Antologia su Alba de Céspedes
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una salita tortuosa, asfaltata: di qua e di là si stendevano terreni
incolti nei quali detriti e immondizie erano ammonticchiati.
«Insomma» dissi «vorrei lavorare con te.»
Francesco non rispose subito; vedevo il suo agro profilo contro il
cielo già schiarito da un annunzio di primavera. Arrossivo, quasi
fossi venuta meno al mio femminile riserbo, osando per prima
una dichiarazione amorosa: ma avevo parlato d’impeto, come
quando avevo detto a mia madre: «Non partire senza di me».
«Non so che cosa potrei fare, precisamente» insistetti. «Ma tu lo
sai, certo. Tomaso l’altra sera mi ha detto che potrei essere
utile.»
«Chi ha detto questo?»
«Tomaso.»
«Tomaso è scapolo» rispose con durezza.
«Che c’entra questo?»
«Tomaso non capisce niente.»
«Perché dici così? Quando tu esci, e non mi dici dove vai, so che
vai coi compagni, io resto a casa legata alle faccende, molto
spesso in cucina. Ma tra noi sento un vincolo di solidarietà tanto
stretto che a volte duole, quasi. Rimeno la minestra e ogni giro
che do nella pentola è guidato da una volontà così precisa, un
sentimento così profondo di colleganza con te, da farmi credere
che il mio gesto casalingo e pacifico possa produrre, per
miracolo, gli stessi effetti del tuo rischio e della tua battaglia.
Così quando vado a fare la fila al mattino presto, prima di andare
in ufficio, mentre tu dormi. D’inverno è ancora buio, è molto
freddo, tutte le donne si lamentano, non sono contente; e ogni
volta che io faccio un passo avanti nella fila, penso a te che
dormi. Mi pare che ti sarà concesso di riposare solo a patto che io
non abbandoni il mio posto, anche se ho le mani che sembrano
staccarsi, intirizzite. Ma adesso questo non mi pare più
sufficiente. Sono diventata così forte, dentro di me, così
vigorosa...» dicendo queste parole mi passai un dito sul
sopracciglio per nascondere la mia timidezza:
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