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Luigi Riccoboni - irpmf - CNRS

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<strong>Luigi</strong> <strong>Riccoboni</strong>, Dell’arte rappresentativa – 29<br />

Anche a proposito del viso <strong>Riccoboni</strong> struttura il proprio discorso critico in due fasi: a quella<br />

preliminare che serve a presentare l’oggetto-strumento, segue quella che ne osserva il funzionamento<br />

inquadrandolo sull’asse temporale; alla morfologia segue la sintassi. Il discorso sul volto si articola<br />

dunque in due tempi, in cui il primo si avvale, lo si è già visto, della rappresentazione pittorica del<br />

‘sacrifi cio di Ifi genia’ (IV, 34-66) per descrivere vari tipi di dolore che il volto può esprimere a seconda<br />

del genere, del grado, delle caratteristiche individuali del personaggio; è la tavolozza cromatica<br />

descritta nelle sue molteplici sfumature. A valle di questo percorso si inserisce invece l’esemplifi cazione<br />

tesa a denotare l’effi cacia espressiva del singolo volto nel tempo: eccolo allora appoggiarsi alle<br />

situazioni off erte dalla drammaturgia (si rileggano i versi, citati più sopra, IV, 73-87) e comporre<br />

le tinte in un crescendo emotivo. Delle diff erenti caratteristiche dell’arte fi gurativa rispetto a quella<br />

rappresentativa, <strong>Riccoboni</strong> si serve proprio per sottolineare i vari aspetti del discorso che gli preme:<br />

dapprima le potenzialità in astratto del volto quale tramite del contenuto emotivo, poi la gradualità,<br />

la dinamicità dello stesso nel poter salire di intensità.<br />

Né stupisce che a questo punto il discorso di Lelio, avendo preso le mosse dalle precipue doti<br />

mimetiche del volto rispetto alla gestualità corporea, tenga a sottolineare analogamente le diff erenze<br />

che marcano la distanza tra l’espressione facciale e la voce:<br />

“Tiene”, mi dici, “il carico supremo<br />

la voce nel dolor, se con suoi tuoni<br />

può dinotarlo grande, tenue o scemo”.<br />

È ver, ma, se alla voce non componi<br />

ancor gli occhi e le guance, e il ciglio irsuto<br />

non accordi di quella ai vari suoni,<br />

non sarà mai pensato, né creduto,<br />

che tu senta il dolor che non esprimi<br />

e, se nol senti, addio! tutto è perduto. (IV, 88-96)<br />

<strong>Riccoboni</strong> accetta di riconoscere alla voce una più immediata espressività doloristica, anche se<br />

è sempre all’espressione del volto che demanda l’autenticazione di quel dolore: la credibilità del sentimento<br />

non è ‘dicibile’, ma si può solo avvalorare attraverso una naturale espressione facciale 54 . Il<br />

discorso di Lelio procede su questa strada: dimostrare l’accessorietà della parola rispetto a un sentire<br />

che si dipinge sul volto, che si esprime attraverso lo sguardo. Ed è a questo punto che gli torna utile<br />

chiamare in campo, in funzione anti-accademica, il pantomimo, l’arte degli antichi mimi romani<br />

(IV, 97-121). Il discorso riccoboniano è come sempre meno semplice di quanto non possa apparire<br />

a una lettura cursoria, giacché l’oggetto del discorso cambia di terzina in terzina:<br />

Or per la gioia o pel dolor più atroce<br />

è possibil ch’ancor senza parlare<br />

sentisser ciò che piace, affl igge o cuoce?<br />

Io non lo credo: il cor solo aggravare<br />

può di doglia l’intender la sentenza<br />

con adeguato suono pronunziare.<br />

Or come era in color tanta eccellenza<br />

che per gli occhi facessero sentire<br />

54. Ivi, pp. 258-259: «Cet accompagnement des yeux & du reste du visage est indispensable à l’expression,<br />

autant que l’accompagnement des instrumens peut l’être à une belle voix qui chante: si les yeux & le visage n’accompagnent<br />

pas la Déclamation, c’est comme si le Violon & la Basse qui devroient accompagner la voix s’arrêtoient: le plaisir<br />

de la Musique diminue, & l’eff et de l’expression s’aff oiblit».<br />

© IRPMF, 2006 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano

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