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Novembre

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Estate al giardino

gante strizzarmi il torace per spremere

l’aria dai polmoni ed un grande disco

dorato molto luminoso simile ad un’astronave

avvicinarsi; mentre questo disco

mi sfiora, vedo la figura angosciata

del quadro L’urlo di Munch trasformarsi

in una farfalla trasparente e delicata simile

ad un organo femminile che mi dice

con fermezza: «Non credere di stare

meglio di là, si sta assai peggio che qui

sulla terra, che invece è un posto meraviglioso».

Pochi istanti dopo, la stretta

finisce e il disco dorato si allontana

a gran velocità scomparendo nel nulla;

la voce di prima mi sussurra: «A posto,

vai, ce l’hai fatta». La vita e l’arte mi

avevano ridonato l’esistenza. Nei giorni

successivi molteplici allucinazioni mi

hanno perseguitato; tra quelle che meglio

ricordo, la ditta di un paese sottosviluppato

dove la manodopera ha costi

esigui. Una trentina di operai tutti allineati

confeziona buste di tè da distribuire

negli ospedali; il processo è controllato

da alcuni manager cinesi possessori di

grandi piantagioni di tè i quali per vincere

la concorrenza del mercato stanno

sperimentando l’uomo-macchina. È

così che alcuni medici consenzienti alle

richieste di questi manager, mi mettono

in una camera ben isolata, dove due

tipi attaccati ad uno stantuffo meccanico

effettuano 24 ore su 24 lo stesso

movimento. Movimento che

permette zero costi al confezionamento

del tè in bustine.

Ci sono anche degli psicologi

che rassicurano i manager,

sostenendo la teoria per

la quale dopo un po’ di tempo

sarei stato condizionato

ad accettare tale trattamento.

Mi arrovello per uscire

da questa disavventura, cerco

disperatamente nomi e

numeri di telefono, purtroppo

irraggiungibili, di giornalisti

che avrebbero potuto

velocemente denunciare tale

scempio. Poi tutto sparisce

nel nulla, solo vuoto

infinito, e nell’angoscia cerco

un colore per definire

questo stato d’animo. Sempre

nel corso delle allucinazioni,

mi domandavo spesso

come rappresentare i riflessi

dell’acqua, soprattutto gli scintillii dei

fiumi, dei ruscelli e dei mari quando il

sole ci si rispecchia, non usando colori:

la soluzione era di prendere degli

specchi, frantumarli in cristalli di varie

misure e poi incollarli su tela, intitolando

l’opera Riflessi. Subito dopo un’altra

idea: prendere dei frammenti di specchi,

attaccarli su tela distanziati tra loro,

in modo che coloro che guarderanno il

quadro vedranno riflessi i loro

movimenti, le loro smorfie:

titolo dell’opera I fotografi.

I pensieri sull’arte si susseguono.

Avvolto nella solitudine

e nell’angoscia, penso di

continuo al disegno, ai colori,

come se l’arte mi permettesse

di filtrare e controllare,

anche attraverso inaspettati

abbinamenti, quanto fuoriesce

dalla mia mente. Ricordo

di avere pensato come friggere

i colori, poi i colori alla

sedia elettrica e avere ipotizzato

delle ricette. Per il “colore

fritto”, impastare colori

prescelti con vinavil, tuorlo

d’uovo e farina e, dopo avere

ottenuto una crema densa,

metterla in un cucchiaio da

minestra e immergerla in olio

bollente fino a farla solidificare;

ripetere l’operazione quante volte si

vuole e depositare le frittelle (migliacciole)

su tela incollandocele. I risultati

ottenuti saranno molteplici in base al

disegno che la composizione di frittelle

seguirà. Per la variante “colore alla

sedia elettrica”, spalmare su tela colori

diluiti con liquidi conduttori, applicare

ai lati opposti della tela degli elettrodi e

collegarli alla corrente elettrica sia di linea

che di batteria (secondo la grandezza

della tela). La resistenza che i colori

opporranno al passaggio della corrente

produrrà rigonfiamenti, bolle, bruciacchiature,

fino all’apparire di astrazioni

tutte da interpretare. Infine per dare

un significato alla parola “arte” e definire

soprattutto a cosa serva, l’ho paragonata

alla luce: mentre la luce mette

in moto il ciclo della pioggia tramite il

vapore acqueo, l’arte tramite la mente

mette in moto il pensiero per trovare

nuovi modi di espressione e future strade

da seguire. Quindi, luce e arte fonti di

energia che compiono ininterrottamente

un lavoro. Alla fine di questa storia

un doveroso e sentito ringraziamento

agli angeli degli ospedali San Giovanni

di Dio e Santa Maria Nuova, che con

grande professionalità mi hanno curato

e resuscitato, e all’arte, che con la sua

energia mi ha tenuto sveglio facendo lavorare

il cervello e impedendomi di perdere

la ragione.

Ben arrivata

MAURO BONINSEGNI

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