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Ho replicato, ridendo, che non era per questo. Allora egli mi ha
accompagnato alla porta come se non fossi una sua impiegata.
«Grazie per essere venuta» ha detto «abbiamo potuto lavorare
con calma e, inoltre, mi ha fatto bene parlare. Non parlo mai con
nessuno.» Stavo per dire: «Neanche io». Invece ho detto appena
«Buona sera» senza sorridere, e sono uscita.
Nella strada c'era una brezza fresca, piacevole. Non è possibile
che sia vero, mi dicevo, mi conosce da tanti anni: parla con me
come parlerebbe con qualunque altra persona. Eppure mi pareva
che tutto attorno fosse migliore, i lumi brillassero allegramente.
Per giuoco ho provato a mormorare: «Guido» e tutto s’è
illuminato anche in me.
22 marzo
Mi domando se è stato davvero perché voleva lavorare a un
promemoria urgente che ha pregato la Marcellini e me di tornare
in ufficio, benché sia Giovedì Santo. La Marcellini, pur sapendo
che avrebbe ricevuto il compenso straordinario, era furiosa.
Lavorava di malavoglia, nel copiare commetteva numerosi errori;
è molto giovane. Quando il direttore le ha detto che non aveva
più bisogno di lei è uscita salutando appena.
Io stavo rassettando le carte quando egli è entrato nella stanza.
Allora, subito, dal suo sguardo ho avuto la certezza che il
promemoria era una scusa. L’avevo intuito fin da quando nel
congedare la Marcellini mi aveva chiesto cortesemente di
rimanere ancora qualche minuto. Come sempre m’ero detta che
se davvero avesse un interesse per me mi avrebbe notato prima
d’ora, non avrebbe resistito a tacere.
Ma ora comprendo che io sono divenuta un’altra, da qualche
tempo, e perciò gli sembro una persona nuova. Nel vederlo
entrare mi sono smarrita: ho preso il cappotto per andarmene.
Egli ha detto: «Aspetti ancora un momento, la prego». E poi,
dopo una pausa: «Sabato non potremo vederci: è la vigilia di
Pasqua». Io ho riappeso il cappotto e mi sono lasciata cadere
sulla sedia dietro la scrivania come per dire: «Eccomi».
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