Tito Livio. Gli ab urbe condita libri - Facoltà di Lettere e Filosofia
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Letteratura latina B a.a. 2008-2009 mod. 2. Appunti delle lezioni 16<br />
religioso (religio) mi impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> considerare indegni della mia storia fatti <strong>di</strong> cui quegli<br />
uomini assai saggi (illi prudentissimi viri, i Romani <strong>di</strong> un tempo) ritennero dovesse<br />
occuparsi lo stato” (43,13,1). A volte, su singoli pro<strong>di</strong>gi, egli si mostra incredulo; ed è ben<br />
consapevole che, in tempi <strong>di</strong> terrore e sconfitta, può verificarsi una psicosi religiosa<br />
collettiva: “molti pro<strong>di</strong>gi si verificarono in quell’inverno, o, come solitamente avviene<br />
quando le menti degli uomini sono piene del terrore religioso, molti furono riferiti e<br />
precipitosamente creduti” (21,62,1). Ciononostante <strong>Livio</strong> nota molto spesso che<br />
l’inosservanza dei riti, l’in<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> fronte ai pro<strong>di</strong>gi, furono causa <strong>di</strong> <strong>di</strong>sastri e<br />
sconfitte; senza dare una personale adesione incon<strong>di</strong>zionata alla fede in questi fenomeni,<br />
<strong>Livio</strong> ne sottolinea tuttavia l’importanza, senza escludere che i pro<strong>di</strong>gi possano essere, o<br />
forse fossero nei tempi antichi, più puri e incorrotti, una manifestazione della volontà<br />
<strong>di</strong>vina, che non è comunque saggio ignorare: religio e pietas degli antichi sono insomma<br />
considerati dallo storico valori positivi, elementi imprescin<strong>di</strong>bili della virtù del popolo<br />
romano.<br />
Nella interpretazione globale della storia <strong>di</strong> Roma, ma in particolar modo nella<br />
prima decade, si riconosce poi una idea guida <strong>di</strong> carattere religioso (che sembra iscriversi<br />
nel provvidenzialismo stoico): la grandezza <strong>di</strong> Roma non è frutto del caso, è preor<strong>di</strong>nata<br />
e provvidenziale. Per es. prima <strong>di</strong> riferire, con le riserve che <strong>ab</strong>biamo ricordato 14, la<br />
leggenda dei gemelli, <strong>Livio</strong> <strong>di</strong>chiara: sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis<br />
maximique secundum deorum opes imperii principium (1,4,1), “dai fati era fissata, io credo,<br />
l’origine <strong>di</strong> una città così grande, e l’inizio del dominio più grande dopo la potenza degli<br />
dèi”. Per quanto scettico possa essere sulla leggenda che ingenuamente connette in modo<br />
<strong>di</strong>retto con un <strong>di</strong>o l’origine <strong>di</strong> Roma, <strong>Livio</strong> è però convinto che fin dalla sua nascita la<br />
città fu assistita dalla benevolenza degli dèi, o del fato. Una benevolenza non immotivata,<br />
ma al contrario legata <strong>di</strong>rettamente alla virtù straor<strong>di</strong>naria del popolo che gli dèi hanno<br />
scelto <strong>di</strong> proteggere. Ma anche <strong>di</strong> mettere continuamente alla prova. Ricorrono, nella<br />
prima decade, frasi finali che tendono ad ottenere l’impressione che una necessità<br />
impersonale intervenga spesso a saggiare le virtù civiche e militari del popolo romano,<br />
per renderlo tanto forte da dominare il mondo, ma anche moralmente degno <strong>di</strong> guidarlo.<br />
Il nuovo stato è minacciato da popoli stranieri; il fatto viene dallo storico introdotto con<br />
queste parole: “perché il medesimo ciclo <strong>di</strong> avvenimenti ricorresse ogni anno (ut idem in<br />
singulos orbis volveretur), ecco che gli Ernici annunziarono che i Volsci e gli Equi, per<br />
quanto le loro forze fossero state duramente provate, stavano ricostituendo i loro eserciti”<br />
(3,10,9). Se non vi sono minacce esterne, i Romani sono travagliati da <strong>di</strong>fficoltà interne:<br />
Etruschi e Sanniti sono quieti e, almeno momentaneamente, in pace con Roma; la plebe<br />
14 1,4,2: v. qui sopra, p. 15.