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82<br />
A<br />
specchio<br />
economico<br />
dar retta agli attuali dibattiti televisivi<br />
incentrati su temi politici e<br />
ai quali partecipano esponenti di<br />
vari partiti - un tempo erano più propriamente<br />
chiamati «tribune politiche»,<br />
oggi «talk show» anche se <strong>il</strong> termine<br />
significa altro -, gli italiani o<br />
quanto meno i telespettatori italiani sarebbero<br />
un popolo di ebeti. Per vari<br />
motivi. Innanzitutto perché tale appare<br />
quella frazione di essi - venti o trenta,<br />
solitamente - invitata ad assistere di<br />
persona negli studi televisivi al loro<br />
svolgimento, alla loro registrazione e,<br />
più raramente, alla trasmissione «in diretta»,<br />
come si dice in gergo tv.<br />
Come giornalista, un paio di volte<br />
mi è capitato di partecipare a dibattiti<br />
politici televisivi di altri tempi, infinitamente<br />
più sereni, composti, discorsivi<br />
e convincenti per i telespettatori rispetto<br />
alle sconclusionate, inut<strong>il</strong>i,<br />
sguaiate gazzarre deliberatamente orchestrate<br />
dai programmatori e dai partecipanti<br />
alle odierne «performances».<br />
In quelle e in altre occasioni ho compreso<br />
<strong>il</strong> motivo per <strong>il</strong> quale dal piccolo<br />
pubblico chiamato in sala ad assistervi<br />
s<strong>il</strong>enzioso e apparentemente attento,<br />
scoppia periodicamente un applauso<br />
improvviso, concorde, convinto, unanime,<br />
da parte di tutti indistintamente i<br />
presenti. Solitamente a teatro o altrove<br />
l’applauso sgorga isolato per poi rapidamente<br />
ma progressivamente allargarsi.<br />
In televisione no.<br />
Alzando lo sguardo sulla parete dinanzi<br />
agli spettatori plaudenti, ho visto<br />
<strong>il</strong>luminarsi di quando in quando la<br />
scritta «Applausi», ossia l’invito ad<br />
applaudire, ovviamente a comando,<br />
nel momento in cui un misterioso direttore<br />
di orchestrati gradimenti artificiali,<br />
e quindi falsi, preme un bottone.<br />
Nei grandi teatri specialmente lirici<br />
hanno avuto sempre ingresso gratuito,<br />
per assistere anche alle «premières»<br />
più esclusive, i clacchisti, pattuglie di<br />
operatori talvolta professionisti, appositamente<br />
pagati, talaltra musicof<strong>il</strong>i appassionati<br />
disposti a spellarsi le mani<br />
pur di non perdere uno spettacolo.<br />
Si sa che per moltissimi ragazzi assistere<br />
gratis dal vivo ad esibizioni musicali<br />
dei loro idoli canori ha costituito<br />
in passato e costituisce tuttora un desiderio<br />
inappagato: gli aspiranti sono<br />
una massa, le occasioni e i posti sono<br />
limitati. Eppure, tranne i primi decenni<br />
di esistenza della tv, da un certo momento<br />
in poi quest’ultima è stata costretta<br />
a pagarli per farli intervenire. E<br />
i loro applausi non hanno più rappresentato<br />
<strong>il</strong> ringraziamento per l’ammissione<br />
a un evento sospirato, ma <strong>il</strong> compenso<br />
per un ingaggio lavorativo, per<br />
un impiego del tempo, per un fastidio.<br />
Corsera Story<br />
Il popolo<br />
ebete<br />
della televisione<br />
italiana<br />
L’opinione del Corrierista<br />
Abbiamo avuto l’esempio di trasmissioni<br />
e spettacoli che ufficialmente<br />
hanno vantato pluridecennali primati<br />
di longevità, record largamente pubblicizzati<br />
dalla tv e da altri mezzi di<br />
comunicazione. Come le noiose serie<br />
del «Maurizio Costanzo show» in scena<br />
nel Teatro Parioli di Roma. Autoreferenzialità<br />
e pubblicità a parte, la<br />
massa dei romani resta indifferente e<br />
non si sogna di partecipare a stucchevoli<br />
esibizioni né pagando, né gratuitamente,<br />
né essendo pagata. In molti<br />
eventi l’apparente affollamento di platee<br />
era in realtà dovuto ad affannosi rastrellamenti<br />
di spettatori dalla «bocca<br />
buona» in paesi della lontana provincia<br />
italiana, tradotti in pullman in città.<br />
Oggi la televisione - intendendo con<br />
<strong>il</strong> termine qualunque emittente che per<br />
fare «audience» ricorra a tali puer<strong>il</strong>i sistemi<br />
- continua a reclutare striminziti<br />
pubblici di cripto-clacchisti per ammantare<br />
di una fittizia partecipazione<br />
le gesta di rampanti, esagitati, bulleschi<br />
conduttori di «talk show» e dei loro<br />
invariab<strong>il</strong>i ospiti politici, <strong>il</strong>lusoriamente<br />
portati, questi, ad esibirsi ritenendo<br />
di accrescere i propri consensi.<br />
Per non parlare delle conduttrici delle<br />
quali, tranne in rari casi, sono troppo<br />
evidenti l’attenzione che pongono all’acconciatura,<br />
al maqu<strong>il</strong>lage, alle creme<br />
antirughe, ai tiraggi, ai mon<strong>il</strong>i, e lo<br />
sfoggio di calcolate mossette ammaliatrici,<br />
prevalenti rispetto allo studio e<br />
alla conoscenza dei contenuti da<br />
diffondere.<br />
In un pubblico di telespettatori smaliziati<br />
infonde piuttosto tristezza l’osservazione<br />
degli atteggiamenti assunti<br />
durante tali trasmissioni dai «forzati<br />
del talk show», anche se fam<strong>il</strong>iari,<br />
amici, o sostenitori dei politici di scena.<br />
Quanto più <strong>il</strong> conduttore si agita<br />
per animare <strong>il</strong> dibattito, si sforza per<br />
accendere micce, gettare benzina sul<br />
fuoco, stimolare reazioni e contrasti<br />
balzando da una curva all’altra di quelle<br />
arene di cartapesta, tanto più si appanna<br />
lo sguardo dell’inattendib<strong>il</strong>e<br />
campione di italiani che assistono.<br />
I loro occhi rivelano l’esistenza di<br />
pensieri lontani, di menti distratte, di<br />
interessi diversi. Incidentalmente la<br />
telecamera inquadra talvolta lo scorcio<br />
finale di un mal represso sbadiglio.<br />
Nonostante quanto accade nello<br />
studio, spessissimo le pup<strong>il</strong>le vagano<br />
nel vuoto o fissano un punto indeterminato.<br />
Soprattutto se del campione<br />
fanno parte dei giovani, non occorre<br />
molto per capire che la loro fantasia<br />
galoppa anche se <strong>il</strong> corpo è immob<strong>il</strong>e,<br />
prigioniero di un meccanismo propagandistico<br />
per loro incomprensib<strong>il</strong>e se<br />
non ost<strong>il</strong>e.<br />
A tutto ciò si accompagna spesso<br />
l’esagerato compiacimento di cameramen<br />
soliti «zoomare» frequentemente<br />
e smisuratamente sul volto di procaci<br />
ed inespressive conduttrici facendoli<br />
esondare dallo schermo, con <strong>il</strong> controproducente<br />
risultato di rivelare più la<br />
bravura e l’accanimento paraterapeutico<br />
delle truccatrici che la naturale e<br />
spontanea avvenenza delle «dive», e di<br />
dirottare l’attenzione dei telespettatori<br />
verso <strong>il</strong> misterioso mondo delle raccomandazioni<br />
e delle protezioni prevalentemente<br />
politiche.<br />
Normalmente lo spettatore di tali<br />
talk show intellettualmente e culturalmente<br />
non è proprio un iperdotato;<br />
normalmente la sua attenzione è rivolta<br />
ai protagonisti principali dell’incontro<br />
o dello scontro; normalmente,<br />
pertanto, non fa molto caso alle retrovie<br />
di quelle arene, alle seconde linee,<br />
a platee, balconate, loggioni o «curve».<br />
Insomma dagli spalti televisivi,<br />
da quell’area visib<strong>il</strong>issima ma grigia,<br />
indistinta e anonima che fa da cornice<br />
e tappezzeria ai vociantissimi eroi della<br />
nostra attuale classe politica nazionale<br />
- lontanissima da quella degli<br />
Orazi e Curiazi, di Ettore Fieramosca,<br />
Pietro Micca, Francesco Baracca, Primo<br />
Carnera ecc. -, viene diffusa una<br />
falsa immagine del popolo italiano.<br />
Del quale però nessuna agenzia di<br />
sondaggi è disposta a raccogliere, gratis,<br />
le sue opinioni, a cominciare da<br />
quelle delle s<strong>il</strong>enziosissime comparse<br />
di questi riti. Victor Ciuffa