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turrisbabel 60 Oktober Ottobre 2003 La «pelle» dell’architetto – De Architectura Geschäfte / Negozi 19<br />

Committente<br />

Manfred Batliner<br />

Progetto e direzione lavori<br />

arch. Luigi Scolari<br />

Statica ing. Johann Mittermair<br />

Grafica Lupe<br />

Foto Ludwig Thalheimer<br />

tura per il commercio assume pertanto un<br />

carattere di necessario artificio, una narrazione,<br />

alla quale volta per volta attribuiamo,<br />

nel bene o nel male, l’appellativo di<br />

negozio. Navigando tra i corsi e i ricorsi<br />

degli stili di un’epoca, come quella attuale,<br />

caratterizzata da una ipertrofia dei mezzi<br />

rispetto ai fini, scorgiamo però un filo conduttore,<br />

un linguaggio che accomuna schiere<br />

fedeli di militanti. Avanti, popolo degli<br />

architetti: l’«Internazionale Minimalista»<br />

unifica sotto la propria bandiera le gesta<br />

di una teatralità del riduzionismo lessicale.<br />

Dal less is more in poi, l’architetto lavora<br />

per sottrazione, taglia sfronda riduce e,<br />

così facendo, accumula sensi e significati.<br />

Nel campo degli interni, questo atteggiamento<br />

si traduce nella sicurezza del bianco<br />

totale e nell’astrazione della ‘scatola’ neutra,<br />

cui fa da corollario una rarefazione degli<br />

oggetti esposti, la trasparenza del vetro<br />

e l’utilizzo di pochi, selezionati materiali.<br />

Assecondando quest’ottica, Matt risulta<br />

essere un campione rappresentativo<br />

del «fare negozi» contemporaneo, a sua<br />

volta categoria esemplare di una tendenza<br />

dell’architettura degli interni. Senza fare<br />

torto all’originalità dell’autore, se vedessimo<br />

le immagini di questo negozio su<br />

una rivista del settore, potremmo pensare<br />

all’ennesima performance di un Citterio,<br />

di un Chipperfield: segno al tempo stesso<br />

di abilità e di consonanza allo spirito del<br />

tempo. I caratteri distintivi di una maniera<br />

autonoma di progettare (che diremmo<br />

scolariana, o forse scolaresca?) appaiono<br />

come i prodromi di altre impegnative<br />

realizzazioni a venire. Un’opera-manifesto,<br />

in sostanza. La stessa trasparenza totale<br />

della vetrina, a cui si è accennato, esprime<br />

in fondo più una volontà autocelebrativa<br />

dell’architetto, che non l’ideale di una<br />

presunta accessibilità democratica della<br />

merce, ipocrisia che in un negozio di tali<br />

fattezze appare evidente a chiunque nello<br />

scorrere i listini d’acquisto.<br />

Ma, una volta varcata la soglia di ingresso,<br />

un leggero ponticello sospeso svela nella<br />

profondità del sottosuolo un universo ancora<br />

pietroso, dove si accumulano ciottoli levigati,<br />

alla maniera di un frammento stratigrafico.<br />

O forse lo scopo è quello di svelare,<br />

complice il parapetto di vetro, un’insperata<br />

vista dal sotto in su dell’avventrice di turno<br />

dalla gonna svolazzante? Questo dispositivo<br />

spaziale, implicita citazione di un ponte<br />

levatoio, segna l’accesso al castello incantato<br />

della merce. Un ulteriore diaframma<br />

tra l’esterno tumultuoso e ridondante di<br />

segni, e l’interno conformato dall’architetto.<br />

Il quale, con un atto di volontà che è espressione<br />

di una meditata fiducia nel progetto,<br />

ci conduce per mano nel mondo che<br />

egli desidera, pensa, spera e, per frammenti,<br />

mette in opera. Strutturalmente, l’interno<br />

del negozio è articolato secondo quel dispositivo<br />

lineare che è precipua caratteristica<br />

degli spazi commerciali. Dal ponticello di<br />

ingresso fino all’infilata sulla scala che conduce<br />

al livello superiore, la sequenza si

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