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nuova fotografia italiana ny italiensk fotografi - Artericambi

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Fabio Sandri<br />

Nato a Valdagno nel 1964, Sandri lavora da più di vent’anni con il cosiddetto “fotogramma”, cioè senza macchina<br />

<strong>fotografi</strong>ca ma per contatto diretto dell’oggetto sulla carta fotosensibile, dunque non per scatto ma per impronta. Il<br />

fotogramma occupa una posizione tutta particolare nella storia della <strong><strong>fotografi</strong>a</strong> e dell’arte: legato alla sperimentazione<br />

e al surrealismo nell’ambito delle avanguardie, riporta ancor più indietro alle origini, ai “disegni fotogenici” di Fox<br />

Talbot e si inserisce oggi nel dibattito recente sullo statuto “indicale”, invece che “iconico”, della <strong><strong>fotografi</strong>a</strong>. Sandri<br />

si aggancia a questo carattere per rivendicarsi “scultore” piuttosto che fotografo, ovvero artista che modella la luce,<br />

crea dei dispositivi che le permettono di creare direttamente un’immagine.<br />

Sandri ha realizzato le impronte delle stanze del suo atelier, della sua abitazione, delle gallerie dove ha esposto,<br />

intitolando evocativamente questa serie Stanze. Naturalmente in scala 1:1, quindi delle stesse dimensioni del reale,<br />

ne hanno anche la stessa forma. Poi, da orizzontali quali sono all’origine, essendo l’impronta del pavimento e degli<br />

oggetti – ed eventualmente delle persone – che vi sono sopra, vengono esposti verticalmente a parete con un effetto<br />

alquanto singolare e una presenza più scultorea che di immagine incorniciata.<br />

Sandri può esporre direttamente la carta emulsionata, cioè il negativo, o la sua stampa in positivo. Nel primo caso,<br />

inoltre, il negativo può essere fissato, bloccato, oppure può anche rimanere attivo, non fissato, “vivo”, nel senso che<br />

continua, per quanto impercettibilmente, a catturare la luce che gli si deposita sopra e con essa le immagini di ciò<br />

che lo tocca o passa davanti, e di fatto è in continua, “scultorea”, trasformazione – anche noi spettatori ne siamo così<br />

catturati, inglobati nell’opera –, finché la luce, con il tempo, finisce con il cancellare tutte le immagini, riportandole a<br />

un uniforme monocromo dal caratteristico colore “incarnato”.<br />

Recentemente Sandri ha messo a punto un dispositivo per realizzare degli Autoritratti, ritratti cioè che si fanno<br />

da soli, anche se di volta in volta di persone diverse. Il dispositivo, disposto in un garage di quelli prefabbricati e<br />

trasportabili – mostruoso ma significativo sostituto della macchina <strong>fotografi</strong>ca –, consiste in una videocamera che<br />

riprende la persona e un proiettore che rimanda l’immagine sulla carta emulsionata. Per lasciare la propria impronta<br />

occorre un tempo lungo come quello delle origini del dagherrotipo: a tu per tu con la mostra immagine proiettata in<br />

tempo reale, assumiamo le posizioni che desideriamo fissare in un’esperienza di posa che sfiora la seduta analitica.

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