nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi
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Marco Signorini<br />
Signorini è nato a Bagno a Ripoli, in Toscana, nel 1962. La sua particolarità è da qualche tempo la dominante gialla<br />
delle sue immagini che crea una strana atmosfera. Colore della luce, pare accendere l’immagine, scaldarla, e al tempo<br />
stesso attutirla, immalinconirla, trasfigurarla. Ne traspare sempre uno sguardo intenso e sognante.<br />
Da diversi anni ha scelto come soggetto delle sue serie principali, tappe di quello che pare un unico progetto,<br />
dei paesaggi duri, fatti di rocce vulcaniche e mare freddo, distese scabre, con poca vegetazione e minime presenze<br />
umane. È una sorta di terra delle origini, con i primi uomini, o meglio l’eco, come suggerisce il titolo della prima serie,<br />
di quell’inizio, il suo sciabordio, come delle onde del mare, in quest’atmosfera costantemente di alba o di tramonto.<br />
O forse è il dopo, immagine di come sarà un non lontano futuro, la sua prefigurazione, non il formarsi ma invece<br />
l’erosione, il disfarsi del paesaggio.<br />
La seconda serie, intitolata Earth, è incentrata proprio su questa ambiguità per così dire cosmogonica: il paesaggio<br />
vulcanico, e i dettagli di frammenti di rocce, è come in via di formazione o l’ultimo prima del venir meno. La tonalità<br />
è sublime e malinconica, le persone sembrano alla ricerca di qualcosa, di tracce, di segni, soprattutto i bambini. Loro<br />
il futuro ce l’hanno davanti, comunque. Mentre gli adulti sono in posizione più contemplativa o meditativa, di attesa,<br />
di sorveglianza sui figli. Il titolo, in inglese per questo motivo, gioca naturalmente sulle variazioni di earth, heart, terra<br />
e cuore, dentro le quali, ricorda l’artista, sta anche nascosta la frase “hear the art”, ascolta l’arte. Il nodo è appunto<br />
questo: paesaggio-realtà e cuore sono indissolubilmente legati, lo sono in particolare dall’arte, la quale proprio per<br />
questo va “ascoltata”, sia nel senso di compresa e seguita, sia in quello sonoro – già ricordato da Echo – di sentirla più<br />
come si dice di un suono che di un concetto.<br />
La terza serie, quella qui presentata, è intitolata ((Ra)) (il dio Sole?) e vede l’entrata in scena della contemporaneità,<br />
del presente, attraverso l’irruzione delle automobili che sembrano sconvolgere il tempo del paesaggio e le cui tracce<br />
sul terreno – come lasciate più dai fari, sostituto odierno del sole, che dai pneumatici – dominano poi quasi tutte le<br />
immagini. La traccia: la più consolidata metafora della <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>,<br />
sempre impronta presente di qualcosa che è già stato, del passato,<br />
eppure anche anticipazione di qualcosa ancora da venire – futuro<br />
anteriore, come l’ha definito Roland Barthes. Impronta della luce,<br />
sospesa tra queste due temporalità compresenti, la <strong><strong>fotografi</strong>a</strong> è<br />
l’immagine nostalgica e sublime del tempo attraverso lo spazio,<br />
che lo dispiega, lo sparge, lo distende all’infinito, di nuovo come<br />
l’eco, per cerchi di onde sonore.