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faraone e <strong>per</strong>sino con se stesso; non è più chi presumeva <strong>di</strong> essere e <strong>di</strong> voler essere. Fugge dunquenel deserto, luogo inospitale che mette alla prova; ora è un «senza popolo», «forestiero in terrastraniera» (Es 2,22). Qui Mosè si normalizza, mette su famiglia, apprende l’arte della vita reale, siincammina verso la sua identità più vera, frutto <strong>di</strong> un cammino poliedrico: <strong>di</strong> nascita ebreo, <strong>di</strong>cultura egiziano, <strong>di</strong> ac<strong>qui</strong>sizione ma<strong>di</strong>anita. Qui vede cadere in crisi <strong>il</strong> suo progetto precedente,senza già sa<strong>per</strong>e che cosa lo attende; <strong>per</strong>mane anzi nell‟attesa.Mosè vive <strong>per</strong> primo quel pellegrinaggio che poi avrebbe fatto <strong>per</strong>correre al suo popolo. Ilgrande condottiero è prima <strong>di</strong> tutto un nomade reso um<strong>il</strong>e dalla sconfitta dei suoi piani.È a questo punto che Mosè può <strong>per</strong>cepire la sua chiamata e missione, unito in<strong>di</strong>ssolub<strong>il</strong>mente alsuo popolo. Il Signore vede la miseria del suo popolo e scende a liberarlo (cf. 3,7-8), ma poi è a Mosèche or<strong>di</strong>na <strong>di</strong> farlo uscire (cf. 3,10), in virtù della sua chiamata. Siamo <strong>di</strong>nanzi alla relazione profondatra Mosè, <strong>il</strong> popolo e l‟azione <strong>di</strong> Dio; una sinergia che <strong>di</strong>ce la <strong>di</strong>gnità dell‟uomo chiamato acollaborare con la Sua o<strong>per</strong>a.Elementi <strong>per</strong> l’accompagnamento comunitario:- Ogni accompagnamento comporta un esodo, l‟uscita da sé, dal proprio mondo, anchereligioso, <strong>per</strong> aprirsi all‟altro e alla novità che egli porta. Questo “uscire” può <strong>di</strong>mostrarsidoloroso, specie nel purificare la pretesa <strong>di</strong> salvare l‟altro, <strong>di</strong> introdurlo in un camminopredefinito, <strong>di</strong> non giocarsi veramente nel cammino verso l‟altro, nel rispettare la <strong>di</strong>stanza<strong>per</strong>ché l‟altro cresca. L‟animazione aiuta nel purificarsi dai propri meto<strong>di</strong>, dai nostri progetti edalle tecniche <strong>per</strong> riuscire, fino ad apprendere ad affidarsi. È in tutta questa normalità ches‟impara ad attendere: l‟accompagnamento non fornisce risposte o ricette ma attrezza <strong>per</strong>un‟attesa. È così che si può cominciare a riconoscere un‟altra possib<strong>il</strong>ità, nuova, sotto lascorza del terrib<strong>il</strong>e quoti<strong>di</strong>ano. L‟animazione è una compagnia nella fede <strong>per</strong> sa<strong>per</strong> restarenell‟attesa, a<strong>per</strong>ti all‟ine<strong>di</strong>to che si affaccia sulla nostra vita, sino a riconoscere la signoria <strong>di</strong>Dio che si manifesta proprio nelle parole <strong>di</strong> Vangelo che l‟esistenza contiene.- Il tempo proprio dell‟animazione è quello della vita reale: è così che essa educa tutti noi atenere insieme (syn-ballein) la vita e <strong>il</strong> Vangelo.- Ci sono tempi particolarmente forti nella vita <strong>di</strong> una Fraternità: la preghiera liturgica, gliincontri <strong>di</strong> famiglia (Capitolo, narrazione <strong>di</strong> fede, revisione <strong>di</strong> vita ecc.). In essi si fa es<strong>per</strong>ienzadello Spirito che si esercita in noi, nella fondamentale <strong>di</strong>mensione comunitaria, densa delmovimento trinitario dell‟ospitalità reciproca. Per abbandonarsi alla “santa o<strong>per</strong>azione” delloSpirito, come <strong>di</strong>rebbe S. Francesco, è vitale uscire da, ritirarsi: Mosè lascia la casa del faraonee la terra d‟Egitto <strong>per</strong> rannicchiarsi nel deserto, dove vive da straniero. In questa situazionel‟umanità <strong>di</strong> Mosè cresce, si scioglie, <strong>di</strong>venta semplicemente più umana.Gli appuntamenti comunitari sono chiamati a <strong>di</strong>ventare luoghi <strong>di</strong> vita nei quali apprenderel‟arte <strong>di</strong> accompagnarsi a vicenda, rannicchiandosi, <strong>per</strong> far posto agli altri. «Noi noninten<strong>di</strong>amo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia,<strong>per</strong>ché nella fede voi siete già sal<strong>di</strong>» (2Cor 1,24): accompagnare non vuol <strong>di</strong>re <strong>di</strong>rigere vitealtrui. Piuttosto ci è chiesto <strong>di</strong> imparare a cominciare da noi stessi <strong>il</strong> laborioso passaggio dallaschiavitù amara al sapore fragrante della libertà (ci vogliono ben 40 anni <strong>per</strong> fare appena 400ch<strong>il</strong>ometri!) e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> <strong>per</strong> fare spazio all‟altro <strong>per</strong>ché cresca, a <strong>di</strong>minuire in quanto in<strong>di</strong>vidui eanche come istituzione <strong>per</strong>ché l‟altro sia.- Tra Dio, Mosè e <strong>il</strong> popolo c‟è una relazione profonda <strong>di</strong> reciproca appartenenza. Anche nei40 anni trascorsi nel deserto, Mosè porta con sé <strong>il</strong> suo popolo e viene preparato a incontrare econoscere quel Dio dei suoi padri, che ha <strong>di</strong>menticato, così come è successo ad Israele ormaischiavo. La solidarietà tra Mosè e <strong>il</strong> popolo esprime quel legame in<strong>di</strong>ssolub<strong>il</strong>e tra <strong>il</strong> Dio semprefedele all‟alleanza fatta con i padri e <strong>il</strong> suo popolo. Solidarietà è parola chiave <strong>per</strong> un10Anno XXXIII ● N. 218 ● Ottobre 2011

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