I mezzi <strong>di</strong> <strong>in</strong>formazione e il loro ruolo <strong>per</strong> lo sviluppo. 49
50 Raffaele Masto “Se fosse stato africano non sarebbe nemmeno arrivato alle primarie”. Sono le parole, velenose e amare allo stesso tempo, che il grande scrittore mozambicano Mia Couto pronunciò subito dopo l’elezione <strong>di</strong> Barak Obama a presidente degli Stati Uniti. Parole che <strong>in</strong> quell’occasione erano provocatoriamente rivolte a gran parte dei capi <strong>di</strong> stato del cont<strong>in</strong>ente che, ovviamente, avevano commentato con toni enfatici e adu<strong>la</strong>tori <strong>la</strong> conquista del<strong>la</strong> massima carica politica del<strong>la</strong> più grande potenza mon<strong>di</strong>ale da parte <strong>di</strong> un nero. <strong>La</strong> frase <strong>di</strong> Mia Couto, oltre ad avere provocato (forse) qualche scatto <strong>di</strong> stizza ad alcuni leader africani, tira <strong>per</strong>ò <strong>in</strong> ballo tutti. Anche i giornalisti, africani e non. <strong>La</strong> domanda è d’obbligo: quali giornalisti e quali giornali avrebbero dato spazio ad un Obama africano? Quali <strong>di</strong> questi sarebbero stati capaci <strong>di</strong> non oscurare, su richiesta del <strong>di</strong>ttatore <strong>di</strong> turno, un <strong>per</strong>sonaggio fautore <strong>di</strong> una profonda svolta? <strong>La</strong> domanda, naturalmente, riguarda anche giornali e giornalisti dei paesi europei e nord-americani dove <strong>la</strong> libertà <strong>di</strong> stampa c’è. Quanti, un <strong>per</strong>sonaggio come Obama, lo avrebbero “cercato” e reso noto attraverso i loro articoli? Insomma, sarà banale, ma il problema dell’<strong>in</strong>formazione dall’<strong>Africa</strong> e sull’<strong>Africa</strong> sta (quasi) tutto qui, nel fatto che da una parte giornali e giornalisti temono, e spesso ne hanno buone ragioni, che schierarsi contro il potere costituito sia troppo rischioso, e dall’altra che i me<strong>di</strong>a dei paesi “liberi dalle <strong>di</strong>ttature” preferiscono appiattirsi sui luoghi comuni e sui cliché che ormai non aggiungono più niente all’<strong>in</strong>formazione sull’<strong>Africa</strong>. Questo sistema riproduce <strong>in</strong> eterno ciò che è già noto: gli oppositori <strong>di</strong>ventano dei <strong>per</strong>sonaggi solo quando sono neutralizzati, <strong>in</strong> carcere o elim<strong>in</strong>ati. Eppure l’<strong>Africa</strong> è piena <strong>di</strong> uom<strong>in</strong>i e donne che meriterebbero attenzione e che andrebbero rafforzati anche richiamando l’<strong>in</strong>teresse dell’op<strong>in</strong>ione pubblica <strong>in</strong>ternazionale. Su questo tema ho un aneddoto <strong>per</strong>sonale che <strong>per</strong> me, qualche anno fa, fu illum<strong>in</strong>ante. Era <strong>la</strong> primavera del 1997 ed ero a K<strong>in</strong>shasa <strong>in</strong> un momento cruciale del<strong>la</strong> storia recente del Congo: il vecchio e ma<strong>la</strong>to <strong>di</strong>ttatore, Mobutu Sese Seko, stava <strong>per</strong> essere rovesciato da un capo guerrigliero, <strong>La</strong>urent Désiré Kabi<strong>la</strong>, che era arrivato con i suoi miliziani alle porte del<strong>la</strong> capitale e m<strong>in</strong>acciava <strong>di</strong> entrarvi. <strong>La</strong> città era <strong>in</strong> preda al panico e, cosa veramente anoma<strong>la</strong> <strong>per</strong> una città africana, semi deserta. Di lì a poco sarebbe potuto accadere <strong>di</strong> tutto, saccheggi, violenze, rese dei conti. Con un collega andai <strong>in</strong> una delle baraccopoli <strong>di</strong> K<strong>in</strong>shasa dove una delle poche <strong>per</strong>sone che non si era ancora rifugiata da qualche parte, un ragazzo, mi avvic<strong>in</strong>ò e mi chiese da dove venivo. Gli <strong>di</strong>ssi che ero italiano e lui mi rispose: “Ah, l’Italia. Paese <strong>per</strong>icolosissimo... <strong>la</strong> mafia!”. Ecco, noi siamo <strong>in</strong>formati sull’<strong>Africa</strong> con gli stessi luoghi comuni
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