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A DAY IN MATERDEI COSMO-RUSHDIE FUORI ORARIO - Urban

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Mitico, perché minacciato. Seduttore e pensatore<br />

incomparabile, Salman Rushdie ha conosciuto diverse vite<br />

e scritto altrettanti capolavori. Come assaggio del suo<br />

nuovo romanzo, ci racconta il suo essere indiano a Bombay,<br />

londinese a Londra, ma, soprattutto, newyorchese a New York<br />

testo: Claro / foto: Denis Dailleux / traduzione: Matilde Quaglia<br />

SALMAN<br />

SETTE VITE<br />

Il 14 febbraio 1989, giorno di San Valentino per alcuni,<br />

una fatwa venuta dall’Iran arrivò a ricordarci, se ce<br />

ne fosse stato bisogno, che la letteratura è anche una<br />

questione di vita o di morte. Quel giorno la vita dello<br />

scrittore Salman Rushdie – nato a Bombay nel 1947 in<br />

una famiglia di intellettuali musulmani, ma non praticanti<br />

– venne ribaltata, imponendogli una reputazione pericolosa<br />

e ingombrante, obbligandolo a divenire un rifugiato<br />

politico e mettendo alla prova l’amore per la libertà della<br />

nostra cara comunità internazionale. Ci si ricorda della<br />

poca sollecitudine che usò il Quai d’Orsay nell’accordare<br />

un visto a Rushdie all’epoca dell’apparizione dei Versetti<br />

satanici (e non ci siamo dimenticati il tentato omicidio<br />

contro il suo editore norvegese e l’assassinio del suo<br />

traduttore giapponese, giudicati “complici” dal regime<br />

di Khomeyni).<br />

In seguito Rushdie si è trasferito negli Stati Uniti, più<br />

precisamente a New York, città che aveva avuto occasione<br />

di visitare negli anni ’70, mentre erano in costruzione<br />

le Twin Towers. “Si aveva l’impressione”, dice, “che quelle<br />

torri dovessero rimanere lì fino alla fine dei tempi”.<br />

Oggi presiede l’eminente Pen Club, ha sposato l’attrice<br />

e modella Padma Lakshmi e non cessa di reinventarsi<br />

come romanziere. Dopo Furia, eccolo che ritorna sulla<br />

scena letteraria con un romanzo ambizioso, Shalimar the<br />

Clown, che esce in settembre in edizione inglese.<br />

Difficile sapere se, da qualche parte nel mondo, la folla<br />

brucerà questo libro dove l’integrità e l’integralismo si<br />

scontrano in una rude battaglia, ma quello che è sicuro<br />

è che l’autore de I figli della mezzanotte non abbasserà<br />

mai la guardia: “Ho due vite: una devastata dall’odio<br />

e intrappolata in una storia sinistra che, ahimè!, non è<br />

ancora finita, e l’altra in cui amo e sono amato. La vita di<br />

un uomo libero che assolve liberamente il proprio compito.<br />

Due vite, ma nessuna che mi possa permettere di<br />

perdere, perché l’una sparirebbe insieme all’altra”.<br />

Abbiamo quindi voluto parlare con Rushdie della sua<br />

vita da uomo libero, sapere quello che, nel 2005, lo appassiona,<br />

lo diverte, lo occupa.<br />

Cominciamo parlando di New York, la città dove vive<br />

attualmente. Ha la sensazione che esista una comunità<br />

di scrittori a New York? È stato facile trovarvi un<br />

proprio posto?<br />

Ho buoni amici tra gli scrittori che vivono a New York,<br />

come Don DeLillo, Paul Auster, Peter Carey o Patrick<br />

McGrath. Ma quello che mi piace di più qui è che è<br />

molto facile superare le “frontiere” tra le discipline artistiche.<br />

Quindi ho amici sia nell’ambiente del cinema, sia<br />

nel mondo dell’arte ecc.<br />

A chi si sente più vicino in questa comunità di artisti<br />

e scrittori? E quali sono i vantaggi di vivere in questo<br />

ambiente creativo privo di barriere?<br />

Ho una relazione stretta con Francesco Clemente,<br />

con Kara Walzer, Lou Reed e la sua compagna, Laurie<br />

Anderson e anche con Steve Martin. Del resto, non sono<br />

certo che si possa veramente parlare di una comunità<br />

che riunisca tutti questi personaggi. È come per tutto<br />

il resto: tra la gente che si incontra, alcuni diventano<br />

tuoi amici, altri no. Mi piace molto l’idea che si possano<br />

agevolmente far cadere delle barriere tra gli universi<br />

artistici.<br />

Ha la sensazione che qualcosa sia cambiato in questa<br />

comunità dopo gli attentati dell’11 settembre?<br />

Con il 9/11 è tutta la città che si è trovata scossa… E<br />

con la città anche gli artisti. Ma l’atmosfera sembra essere<br />

tornata a una relativa normalità oggi, se si eccettua<br />

una vaga depressione post-elezioni.<br />

Quali sono le sue ultime scoperte nell’arte, nel cinema<br />

e nella musica?<br />

Nel campo dell’arte ho recentemente avuto l’occasione<br />

di apprezzare la mostra di ritratti religiosi di Rembrandt<br />

a Washington. Nel campo del cinema c’è un documentario<br />

che mi ha molto colpito recentemente, Favela Rising<br />

di Jeff Zimbalist, che ho scoperto in occasione di una<br />

proiezione all’ultimo Tribeca Film Festival (dal 19 aprile<br />

al 1° maggio scorso, n.d.r.). Quanto al mio più recente<br />

colpo di fulmine musicale, si tratta di mia nipote, Mishka<br />

Momen, una brillante pianista di 13 anni, che suona il<br />

terzo Concerto per piano di Beethoven a meraviglia e<br />

ha appena vinto un concorso internazionale per giovani<br />

pianisti a New York.<br />

Lei è particolarmente coinvolto con l’American Pen<br />

Club. In che cosa consistono le sue attività in seno a<br />

questa associazione? Assiste o partecipa spesso a<br />

letture?<br />

Non sono molto assiduo alle letture, anche se il Pen<br />

Club americano, di cui sono presidente, ha messo in<br />

piedi un importante festival letterario, il World Voices. La<br />

prima edizione si è tenuta a New York dal 16 al 22 aprile<br />

scorso e ha ottenuto un enorme successo, con mia<br />

grande soddisfazione.<br />

Parlando della diffusione della letteratura contemporanea<br />

internazionale negli Stati Uniti, le opere tradotte,<br />

secondo lei, hanno una buona accoglienza e<br />

incontrano un successo scontato presso il pubblico?<br />

Verosimilmente no. La percentuale di libri tradotti negli<br />

Stati Uniti è scandalosamente bassa… Le traduzioni<br />

rappresentano meno del 3% della produzione annuale<br />

delle edizioni americane. Ciò fa parte dei problemi su<br />

cui vorremmo attirare l’attenzione con l’American Pen<br />

Club, organizzando il World Voices. Detto questo, numerosi<br />

scrittori leggono molto e si nutrono della letteratura<br />

degli altri paesi. Paul Auster, per esempio, è chiaramente<br />

influenzato dalla letteratura francese e, per quanto riguarda<br />

altri autori, dal boom dei latino-americani.<br />

I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Quali sono<br />

i rapporti che intrattiene con i suoi traduttori? Che<br />

livello di controllo ha sul loro lavoro?<br />

Le mie relazioni variano. Alcuni traduttori mi contattano<br />

regolarmente, altri molto meno. Mi rendo conto<br />

che quando un traduttore mi segue da lungo tempo ha<br />

sempre meno cose da chiedermi. Infine, suppongo che<br />

finiscano per conoscere la mia opera meglio di me!<br />

A parte New York, in quale città si sente particolarmente<br />

a suo agio?<br />

Ho conservato un appartamento a Londra e quando vi<br />

faccio ritorno mi trovo sempre bene, felice.<br />

Oggi si considera un newyorchese d’adozione o, più<br />

semplicemente, un cittadino del mondo che abita la<br />

più cosmopolita delle città degli Stati Uniti?<br />

È ancora più semplice. Io sono newyorchese a New York,<br />

londinese a Londra e quando mi trovo in India sono sempre<br />

un ragazzo di Bombay.<br />

Gli scrittori indiani hanno ormai un grande pubblico<br />

negli Stati Uniti. Li frequenta?<br />

Conosco un po’ Vikram Chandra e apprezzo molto la sua<br />

opera. Sono ugualmente molto vicino ad Anita e Kiran<br />

Desai. Ho fatto la conoscenza della scrittrice pakistana<br />

Kamila Shamsie e dello scrittore indiano Amitav Gosh, di<br />

cui apprezzo molto i testi.<br />

Il suo precedente romanzo, Furia, dà l’impressione che<br />

l’abbia scritto in americano, piuttosto che in inglese. Il<br />

fatto di vivere a New York ha cambiato il suo modo di<br />

usare la lingua inglese?<br />

Furia è un romanzo tipicamente newyorchese e richiedeva<br />

naturalmente l’utilizzo del linguaggio newyorchese. Il<br />

mio rapporto con l’inglese è sempre stato molto fluido.<br />

E in generale la lingua che utilizzo viene da sola, che sia<br />

l’inglese indiano, l’inglese britannico, l’inglese americano.<br />

Ma resta, spero, la “mia” lingua personale di scrittore.<br />

La stampa inglese ha annunciato, all’inizio del 2004,<br />

che per la prima volta uno dei suoi racconti, Il nido<br />

dell’uccello di fuoco, dovrebbe essere oggetto di un<br />

adattamento cinematografico: lo conferma? Qual è il<br />

suo rapporto con il mondo del cinema?<br />

Il progetto di questo film è effettivamente in corso e mia<br />

moglie, l’attrice indiana Padma Lakshmi, dovrebbe parteciparvi.<br />

Non ho ancora cominciato a scrivere la sceneggiatura,<br />

perché ero troppo assorbito da altre attività, ma<br />

il progetto è in progress e conto di dedicarmici presto.<br />

Come si sa, il cinema mi interessa molto e spero un giorno<br />

di realizzare altre collaborazioni inedite e fruttuose.<br />

Come presidente dell’American Pen Club ha preso<br />

posizione, a fianco di Michael Moore, in favore di una<br />

revisione del Patriot Act istituito dopo l’11 settembre<br />

(la sezione 215 del Patriot Act autorizza il governo<br />

americano a esigere la lista completa del fondo opere<br />

delle biblioteche e delle librerie, n.d.r.). In Francia, interviene<br />

ogni mese su Libération per esprimere la sua<br />

opinione su avvenimenti che agitano il mondo… Qual<br />

è, secondo lei, il ruolo che dovrebbe avere uno scrittore<br />

nella nostra società?<br />

Alcuni scrittori si immischiano nella politica, altri no, ed<br />

entrambe queste posizioni sono rispettabili. Per quanto<br />

mi riguarda, quando lascerò il mio posto di presidente<br />

del Pen Club, penso che avrò sicuramente voglia di prendere<br />

le distanze e mi accontenterò di scrivere.<br />

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