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Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Padis

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1966).<br />

Oltre alla struttura, gli stu<strong>di</strong> condotti negli ultimi anni hanno evidenziato anche le molteplici<br />

funzioni svolte dalla comunicazione non verbale: essa può essere considerata un “linguaggio <strong>di</strong><br />

relazione” (Bavelas, Chovil, Latrie, Wade, 1992), mezzo primario per segnalare i mutamenti <strong>di</strong><br />

qualità nello svolgimento delle relazioni interpersonali (atteggiamenti interpersonali: cfr., tra gli<br />

altri, Mehrabian, 1969; Kendon, 1985); può essere considerata come mezzo principale per<br />

esprimere e comunicare le emozioni (Anolli, Ciceri, 1997; Ekman, 1984, 1994; Fernandez-Dols,<br />

1999); ha uno speciale valore simbolico che esprime, tramite il linguaggio del corpo,<br />

atteggiamenti circa l’immagine <strong>di</strong> sé e del proprio corpo e partecipa alla presentazione <strong>di</strong> sé agli<br />

altri (Goffman, 1959; 1963); sostiene e completa la comunicazione verbale e svolge una funzione<br />

metacomunicativa, in quanto fornisce elementi per interpretare il significato delle espressioni<br />

verbali, cioè dà senso all’“aspetto <strong>di</strong> contenuto” e lo ricontestualizza (Bateson, 1972,<br />

Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967); funge da “canale <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione” in quanto, essendo meno<br />

sottoposta del linguaggio al controllo consapevole o a censura inconscia, lascia filtrare più<br />

facilmente contenuti profon<strong>di</strong> dell’esperienza dell’in<strong>di</strong>viduo (cfr. Mastronar<strong>di</strong>, 1998); svolge una<br />

funzione <strong>di</strong> regolazione dell’interazione, partecipando a sincronizzare i turni e le sequenze, a<br />

fornire informazioni <strong>di</strong> ritorno, a inviare segnali <strong>di</strong> attenzione (Ekman, Friesen, 1969; Langton,<br />

2000); assume infine funzione <strong>di</strong> sostituzione della comunicazione verbale in situazioni che non<br />

consentono l’uso del linguaggio, per esempio nel linguaggio dei segni (Argyle, 1977/90).<br />

Secondo Krauss, et al. (1996) la comunicazione non verbale in relazione alla<br />

comunicazione verbale non assolve solo funzioni interpersonali, ma anche funzioni<br />

intrapersonali. Le prime, come abbiamo visto, riguardano le informazioni che i comportamenti<br />

non verbali trasmettono agli e/o sono percepiti dagli altri; le funzioni intrapersonali riguardano<br />

invece gli scopi non comunicativi dei comportamenti non verbali. Un esempio <strong>di</strong> questo secondo<br />

caso è lo sguardo rivolto all’ascoltatore mentre si parla: il parlante, infatti, tenderebbe a<br />

<strong>di</strong>stogliere lo sguardo dal proprio interlocutore non per motivi comunicativi (ad esempio,<br />

trasmettere uno stato emotivo <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong>sagio per non essere scoperto <strong>di</strong> mentire), bensì per<br />

gestire il carico cognitivo che la pianificazione dell’espressione linguistica comporta, soprattutto<br />

in quei passaggi dove vi è maggiore <strong>di</strong>fficoltà nell’organizzazione sintattica delle frasi<br />

(Butterworth, 1978; Duncan, Brunner, Fiske, 1979). Secondo gli autori anche alcuni gesti delle<br />

mani, ad esempio quelli che essi chiamano gesti conversazionali, hanno una funzione<br />

intrapersonale poiché aiuterebbero il parlante nel richiamo lessicale delle parole.<br />

Tuttavia i comportamenti non verbali con funzioni non comunicative, come gli esempi<br />

appena accennati, possono fornire all’interlocutore informazioni circa la loro stessa funzione<br />

intrapersonale: per esempio, una eccessiva quantità <strong>di</strong> allontanamenti dello sguardo o <strong>di</strong> gesti<br />

conversazionali potrebbero condurre un ascoltatore ad attribuire al parlante una <strong>di</strong>fficoltà nella<br />

formulazione del messaggio verbale; o, al contrario, un mancato uso <strong>di</strong> questi segnali in<br />

corrispondenza <strong>di</strong> un parlato fluido può portare l’ascoltatore a ritenere che il <strong>di</strong>scorso non sia<br />

spontaneo (Krauss, et al., 1996). I comportamenti non verbali con funzione intrapersonale,<br />

dunque, non sempre sono privi <strong>di</strong> funzioni interpersonali. Si ritorna quin<strong>di</strong> al modello postulato<br />

da Patterson (2001) dei processi paralleli, secondo cui, in un contesto d’interazione sociale, i<br />

comunicatori sono simultaneamente emittenti/co<strong>di</strong>ficatori e riceventi/deco<strong>di</strong>ficatori dei messaggi<br />

non verbali; ed inoltre sussiste un’inter<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong>namica tra giu<strong>di</strong>zi sociali e processi<br />

comportamentali paralleli. È necessario dunque utilizzare un approccio <strong>di</strong>alogico anche nello<br />

stu<strong>di</strong>o della comunicazione non verbale.<br />

La tendenza a privilegiare, nell’ambito della comunicazione non verbale, gli aspetti vocali<br />

non verbali e a stu<strong>di</strong>are separatamente aspetti verbali e non verbali della comunicazione è<br />

confermata anche nelle recenti rassegne sul comportamento non verbale e sugli aspetti non<br />

verbali della comunicazione presenti nei manuali <strong>di</strong> psicologia sociale statunitensi (cfr. ad<br />

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