Luigi Riccoboni - irpmf - CNRS
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<strong>Luigi</strong> <strong>Riccoboni</strong>, Dell’arte rappresentativa – 31<br />
I versi appena citati, che fungono da raccordo con il discorso svolto immediatamente a ridosso<br />
sul pianto e sul riso, possono forse essere la traccia per ricostruire il valore del mimo nel sistema<br />
riccoboniano. È evidente infatti come <strong>Riccoboni</strong> consideri quella mimica un’arte basata esclusivamente<br />
sulle doti fi sico-espressive, e che dunque possa venire in soccorso dell’attore stupido (IV, 133);<br />
la verità del mimo è fi ttizia in quanto non autenticata dalla realtà interiore dell’attore. Il pantomimo<br />
è davvero proteiforme camaleonte che batte territori ricavati tra il piano della realtà e quello della<br />
menzogna.<br />
Lacrime<br />
In questo discorso sull’espressività facciale e sulla sua subordinazione ora ai dettami del sentimento,<br />
ora della volontà, si inseriscono tre circoscritti cammei: il pianto, il fi nto pianto, il riso. Ed è<br />
ancora una volta l’accostamento apparentemente gratuito tra l’arte mimica e l’alterazione del volto a<br />
lasciare perplessi, quasi che <strong>Riccoboni</strong> fosse consapevole che il pianto, come il riso, sono strumenti<br />
che nelle mani dell’attore possono essere spontanei o volontaristici, naturale pendant all’emozione o<br />
smorfi a fatta ad arte. Questa ambivalenze emerge dalle due fonti congiunte di Dell’arte rappresentativa<br />
e delle più tarde Pensées. Nel poemetto del 1728 il pianto sembra essere preso in considerazione<br />
in quanto prodotto volontario, in cui all’arte spetta il compito di sorvegliare la resa estetica affi nché,<br />
varcando i limiti del patetico, non vada incontro al ridicolo che attende sull’opposto versante:<br />
Nel pianto sia però cauta ed intenta<br />
l’arte a non sfi gurar la faccia in guisa<br />
che produca l’opposto che appresenta.<br />
Donna la cui beltade imparadisa<br />
ho veduta in teatro diformarsi<br />
così piangendo che traea le risa.<br />
Se conosci però che digrignarsi<br />
tanto possa il tuo volto, lo raff rena;<br />
del poco è meglio all’ora contentarsi.<br />
Non con gli stridi, ma con voce amena,<br />
languido sguardo ed un viso dimesso<br />
esprimerai ancora e pianto e pena. (IV, 142-53).<br />
Nelle Pensées la possibilità che le lacrime siano spontanee è invece non solo contemplata, ma<br />
rivalutata in quanto il pianto involontario è strumento di coinvolgimento del pubblico (le lacrime<br />
touchent, ed è parola chiave del Boileau traduttore dello pseudo Longino):<br />
Parmi les opérations expressives des yeux, il y en a une de très grande conséquence. L’Orateur doit bien se<br />
garder de s’exciter aux larmes, mais aussi il ne doit pas faire le moindre eff ort pour les arrêter, si elles viennent<br />
naturellement. Lorsqu’on veut pleurer par force, on fait des grimaces qui choquent, ou qui font rire; mais<br />
lorsqu’on pleure sans le vouloir, il arrive rarement que les grimaces que l’on peut faire soient desagréables.<br />
Les Orateurs qui s’étudient à pleurer, ne son pas pénétrés de ce qu’ils disent; car lorsque c’est l’ame qui<br />
parle, les larmes n’ont pas besoin des opérations de la machine pour couler. Dans le premier cas on connoit<br />
l’artifi ce, & les larmes ne font point d’eff et: dans le second, elles touchent, & emportent les suff rages des<br />
Spectateurs 56 .<br />
56. Pensées, pp. 256.<br />
© IRPMF, 2006 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano