PROGETTOScuola-Museo - Regione Siciliana
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<strong>PROGETTOScuola</strong>-<strong>Museo</strong><br />
Ippocampo Tecniche, strutture e ritualità della cultura del mare<br />
LA RACCOLTA TRADIZIONALE<br />
I canali di scolo<br />
Prima di iniziare la raccolta vera e<br />
propria gruppi di operai<br />
procedevano a far drenare<br />
l’acqua residua, creando appositi<br />
canali di scolo attraverso solchi<br />
praticati nelle caselle salanti.<br />
All’angolo di maggiore pendenza<br />
della casella veniva disposta una<br />
spiricedda, tramite la quale<br />
l’acqua matri veniva prelevata e<br />
trasferita in una retrocalda: un<br />
giovane, l’assummaturi r’acqua (o<br />
assummavasu), passava le ore<br />
della giornata a girare la<br />
manovella della coclea.<br />
I munzeddi<br />
Seguiva il lavoro di accumulo del<br />
sale, dall’alba al primo<br />
pomeriggio, svolto da operai detti<br />
partitara, i quali con una pala<br />
distaccavano le incrostazioni di<br />
sale e le riunivano in cumuli<br />
conici non più alti di un metro<br />
(munzeddi) lasciati a scolare nei<br />
bacini stessi (ammunziddari u<br />
sali ): la salina appariva allora un<br />
insieme ordinato di cumuli di sale<br />
e, al posto dei canali di scolo, si<br />
delineavano vie di passaggio che<br />
rimanevano libere in vista del<br />
successivo trasferimento.<br />
I munzidduni<br />
L’attività con cui si concludeva il<br />
raccolto, e insieme si chiudeva<br />
l’intero ciclo di produzione,<br />
consisteva nel trasferimento del<br />
prodotto dalle caselle salanti alle<br />
aie attigue (ariuni).<br />
La raccolta tradizionale del sale<br />
vedeva uomini impegnati in un<br />
continuo andirivieni dai bacini<br />
salanti alle piattaforme, e<br />
viceversa, su instabili assi di<br />
legno, con ceste di sale. Il lavoro<br />
dei cartiddara, nelle condizioni in<br />
cui veniva svolto, era duro e<br />
faticoso: col capo ricoperto da un<br />
sacco di iuta che scendeva sulle<br />
spalle a mo’ di cappuccio,<br />
dall’antica cesta di fibre vegetali<br />
(cartedda di virgulti di castagno<br />
intrecciati a olivo selvatico)<br />
caricata sulla spalla colava un<br />
rivolo continuo di liquido<br />
salmastro che si asciugava e<br />
induriva, provocando piaghe sul<br />
corpo dei trasportatori. Il<br />
successivo ricorso alla cesta di<br />
lamierino zincato (cardarella,<br />
quando non conservava il nome<br />
della precedente) vedeva il<br />
diffondersi di un cuscinetto<br />
imbottito di paglia (cuscineddu)<br />
che alleviava la fatica, poggiato<br />
sulla spalla e lì fissato da una<br />
benda che partiva dalla fronte<br />
(fruntagghiu). Un berretto di<br />
panno ricopriva il capo degli<br />
addetti al trasporto e ne scendeva<br />
posteriormente una striscia di<br />
stoffa che impediva alle gocce di<br />
salamoia di inzuppar loro il collo e<br />
le spalle. L’uso della carriola<br />
(curriola, prima di legno e poi di<br />
metallo) per trasferire il sale<br />
lungo assi di legno durò poco.<br />
Il cumulo di sale così realizzato<br />
(munzidduni ) sull’ariuni veniva<br />
modellato con una pala, facendogli<br />
assumere così una forma<br />
prismatica sempre più regolare,<br />
alta dai sei agli otto metri.<br />
Le fotografie riprodotte in questa pagina<br />
sono tratte da: BUTTITTA A. (a cura di), Le<br />
forme del lavoro. Mestieri tradizionali in<br />
Sicilia, Palermo 1988.