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nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi

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96<br />

Giorgio Barrera<br />

Barrera è nato a Cagliari nel 1969. Delle sue diverse serie di opere ne abbiamo scelte due particolarmente<br />

rappresentative del suo lavoro. Entrambe incentrate sullo sguardo, una verso l’interno e l’altra verso il paesaggio<br />

aperto.<br />

La prima, intitolata Attraverso la finestra, simula uno sguardo curioso che guarda dentro la finestra di un dirimpettaio<br />

di casa. Una situazione in realtà che la maggior parte dei cittadini conosce bene e che un film come La finestra sul<br />

cortile di Hitchcock ha fatto entrare ormai nell’immaginario collettivo, ma che non ha certo esaurito la sua efficacia.<br />

La finestra è infatti la metafora principe dell’immagine dal Rinascimento in qua – noi guardiamo un’immagine come<br />

attraverso un finestra – per cui quello che vediamo è al di là del vetro, cioè di una superficie trasparente e invisibile<br />

che costituisce il piano di proiezione dell’immagine. Ciò che vediamo di là ci è inaccessibile, se non attraverso le<br />

fantasie o le analisi che vi costruiamo sopra. Così in particolare nello “spiare” dalla finestra: che cosa sta accadendo in<br />

quell’altra casa? Che significato ha? Barrera dunque mette in scena la posizione dello spettatore.<br />

Ma l’inquadratura di Barrera ha due particolarità. La prima è che evidenzia anche la simmetria della situazione,<br />

anzi la specularità – “attraverso la finestra” significa sia attraverso la nostra da cui guardiamo sia attraverso quella che<br />

spiamo –, per cui in fondo noi, immaginando, proiettiamo le nostre aspettative e i nostri pensieri su ciò che vediamo.<br />

Monito per l’interprete, certo, ma anche enigma di ogni immagine.<br />

La seconda è l’evidenziazione dello spazio che separa le due finestre, cioè lo sguardo dalla scena, spazio che<br />

prende tutta la sua forma, vuoto che si manifesta come il vero soggetto dell’immagine. Noi in effetti vediamo qui<br />

soprattutto questo spazio. È lo spazio della scena, la distanza, la dilatazione spaziale – ma anche temporale, a ben<br />

pensarci – del vetro “attraverso” cui guardiamo.<br />

Tutto questo si manifesta ancora più efficacemente nella seconda serie. Essa riguarda i campi di battaglia delle<br />

guerre d’Indipendenza <strong>italiana</strong> come si presentano oggi. La scena ora è vuota, di là c’è solo il cosiddetto “paesaggio”,<br />

ma grazie allo sguardo dell’artista, al suo progetto, al titolo<br />

dell’opera, esso si carica dei fantasmi della Storia, ora con S<br />

maiuscola. Noi guardiamo qualcosa che non c’è, ma ci sembra di<br />

vederne le tracce, ormai anch’esse scomparse in realtà, ma che<br />

a noi paiono ancora “nell’aria”. Effettivamente sia il paesaggio<br />

che la storia – che l’immagine – sono una costruzione umana e<br />

un risultato di proiezioni. La <strong><strong>fotografi</strong>a</strong> di fatto è sempre questo,<br />

impronta di qualcosa che è passato e non c’è più, ma che ci viene<br />

restituita in qualche magico modo: un campo di battaglia.

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