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Il numero di Playboy con Stephanie Seymour

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Marco Delsoldato<br />

Scrivi tre righe su Nevermind? La prima volta<br />

che l’hai ascoltato e l’ultima. Facile. L’ultima<br />

non la so, nel senso che il <strong>con</strong>cetto <strong>di</strong> ascoltare<br />

(non sentire, come fate voi <strong>con</strong> i Fleet Foxes) è<br />

impegnativo. Penso siano passati anni da un<br />

mio vero ascolto <strong>di</strong> Nevermind. E presumo sia<br />

una colpa. Diverso se mi avessero chiesto: <strong>di</strong><br />

recente hai sentito Nevermind? Beh sì, qualche<br />

pezzo e non solo grazie a Giulia Salvi e Rock In<br />

Translation. Sulla prima domanda, invece, sono<br />

sicuro: ero alle me<strong>di</strong>e, in se<strong>con</strong>da. I miei<br />

compagni già amavano l’intollerabile menata<br />

<strong>di</strong> Guns e Metallica. Robe così. A me facevano<br />

abbastanza cagare (il decisamente è arrivato<br />

poco dopo). Un illuminato, <strong>di</strong> terza, mi passò la<br />

cassetta. Rimasi, tipo, s<strong>con</strong>volto. Una roba che,<br />

pur avendo amato i Nirvana (e ritenendo<br />

Cobain una roba necessaria per l’eliminazione

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