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Antologia su Alba de Céspedes

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«So che potrei aiutarti.»

Camminammo ancora un poco in silenzio. Francesco mi prese il

braccio e lo strinse forte; lo lasciò, lo riprese per stringerlo di

nuovo. Eravamo una sola persona, un solo passo; intorno

circolava un tempo di dolce marcia che ci sospingeva. Commossa

io pensavo “Siamo sposati”.

«No» egli disse «non è possibile.» «Perché?» gli domandai delusa.

«Perché non sono cose per le donne.»

«Eppure vi sono molte donne tra voi, che lavorano. E anzi

Tomaso mi ha detto...»

«Domandagli perché non fa lavorare Casimira.»

«Chi è Casimira?»

«Una ragazza» rispose evasivo; e insisteva: «domandaglielo.»

«Forse Tomaso non crederà che questa Casimira sia abbastanza

coraggiosa, o pronta, oppure...»

«Appunto: io penso per te ciò che lui pensa per Casimira.»

Io tacqui un momento, e poi domandai, con incerta trepidazione:

«Cioè

che io non sia?...».

Vi fu una pausa; infine Francesco confessò a bassa voce, con

fermezza:

«Già».

Rincasammo in silenzio. Non eravamo più una sola persona, ma

due persone diverse: e l’una aveva coraggio e l’altra non ne

aveva.

Mi piaceva tanto. Non era bello, ho già detto, ma possedeva

quella naturale grazia che negli uomini si esprime in riserbo e

sobrietà. Spesso avevo osservato come tutti, in qualche

momento, apparissero brutti o sgradevoli: Francesco mi piaceva

sempre, invece. Talvolta, quando eravamo in casa di altri, non ci

trovavamo vicini e tuttavia io mi sentivo sempre legata a lui da

un filo invisibile; egli teneva il capo di questo filo senza neppure

lo scegliessi ancora una volta.

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guardarmi. “Ti amo” gli dicevo, ed era come se, tra tutti gli altri,

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