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parte III - IReR

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Nello stemma dei Farcito c’è scritto sotto l’aquila, “Ad sidera velox”, veloce<br />

verso il cielo.<br />

In quello dei Cittadini “Celsa petit”, cerca le altezze.<br />

“Alata alatis patent”, chi ha le ali tende in alto, nell’arma dei Doria.<br />

Mentre i Gonzaga hanno preferito il motto “Alta a longe cognoscit”, conosce<br />

da lontano le vette.<br />

I Foresta hanno scritto “A nido devota Tonanti”, sin dalla nascita devota a<br />

Giove.<br />

I Monti invece hanno sulle loro bandiere a completamento dell’aquila la frase<br />

“Aemula siderum vigilat”, l’emula delle stelle vigila.<br />

A volte viene associata al sole proprio perché si riteneva che appena i figli<br />

avessero aperto gli occhi venissero collocati davanti all’astro e chi non riusciva a<br />

guardarlo era cacciato via. L’aquila che fissa il sole compare sulle insegne di Irene<br />

di Castrista principessa di Bisognano ed è accompagnata dalla scritta “Che mi può<br />

far di vera gloria lieta” proprio come quella che negli stemmi dei Cauda,<br />

piemontesi e di Sisto di Bitonto guarda l’astro<br />

Il duca Gabriele Cesarini fece scrivere “Mei non degenerant”, i nostri figli non<br />

saranno degeneri, ma riusciranno a guardar fisso il sole. Hanno per stemma<br />

l’aquila anche gli Unico, gli Accolti, i Fogaccia di Clusone, Galeazzo Fragoso e<br />

Maria della Rovere.<br />

Altri rapaci comparvero sugli stemmi e fra questi l’Astore sulle insegne di<br />

Attila re degli Unni, degli Astori di Milano, dei Cassandrini e di molti altri.<br />

L’avvoltoio venne fatto proprio dalla famiglia Avoltori di Brescia e dai Coletti.<br />

Il falco era di solito sulle insegne dei falconieri che lo esibivano anche come<br />

immagine della categoria allora particolarmente considerata. Questo non impedì<br />

però che comparisse sulle insegne di Ippolito d’Este e Pietro Medici.<br />

Lo sparviero era nei blasoni delle famiglie Sparvieri, Sparvieri, Sprovieri,<br />

Muscianisi ed Amico.<br />

Il Gufo reale indica i Perocco di Meduna di Livenza.<br />

La civetta colorata in oro o argento è sulle insegne dei Locadelli, Minzoni,<br />

Braussi, Nardi, Simonini.<br />

I Lasbianca di Ivrea avevano sulle loro bandiere un cigno completato dal motto<br />

“Candida ne inficias”, non macchiare ciò che è candido. I Clerici invece<br />

accompagnarono la figura del volatile con la scritta “Candidior fide”, la fede più<br />

pura.<br />

Originale ed un po’ triste il motto dei Diversi di Lucca: “Et in fine dulciora<br />

canit” (sul punto di morire canta le cose più dolci) e si riferisce alla leggenda<br />

secondo cui prima di morire il cigno canterebbe una melodia dolcissima e<br />

struggente di addio alla vita.<br />

I Picella di Fiorino avevano fatto dipingere un cigno con un serpente nel becco<br />

e la scritta “Prudentia et vigilantia”, prudenza ed attenzione.<br />

I Parravicini lo hanno come emblema e la scritta “Mosso ma sempre fermo”.<br />

Il volatile è, inoltre, negli stemmi dei Carcano di Milano, dei Gagliardi di<br />

Napoli, dei Musso, dei Vinciguerra di Collalto.<br />

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