Il numero di Playboy con Stephanie Seymour
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post, sul blog che teniamo io Matteo e gli altri.<br />
Nei commenti al post, e poi via mail, mi sono<br />
arrivate altre storie.<br />
Le trovate tutte qui, e messe una in fila all’altra<br />
sembrano formare una specie <strong>di</strong> tributo apocrifo.<br />
Non propriamente al gruppo o al <strong>di</strong>sco,<br />
in realtà: più che altro ad un certo <strong>numero</strong> <strong>di</strong><br />
feticci che ci hanno accompagnato per tutta<br />
una stagione dell'esistenza, fissata per puro caso<br />
(o no) da un <strong>di</strong>sco che a quei tempi non<br />
ascoltare era impossibile. Le musicassette, i<br />
negozi <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi, gli album, il gira<strong>di</strong>schi, il mangianastri,<br />
il pullman che ci portava a scuola,<br />
una ragazza o un ragazzo <strong>di</strong>etro cui abbiamo<br />
perso mesi, i boyscout, la vacanza stu<strong>di</strong>o a<br />
Londra, le fanzine punk e le riviste metal, il<br />
motorino e (non so) il <strong>numero</strong> <strong>di</strong> <strong>Playboy</strong> <strong>con</strong><br />
<strong>Stephanie</strong> <strong>Seymour</strong> in copertina. Li abbiamo<br />
messi via come nella canzone <strong>di</strong> Ligabue, ci<br />
siam <strong>di</strong>stratti un attimo come nella canzone <strong>di</strong><br />
Vasco e ora ce li ritroviamo brutalmente ammucchiati<br />
nella sala Quanto Malessere Gratis<br />
del museo della nostra esistenza, che se ci