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EDITORI MUSICALI,UNA PASSIONE LUNGA UN SECOLO - Siae

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Bonaiuto) a fare festa con noi; c’erano i registi<br />

italiani a portare per mano i loro colleghi stranieri<br />

(da Giuliano Montaldo a Mario Monicelli,<br />

da Daniele Luchetti a Ugo Gregoretti); pulsavano<br />

i grandi temi della cultura e della visione o<br />

le grandi battaglie di categoria e di civiltà dei<br />

nostri tempi. Ma vinceva soprattutto un modo<br />

diverso di vivere il valore aggregativo e colllettivo<br />

di un festival di cinema: non tanto evento,<br />

non semplice passerella ma occasione di scoperta,<br />

confronto, dialogo. Che si realizza<br />

vedendo insieme i film, trovando il tempo per<br />

parlarne e per approfondire temi ed estetiche,<br />

non consumando la<br />

cultura in piatti slogan<br />

di supina accettazione<br />

o effimero<br />

affossamento.<br />

Insomma, facendo,<br />

con modi nuovi e<br />

sensibilità del<br />

tempo, ciò che una volta garantiva la popolarità<br />

e il valore di quest’arte nuova e dei suoi santuari<br />

dedicati (i festival appunto). E facendolo<br />

con sano divertimento, tra un concerto e una<br />

cena, tra una chiacchiera e un incontro, senza<br />

paura di argomenti in apparenza poco adatti<br />

all’onnivoro consumo festivaliero (Come si<br />

scrive una storia? Che valore ha la difesa della<br />

lingua nell’epoca delle diversità culturali?) e<br />

senza l’angoscia delle etichette e dei formalismi.<br />

Vedere le sale gonfie di pubblico, ascoltare le<br />

domande di spettatori normali e appassionati,<br />

partecipare all’entusiasmo o alle polemiche di<br />

cineasti che parlano a cineasti, faceva un effetto<br />

del tutto singolare anche a chi, come il sot-<br />

toscritto, ha fatto dell’organizzazione culturale<br />

un progetto e un mestiere e dunque ne ha già<br />

viste tante. Gli ingredienti sono rimasti pochi e<br />

semplici: un quartier generale che diventava<br />

rapidamente “casa aperta”, la visione e la discussione<br />

ritrovate come modo della percezione,<br />

uno schermo a cielo aperto per completare<br />

un percorso di cinema che nella sala chiusa<br />

cominciava a mattina, lunghe notti spese per il<br />

puro piacere dello stare insieme. Tutto il contrario<br />

di ciò che fa evento, di ciò che finisce<br />

sulle pagine dei giornali. Eppure su quei giornali<br />

ci siamo finiti, con frequenza ogni giorno<br />

più confortante e in tutto<br />

il mondo, grazie alla<br />

forza dei film e a un<br />

pugno di autori dai nomi<br />

sconosciuti che in pochi<br />

giorni sono diventate<br />

vere star del cinema<br />

internazionale. Capita<br />

così che il piccolo (ma grande e ambizioso)<br />

esordio in bianco e nero di un ventiseienne<br />

georgiano aiutato da un coraggioso produttore<br />

francese (13 di Gela Babluani) sia arrivato da<br />

ignoto a Venezia e ne sia uscito con il Premio<br />

De Laurentiis-Leone del Futuro per la migliore<br />

opera prima di tutta la Mostra; che un provinciale<br />

canadese del Québec, Jean-Marc Vallée<br />

con Crazy, sia sbarcato in Europa da Carneade<br />

e ne sia ripartito come l’autentico “caso” dell’anno,<br />

fino ad essere premiato – pochi giorni<br />

dopo, a Toronto – come miglior film canadese<br />

dell’anno, sicché è ora candidato all’Oscar. È<br />

accaduto che Pasquale Scimeca, il cui La passione<br />

di Giosuè l’ebreo rischiava di finire nel<br />

cono d’ombra del cinema invisibile, abbia<br />

infiammato la Mostra con la sua polemica alta<br />

e rigorosa sui temi dell’intolleranza e della diaspora.<br />

O che il documentario tutto pugliese di<br />

Davide Marengo, Craj-Domani, scritto, voluto<br />

e cantato da Teresa De Sio insieme a un gruppo<br />

di fantastici musicisti ottuagenari tra cui<br />

Matteo Salvatore, sia stato proiettato per un<br />

pubblico giubilante che applaudiva ogni<br />

sequenza, ogni canzone, fino a trascinare nell’entusiasmo<br />

la giuria di studenti di cinema che<br />

gli ha conferito il Premio Micciché per un<br />

esordio italiano di valore. Ma è l’insieme della<br />

selezione ad aver vinto – e per distacco – la<br />

volata dell’originalità e del rigore a questa<br />

Mostra 2005. Il giudizio – com’è ovvio – non ce<br />

lo diamo da soli, ma lo ricaviamo da commentatori<br />

non facili agli entusiasmi come i critici di<br />

Le Monde, Variety, il manifesto.<br />

Insomma, una selezione di autori per gli autori,<br />

magari intenta nella pensosa patina della<br />

“noia d’autore”? Non si direbbe proprio, a<br />

vedere le reazioni del pubblico, i commenti dei<br />

blog su Internet, il piacere con cui alcuni tra i<br />

più prestigiosi sensali internazionali di cinema<br />

(i sales agents, i produttori stranieri, i grandi<br />

distributori) hanno speso il loro soggiorno<br />

veneziano a fare affari, incontrare registi, discutere<br />

di possibili film sotto i pergolati e le<br />

tende della “Villa degli Autori”. In alcuni giorni<br />

sembrava che l’unico, autentico “mercato<br />

cinematografico” di Venezia si svolgesse intorno<br />

alla nostra sezioncina. Non ce ne siamo mai<br />

vergognati, piuttosto inorgogliti perché il cinema<br />

esiste davvero solo se circola, si vende, si<br />

compra, si progetta e si realizza.<br />

Giorgio Gosetti<br />

Delegato delle Giornate degli Autori<br />

VIVAVERDI<br />

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