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nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi

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16<br />

Marina Ballo Charmet<br />

Nata a Milano nel 1952, Marina Ballo Charmet ha incentrato la sua <strong><strong>fotografi</strong>a</strong> su quello che chiamano “sguardo<br />

periferico”, sguardo “con la coda dell’occhio”, come dice il titolo di una sua serie, che segna il suo modo di inquadrare<br />

e di indagare la realtà. È un modo di guardare attento a ciò che sta sui margini, sui bordi, alla periferia del campo<br />

visivo, apparentemente meno importante, meno a fuoco, ma che in realtà ci permette di tenere sotto controllo la<br />

nostra posizione e dove si annidano cose e metafore che si addicono perfettamente all’arte. Così, mentre guardiamo<br />

la direzione del nostro percorso, la coda dell’occhio scappa sulla strada che calpestiamo, sul bordo del marciapiede,<br />

sugli angoli dei muriccioli, dove le erbe si sono aperte varchi, dove si sono accumulati mucchietti di scarti. Questi<br />

bordi sono anche i margini e le periferie dell’ambiente, così come della società, della realtà stessa, e sono il luogo<br />

dell’arte, di cui Ballo rivendica allora un’altra centralità, quella della sensibilità e della conoscenza.<br />

Questo sguardo è infatti anche il primo strumento di conoscenza, come ci indicano altre serie di Ballo, che<br />

riprendono in particolare quello del bambino nel suo primo approccio al mondo: dalla primissima posizione in<br />

braccio ai genitori ai suoi primi passi quando impara a camminare. Nel primo caso – la serie si intitola Primo campo<br />

– l’inquadratura è vicinissima, taglia fuori tutto il volto, concentrandosi sull’insieme di collo, mento e bocca, di cui<br />

mette a fuoco solo il centro visivo, sfocando il resto. È l’immagine di una conoscenza che viene prima della parola, una<br />

conoscenza primaria, biologica e affettiva, che si concentra sul dettaglio. La curva del mento è come la curva della<br />

strada, il bordo della camicia come il marciapiede, i peli sul mento come i ciuffi d’erba tra le fessure... Il nostro sguardo<br />

è periferico fin dall’inizio: mentre la biologia ci guida a cercare il cibo, il contatto, il calore, lo sguardo si stacca, per così<br />

dire, a osservare altro, solo apparentemente meno essenziale, muto, ma in realtà altrettanto necessario e vitale.<br />

Se questo vale per lo sguardo individuale, qual è lo sguardo e il margine sulla e della collettività? Mai come oggi<br />

questo bordo è diventato così evidente e urgente: Ballo lo indica negli extracomunitari, in particolare nel loro ritrovarsi<br />

nei parchi pubblici, luoghi aperti, festivi e festosi, antidoto, come afferma Zygmunt Bauman, alla chiusura “mixofoba”,<br />

della nostra paura cioè di mescolarci. Ballo guarda anche loro<br />

con lo stesso sguardo e anche loro diventano, come l’erba nelle<br />

fessure, dei ciuffi umani nelle fenditure dello spazio urbano e della<br />

società. “Si tratta non tanto di rendere l’oggetto, quanto piuttosto<br />

la relazione”, sintetizza l’artista, e osserva come si raggruppano,<br />

come si dispongono e si muovono, che posto e ruolo vi hanno gli<br />

oggetti. Poi, in alcuni casi, a ulteriore sottolineatura metaforica,<br />

una posizione di primo piano la assumono i rifiuti, gli avanzi, gli<br />

scarti. Marginalità significa anche questo, e <strong><strong>fotografi</strong>a</strong> e arte<br />

significano anche questo.

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