Luigi Riccoboni - irpmf - CNRS
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Consulta un poco ancora la ragione:<br />
chi ti consiglia quando in casa o in strada<br />
parli con varie sorti di persone?<br />
Un ti aff retta e ti tiene un altro a bada;<br />
or, come fai con questi? Mi rispondi:<br />
“Non guardo ove la mano o il piè si vada”. (II, 88-93)<br />
<strong>Luigi</strong> <strong>Riccoboni</strong>, Dell’arte rappresentativa – 25<br />
Dove se il ricorso alla ratio è ampiamente comprensibile di fronte a una scuola motoria che<br />
guarda solo al risultato plastico (mentre per <strong>Riccoboni</strong> sembra importante recuperare la norma razionale,<br />
l’intima ragione, che guida la gestualità umana); meno scontato è il rimando a una dimensione<br />
temporale della gestualità, al suo ritmo: le scenette tratteggiate dal teorico teatrale sembrano<br />
infatti descrivere la gestualità di chi resiste alle sollecitazioni dell’interlocutore, o cerca di liberarsi da<br />
un seccatore che gli fa perdere tempo. Confesso che la scelta esemplifi cativa di <strong>Riccoboni</strong> mi risulta<br />
spiazzante: avanzo solo un’ipotesi e che cioè l’autore alluda a due situazioni concrete, o desunte dal<br />
repertorio drammaturgico, o più semplicemente canonizzate dalla pratica attoriale.<br />
Nel prosieguo del testo la Ragione evocata a scongiurare una gestualità vuota viene a chiarirsi<br />
come equivalente di Natura: è razionale tutto ciò che è naturale. L’oracolo (Natura) si pronuncia in<br />
modo inequivocabile: l’attore si convinca «che di braccia e di gambe aff atto è privo» (II, 114). Alle<br />
fi ttizie proteste pronunciate dai riottosi neofi ti, che credono venga loro sottratta la forza espressiva<br />
del gesto 46 al punto da non poter esprimere la passione più crudele se non attraverso le querele (II,<br />
125 e 127), <strong>Riccoboni</strong> risponde nei toni pacati di una lunga spiegazione che, prendendo le mosse<br />
dalla necessità dell’attore di nascondere l’arte e seguire la verità se vuole persuadere il suo pubblico,<br />
evoca la ben nota ricetta di una recitazione di sentimento:<br />
Per seguitare il naturale istinto<br />
e moversi senz’arte, or che s’ha a fare?<br />
scordare i quatro membri e forse il quinto<br />
che è la testa, ma sì ben cercare<br />
di sentire la cosa che ci esponi<br />
che si creda esser tuo l’altrui aff are.<br />
D’amor, di sdegno o gelosia li sproni,<br />
se al cor tu provi, o s’anco pur sarai<br />
qual Orreste invasato da’ demoni,<br />
e l’amore e lo sdegno sentirai,<br />
e gelosia e Belzebù germani,<br />
senz’arte braccia e gambe moverai.<br />
Ed io scommetterei e piedi e mani<br />
che un sol non troverai che ti censuri<br />
fra tutti quanti li fi dei cristiani<br />
se con il cuore i tuoi moti misuri. (II, 148-63).<br />
Sono versi celeberrimi, complice l’opportunismo diderottiano, capace di dicotomizzare due<br />
processi creativi che nel pensiero riccoboniano, come vedremo, non sono necessariamente antitetici<br />
46. È nota la predilezione riccoboniana per l’espressività del volto, rispetto a quella del corpo, ciò tuttavia non<br />
vuol dire che egli non sia consapevole del ruolo che gli arti rivestono al fi ne di comunicare le emozioni: lo aff erma già<br />
qui (II, 121-29), lo ribadisce poi nelle successive Pensées, pp. 259: «Si le mouvemens du corps & des bras ne tiennent<br />
pas une place aussi honorable que celle des yeux & du visage dans l’Art de la Déclamation, ils ne sont pas pour cela<br />
inutiles ni méprisables».<br />
© IRPMF, 2006 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano