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soprattutto per queste cose. Poi ho sentito dire da Clara che
l’amore va inventato giorno per giorno. Non so che cosa ciò
significhi, in pratica, ma intuisco che io non ho saputo inventarlo
mai.
27 maggio
Ieri, nel pomeriggio, non appena ho aperto la porta dell’ufficio,
ho provato un senso di refrigerio: le stanze erano deserte nella
fresca penombra. Guido era senza giacca e aveva rimboccato le
maniche della camicia, odorosa di seta stirata. Non l’avevo mai
visto così attraente, così giovane; e, nella trepida dolcezza che
m’invadeva, mi pareva di riconoscere per la prima volta l’amore.
Mi sono seduta, come sempre, di fronte a lui; anch’io ero vestita
di seta e, alzando le braccia per ravviarmi il nodo dei capelli, mi
specchiavo nell’espressione del suo viso e mi vedevo bella.
Ho detto che non potevo rimanere a lungo; lui ha risposto che
non aveva importanza, da quando avevamo deciso che saremmo
partiti insieme era sempre felice, e il tempo sembrava aver
assunto una misura diversa, tutta di fantasia. Mi sorrideva
dicendo: «Ti amo». Io, guardandolo fisso, mormoravo: «Ti amo».
Era la prima volta che lo dicevo ed egli, illuminandosi, mi ha teso
la sua grande mano aperta attraverso lo spazio della scrivania,
tra le carte. Io vi ho posto la mia. Siamo rimasti così, per un
lungo momento. Non potevo staccare gli occhi dal suo viso e in
me tutto era un bene che doleva. «Lo sai, vero, Guido, che non
partiremo mai?» gli ho domandato. Egli è rimasto immobile,
interrogandomi con uno sguardo disperato, poi ha detto molte
parole che non ricordo, forse perché mi stordivo in un continuo
scrollare della testa. «Saremmo anche lì in prigione» ho replicato
«come lo siamo qui, o nella tua macchina, o nel caffè quando ci
guardiamo attorno. Dietro sbarre che non possiamo abbattere
perché non sono fuori di noi, ma in noi stessi. Non potrei
rassegnarmi alle piccole bugie, ai sotterfugi.
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