La Provincia di Milano per la pace e la cooperazione in Africa

protagonisti e in particolare ad esponenti di rilievo della società civile sudanese. Ne ricordiamo
alcuni, particolarmente importanti per il loro ruolo e la loro storia: Yusuf Kwa, dirigente dello SPLM
e amministratore della zona Nuba controllata dal movimento di liberazione; Fatima Ahmed Ibrahim,
prima donna sudanese membro del parlamento nazionale, fondatrice dell’Unione delle Donne
Sudanesi e profuga, dopo il carcere e l’assassinio del marito; l’associazione “Women’s Voice for
Peace” delle donne sudanesi della diaspora, operante da Nairobi, particolarmente vicina al modo
della Campagna di analizzare i problemi del paese..
Significativo è anche il rapporto che si stabilisce, fin da subito, con le istituzioni, quelle di Milano e
Cremona in particolare, e le reti della società civile italiana ed europea. È un lavoro di costruzione
di una comune conoscenza del problema e di legami di solidarietà che porta alla partecipazione
attiva alle marce per la pace Perugia – Assisi e ai lavori dell’ONU dei Popoli, facilitando così i contatti
e lo scambio di esperienze della società civile sudanese con il mondo dell’associazionismo
italiano e internazionale.
Questo impegno rende possibile l’organizzazione, a Milano, nel 1999, del primo forum internazionale
sul Sudan in Europa “Prospettive di pace per il Sudan: la parola alla società civile” che promuove
un confronto tra il mondo accademico, della società civile e della politica sul futuro del paese. Nel
forum risultano chiare, tra le altre, le radici economiche del conflitto, che vengono messe in luce
nel 2001, a Cremona, nel seminario “Acqua, petrolio, guerra e diritti umani”. Temi di grande attualità,
approfonditi e portati avanti ancor oggi da molti degli esperti e delle reti europee che proprio
attorno al seminario di Cremona hanno l’opportunità di confrontarsi e consolidarsi.
Ancora a Milano, nel marzo del 2005, si svolge il primo forum internazionale dopo la firma degli
accordi di pace. Ancora una volta ci si interroga su: “Quale pace per il Sudan?” Una domanda
da cui non si può prescindere, seppur nel clima positivo e ricco di speranze di quel momento,
per le tensioni sempre aperte in molte aree del paese e il conflitto del Darfur all’apice della sua
drammaticità. Anche in questa occasione particolare spazio viene dato a esperti e attivisti per la
pace sudanesi.
In sostanza, l’impegno della Campagna di quegli anni intendeva spostare il baricentro dell’analisi
del conflitto e delle sue possibili soluzioni dagli esperti, politici e diplomatici della comunità internazionale
alla società civile qualificata sudanese, nella convinzione che, chi vive un conflitto ed ha
strumenti adeguati per analizzarlo, è in grado, forse è il solo in grado, di indicare vie d’uscita che
diano risposte vere ai problemi che l’ hanno scatenato. Per la Campagna era e rimane prioritario
che al centro della riflessione e dell’analisi, come della ricerca delle possibili vie di uscita, ci siano
i sudanesi stessi con la narrazione della loro storia quotidiana, quella delle vittime dei conflitti e
delle crisi, ma anche e soprattutto quella della fatica della ricerca nelle università, della mediazione
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