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FuoriAsse #17

Officina della cultura

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Selezione dei testi a cura di Roberta Meroni e Angela Scarparo<br />

I generi dimezzati<br />

di Anna Del Bo Boffino<br />

©Hugo Angel G.<br />

Si è tanto parlato, in questi anni, di<br />

intercambiabilità dei ruoli: sostituirsi,<br />

fra maschio e femmina, nella coppia,<br />

in attività tradizionalmente considerate<br />

maschili o femminili, quando se ne presenti<br />

la necessità oppure continuativamente,<br />

quando la donna, per esempio, è<br />

impegnata nel lavoro fuori casa e si<br />

tende a dividere il lavoro domestico o la<br />

cura dei figli. Già questa necessità, che<br />

si è imposta nella vita di molte coppie, è<br />

stata accettata con riluttanza, ha creato<br />

non poche difficolta di ménage. Ma<br />

quando dal comportamento attivo si<br />

passa allo scambio dei ruoli riguardo<br />

all’atteggiamento più profondamente<br />

identificato come maschile o femminile,<br />

allora ci si scontra con resistenze che,<br />

presto o tardi, emergono a costituire un<br />

vero e proprio blocco: l’uomo non riesce<br />

a cancellare certi connotati, che sono<br />

per lui irrinunciabili, pena la perdita<br />

della sua identità virile.<br />

Del resto, anche la donna, quando si<br />

trova a dover vivere il «doppio ruolo»,<br />

risente spesso profondi disagi. Se, poi, è<br />

costretta ad assumere una «doppia<br />

identità», femminile e maschile, scopre<br />

la propria impossibilità a mettersi in<br />

rapporto con la realtà per vie culturalmente<br />

maschili; l’esperienza più difficile<br />

FUOR ASSE 29<br />

e complessa è stata quella delle madri<br />

sole nei confronti dei figli maschi. «Mi<br />

chiedo se lo sbandamento di mio figlio,<br />

oggi venticinquenne, sia imputabile a<br />

me» dice Chiara, 52 anni, insegnante.<br />

«Quando voglio risalire alle radici del<br />

mio e del suo disagio ricordo un episodio<br />

quando Massimo aveva otto anni.<br />

Eravamo in casa, il bambino si era<br />

messo a giocare con la palla, e aveva colpito<br />

un orologio antico, uno di quei<br />

cinque o sei pezzi di valore che tenevo in<br />

casa: perché mi piacevano, perché davano<br />

calore all’arredamento e perché costituivano,<br />

per me, una sia pur minima<br />

fonte di sicurezza. Era un investimento,<br />

comunque, sul quale contare in tempi di<br />

magra, sempre possibili. Dunque ci tenevo,<br />

all’orologio. Ma, di fronte alla faccia<br />

spaventata, smarrita del bambino,<br />

non sono riuscita a fare altro che rassicurarlo:<br />

“Lo aggiusteremo,” gli ho detto,<br />

“vedrai”. Il bambino era perplesso, come<br />

se un temporale in vista, invece di scoppiare,<br />

fosse passato rapidamente in cielo<br />

senza lasciare tracce.<br />

Allora non me ne resi conto. Ma da<br />

allora, crescendo, si comportò poi sempre<br />

come uno che non è chiamato a<br />

pagare, in nessun senso, per i cocci che<br />

si lasciava dietro. Che cosa aveva signi-<br />

Redazione Diffusa

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