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EDITORI MUSICALI,UNA PASSIONE LUNGA UN SECOLO - Siae

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VIVAVERDI<br />

10<br />

personaggi<br />

SERGIO ENDRIGO/L’ULTIMA INTERVISTA<br />

L’UOMO CHE NON RIDE<br />

È <strong>UN</strong> POETA FELICE<br />

di Michele Bovi<br />

Al manifesto de L’Uomo che Ride di Victor<br />

Hugo, una mano anonima aggiungeva un<br />

“non”. E quell’Uomo che Non Ride era l’incipit<br />

della scenetta. Alighiero Noschese, il caposcuola<br />

inarrivabile di tutti i Max Giusti, Max Tortora,<br />

Maurizio Crozza, aveva fatto di Sergio Endrigo<br />

una delle macchiette più gettonate del suo<br />

repertorio. Lo imitava rasentando la perfezione<br />

senza nemmeno ricorrere a trucchi speciali,<br />

sporgendo in avanti il mento come il don Vito<br />

Corleone di Brando, l’espressione mesta, la<br />

fronte corrugata e gli occhi socchiusi, circondato<br />

da ballerine abbigliate a lutto e singhiozzanti,<br />

lui vestito di nero sibilava un po’ le “esse” e<br />

parafrasava “Lontano dagli occhi” intonando:<br />

“…non fate le corna, non fatemi torto, jella non<br />

porto ma rider non so”.<br />

E Sergio Endrigo masticava amaro: non sopportava<br />

quell’imitazione ma neanche si azzardava<br />

ad intervenire per lo scrupolo di frapporre<br />

censure e limitazioni al lavoro di un altro<br />

artista. Poi la goccia fatidica sopra il livello di<br />

guardia. “Nell’ennesima parodia televisiva –<br />

racconta Endrigo – la canzone presa di mira<br />

diventò “Ci vuole un fiore” e sempre circondato<br />

da ballerine in vedovanza, Noschese mi rappresentò<br />

cantando: “Per far la bara, ci vuole il<br />

morto”. Troppo! Con me in quel momento c’era<br />

Sergio Bernardini, il patron della Bussola in<br />

Versilia. Sapevo che qualche sera dopo avrebbe<br />

ospitato proprio Noschese. “Digli che se riprova<br />

a dipingermi come il protagonista della<br />

Patente di Pirandello appena lo incontro gli<br />

spacco la faccia!” E da quel giorno Alighiero…<br />

dimenticò di inserirmi nel suo repertorio…”<br />

Paura della nomea di menagramo?<br />

Terrore. Per un artista equivale alla morte civile.<br />

Un mio zio compositore di sinfonie incantevoli<br />

era stato praticamente messo al bando per una<br />

diceria del genere, ovviamente alimentata da<br />

concorrenti di scarso talento ma di spietata<br />

determinazione. Ricordo una volta in uno studio<br />

di registrazione della Rca che qualcuno lo nominò<br />

e subito un fonico si esibì nel più volgare dei<br />

gesti di scongiuro, incassando una raffica di<br />

improperi da parte mia.<br />

Mia Martini pagò una parcella terribile per gli<br />

effetti di quella maledizione…<br />

Uno stato di emarginazione totale: impresari,<br />

discografici, colleghi, molti sogghignavano partecipando<br />

a quel gioco circolare di calunnie dettagliate,<br />

altri si dimostravano realmente impauriti<br />

dal contatto anche soltanto visivo con quella<br />

povera ragazza marchiata come dispensatrice di<br />

calamità.<br />

Lei cosa fece per aiutarla?<br />

Restavo fuori dal coro e insultavo i coristi quando<br />

mi capitavano a tiro. Cercavo di trasmetterle soli-<br />

Foto Mariacristina Di Giuseppe<br />

Il maestro Jaques Brel e gli altri modelli della chanson francese; la squadra Ricordi con il<br />

centravanti Gino Paoli: le nozze magiche tra melodia e testo da Tajoli a De Gregori; i<br />

profili retorici e reali delle muse ispiratrici Teresa, Maddalena e Annamaria. Il bilancio<br />

sereno e appassionato di oltre 50 anni di carriera nell'ultima intervista con il più<br />

celebrato capostipite della canzone d'autore italiana, scomparso l’8 settembre e<br />

registrata per Vivaverdi il 28 agosto<br />

darietà, l’affetto per l’essere umano fragile, la<br />

stima per l’artista tangibile. La invitai a partecipare<br />

ad un mio progetto discografico: un album<br />

di canzoni venete in cui lei cantò due brani:<br />

Cecilia e Donna Lombarda. Al ritorno da uno dei<br />

miei periodici viaggi in Brasile le feci conoscere<br />

una canzone che sembrava scritta per la sua voce:<br />

Milho Verde. Le piacque, la incise: un’esecuzione<br />

soave e delicata come una farfalla rosa.<br />

Le chiacchiere sulla sfortuna non hanno coinvolto<br />

Sergio Endrigo, forse per la sua tempestività<br />

nell’intervenire su Noschese o forse perché<br />

quell’imitazione era così esilarante da palesare<br />

l’innocenza di contenuti e intenzioni. Ma l’immagine<br />

di artista e anche di uomo malinconico<br />

è sua compagna da sempre: per quei brani così<br />

intensi pur nella leggerezza della musica pop,<br />

per quelle interpretazioni così misurate nella<br />

compostezza scenica e melodica, per quei testi<br />

così garbatamente introspettivi pur nelle marcette<br />

per bambini sagaci. Cinquant’anni fa, al<br />

suo esordio, Sergio Endrigo per il pubblico di<br />

tutte le età era già un adulto.<br />

“Quando nel 1968 vinsi il Festival di Sanremo

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