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FuoriAsse #17

Officina della cultura

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Sguardi<br />

a cura di<br />

Antonio Nazzaro<br />

Come si fotografa la morte di nessuno<br />

che è solo il mio mondo…<br />

Il Viaggio di Hugo Angel G.<br />

tra documentario, arte e autobiografia.<br />

©Hugo Angel G.<br />

Da sempre, la morte è presente<br />

nell’arte dalle orazioni funebri, nelle<br />

poesie scritte in morte di… nei dipinti<br />

che ritraggono malati e morenti e nei<br />

famosi ritratti del rinascimento, detti:<br />

momento mori. Il cinema prima, la televisione<br />

poi e adesso il mondo digitale ci<br />

hanno abituato alla visione della morte.<br />

Anzi, se pensiamo a certi film, si direbbe<br />

che più è orrenda, più affascina.<br />

Ma come affrontiamo la morte dei<br />

nostri cari? Possiamo immaginare di<br />

raccontare questo percorso attraverso<br />

una fotografia documentale, narrativa e,<br />

inevitabilmente, autobiografica, al di là<br />

delle giuste o ingiuste obbiezioni sul<br />

rispetto e non rispetto della morte e dei<br />

suoi valori morali o religiosi?<br />

Qui raccontiamo l’esperienza di Hugo<br />

Angel G., un fotografo cileno che, lavorando<br />

ad altri progetti fotografici, quasi<br />

inconsapevolmente ha dato il via a un<br />

lavoro che è durato quasi dieci anni e<br />

che lo ha visto ritrarre non la morte di<br />

un bambino sulla spiaggia delle coste<br />

europee, né quella delle bombe, ma<br />

quello spettacolo mesto che occupa due<br />

righe in un giornale: la morte di una<br />

persona cara.<br />

«All’inizio non so neanche io perché di fronte al<br />

morire dei miei nonni ho sentito la necessità di<br />

fermare quel momento. Adesso, a distanza di<br />

tanto tempo, devo ammettere che ha avuto una<br />

funzione taumaturgica in me e forse allo stesso<br />

tempo, come spesso avviene nel mondo della<br />

fotografia documentale, ho potuto farlo proprio<br />

perché la macchina fotografa non era solo il<br />

mezzo per registrare questi eventi che mi toccavano<br />

direttamente, ma diventava un filtro che<br />

permetteva una distanza dal soggetto e quindi<br />

uno spazio di dolore e anche di riflessione e di<br />

ricordo che non poteva non far parte dei ricordi<br />

della vita di chi fotografavo e di me che mettevo<br />

a fuoco la mia perdita».<br />

FUOR ASSE<br />

132<br />

Sguardi

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