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Antologia su Alba de Céspedes

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Io guardavo una fotografia di Cantoni che, da qualche tempo, ella

tiene sulla scrivania e che ho sempre finto di non notare.

Ricordavo la voce di lui, il modo in cui parlava di Mirella, la

fermezza che il suo linguaggio preciso esprimeva. Le ho chiesto a

quale punto fossero le pratiche del divorzio e se avrebbero

almeno tentato di ottenerne qui, la delibazione; lei ha risposto che

non c’era nulla di nuovo. Parlava brevemente, come per esaurire

al più presto la necessità di ferirsi e di ferire. Mi domando se non

v’è più bontà nella freddezza con cui ella difende la sua vita che

nella debolezza con cui io acconsento a lasciar divorare la mia.

Riccardo, da quando non può più permettersi di disapprovare la

sorella, dice che oggigiorno ci sono molte ragazze come lei che, a

poco a poco, dimenticano di essere donne. [...]

Il momento nel quale ho dato la vita ai figli è il solo che ho

vissuto con quella consapevolezza con cui Mirella compie ogni

sua azione. È questa consapevolezza a renderla libera dal

femminile sentimento di colpa che sempre pesa su di me,

opprimendomi ad essa Mirella si richiama per affermare i suoi

diritti come Riccardo alla sua debolezza per suscitare pietà. «Te

ne vai» le ho detto. «Presto se ne andrà anche Riccardo, rimarrò

sola.»

C L A R A , M I C H E L E E

V A L E R I A

7 gennaio

Avrei voluto telefonare a Clara Poletti, almeno per farle gli

auguri di Natale, pensavo nel trascrivere il suo nome. Il fatto è

che non ho tempo, ho sempre meno tempo. Mi pareva persino

inutile riportare il suo numero nella nuova rubrica; non ci siamo

viste quasi più, da quando lei s’è separata dal marito.

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