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Tito Livio. Gli ab urbe condita libri - Facoltà di Lettere e Filosofia

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Letteratura latina B a.a. 2008-2009 mod. 2. Appunti delle lezioni 74<br />

Subito dopo, con brusco contrasto, Annibale viene dotato anche <strong>di</strong> una nutrita<br />

serie <strong>di</strong> vitia. Questi, assai più che le virtù, prescindono completamente dalla situazione<br />

specifica in cui il ritratto <strong>di</strong> Annibale è inserito. Quelli che lo storico elenca sono infatti i<br />

vitia del generale cartaginese nemico dei Romani, non quelli del giovane impegnato nel<br />

tirocinio militare, non dotato <strong>di</strong> potere autonomo e <strong>di</strong>fficilmente quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> venir<br />

meno a patti o giuramenti, che non spettava certo a lui concludere o prestare. Si tratta <strong>di</strong><br />

un elenco molto scarno, anch’esso privo <strong>di</strong> esempi concreti, ma molto più schematico<br />

della descrizione delle doti positive, non altrettanto statiche. Ponendo tuttavia a<br />

conclusione del ritratto la serie dei vitia, certo lo scrittore mira a far sì che essi si<br />

imprimano nella mente del lettore con forza particolare.<br />

La maggior parte dei vitia <strong>di</strong> Annibale è presentata per via negativa, con l’anafora<br />

<strong>di</strong> nihil e <strong>di</strong> nullus; egli è insomma la vivente negazione <strong>di</strong> tutte le più importanti virtù<br />

romane. L’elenco è peraltro sia ridondante sia convenzionale: ridondante, perché la<br />

perfi<strong>di</strong>a (violazione della fides) comprende e implica quasi tutti i vizi introdotti in forma<br />

negativa, precisando i campi in cui la perfi<strong>di</strong>a può manifestarsi; convenzionale, perché<br />

nel corso del racconto Annibale non appare particolarmente perfidus, empio o crudele.<br />

Anzi, a volte lo storico registra comportamenti che smentiscono qualcuno <strong>di</strong> questi vitia.<br />

In primo luogo, il rispetto per il giuramento fatto all’età <strong>di</strong> nove anni, che tanta<br />

importanza riveste proprio nel racconto <strong>di</strong> <strong>Livio</strong>, mette evidentemente in dubbio il nullum<br />

ius iurandum.<br />

Smentisce poi il nullus deum metus, mostrando invece la pietas religiosa del<br />

generale cartaginese, il viaggio che, prima <strong>di</strong> partire per l’Italia, egli compì a Ca<strong>di</strong>ce, per<br />

sciogliere un voto fatto ad Ercole e invocarne la protezione per l’impresa che si accingeva<br />

ad iniziare (21,21,9).<br />

Quanto alla crudeltà e alla slealtà nella condotta <strong>di</strong> guerra, queste non appaiono<br />

prerogative del solo Annibale, o dei soli Cartaginesi. Anche i Romani vi ricorrono spesso,<br />

come lo storico onestamente riferisce. Per i Romani tuttavia tenta <strong>di</strong> el<strong>ab</strong>orare<br />

giustificazioni che invece per i Cartaginesi non cerca mai. Si è già ricordato90 il massacro<br />

a tra<strong>di</strong>mento dei citta<strong>di</strong>ni inermi <strong>di</strong> Enna progettato ed eseguito dai Romani senza un<br />

ripensamento (24,39), e la considerazione conclusiva dello storico: ita Henna aut malo aut<br />

necessario facinore retenta (24,39,7). Questa non è una vera e propria giustificazione <strong>di</strong><br />

un atto che lo storico certo <strong>di</strong>sapprova, ma le assomiglia molto. Un comportamento<br />

analogo, anzi meno crudele, dei Cartaginesi è invece condannato senza esitazioni dallo<br />

storico. Dopo la sconfitta del Trasimeno, seimila soldati romani scampati al massacro si<br />

arrendono, dopo una fuga durata una intera notte, al generale cartaginese Maarbale,<br />

90 V. p. 23.

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