nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi
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Alessandra Spranzi<br />
Nata a Milano nel 1962, Spranzi approfitta della <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>, medium della riproduzione della realtà e della fiducia<br />
nella sua registrazione, per offrire situazioni in cui la trasgressione della logica consueta induce chi guarda a chiedersi<br />
che cosa accade, che cosa significa, a che cosa si allude. Due oggetti che non stanno abitualmente insieme, una<br />
situazione incongruente, un gesto senza giustificazione evidente bastano a creare un piccolo enigma dal sapore<br />
magrittiano che interroga sull’accadere, sul senso, sullo statuto stesso dell’immagine. Senza enfatizzare, senza<br />
esagerare, anzi assecondando l’apparente normalità delle cose, Spranzi le sospende caricandole di mistero. Più<br />
metafisica che surreale, la situazione corrisponde a un punto interrogativo seguito da uno esclamativo: non c’è<br />
soluzione, non risposta precisa, ma uno spostamento e una presa d’atto. Le cose avvengono – come intitola la sua<br />
serie centrale, Cose che accadono – anche a un altro livello, oltre che a quello delle nostre consuetudini e delle nostre<br />
spiegazioni.<br />
A quale livello? A quello, paradossale per la <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>, dell’invisibile, o meglio di ciò che non si vede, che non è<br />
dell’ordine del visibile, che trapela e si infiltra nelle brecce del visivo, nelle discrepanze, nelle incongruenze. Come il<br />
rabdomante, l’artista ha una sensibilità per i giacimenti sotterranei. Tra finzione e verità (brucia la casa o l’immagine<br />
della casa?), tra luogo comune e sorpresa (una donna barbuta), tra realtà e impossibilità fisica (non si può rovesciare la<br />
gravità) e infine, tout court, tra realtà e immagine (tutta una serie è composta di immagini trovate su riviste di vendita<br />
per corrispondenza) si fanno spazio un’energia e un mistero irrisolti. Scrive l’artista: “Contrariare le cose, sottoporle<br />
a sforzi inutili, gratuiti, incoerenti con i loro limiti ed i nostri, per distrarre le leggi universali, sovvertire, togliere il<br />
peso, perdere il senso, sottraendole alla forza del più forte, all’attrazione terrestre”. Spranzi mette appunto in scena<br />
e fotografa questi accadimenti, minimi in verità, delle stranezze,<br />
dei piccoli incidenti. Niente di trascendentale, del resto, non un<br />
invisibile esoterico, bensì proprio quello <strong>fotografi</strong>co: ciò che è<br />
accaduto prima dell’istante fissato o che può accadere dopo, “ciò<br />
che è stato e non è più, ciò che mai potrà essere e di cui solo si<br />
può immaginare”.<br />
In gioco è l’attenzione, ma anche la libertà dello sguardo<br />
dalle consuetudini, dalla disattenzione, dagli automatismi, da<br />
ogni via già tracciata. In una delle sue recenti mostre personali<br />
l’ha chiamato il “salvatico”, legando insieme selvatico a salvezza.<br />
L’immagine conserva una strana indefinibilità, una irriducibilità,<br />
una selvatichezza, che può arrivare anche fin là dove alberga un<br />
poco di libertà.