Télécharger le livret - Outhere
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casi d’influenza beethoveniana diretta. Ma nella<br />
forma esteriore soltanto. i due finali hanno in comune<br />
un tema principa<strong>le</strong> al<strong>le</strong>gro, cantabi<strong>le</strong>, subito<br />
ripetuto nel registro grave mentre la mano destra<br />
ricama terzine di sopra. Ma già qui, la differenza<br />
colpisce: il tema di Schubert è, melodicamente e<br />
armonicamente, più ricco. La sua ripetizione non<br />
si realizza nel registro del basso ma del tenore, la<br />
concezione è a tre voci e non a due, i tratti di terzine<br />
non sono schematici, sono sottili strutture<br />
contrappuntistiche. Le due sonate propongono<br />
poi una ripresa varia e uno sviluppo che presenta<br />
del<strong>le</strong> armonie in minore. Quell’ombra del minore,<br />
fuggitiva in Beethoven, dà luogo in Schubert a<br />
una progressione immensa che sbocca su un do#<br />
minore “tragico”. Quella che si potrebbe chiamare,<br />
in sé, la disproporzione drammatica di quello sviluppo<br />
– poiché fa quasi esplodere il quadro dato<br />
dallo spirito primaveri<strong>le</strong> del tema principa<strong>le</strong> – ha<br />
una funzione importante al livello della sonata<br />
nel suo comp<strong>le</strong>sso (che è circa due volte più lunga<br />
dell’Op. 31 n. 1 di Beethoven) si tratta di una reazione<br />
alla “crisi” apocalittica di do# minore del<br />
secondo movimento di cui si sente il contraccolpo<br />
nei movimenti seguenti (v. il mio commento di D<br />
959). Quella concezione “psicologica” della composizione<br />
si ritrova in tutti i grandi compositori:<br />
nella Sonata Hammerklavier, la “catastrofe” in si<br />
minore del primo movimento si ripercuote perfino<br />
nella Fuga fina<strong>le</strong> 2 ; invece, la serenità di fondo della<br />
Sonata in sol maggiore Op. 31 n. 1 renderebbe quel<br />
genere di esplosione semplicemente fuori luogo.<br />
2 V. Paul Badura-Skoda und Jörg Demus, Beethovens 32<br />
Klaviersonaten, Brockhaus, Wiesbaden, 1970.<br />
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Si ritrovano <strong>le</strong> stesse differenze nell’ultima parte<br />
dei finali rispettivi di Beethoven e di Schubert, nonostante<br />
la stessa esitazione nei frammenti di tema<br />
rotti da si<strong>le</strong>nzi: quell’esitazione, in Beethoven,<br />
sembra corrispondere a un atteggiamento sereno<br />
di concentrazione prima dell’esplosione al<strong>le</strong>gra del<br />
prestissimo fina<strong>le</strong>; in Schubert, prende al contrario<br />
un valore metafisico, quello di un presentimento<br />
della morte; il fiato è <strong>le</strong>tteralmente mozzato, e<br />
il tentativo di proseguire, come per forza, in altre<br />
tonalità, è un fallimento. L’esplosione del Presto<br />
porta finalmente la liberazione, non senza una<br />
presenza rinnovata e tragica del minore; infine, la<br />
citazione del motivo inizia<strong>le</strong> della sonata arriva come<br />
una redenzione, per un’estrema fine raggiante.<br />
Ma Beethoven non è morto nel 1801, è vissuto<br />
ancora ventisei anni e ha scritto <strong>le</strong> sue più grandi<br />
sonate per pianoforte solo in tarda età. Schubert<br />
non ebbe la fortuna di conoscere quell’evoluzione.<br />
Possiamo paragonare soltanto quel che è stato<br />
composto. La densità e la profondità incredibili<br />
del<strong>le</strong> ultime sonate di Beethoven, lo sp<strong>le</strong>ndore<br />
del contrappunto, i nuovi principi formali – tutte<br />
queste conquiste, Schubert non ebbe il tempo di<br />
far<strong>le</strong>. Si può dire per questo che nel suo “canto del<br />
cigno”, queste ultime sonate di quel che sarebbe<br />
dovuto essere il “periodo mediano”, Schubert sia<br />
inferiore a Beethoven? Non si può far a meno di<br />
porre a fronte il trittico del 1828 di uno Schubert<br />
di trentun anni e d’altra parte, un Beethoven di<br />
cinquanta o cinquantadue anni, all’apice della sua<br />
creatività: <strong>le</strong> ultime sonate di Schubert non hanno<br />
da farsi picco<strong>le</strong> davanti a quel<strong>le</strong> di Beethoven,<br />
anche se non si possono aspettare da lui un’ugua<strong>le</strong>