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Antologia su Alba de Céspedes

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Egli rimaneva lì, in poltrona, perché non aveva niente da fare; si

puliva le unghie col mio tagliacarte e intanto mi osservava come

se io fossi stata una persona qualunque, una ragazza seduta

accanto a lui nel tram. Quando mi guardava così, istintivamente

mi veniva fatto di allungare la gonna sui ginocchi. Succedevano

lunghi silenzi imbarazzanti. Poi egli concludeva il lungo esame

della mia persona: «Sei magra» diceva: «alla tua età le ragazze

hanno già il petto.» Arrossivo, come schiaffeggiata, e un

umiliante disagio si diffondeva in me, sotto la pelle: non gli

riconoscevo il diritto di parlarmi di cose tanto intime e del tutto

estranee alla confidenza che un rapporto paterno giustifica. «Sei

come tua madre.»

«Mia madre è una donna bellissima» io protestavo vivacemente.

«Sì» egli rispondeva calmo. «Però non ha petto.» S’alzava,

andava a leggere il giornale, ad ascoltare la radio, e mi lasciava

sconfitta.

Mio padre entrò, subito venne ad affacciarsi in cucina. Non fece

alcuna domanda, ma volse lo sguardo attorno come se la mamma

si fosse nascosta in un canto. Eppure all’aria misteriosa del

nostro viso avrebbe dovuto subito avvedersi che eravamo sole. Io

lo guardai e non dissi buonasera perché quella che si preparava

non sarebbe stata davvero una buona serata. Egli, ricordo, disse

che aveva fame e voleva mangiare al più presto, sebbene, poi,

entrambi quasi non toccassimo cibo. Era sabato, e io notai che

egli non si lasciava dietro l’insopportabile odore di brillantina.

A tavola dicemmo poche frasi indifferenti. Tra noi due c’era quel

posto vuoto presso il quale Sista aveva preparato, come ogni

sera, una boccettina di certo medicinale che mia madre usava

prendere prima dei pasti, perché soffriva di anemia. Ero forte;

ma non potevo guardare quella boccettina senza aver voglia di

buttare la testa tra le braccia e piangere.

Sista sparecchiò, in fretta, ansiosa di cancellare quel posto vuoto.

Io presi un libro.

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