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Novembre

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I libri del

Mese

I silenzi in una stanza

Isolamento ed effetti delle pandemie a Firenze nei

racconti a cura di Luca Giannelli

di Erika Bresci

Possono essere sufficienti quarantaquattro

racconti per lavorare

di bisturi intorno a quel bubbone

immondo (per rimanere in tema di

pestilenza) che è stato il periodo appena

trascorso di quarantena insieme alla

sua temutissima causa, il nemico per

eccellenza, il signor Covid-19, e delinearne

caratteristiche e contenuti? E con

questo, scarnificarne l’essenza, trovare

un lessico quotidiano capace di raccontarlo,

facendolo diventare memoria fruibile,

cronaca del tempo per chi in quel

tempo passerà dopo di noi? I silenzi in

una stanza risponde da solo, e affermativamente,

con le sue pagine piene di

testimonianze e immagini, grazie a un

affresco corale e multiforme, capace di

comprendere al suo interno personalità

della politica e dell’arte, dello sport e del

commercio, del volontariato e della porta

accanto, di quanti si sono trovati sbattuti

in prima linea a fronteggiare un’emergenza

impensabile e di coloro che si sono ritirati

nel chiuso di una stanza o in mezzo

agli ulivi. Trovandovi ispirazioni nuove,

insieme al comune e tangibile disorientamento.

Silenzio e resilienza. Tra queste

due colonne portanti si slancia l’arco intero

di un periodo buio, nel quale Firenze,

magnifica e impietrita, pare una Bella

Addormentata triste, disanimata e abbandonata.

Perché la sua anima è la gente. E

la gente non cammina le sue strade, non

invade le piazze, non brulica nei giardini e

nei negozi. In un’atmosfera rarefatta e irreale

che contagia più del virus e che fa

male. Tutte le voci che si alternano in rapidi

excursus di vita e storia parlano soprattutto

di questo, di una mancanza (e

del bisogno sentito) di condivisione. Sia

quella del caos mattutino degli autobus,

o quella delle gallerie d’arte, o ancora dello

stadio o dei cinema. “L’uomo è un animale

sociale”, così sosteneva Aristotele;

oggi possiamo averne contezza insieme

– se la prendiamo nel verso giusto, che è

quello del bicchiere mezzo pieno – a una

grande opportunità: quella di sfruttare

appieno il significato della condivisione,

tirarla giù dal piedistallo di un concetto

astratto e renderla voce e mani tra la

gente, in mezzo agli altri, per gli altri. La

pestilenza, lo sappiamo da Tucidide passando

poi per Manzoni, Camus e tanti altri,

è un potente detonatore di egoismi

e nefandezze, ma anche di solidarietà e

altruismo. Come ben si può vedere dalla

storia di Firenze e dei suoi precedenti

“isolamenti” e quarantene: quelle delle

pesti del 1348, del 1522-27 e del 1630

(nelle quali già l’esser “chiaretti”, ovvero

separati, era una buona tattica per non

far proliferare il male), quella della male-

detta “spagnola”, quella delle alluvioni e

della terribile estate del 1944. Storia antica

e moderna, passata, narrata in altrettanti

racconti che costituiscono la prima

parte del volume, come una guida ragionata

e intelligente, che serve a introdurre

“la presente e viva e il suon di lei”. Storia

di una Firenze tante volte in ginocchio e

poi rialzatasi grazie alla sua gente, al rimboccarsi

le maniche, al calzare stivali nel

fango, alla forza testarda di ricominciare.

E come non sentire allora risuonare nelle

orecchie, alla fine di queste centosettantasei

densissime pagine: «Forza Fiorenza.

Stendi al vento una volta ancora il tuo

vessillo e combatti!».

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I SILENZI IN UNA STANZA

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