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nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi

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58<br />

Alessandra Spranzi<br />

Nata a Milano nel 1962, Spranzi approfitta della <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>, medium della riproduzione della realtà e della fiducia<br />

nella sua registrazione, per offrire situazioni in cui la trasgressione della logica consueta induce chi guarda a chiedersi<br />

che cosa accade, che cosa significa, a che cosa si allude. Due oggetti che non stanno abitualmente insieme, una<br />

situazione incongruente, un gesto senza giustificazione evidente bastano a creare un piccolo enigma dal sapore<br />

magrittiano che interroga sull’accadere, sul senso, sullo statuto stesso dell’immagine. Senza enfatizzare, senza<br />

esagerare, anzi assecondando l’apparente normalità delle cose, Spranzi le sospende caricandole di mistero. Più<br />

metafisica che surreale, la situazione corrisponde a un punto interrogativo seguito da uno esclamativo: non c’è<br />

soluzione, non risposta precisa, ma uno spostamento e una presa d’atto. Le cose avvengono – come intitola la sua<br />

serie centrale, Cose che accadono – anche a un altro livello, oltre che a quello delle nostre consuetudini e delle nostre<br />

spiegazioni.<br />

A quale livello? A quello, paradossale per la <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>, dell’invisibile, o meglio di ciò che non si vede, che non è<br />

dell’ordine del visibile, che trapela e si infiltra nelle brecce del visivo, nelle discrepanze, nelle incongruenze. Come il<br />

rabdomante, l’artista ha una sensibilità per i giacimenti sotterranei. Tra finzione e verità (brucia la casa o l’immagine<br />

della casa?), tra luogo comune e sorpresa (una donna barbuta), tra realtà e impossibilità fisica (non si può rovesciare la<br />

gravità) e infine, tout court, tra realtà e immagine (tutta una serie è composta di immagini trovate su riviste di vendita<br />

per corrispondenza) si fanno spazio un’energia e un mistero irrisolti. Scrive l’artista: “Contrariare le cose, sottoporle<br />

a sforzi inutili, gratuiti, incoerenti con i loro limiti ed i nostri, per distrarre le leggi universali, sovvertire, togliere il<br />

peso, perdere il senso, sottraendole alla forza del più forte, all’attrazione terrestre”. Spranzi mette appunto in scena<br />

e fotografa questi accadimenti, minimi in verità, delle stranezze,<br />

dei piccoli incidenti. Niente di trascendentale, del resto, non un<br />

invisibile esoterico, bensì proprio quello <strong>fotografi</strong>co: ciò che è<br />

accaduto prima dell’istante fissato o che può accadere dopo, “ciò<br />

che è stato e non è più, ciò che mai potrà essere e di cui solo si<br />

può immaginare”.<br />

In gioco è l’attenzione, ma anche la libertà dello sguardo<br />

dalle consuetudini, dalla disattenzione, dagli automatismi, da<br />

ogni via già tracciata. In una delle sue recenti mostre personali<br />

l’ha chiamato il “salvatico”, legando insieme selvatico a salvezza.<br />

L’immagine conserva una strana indefinibilità, una irriducibilità,<br />

una selvatichezza, che può arrivare anche fin là dove alberga un<br />

poco di libertà.

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