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furono gettati nelle acque di Paestum. Scrive Pandolfo<br />

Colenuccio:<br />

«I congiurati, cuciti in sacchi di cuoio e con ciascuno<br />

di loro postovi dentro un cane, una scimmia, un<br />

gallo e una vipera, furono gettati in mare acciò che privati<br />

de l’uso di tutti gli elementi, fussino ancora vivendo<br />

da quegli animali insieme inimici e per fame rabbiosi,<br />

lacerati e consunti» 35 .<br />

Il Camera nei suoi Annali così sintetizza quella<br />

drammatica vicenda:<br />

«Degli insorgenti alcuni rimasti prigionieri vennero<br />

spietatamente cuciti in sacchi di cuoio e quindi buttati<br />

a mare. Pochi si salvarono con la fuga. Circa 4 mila<br />

persone credute complici di fellonia furono arrestate e<br />

punite ed i rei principali vennero bruciati vivi e le loro<br />

mogli e figli, inviati nelle prigioni di Palermo, miseramente<br />

vi morirono di fame».<br />

A tutti i traditori che avevano aderito alla congiura,<br />

appena caduti nelle sue mani, Federico fece assaporare<br />

quanto era pesante il «martello <strong>del</strong>la sua potenza» 36 .<br />

Nel castello di Capaccio l’Imperatore recuperò<br />

ingenti somme, sottratte all’erario <strong>del</strong>lo Stato da<br />

Pandolfo Fasanella, e anche i tesori dei baroni che avevano<br />

aderito alla congiura. Anche il tesoro di<br />

Riccardo, barone di Bisaccia, cadde nelle mani<br />

<strong>del</strong>l’Imperatore. In proposito l’Imperatore scrive:<br />

«Il nostro erario non si è affatto diminuito; anzi le<br />

nostre ricchezze sono diventate più vistose. Si sono<br />

arresi nelle nostre mani con gran quantità di oggetti<br />

preziosi e di monete. Si è impinguato il cumulo <strong>del</strong>le<br />

nostre entrate, poiché sono passate a Noi tutte le rendite<br />

di cui Noi stessi prima li avevamo arricchiti» 37 .<br />

L’oro dei congiurati, dice Federico, erano il prezzo<br />

sborsato dal Papa per il vile tradimento 38 . Dopo aver<br />

catturato nel castello di Capaccio i maggiori protagonisti<br />

<strong>del</strong>la congiura, egli aggiunge alcune sue riflessioni:<br />

«Se Noi li trucidiamo come omicidi, non facciamo<br />

loro ingiustizia. Se li sbalziamo nel mare vicino perché,<br />

vivi ancora, comincino a sperimentare la mancanza di<br />

tutti gli elementi, certo non peccheremo, Noi che li<br />

nutrimmo come figli con le carezze paterne, non peccheremo,<br />

no, contro di loro che esposero i loro genitori<br />

al capestro e i propri figli al martirio. Ma finalmente<br />

è giunto ad essi il pungolo <strong>del</strong>la nostra vendetta!» 39 .<br />

Federico, dopo aver fatto demolire tutte le sale<br />

interne <strong>del</strong> castello di Capaccio, fece trasferire a<br />

Napoli tutti i congiurati, i soldati prigionieri e tutti i<br />

SALTERNUM<br />

- 14 -<br />

nobili catturati a Sala Consilina. Qui tutti furono bruciati<br />

vivi. Le donne dei congiurati, prese prigioniere<br />

nel castello di Capaccio, furono invece trasferite a<br />

Palermo, dove furono gettate nel carcere. Di lì non<br />

uscirono più 40 . Uno storico, il Fazzello 41 , attesta che le<br />

donne dei congiurati morirono di fame. Nel 1514,<br />

durante i lavori di restauro <strong>del</strong> castello di Palermo, in<br />

una grotta sotterranea furono trovati due cadaveri di<br />

quelle nobili donne: avevano i vestiti ancora intatti.<br />

Tommaso e Guglielmo Sanseverino, stando alla<br />

testimonianza di Federico, ebbero a confessare di<br />

essere stati coinvolti nella congiura direttamente dal<br />

Papa:<br />

«Essi poco prima di morire, quando vergogna sarebbe<br />

menzogna, hanno liberamente confessato innanzi a<br />

tutti che essi e tutti i loro complici non erano che mandatari<br />

<strong>del</strong>la Chiesa. Avevano agito per autorità <strong>del</strong><br />

Sommo Pontefice, il quale era l’istigatore <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto; i<br />

Frati Minori li attorniavano da ogni parte ed essi ricevettero<br />

dalle loro mani contro di Noi la Croce» 42 .<br />

Secondo Karl Hampe, il Pontefice era al corrente<br />

<strong>del</strong>la congiura perché in una lettera, datata al principio<br />

<strong>del</strong> 1242, manifestava il suo implacabile livore usando<br />

l’espressione: «Lavare le mani nel sangue <strong>del</strong> peccatore»<br />

«lavare manus in sanguine peccatoris».<br />

Non si ha notizia di quale trattamento sia stato<br />

riservato a Riccardo di Bisaccia, estensore <strong>del</strong>le<br />

Costituzioni di Melfi, ma si sa che morì nel 1248.<br />

Una cosa è certa: tutti i baroni ribelli perdettero i<br />

loro feudi. Quelli dei Fasanella, confiscati, furono<br />

assegnati a Princivallo e a Pietro di Potenza; <strong>del</strong>la<br />

potente famiglia dei Sanseverino si salvò soltanto un<br />

nipote <strong>del</strong> conte di Marsico, Ruggero, il figliuolo di<br />

Guglielmo. «Il piccirillo di nove anni», unico superstite<br />

<strong>del</strong> suo casato, era stato rinchiuso nel carcere <strong>del</strong><br />

castello di Venosa con i familiari di altri feudatari<br />

ribelli. Ma un servo dei Sanseverino, un certo<br />

Donatello di Stasio, dopo aver corrotto il carceriere,<br />

si fece consegnare e mise in salvo il piccolo Ruggiero,<br />

che, tornato a casa, riottenne poi dagli Angioini i<br />

feudi confiscati dall’Imperatore. Anche Riccardo<br />

perdette i due feudi: quello di Bisaccia e quello di<br />

Lavello. In quelle tempestose vicende, numerose<br />

famiglie di Bisaccia che risiedevano nell’antico centro<br />

abitato si erano trasferite nel feudo di Castiglione,<br />

oggi frazione di Calitri (AV).<br />

Dopo la battaglia di Benevento, quando era già<br />

caduta la dinastia sveva, Riccardo II, figlio di Ruggero

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