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De Rerum Magicarum - Benvenuti nella dimora della famiglia ...

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La negromanzia<br />

Di tutte le pratiche occulte, la più rischiosa era indubbiamente la negromanzia, l'arte di invocare i<br />

morti. In un certo senso rappresentava l'apice del talento magico, l'impresa più sconvolgente e<br />

sbalorditiva che uno stregone potesse esibire nel proprio curriculum personale. In parte a causa<br />

<strong>della</strong> sua straordinaria intrinseca difficoltà e in parte per i tremendi pericoli a cui il mago si<br />

esponeva nel momento in cui evocava fantasmi e demoni delloltretomba. Tali spiriti, infatti, non<br />

erano particolarmente entusiasti all'idea di doversi sobbarcare il viaggio. Occorreva scegliere lo<br />

scenario propizio per celebrare i rituali magici. Tra i luoghi prediletti dalla negromanzia spiccavano<br />

le cripte, addobbate con drappi neri e illuminate da torce, e i boschi più impervi e inaccessibili a<br />

eventuali intrusi. Anche i crocicchi godevano di una certa popolarità, forse <strong>nella</strong> convinzione che<br />

molte anime, sia vive sia morte, erano abituate a passare da quelle parti. I ruderi dei castelli,<br />

abbazie, monasteri e chiese si prestavano altrettanto bene, così come, naturalmente, i cimiteri. L'ora<br />

migliore per l'invocazione di un defunto era quella che andava dalla mezzanotte all'una. Se la luna<br />

piena splendeva in un cielo sereno, benissimo. Meglio ancora se infuriavano il vento e la tempesta,<br />

i tuoni e i fulmini. E non solo grazie all'indubbio effetto scenografico. Per gli spiriti, osì si credeva,<br />

non era facile mostrarsi e rimanere visibili nel mondo reale, ma il tempo inclemente, in virtù di<br />

qualche misteriosa ragione, li aiutava. Il negromante si sottoponeva a numerosi preliminari. Nei<br />

nove giorni che precedevano il tentativo, lui ed i suoi assistenti dovevano immergersi in una totale<br />

atmosfera di morte. Spogliatisi delle loro normali vesti quotidiane, mettevano abiti logori e sbiaditi<br />

che avevano sottratto a dei cadaveri e, <strong>nella</strong>tto di indossarli, recitavano litanie funebri in onore di se<br />

stessi. Fino a che il rito di evocazione non si fosse concluso, non gli era concesso togliersi i vestiti.<br />

Esistevano poi altri divieti da rispettare. Non era consentito neppure guardare una donna. Dovevano<br />

mangiare cibi insipidi, perché il sale era un conservante, e i cadaveri erano destinati a putrefarsi<br />

<strong>nella</strong> tomba, non a rimanere intatti. Si nutrivano di carne di cane, perché i cani erano creature di<br />

Ecate, dea dei fantasmi e <strong>della</strong> morte, dallaspetto così terribile che chiunque la ridestasse doveva<br />

avere cura di evitarne lo sguardo: una sola occhiata e la mente veniva distrutta per sempre. In una<br />

sorta di versione necromantica <strong>della</strong> Comunione, mangiavano pane nero non lievitato e bevevano<br />

succo duva non fermentato. Tali sostanze erano lemblema <strong>della</strong> desolazione e dello sconforto<br />

caratteristici del regno che si accingevano ad esplorare. Lo scopo dei preparativi era quello di<br />

creare una sorta di legame empatico fra i negromanti e le anime che speravano di evocare.<br />

Compiuti i riti preliminari, lo stregone e i suoi complici si recavano al cimitero e, rischiarati dalla<br />

luce delle fiaccole, tracciavano un cerchio magico intorno alla tomba che intendevano profanare;<br />

poi bruciavano un miscuglio di legno comune, giusquiamo, cicuta, zafferano, aleo, mandragora e<br />

oppio. Dopo aver dissigillato la bara, esaminavano il corpo e ne rivolgevano il capo verso est (la<br />

direzione del sole nascente); le braccia e le gambe venivano disposte come quelle di Cristo<br />

crocifisso. Vicino alla mano destra del cadavere, il negromante metteva una ciotola con una miscela<br />

infuocata di vino, resina e olio profumato. Toccando tre volte il corpo con la bacchetta magica,<br />

declamava allora alcune formule del suo Grimoire; le parole precise di tali invocazioni variavano<br />

da libro a libro. Con una lieve variante, se l'anima che si voleva evocare era quella di un suicida, il<br />

mago doveva toccare la salma nove volte, ricorrendo a ulteriori poteri occulti, quali i misteri degli<br />

abissi e i riti di Ecate; poteva inoltre chiedere allo spirito perché si era tolto la vita, dove si trovava<br />

in quell'istante e dove probabilmente sarebbe andato in seguito. Gli doveva poi intimare di<br />

rispondere alle sue domande se voleva "serbare la speranza di godere del riposo dei giusti e vedere<br />

alleviati i suoi dolori". Se tutto andava come previsto, l'anima rientrava nel suo corpo vecchio e<br />

malmesso, che lentamente si alzava in piedi. Con voce spenta e sepolcrale, il defunto rispondeva a<br />

ogni domanda del negromante: che cosa vi fosse oltre quella valle di lacrime, quali demoni stessero<br />

causando sventure all'umanità, dove si trovasse un certo tesoro sepolto. Quando linterrogatorio<br />

aveva termine, il mago ricompensava la disponibilità mostrata dallo spirito promettendogli per<br />

lavvenire un riposo indisturbato, poi bruciava il cadavere o lo sotterrava <strong>nella</strong> calce viva per

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