno comunque e sempre<br />
misteriosi. Si palesano appena e subito scompaiono per ritornare quasi come<br />
fossero condannati in un eterno e irreale rincorrere se stessi e lasciarsi intravedere<br />
appena dagli altri. Così ad esempio è l’Araba Fenice: ad ogni morte nel fuoco<br />
risorge e vola ancor più vitale di prima e non v’è chi non possa non vederla a<br />
significare la resurrezione dei corpi. Tertulliano, con un’efficace immagine, la<br />
definisce “posterità di se stessa”.<br />
Commodiano, un vescovo vissuto nel Duecento, affermava “rinascendo dalla<br />
morte l’uccello fenice ci prova che dopo ciò che deve accadere noi possiamo<br />
nascere. E’ soprattutto questo che ci invita a credere che per i defunti verrà il<br />
tempo di vivere di nuovo”.<br />
E Sant’Amborgio scrisse “ci insegni questo uccello anche con il suo esempio a<br />
credere nella resurrezione, esso che senza alcun modello e senza rendersene conto<br />
rinnova in sé il simbolo della resurrezione”.<br />
Dante non poteva ignorarla:<br />
Così per li gran savi si confessa<br />
Che la fenice more e poi rinasce<br />
Quando al cinquecentesimo anno appressa<br />
Erba né biada in sua vita non pasce<br />
Ma sol d’incenso lacrime e d’amomo<br />
E nardo e mirra son l’ultime fasce.<br />
Metastasio, in alcuni versi, leggeri più di un sospiro, la rammenta come una<br />
speranza che non si potrà mai realizzare<br />
E’ la fede degli amanti<br />
Come l’Araba fenice<br />
Che ci sia ciascun lo dice<br />
Dove sia nessun lo sa.<br />
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