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Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Padis

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tipo <strong>di</strong> legame esistente tra la gestualità e il parlato. Innanzitutto non si deve confondere lo stu<strong>di</strong>o<br />

della gestualità coverbale con quello delle lingue dei segni, vale a <strong>di</strong>re quei veri e propri sistemi<br />

<strong>di</strong> comunicazione adottati prevalentemente dai sordomuti in cui le unità linguistiche sono<br />

costituite prevalentemente da movimenti e configurazioni delle mani (per esempio la LIS, Lingua<br />

Italiana dei Segni). Questo tipo <strong>di</strong> sistemi, infatti, è una lingua vera e propria con le sue regole<br />

sintattico-grammaticali, approvate e riconosciute, dunque con<strong>di</strong>vise, all’interno della stessa<br />

cultura: ogni comunità linguistica ha sviluppato un proprio linguaggio dei segni, il quale,<br />

basandosi su elementi figurativi, rappresentanti concetti linguistici, risulta abbastanza<br />

comprensibile anche da persone <strong>di</strong> “lingua” <strong>di</strong>versa. Lo stu<strong>di</strong>o e la comprensione dei linguaggi<br />

dei segni, già <strong>di</strong> per sé rende chiaro lo stretto legame che può intercorrere tra segnali gestuali e<br />

lingua verbale. Tuttavia i gesti delle mani prodotti dalle persone, generalmente mentre si sta<br />

parlando, non hanno un co<strong>di</strong>ce sintattico-grammaticale né una corrispondenza perfetta con<br />

l’espressione linguistica che si sta trasmettendo; dunque, non sono né facilmente riconoscibili, né<br />

comprensibili, quin<strong>di</strong> neanche con<strong>di</strong>visibili.<br />

Uno <strong>degli</strong> obiettivi principali per chi stu<strong>di</strong>a i gesti delle mani, allora, è comprendere quale<br />

sia il legame tra questi e l’espressione verbale che essi accompagnano, seguono, anticipano o<br />

tentano <strong>di</strong> sostituire.<br />

Numerose ricerche hanno messo in evidenza che la gestualità delle mani facilita l’espressione<br />

verbale. Infatti una persona, per essere in grado <strong>di</strong> evocare e <strong>di</strong> descrivere le proprie esperienze,<br />

nonché per con<strong>di</strong>viderle, deve <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> rappresentazioni concernenti queste ultime. Tali<br />

rappresentazioni sono costituite da una matrice concettuale e da una matrice <strong>di</strong>namica: per poter<br />

essere comunicata la rappresentazione deve essere ravvivata non solo nei suoi aspetti concettuali,<br />

ma anche nei suoi aspetti <strong>di</strong>namici, che sono costituiti dall’attività emotiva, posturale e motoria<br />

(Rimè, 1984, 1987). La teoria sviluppata da Rimè (1987) in un’ottica cognitivo-motoria, afferma<br />

che l’espressione verbale implica o comprende dei fenomeni motori, e la gestualità non sarebbe<br />

altro che una parte apparente dell’operazione <strong>di</strong> rappresentazione in corso da parte del locatore.<br />

Questo implica che non ci sia attività espressiva senza un certo livello <strong>di</strong> attività motoria<br />

Un contributo importante per provare che i movimenti del corpo sono organizzati in<br />

relazione al <strong>di</strong>scorso concomitante è stato dato da Condon e Orgston (1966). Gli autori hanno<br />

svolto analisi dettagliate <strong>di</strong> conversazioni filmate, descrivendo l’andamento dei movimenti e la<br />

loro relazione con il flusso del parlato. Essi hanno <strong>di</strong>mostrato che il corpo si muove in maniera<br />

sincronica con il parlato e che il movimento ha una struttura gerarchica, proprio come il parlato,<br />

la quale riflette la struttura delle unità del <strong>di</strong>scorso: in particolare, il fluire dell’attività<br />

gesticolatoria durante la conversazione può essere sud<strong>di</strong>viso in unità gestuali, le quali si<br />

aggregano fra loro a costruire “frasi gestuali” in analogia alle frasi del <strong>di</strong>scorso. Gli autori hanno<br />

inoltre <strong>di</strong>stinto nella gesticolazione una parte considerata “movimento preparatorio” alle unità del<br />

<strong>di</strong>scorso che seguiranno e una parte che accompagna il <strong>di</strong>scorso. I gesti preparatori<br />

rappresenterebbero una modalità anticipatoria <strong>di</strong> esteriorizzazione dei processi cognitivi coinvolti<br />

nella preparazione del <strong>di</strong>scorso. Essi si realizzerebbero mentre il parlante cerca i mezzi linguistici<br />

più adeguati per esprimere le sue idee e in questo senso il gesto costituisce quin<strong>di</strong> un elemento <strong>di</strong><br />

passaggio. Esprimere le idee anche attraverso il movimento faciliterebbe proprio il processo <strong>di</strong><br />

trasporle in parole.<br />

Kendon (1980) rifacendosi ai lavori <strong>di</strong> Condon e Ogston, sostiene che gesto e <strong>di</strong>scorso sono<br />

<strong>di</strong>sponibili come due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> rappresentazione ma fra loro coor<strong>di</strong>nati, e non subor<strong>di</strong>nati<br />

l’uno rispetto all’altro, in quanto guidati dallo stesso scopo comunicativo. Egli rileva in prima<br />

istanza l’imme<strong>di</strong>atezza espressiva dei gesti; attraverso un singolo movimento è possibile inviare<br />

una quantità <strong>di</strong> informazioni che richiederebbe un numero elevato <strong>di</strong> parole; un’altra ragione<br />

dell’incisività espressiva del gesto è legata al fatto che il gesto richiederebbe un tempo inferiore<br />

per essere pianificato rispetto a una corrispondente espressione verbale.<br />

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