Trieste, 5 - 6 settembre 2009 - WeDoCARE
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...Sull’ accoglienza<br />
Non nominerai il nome di Dio invano, recita il<br />
terzo comandamento. Non si tratta soltanto<br />
del divieto di strumentalizzare il divino ma<br />
di cautelare i percorsi dell’identità umana<br />
sottraendoli al marchio dell’assoluto. Una<br />
cosa è il valore assoluto, altra cosa è la specificità<br />
di tutti i singoli percorsi che cercano la<br />
realizzazione di questo valore. Percorsi identitari<br />
immersi nella storia, fatti di conquiste,<br />
dubbi, derive, e talvolta anche di ripensamenti.<br />
Un esempio: tutti noi reputiamo la giustizia<br />
un valore assoluto. Invochiamo la giustizia<br />
come un valore assoluto perché giusto è il<br />
Dio che vorremmo al nostro fianco. Ma appellarsi<br />
e agire in nome di un Dio giusto aggrappato<br />
perennemente alla sua creatura significa<br />
contrarre lo spazio e il tempo, negarsi<br />
e negare agli altri la dignità del percorso. La<br />
vita umana, se non si dispiega in cammino<br />
identitario, perde ogni valore. La vita delle<br />
vittime innocenti o quella dei kamikaze,<br />
è valutata dal terrorista solo in termini di<br />
adeguamento o meno al divino-secondo-ilterrorista.<br />
Ogni suo intento di proselitismo<br />
universale, di espansione, non è che la caricatura<br />
di un percorso, la negazione della storia.<br />
Perché il cammino verso la realizzazione<br />
dei valori assoluti è fatto di passi ponderati,<br />
di tappe intermedie consolidate dalla verifica<br />
e dalla condivisione.<br />
Anche il popolo d’Israele subì la tentazione<br />
di adorare un Dio schierato. Nella Bibbia, per<br />
esempio, questo avvenne dopo le manifestazioni<br />
di potenza divina delle piaghe inferte<br />
all’Egitto e del mare che si apriva davanti<br />
agli schiavi liberati. Che queste non fossero<br />
manifestazioni elettive e che Dio non fosse<br />
un nume tutelare, il popolo d’Israele lo capì<br />
presto. Appena uscito dall’Egitto, sul suo<br />
cammino si materializzarono all’improvviso<br />
le orde del nemico Amalec. Chi era Amalec?<br />
Soffermiamoci sui versetti precedenti la sua<br />
comparsa, e che narrano di come il popolo<br />
mormorasse contro Mosè, domandandogli:<br />
Dio è o non è con noi?<br />
È da questa domanda che procede il nemico<br />
di ogni percorso identitario. Concepire una<br />
relazione univoca e lineare di captazione e<br />
di possesso, pensare che possa esistere una<br />
relazione all’altro così riduttiva: con noi o<br />
contro di noi, dentro di noi o fuori da noi? È<br />
questo che la Torah chiama Amalec. È un nemico<br />
che va combattuto incessantemente,<br />
senza mai rinunciare alla progettualità. Narra<br />
infatti la Bibbia che mentre il popolo d’Israe-<br />
i protagonisti<br />
le combatteva contro Amalec, Mosè teneva<br />
le braccia alzate: ogni qual volta le braccia si<br />
abbassavano, le orde di Amalec prendevano<br />
il sopravvento; sollevate di nuovo, il popolo<br />
d’Israele ritornava vincitore. Mosè - e Amalec<br />
è lì a confermarlo - non pregava. Il testo<br />
biblico non menziona implorazioni rivolte a<br />
Dio. Quella postura - secondo la tradizione<br />
qabalista – indica quanto sia vitale, anche in<br />
guerra, rimanere concentrati sulla progettualità<br />
del percorso.<br />
Il percorso identitario ebraico ha un imprescindibile<br />
postulato: ogni altra identità deve<br />
potersi cercare, legittimare in questo percorso<br />
e la legittimazione altrui deve diventare<br />
il parametro per verificare la propria. Ogni<br />
identità deve sentirsi elevata dall’altra nella<br />
ricerca continua dei ‘massimi’ comuni denominatori.<br />
Si capisce come l’imposizione<br />
dell’assoluto, vuoi sotto forma di guerra santa,<br />
di religione, vuoi di sistema economico,<br />
di globalizzazione, sia aliena a questa visione.<br />
L’incapacità di sottoporsi continuamente<br />
a una reciproca verifica non solo si traduce<br />
spesso in scontro ma conferma nel vincitore<br />
la certezza di adorare il vero Dio, e nello<br />
sconfitto lascia la convinzione che il proprio<br />
Dio, mettendolo a dura prova, lo invita a reagire<br />
con maggiore determinazione.<br />
Tre libri dopo la guerra a Amalec, nel Deuteronomio,<br />
viene enunciato in un modo assai<br />
ambiguo uno dei precetti fondamentali<br />
di Israele: ricordati di cancellare il ricordo di<br />
Amalec. Poco prima invece una prescrizione<br />
risuona forte e chiara: avrai un peso integro e<br />
giusto, una misura integra e giusta.<br />
Il peso in ebraico è even, che significa letteralmente<br />
‘pietra’, utilizzata come misura del<br />
commercio onesto. Se dovessi avere due<br />
pesi e due misure sei in pieno Amalec! Ecco<br />
dunque un impegno che richiede una verifica<br />
interiore continua: ricordati di cancellare.<br />
Even, il peso o la pietra, è un chiasmo tra due<br />
parole: av e ben, padre e figlio. La tradizione<br />
ebraica insegna che, quando ci si reca in visita<br />
a un defunto, prima di congedarsi, si seminano<br />
sulla tomba due o tre piccole pietre. È il<br />
segno della continuità tra le generazioni. Per<br />
la Torah il senso dell’anteriorità deve essere<br />
integro; un’anteriorità che non è un viaggio<br />
nel tempo ma è presa di coscienza di una<br />
responsabilità e di un progetto, la continua<br />
verifica richiesta al popolo viaggiatore. Non<br />
può essere l’opera di una singola vita umana.<br />
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