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Luigi Riccoboni - irpmf - CNRS

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<strong>Luigi</strong> <strong>Riccoboni</strong>, Dell’arte rappresentativa – 33<br />

<strong>Riccoboni</strong> come per i suoi predecessori, è un atelier, è la galleria dei caratteri che si off re alla vista<br />

ammirata del comico e del commediografo.<br />

e risa<br />

Alla fi ne di questo lungo capitolo dedicato all’espressività del volto, in cui <strong>Riccoboni</strong>, non si<br />

dimentichi, ripone il blasone del proprio essere attore, si ha l’impressione che il teorico-sbandieratore<br />

sia involontariamente retrocesso di un passo e che abbiano fatto capolino Lelio e la sua troupe:<br />

sarà anche vero che l’attore deve sforzarsi di sentire, ma l’eccellenza di un comico è un’arte fatta di<br />

fi nzione, di fi nte lacrime, di fi nte passioni: sull’estetica del naturel alla penna di <strong>Riccoboni</strong> fi nisce<br />

per sfuggire un’epigrafe tombale: «Di quest’arte però, rara e soprana, | presa che avrai un poco di<br />

lezione, | fi nger saprai la passion più strana» (IV, 226-228). Al sentimento è subentrata la fi nzione,<br />

la (dis)simulazione teatrale. Anche sul risvolto comico l’orizzonte di riferimento non è quello della<br />

verità interiore, quanto dell’eff etto che il riso sortisce sul pubblico. <strong>Riccoboni</strong> si muove in questa<br />

seconda parte di Dell’arte rappresentativa pressoché unicamente sul terreno della ricezione, sui meccanismi<br />

che si instaurano tra il palco e la platea e che si basano essenzialmente sul contagio:<br />

Che ridan gli uditori è buono e bello,<br />

e che rida l’attore ancor consento,<br />

qualora a gli altri serva di zimbello;<br />

ma che rida forzato e con istento<br />

di cosa non risibile e allorquando<br />

gli spettatori stan qual scoglio al vento<br />

non si conviene, e ben ti raccomando<br />

di non lo far, ché niente è più gelato<br />

che il veder te giulivo ridachiando<br />

e l’uditorio tristo ed annoiato. (IV, 235-244)<br />

Come per le lacrime, l’attore sappia dosare i momenti di ilarità: al di fuori dei casi esplicitamente<br />

prescritti dal testo-scenario, la risata, in quanto passibile di essere liberamente interpolata<br />

dall’attore, è arma pericolosa, potendo o meno diff ondersi nel pubblico.<br />

L’arte della parola<br />

Recuperiamo sbrigativamente due o tre tessere di un discorso che riguarda la voce e che<br />

<strong>Riccoboni</strong> ha sbriciolato qui e là; brachilogia e contrazione saranno utili per sgombrare il campo<br />

e poter poi liberamente trascorrere al fuoco del discorso: la voce è per l’attore il mezzo privilegiato<br />

per l’espressione del dolore, ad essa si deve accordare - come uno strumento musicale - l’espressione<br />

facciale (IV, 88-96 e 112-114); ed essa va regolata in termini di decibel tenendo conto delle relazioni<br />

spaziali palco|platea (III, 145-156). E questo sia tutto il dovuto al pragmatismo riccoboniano;<br />

troppo poco si dirà per giustifi care il capitolo quinto (oltretutto il più lungo dei sei); sennonché a<br />

ben vedere non è la voce al centro del segmento poetico, quanto più specifi camente l’intonazione.<br />

Si rammentino le tipologie attoriali che abbiamo cavato a forza dal poemetto (l’attore-mimo, l’attore-facciale-sentimentale,<br />

l’attore vocale) e il signifi cato del capitolo assumerà il valore di un aff ondo<br />

polemico nel campo pericoloso e agguerrito dei nemici: l’attore colto e dilettante, l’attore francese<br />

della Comédie-Française, l’attore-mimo-istrione.<br />

Un pappagallo (sia detto per inciso - ‘per inciso’: giacché non è in ballo tanto la perizia poetica<br />

di <strong>Riccoboni</strong>, quanto la sua posizione nel panorama della teoresi, per di più in un’ottica tesa a<br />

valorizzare la sua funzione di cerniera; dunque sia detto per inciso: Dell’arte rappresentativa si serve<br />

© IRPMF, 2006 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano

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