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FuoriAsse #17

Officina della cultura

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Scappò dal confessionale, a passo fremente,<br />

dietro di lui gli angeli neri, pietrosi,<br />

della chiesa, parevano cantarlo<br />

sfuggire nei granelli della sua anima<br />

condannata. Nella sacrestia lacrimò. Gli<br />

pulsarono le vene. Impazziva il sangue<br />

che sembrava piegarsi nel torace per annegargli<br />

il cuore. Era da rivedere, Maria.<br />

Di chi era figlia? Viveva vicino all’abbazia?<br />

Le piacevano le arance? Era maritata?<br />

Le nuvole apparivano, pure a lei,<br />

agrumi ferrosi? Dio non gli interloquiva<br />

più, ora era Maria da pregare, da raccontarle<br />

l’inquietudine. Di settimana, il<br />

sabato, Salvatore, l’attendeva in confessionale,<br />

come un rosario umanizzatosi.<br />

Lei fu puntuale. Credeva nel Signore.<br />

L’orologio della sacrestia si ascoltava in<br />

tutta la cappella dell’abbazia.<br />

“Fratello Salvatore, posso confessarmi?”<br />

“Prima, Maria, raccontami delle giornate.”<br />

Lei non interruppe la domanda che<br />

accettò affinché questa si confondesse<br />

con le proprie risposte intorno al peccato.<br />

Ché peccare, per la ragazza, era immaginare<br />

mentre viveva l’amore senza<br />

malinconia o clausura emozionale. Condividerlo.<br />

Sognare più del richiesto dal<br />

suo Dio con un altro sognatore.<br />

Si fissarono entrambi, Salvatore e<br />

Maria, dai buchi metallici del confessionale,<br />

divisi da imperi e dei per tutti<br />

opposti e per loro consimili, abbattuti<br />

dall’Uomo e dalla Donna, da una bibbia<br />

loro. Non si toccavano. Mai si incontravano<br />

nella vista. Ma si intravedevano<br />

tutti i vespri, ognuno nelle loro barriere:<br />

lui dentro la sua, così come lei. Gli<br />

occhietti gli sfrigolavano, e le loro lingue<br />

stoppose pronunciavano sempre nuovi<br />

verbi. Erano lingue nere. Nessuna carne<br />

nelle glosse. Solo nuove narrazioni per<br />

nuove giornate. Maria gli faceva sibilare<br />

nei piccoli passaggi bui, della parete<br />

divisoria, fogli di carta. Epistole, nelle<br />

quali scriveva della natura, della melanconia<br />

sotterranea di lei, dei cieli sopra<br />

quello che sentivano di sopra greve,<br />

della sua oramai morta, grazie a lui,<br />

solitudine, della paura che tutto questo<br />

si disperdesse per la realtà. Lui ripassava<br />

sottili faville di rose che anneriva per<br />

indicargli che amava il nero e la notte e<br />

che tutt’e due gli ricordavano lei non appena<br />

si coricava per ritrovarla, carnosa,<br />

in sogno e nei petali che gli si incendiavano<br />

nel mondo onirico. Lei gli faceva<br />

spesso sentire il riso.<br />

Poi d’un tratto, in uno dei vespri, Maria<br />

avvicinò un mignolo per un foro del confessionale<br />

e lui l’intera mano che si<br />

seminò nella polpa del dito di lei. Era il<br />

momento essenziale perché lui si proponesse.<br />

E allora chiese:<br />

“Perché non vieni con me, Maria, così da<br />

mostrarci?”<br />

“Come posso, sei sposato con Dio.”<br />

“Posso rinunciarvi, posso murare dio,<br />

ora e sempre, per non farlo respirare in<br />

me. Ci inspirerai solo tu.”<br />

“Io non posso chiederti tanto…”<br />

“Fuggi insieme a me. Il tuo ossigeno mi<br />

basta. Pregherò solo te sino alla tomba<br />

della vita.”<br />

“Non puoi farmi felice. Seppur io abbia<br />

scelto di dimenticare dio a causa tua, tu<br />

stesso sei una sua costola che Lui rimarginerà<br />

fino a riaverti nel suo intero<br />

lutto finito.”<br />

“Ma io posseggo questo corpo, e desidero<br />

mescolarlo al tuo, Maria, per poi crearne<br />

un altro più piccolo, un figlio, un<br />

giorno, da te.”<br />

“Non pensarmi di carne. Fammi di ombra,<br />

m’hai toccato d’ombra, tutte queste<br />

sere, fammi cementificare nella tua<br />

ombra, nel tuo ricordo anch’esso, per<br />

certo, d’ombra.”<br />

“Non andare… ti prego. Rimarrò solo!”<br />

Si sentì il pavimento di legno del mobile<br />

rigurgitare quell’ultima corsa di lei verso<br />

il portone della cappella. Entrò il compatto<br />

lucore di un’ultima stella e, a portone<br />

chiuso, un buio terrificante. Salvatore,<br />

immobile nel confessionale, masticava<br />

i denti con i denti.<br />

Andò in sacrestia si denudò nel silenzio<br />

FUOR ASSE 54 Riflessi Metropolitani

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