EDITORI MUSICALI,UNA PASSIONE LUNGA UN SECOLO - Siae
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VIVAVERDI<br />
24<br />
personaggi<br />
scono, sono la cosa che mi diverte ancora di<br />
più. Non sono un appassionato di natura…,<br />
tolto il mare, dove sto bene, per il resto mi<br />
piacciono solo le persone…<br />
Ciacole, bar, incontri, piazze, fughe. Roba veneta…<br />
Sì, anche perché provengo da una grande tradizione<br />
famigliare. Mio padre, lui sì, era un grande<br />
affabulatore, un grandissimo attore che mi<br />
ha probabilmente trasmesso…, il codice famigliare…<br />
Quello della mia famiglia è un lessico<br />
della narrazione. Tutto passava di lì o si trasformava<br />
in narrazione.<br />
Quindi in una recita…<br />
Anche. Quindi in una performance… A partire<br />
da mio nonno Umberto, che era capocomico di<br />
una Compagnia drammatica, il modo di stare<br />
insieme in questa famiglia molto numerosa<br />
passava per il racconto orale. Io nasco da lì. E<br />
sono arrivato a questo mestiere – incosciamente<br />
– facendo fruttare quest’unica dote.<br />
Sei laureato in Filosofia, ha qualche significato?<br />
Ti ha dato vantaggi?<br />
Ho fatto Filosofia perché a quei tempi era la<br />
facoltà che allontanava di più ogni possibilità<br />
concreta di lavoro…, e quindi mi sembrava un<br />
modo bello, interessante, per passare quattro<br />
anni. Sono stati anni bellissimi…<br />
Tutto qui? Hai fatto poi scuole particolari?<br />
No, non ho fatto nulla.<br />
Come arrivi a fare lo sceneggiatore?<br />
Sono venuto a Roma poco dopo che da Padova<br />
s’erano trasferiti Carlo Mazzacurati e Enzo<br />
Monteleone, a metà anni 80, in totale e meraviglioso<br />
incanto per tutto quel che poteva succedere.<br />
Non ho ricordi di quel periodo nei quali<br />
noi vivessimo con una meta. Avevamo un desiderio,<br />
una curiosità, che era semplicemente<br />
quella di dire: “Ci piace il cinema”. E l’unico<br />
modo, il modo più semplice, che costa meno<br />
per provare a farlo è scrivere. Perché non devi<br />
scomodare nessuno e quindi, in totale leggerezza<br />
e divertimento, ci siamo messi a inventare<br />
un po’ di storie, a scribacchiarle, proporle di<br />
qua e di là, Quello che però ricordo di più era<br />
l’incanto di Roma, questo senso di libertà di<br />
stare in un altro posto, di iniziare una cosa che<br />
non si sapeva fare. Non ho ricordi di ansia da<br />
prestazione, di formalizzazione di una carriera.<br />
Tutto è avvenuto in maniera casuale. Poi uno<br />
può dire: a forza di cercare di fare una cosa, uno<br />
la fa.<br />
Hai fatto fatica?<br />
Non è un’espressione che userei. Poi è vero, ho<br />
fatto anche fatica, perché ho lavorato tanto,<br />
perché veniamo anche da una cultura in cui c’è<br />
un rigore dentro che si scontra con una pigrizia<br />
infinita. Poi ho imparato a darmi un metodo –<br />
io che sono una persona disordinata –, un<br />
metodo decente non perfetto, fantastico. Ho<br />
fatto la mia fatica ma mi verrebbe da ridere a<br />
parlarne.<br />
Come si comincia a “sgrezzare” una storia?<br />
Lavori da solo o con altri?<br />
Non esiste secondo me una figura fantasmatica<br />
dello sceneggiatore che lavora da solo. In Italia,<br />
come minimo, lavora con l’autore. Che è colui il<br />
quale si prende dall’inizio la responsabilità, e la<br />
condivide con lo scrittore, del dipanarsi dell’idea<br />
e del progetto di scrittura. E invece chi –<br />
come succede anche da noi ma più frequentemente<br />
in America –, acquisisce un prodotto a<br />
uno stato finito, non completo ma che ha caratteristiche<br />
definite come una sceneggiatura e<br />
lavora alla sua realizzazione, è più classificabile<br />
come un regista. Ma sono teorie del tutto indicative.<br />
Come avviene l’incontro sceneggiatore-autore?<br />
Per me è abbastanza usuale che mi venga in<br />
mente qualcosa che non è già una storia ma<br />
semmai un nucleo che, a orecchio, sento possa<br />
sprigionare una intensità sufficiente a reggere<br />
una trama. Quando sento di avere in mano un<br />
qualcosa che mi sembra contenga questa robustezza<br />
dentro, che non è inizialmente una robustezza<br />
di trama ma una robustezza di senso, di<br />
necessità, allora semplicemente penso quale<br />
sarebbe l’autore che mi piacerebbe vedere<br />
impegnato. Lo chiamo e gliela vado a raccontare.<br />
Questa è un modo. Poi ci sono gli approcci<br />
inversi. L’autore con un’idea più formata che<br />
mi chiede di entrarci: stabiliamo il livello di<br />
intensità e procediamo.<br />
Film, film-verità, documentari. Quale rapporto<br />
con la realtà?<br />
Adoro i documentari, non faccio il regista ma è<br />
una scuola, A parte che oggi la parola documentario<br />
ha per fortuna assunto diversi significati,<br />
ma per esempio ci sono adesso dei film di verità<br />
che contengono un mistero, una complessità,<br />
una inafferrabilità che è assolutamente paragonabile<br />
a un film cosiddetto di finzione… Quel<br />
che conta è lo sguardo. Se mi si passa il paragone,<br />
alla fine, così come per me in letteratura<br />
conta la voce, al cinema conta lo sguardo. È lo<br />
sguardo che trasforma la storia in un modo o in<br />
un altro, che gli fa prendere una piega o l’altra.<br />
In realtà una storia o un film è sempre la sintesi<br />
della relazione che passa tra l’autore e quella<br />
storia. Sullo schermo scorre sempre il risultato<br />
d’una relazione.<br />
Come nascono le tue storie?<br />
Non ho un’immaginazione pura, ho un’immaginazione<br />
che ha molto bisogno di nutrimento.<br />
A casa, da solo, guardando il soffitto, dormo.<br />
Non mi viene in mente assolutamente niente.<br />
Quelle poche cose che mi vengono in mente è<br />
perché ho sentito qualcosa, ho parlato con<br />
qualcuno. Spesso mi viene in mente qualcosa<br />
mentre parlo. La mia immaginazione nasce dal<br />
racconto orale. Da solo, se mi metto lì e mi dico<br />
“adesso penso ad una storia”, mi addormento.