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Luigi Riccoboni - irpmf - CNRS

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<strong>Luigi</strong> <strong>Riccoboni</strong>, Dell’arte rappresentativa – 21<br />

distendere negli altri quattro, secondo un piano espositivo coerente ed articolato, la quota precettistica.<br />

Riducendo all’osso il dettato di Dell’arte rappresentativa, e riservando alle note il compito<br />

di fornire una più minuta guida alla lettura, si potrebbe dire che il primo capitolo è chiamato a<br />

motivare la rifl essione riccoboniana sulla recitazione 34 ; il secondo tratta dell’attore dal punto di vista<br />

corporeo, raccomandando di scegliere il ‘ruolo’ in base alle proprie caratteristiche fi siche e introducendo<br />

il problema di una recitazione che non sia artefatta, ma segua i moti del cuore 35 ; il terzo è<br />

dedicato all’arte del movimento in relazione al genere tragico o comico 36 ; il quarto alle potenzialità<br />

espressive del volto, alle modalità del pianto, e in particolare del caso del ‘fi nto pianto’, e del riso 37 ;<br />

il quinto all’intonazione tragica e comica 38 , il sesto infi ne alle controscene 39 .<br />

Il corpo e i ruoli<br />

Secondo un’antica e per altro del tutto scontata tradizione, il primo precetto che <strong>Riccoboni</strong><br />

consegna al suo lettore è quello che riguarda il physique du rôle, la regola che prescrive all’attore di<br />

34. Cap. I. Invocazione alla Musa (1-15); utilità della rifl essione teorica nei diversi campi dell’agire umano (16-<br />

39); particolarmente numerosa la schiera dei teorici della poesia (40-66), mentre manca il corrispettivo per i comici<br />

(67-72); sbaglia chi crede superfl ua la rifl essione critica alla recitazione (73-113), giacché non basta imitare la Natura<br />

per riuscire un buon comico (114-132), e i critici agguerriti sono pronti a sottolineare le cadute e le incoerenze dell’interpretazione<br />

(133-158); da qui la necessità di una trattazione teorica (159-175).<br />

35. Cap. II. L’attore deve avere una bella fi gura (1-15), in caso contrario eviti i ruoli tragici e quelli galanti (16-<br />

25), giacché ben più del costume contano nei primi un portamento maestoso (25-33), nei secondi grazia ed armonia<br />

(34-39), semmai si dedichi a quelli comici o a quelli che presuppongono un’impostura (40-51); né l’attore ben formato<br />

creda che basti muoversi ad arte (52-81), o studiare i propri gesti davanti allo specchio: bisogna ricorrere alla Ragione e<br />

alla Natura (82-102); l’attore segua il ‘naturale istinto’ e si muova assecondando i moti dell’animo (103-163).<br />

36. Cap. III. Solo di fronte a personaggi sovrumani sarà concesso all’attore di ricorrere all’artifi cio (1-27), facendo<br />

attenzione a non superare la soglia del verisimile (28-39) e mantenendosi nel giusto mezzo (40-69), o tutt’al più<br />

correggendo la natura verso l’alto, mai verso il basso (70-78); l’allievo non segue l’esempio di quell’attore che interpretando<br />

un personaggio regale assume una posa vile (79-99), o di quell’altro che morde un guanto (100-120); solo nel<br />

genere comico l’attore potrà essere assumere maniere più familiari (121-141). L’attore moduli la voce in maniera che<br />

tutto il pubblico possa sentirlo (142-160).<br />

37. Cap. IV. Ben più che il corpo il pubblico guarda il viso dell’attore, strumento espressivo delle passioni (1-<br />

33); né, lo insegna la tela raffi gurante Il sacrifi cio di Ifi genia, una determinata passione si manifesta nello stesso modo<br />

in tutti i personaggi (34-66); allo stesso modo del pittore, l’attore sappia graduare l’espressione del dolore (67-87), nell’esprimere<br />

il dolore con lo strumento vocale, l’attore si accerti di accordarvi l’espressione del volto (88-96). In quest’arte<br />

eccellevano gli antichi mimi (97-121), a questa ricorra il commediante che non riesce a sentire le emozioni che deve<br />

comunicare (122-141), senza però esagerare, giacché alle volte nel mimar il pianto si rischia di far ridere (142-153); più<br />

diffi cile ancora è rappresentare un personaggio che fi nge di piangere (154-192), poiché in questo caso è richiesta l’arte<br />

della simulazione, per apprendere la quale l’attore studi il comportamento dei cortigiani (193-231); infi ne il comico<br />

non esageri nel ricorso al riso (233-244).<br />

38. Cap. V. Il comico impari anche ad intonare correttamente le battute (1-24), non segua gli attori d’accademia<br />

italiani che nel tentativo di restaurare il teatro classico hanno adottato una cantilena snervante nella dizione dei versi<br />

(28-72), né i Francesi che hanno inventato la declamazione; elogio di A. Lecouvreur (73-93), la verisimiglianza impone<br />

che si bandisca la declamazione dalle scene (94-129) e che l’attore impari dalla propria sensibilità a recitare il verso in<br />

modo naturale (130-153). L’intonazione sia per l’attore lo strumento per diff erenziare i caratteri greci dai latini, e rendere<br />

i primi più feroci, i secondi più umani (154-204). Nella commedia poi l’attore non curi la prosodia (205-226).<br />

39. Cap. VI. L’attore spesso mentre il compagno sta recitando la sua battuta si distrae (1-39): si concentri invece<br />

solo sul compagno ignorando il pubblico(40-48), mostrando gli eff etti che le parole di colui che sta recitando causano<br />

in sé (49-63), senza tuttavia eccedere nella mimica (64-78); altrimenti rischia di distrarre il pubblico (79-123). L’attore<br />

dovrà sfruttare le pause di colui che parla, celando al compagno l’eff etto del suo discorso (124-132); dosi però le sue<br />

manifestazioni affi nché possa esprimere anche la gradualità della passione (133-162), anche uno sguardo può manifestare<br />

lo sdegno o la collera, così come tutte le altre passioni (163-196).<br />

© IRPMF, 2006 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano

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