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INTRODUZIONE ALLA SEMEIOTICA - AppuntiMed

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

<strong>INTRODUZIONE</strong> <strong>ALLA</strong> <strong>SEMEIOTICA</strong><br />

Diagnosi Procedura di permette di ricondurre un fenomeno (o gruppo di fenomeno), dopo averli valutati,<br />

ad una categoria. Ci permette di riconoscere una malattia (categoria) in base a dei “sintomi” e dei “segni”<br />

(fenomeni) che rappresentano il quadro clinico.<br />

Per effettuare una diagnosi bisogna:<br />

• Partire dalla storia del paziente Anamnesi ed esame obiettivo.<br />

• Acquisire dati.<br />

• Si può poi generare ipotesi diagnostiche preliminari<br />

• Si cerca di confermare con esami clinici mirati l’ipotesi diagnostica<br />

• Dopo aver valutato i risultati degli esami, o si conferma l’ipotesi oppure bisogna riniziare:<br />

o Dalla raccolta dei dati<br />

o Dagli esami<br />

Per effettuare una diagnosi bisogna però avere alle spalle:<br />

• Esperienza<br />

• Contesto<br />

• Conoscenza<br />

Semeiotica Disciplina che studia i segni, cioè le variazioni del normale che il paziente presenta.<br />

Oltre a questo tipo di semeiotica, detta anche semeiotica fisica, esistono:<br />

o Semeiotica di laboratorio Riguarda gli esami clinici<br />

o Semeiotico strumentale Riguarda la radiografia e le altre tecniche.<br />

Noi tratteremo la semeiotica fisica che studia le tecniche di esecuzione ed è quindi una materia pratica.<br />

Metodologia Ciò che deve fare il medico e come deve farlo. Sono regole che regolano l’agire e il<br />

ragionare del medico.<br />

Anamnesi È la storia medica e può essere:<br />

• Familiare<br />

• Personale<br />

• Patologica<br />

• Quella che si sofferma sul problema attuale.<br />

Esame obiettivo Prevede 4 tecniche:<br />

• Ispezione<br />

• Palpazione<br />

• Percussione<br />

• Ascoltazione<br />

RILIEVI CLINICI<br />

Bisogna distinguere tra:<br />

• Sintomi Disturbi riferiti dal paziente<br />

• Segni Elementi rilevati all’esame obiettivo dal medico<br />

Un medico può convertire i sintomi in segni.<br />

I rilievi clinici possono avere:<br />

• Valore segnaletico Capacità di indicare la possibile presenza di una malattia<br />

• Valore probatorio Capacità di provare la presenza della malattia.<br />

Un rilievo clinico può poi essere:<br />

o Positivo Presenza di un segno/sintomo in grado di attestare la malattia<br />

o Negativo Assenza di un segno/sintomo in grado di attestare l’assenza della malattia<br />

1


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Bisogna definire:<br />

• Sensibilità Esprime la probabilità che un soggetto realmente affetto dalla malattia considerata<br />

presenti una positività per il rilievo clinico.<br />

• Specificità Esprime la probabilità che un soggetto non affetto dalla malattia considerata presenti<br />

una negatività per il rilievo clinico.<br />

Possiamo quindi distinguere i pazienti in:<br />

• Veri positivi Soggetti malati con positività del rilievo<br />

• Falsi positivi Soggetti sani con positività del rilievo<br />

• Veri negativi Soggetti sani con negatività del rilievo<br />

• Falsi negativi Soggetti malati con negatività del rilievo.<br />

Sensibilità e specificità possono essere quindi espresse con percentuali come:<br />

• <br />

%<br />

• <br />

%<br />

Possiamo inoltre definire i concetti di:<br />

o Valore predittivo positivo <br />

Esprime la probabilità che un soggetto risultato positivo al test<br />

<br />

sia realmente affetto dalla malattia. Dipende dalla specificità e dalla prevalenza della malattia.<br />

o Valore predittivo negativo <br />

Esprime la probabilità che un soggetto risultato negativo al<br />

<br />

test sia realmente sano.<br />

Possiamo quindi riassumere che la sensibilità è la capacità di identificare correttamente i soggetti malati,<br />

mentre la specificità la capacità di identificare correttamente i soggetti sani.<br />

I rilievi clinici possono essere:<br />

• Patognomonico Rilievo clinico che per quella malattia non ammette nessun falso positivo. Se<br />

quindi è positivo c’è la certezza della malattia, mentre se è negativo non la esclude.<br />

• Obbligatori Rilievo clinico che per quella malattia non ammette nessun falso negativo. Se è<br />

assente esclude la malattia con certezza, ma se è presente non afferma la malattia.<br />

• Perfetto Non ammette né falsi positivi né falsi negativi.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

L’esame obiettivo è di pertinenza del medico ed è formato da 4 momenti in successione che però possono<br />

variare a seconda dell’apparato. Sono:<br />

• Ispezione Dà il concetto di insieme del paziente Sesso, facies, costituzione, cute, … ,<br />

tumefazioni, pulsazioni, deambulazione, …<br />

• Palpazione Si effettua con diverse tecniche: manuale, bimanuale, una, due dita di una o delle due<br />

mani.<br />

Obiettivi:<br />

o Confermare e precisare i dati dell’ispezione<br />

o Delimitare gli organi (fegato e milza) e le caratteristiche fisiche<br />

o Pulsazioni<br />

o Vibrazioni Possono essere spontanee o provocate.<br />

• Percussione È una tecnica che è stata introdotta nel XVIII° secolo con la semeiotica moderna.<br />

L’artefice è Leopoldo Auenbrugger che scrive un libretto in latino. Questo libretto è poi tradotto in<br />

francese nel 1808 da Jean‐Nicolas Corvisart. Nel 1828 Piorry, tramite l’uso del plessimetro e del<br />

plessore, trasforma la percussione da diretta ad indiretta. Sono poi degli studenti inglesi e<br />

americani di Piorry che semplificano la tecnica usando il dito.<br />

Nasce così la tecnica che si utilizza oggi, cioè la percussione mediata digito‐digitale.<br />

Obiettivi<br />

o Delimitare<br />

o Comparare<br />

2


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Si fonda sulla capacità di produrre un suono facendo vibrare la parte del corpo in esame. Dove c’è<br />

più aria si produrrà più suono, a livello degli organi parenchimali invece non si produrrà nessun<br />

suono.<br />

• Ascoltazione Può essere:<br />

o Diretta Si poggia l’orecchio L’orecchio è in grado di percepire frequenze che vanno da<br />

20 a 20000Hz. Il range migliore è però tra 1000 e 5000Hz. Siccome i rumori polmonari e<br />

cardiaci sono tra 30 e 1000Hz bisogna utilizzare strumenti.<br />

o Indiretta Tramite steto‐ e fonendo‐scopi In particolare:<br />

Stetoscopio Presenta la campana Amplifica le basse frequenze e filtra le alte<br />

frequenze Deve essere solo appoggiato sulla cute.<br />

Fonendoscopio Presenta il diaframma Amplifica le frequenze elevate e<br />

attenua le basse frequenze Deve essere premuto sulla superficie.<br />

Quelli moderni hanno sia campana che diaframma. Deve avere un lunghezza di 56 o 69 cm e uno<br />

spessore di 22 o 27”.<br />

È Laennec che codifica la sistematica dell’ascoltazione.<br />

Skoda Josef I reperti della percussione e della ascoltazione non dipendono dalla malattia di per se stessa<br />

ma dalle modificazioni che essa induce negli organi. Quindi malattie completamente diverse possono<br />

mostrare gli stessi reperti alla percussione e ascoltazione e, viceversa, la stessa malattia può mostrare una<br />

grande varietà di reperti quando si percuote o si ascolta perché il suono dipende non dallo stato chimico,<br />

ma dallo stato anatomico degli organi.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ANAMNESI<br />

È il racconto personale del malato delle proprie malattie e non solo (lavoro, abitudini alimentari, ecc…)<br />

I protagonisti sono il medico e il malato.<br />

I dati raccolti sono soggettivi del paziente.<br />

Il medico deve comunque:<br />

‐ Rispettare la privacy Non fare l’anamnesi in pubblico<br />

‐ Essere neutro Non deve avere pregiudizi<br />

‐ Comunicare in modo sincero, con un linguaggio accessibile, spiegare tutto, senza promettere facili<br />

guarigioni.<br />

Esistono due tipi di anamnesi:<br />

o Completa<br />

o Euristica Le informazioni sono finalizzate Anamnesi per problemi.<br />

Il foglio in cui si scrive può essere:<br />

‐ Strutturato<br />

‐ Libero<br />

‐ Semistrutturato.<br />

Fasi:<br />

• Bisogna presentarsi al paziente<br />

• Farsi raccontare la sua sofferenza attuale, il problema deve essere riportato con le parole del<br />

paziente<br />

• Storia familiare<br />

• Storia fisiologica<br />

• Storia farmacologica<br />

• Storia passata<br />

• Infine si passa in rassegna organi/apparati.<br />

Si invita ad esporre la ragione del ricovero o della visita medica<br />

Domande<br />

o Cosa posso fare per lei?<br />

o Perché è venuto in ospedale?<br />

o Che cosa la preoccupa?<br />

o Che disturbi presenta?<br />

Si invita a fornire un racconto completo delle malattie con parole proprie. Bisogna inoltre lasciare<br />

parlare senza interrompere, non sottovalutare o trascurare dettagli anche apparentemente<br />

irrilevanti o bizzarri. Tutto quello che viene riferito deve essere attentamente valutato e analizzato.<br />

Terminato il racconto può essere utile chiedere:<br />

o Non ricorda altro?<br />

o Ha qualcosa da aggiungere?<br />

o E poi?<br />

A questo punto è opportuno precisare il più possibile i sintomi del paziente. È il momento più<br />

delicato e difficile. Si possono utilizzare:<br />

o Domande aperte Per chiedere informazioni generali o cambiare discorso<br />

o Domande dirette Per chiarire un argomento.<br />

Le domande devono essere chiare e possibilmente con una sola risposta. Non devono sottintendere<br />

la risposta.<br />

Per ogni sintomo si dovrebbe conoscere:<br />

• Quando<br />

• Dove<br />

4


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Quanto<br />

• Accentua<br />

• Attenua<br />

• Modifica<br />

• Sempre lo stesso<br />

• Assomiglia<br />

In base a queste caratteristiche bisogna quindi procedere chiedendo:<br />

• Modalità d’inizio e cronologia Bisogna definire con esattezza quando il problema ha avuto inizio:<br />

o Quando è iniziato?<br />

o Che cosa faceva?<br />

o Dov’era?<br />

o Quali circostanza hanno caratterizzato l’inizio del sintomo<br />

o Se il sintomo è intermittente, si chieda di specificare la periodicità e la frequenza e di<br />

descrivere l’episodio tipico.<br />

• Sede e irradiazione del sintomo Bisogna chiedere di:<br />

o Indicare con il dito la sede e la sua eventuale irradiazione<br />

o Individuare la profondità dalla quale sembra aver origine la sensazione abnorme.<br />

• Carattere (qualità) del sintomo È difficile da descrivere e spesso il paziente ricorre a paragoni.<br />

o Come descriverebbe il suo dolore?<br />

o Che tipo di dolore è?<br />

o Sordo?<br />

o Urente?<br />

o Costrittivo?<br />

• Intensità e quantità Bisogna chiedere di quantificare il dolore:<br />

o Scala da 1 a 10<br />

o Nella dispnea: dopo quanti passi? Dopo quanti gradini? Dormire con quanti cuscini?<br />

o Nelle minzioni: 10? 5?<br />

o Nella claudicatio: dopo quanti metri? Dopo quanti passi?<br />

• Fattori che modificano il sintomo:<br />

o Attenuano Arresto dell’attività fisica<br />

o Aggravano Camminare più in fretta<br />

o Decubito<br />

o Farmaci.<br />

• Sintomi associati:<br />

o Nella dispnea spesso può non aver detto se c’è dolore, febbre, edemi<br />

o Nell’ematuria macroscopica può non aver detto se c’è febbre, dolore, disuria.<br />

• Fattori iatrogeni Chiedere specificatamente i farmaci assunti.<br />

• Fattori ambientali Regione, lavoro, casa, viaggi.<br />

Bisogna ricordare di essere obiettivi e quindi di non cercare ciò che si vuol trovare e che il paziente<br />

potrebbe selezionare le notizie da dare.<br />

Devo ricercare anche ciò che manca??? Ci sono varie teorie: alcuni, tra cui il prof. Faccini credono che<br />

questo non è necessario, altri invece pensano che si debba scrivere (per esempio: non c’è febbre).<br />

CASI PARTICOLARI<br />

‐ Sede dalla visita Se la visita avviene in clinica o in ospedale si deve effettuare una anamnesi<br />

completa ma se si è a casa del paziente o in condizioni di emergenza bisogna prima cercare di<br />

stabilizzare il paziente. L’anamnesi sarà quindi nulla o approssimativa.<br />

‐ Collaborazione del paziente Se il paziente collabora si deve effettuare un’anamnesi completa. Se<br />

il paziente non collabora (coma, disorientato, gravi turbe mentali/psichiche, politraumatizzato,<br />

critico) bisogna raccogliere l’anamnesi da un parente.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Tipo di visita Se è la prima visita faccio l’anamnesi, se è una visita di controllo o specialistica<br />

l’anamnesi sarà sommaria o orientata su certi punti.<br />

È importante inoltre avere una buona tecnica di colloquio poiché:<br />

Porta ad avere un’accurata storia che è un’ottima base per l’esame obiettivo, per gli esami e per la<br />

diagnosi.<br />

Stabilisce collaborazione con il paziente (alleanza terapeutica) e aumenta la soddisfazione e la<br />

fiducia del paziente. Comporta:<br />

o Migliore compliance<br />

o A fornire dati potenzialmente importanti prima omessi.<br />

ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA<br />

È il motivo per cui il paziente ha richiesto la visita. In senso generale si considerano modifiche recenti dello<br />

stato di salute del soggetto.<br />

ANAMNESI FAMILIARE<br />

Conoscenze di patologie “importanti” o geneticamente trasmesse o ad andamento familiare. Bisogna<br />

annotare anche causa ed epoca della morte dei genitori, nonni, zii e fratelli.<br />

ANAMNESI FISIOLOGICA O PERSONALE<br />

Conoscenza del malato dalla nascita al momento della visita. Si può procedere in questo modo:<br />

• Ordine di genitura<br />

• Parto:<br />

o Epoca<br />

o Eutocico o distocico.<br />

• Allattamento:<br />

o Artificiale<br />

o Vaccino<br />

o Al seno.<br />

• Sviluppo:<br />

o Fisico<br />

o Psichico<br />

o Sessuale.<br />

• Scolarità:<br />

o Scuole frequentate<br />

o Rendimento scolastico.<br />

• Pubertà:<br />

o Nella donna l’inizio coincide con il menarca e va da 8 a 13 anni circa. Bisogna chiedere:<br />

Età menarca<br />

Successive mestruazioni:<br />

• Ritmo<br />

• Durata<br />

• Quantità<br />

• Eventuali disturbi.<br />

Gravidanze:<br />

• Numero<br />

• Numero figli viventi<br />

• Numero di aborti, a quale mese e a quale gravidanza.<br />

Menopausa Corrisponde alla scomparsa mestruazioni e può essere fisiologica o<br />

iatrogena.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Nell’uomo è più complesso e di solito va dai 9 fino ai 17/18 anni. È caratterizzata da una<br />

aumento di dimensioni delle gonadi e del pene, comparsa dei peli, prima eiaculazione,<br />

cambiamento della voce.<br />

• Stato civile:<br />

o Nubile/celibe<br />

o Coniugato<br />

o Separato/divorziato<br />

o Vedovo.<br />

• Religione<br />

• Lavoro:<br />

o Che lavoro<br />

o E poi:<br />

Soddisfatto?<br />

Vorrebbe cambiare?<br />

Quanto lavora?<br />

o Esposizione a sostanze nocive.<br />

• Ambiente<br />

• Tempo libero:<br />

o Hobby<br />

o Sport.<br />

• Servizio militare Attualmente si può inserire nella sezione lavoro.<br />

• Pensionato<br />

• Abitazione:<br />

o In rapporto a patologie (spesso polmonari)<br />

o Animali domestici<br />

o Incidenti domestici.<br />

• Soggiorno all’estero Nei paesi “a rischio”<br />

• Abitudini alimentari:<br />

o Dieta varia proteine, carboidrati, lipidi<br />

o Quanti pasti al dì<br />

o Eventuale diario alimentare<br />

o Diete Vegetariana, celiaci, diabetici, insufficienza renale.<br />

Peso/Altezza BMI<br />

• Abitudini voluttuari:<br />

o Alcolici Quantificare l’alcol tramite l’unità alcol Bicchiere standard (125ml) con<br />

gradazione alcolica di 10%. Per la donna la quantità sarebbe 2 unità al giorno, per l’uomo<br />

tre.<br />

o Caffè<br />

o Fumo Si possono dividere gli individui in:<br />

Non fumatori Meno di 100 sigarette nella loro vita.<br />

Fumatore Al momento dell’esame fuma regolarmente o occasionalmente.<br />

Fumatore regolare Fuma almeno una sigaretta al giorno.<br />

Fumatore occasionale Non fuma tutti i giorni.<br />

Ex‐fumatore Ha smesso da almeno un anno.<br />

Bisogna quantificare in pacchetto/anno perché questo numero è strettamente correlato a<br />

patologie. Bisogna distinguere anche il tipo di tabacco.<br />

Fumo passivo Inalazione involontaria da un non fumatore del fumo del tabacco presente<br />

nell’ambiente.<br />

o Droghe.<br />

• Sonno<br />

• Alvo Regolare o irregolare<br />

• Diuresi:<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Quante minzioni/die?<br />

o Difficoltà ad iniziare la minzione?<br />

o Minzioni notturne?<br />

• Vaccinazioni<br />

• Allergie A farmaci o alimenti<br />

• Terapia attuale, farmaci assunti ed eventuali effetti indesiderati.<br />

ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA<br />

Bisognerebbe chiedere tutte le malattie dall’età pediatrica fino al momento del ricovero. Sia le malattie<br />

senza ricovero ospedaliero che le malattie con ricovero ospedaliero. In questo ultimo caso si deve chiedere<br />

se ha la lettera di dimissione e la cartella clinica oppure no.<br />

Bisogna indagare le visite mediche, gli esami di laboratorio e strumentali precedentemente fatti. Anche in<br />

questo caso se c’è o meno la documentazione.<br />

Ogni patologia dovrebbe essere indagata come il problema che ha portato alla consultazione clinica. Non<br />

bisogna inoltre riportare le diagnosi riferite dal paziente e dai familiari, ma solo le diagnosi ufficiali (cartelle<br />

cliniche, lettere di dimissione,…)<br />

Bisogna passare in rassegna tutti gli organi e gli apparati.<br />

Bisogna scrivere nella cartella in modo leggibile, in italiano e solo i fatti in ordine cronologico (senza nessun<br />

commento). Non bisogna utilizzare acronimi inventati ma solo quelli consegnati dalla letteratura. Bisogna<br />

utilizzare i termini tecnici.<br />

DIARIO CLINICO<br />

Ha l’obiettivo di verificare nei tempi appropriati per il singolo paziente la realizzazione e l’adeguatezza del<br />

piano diagnostico, terapeutico e assistenziale. Ogni intervento/prestazione deve essere annotato<br />

riportando anche l’ora, il giorno, il mese e l’anno.<br />

Se il malato è noto si annotano giorno per giorno le variazioni in ordine alla patologia annotando l’aspetto<br />

soggettivo ed oggettivo ed eventuali nuovi provvedimenti, le novità e le urgenze.<br />

CARTELLA CLINICA ORIENTATA PER PROBLEMI (CCOP)<br />

Consta di:<br />

‐ Database In cui sono raccolti i dati<br />

‐ Lista dei problemi Sia attivi che passivi<br />

‐ Piano Raccolgo:<br />

o Dx Raccolta dati per la diagnosi<br />

o Mx Raccolta dati per il monitoraggio<br />

o Tx Terapia<br />

o Ex Educazione del paziente.<br />

‐ Diario clinico In cui raccolgo:<br />

o S Informazioni soggettive<br />

o O Informazioni oggettive<br />

o V Valutazione<br />

o P Piano di lavoro (Dx, Mx, Tx, Ex)<br />

I problemi devono essere raccolti singolarmente, anche se sono associati al fine della diagnosi. Ogni volta<br />

devo sempre scrivere data, ora e firmare.<br />

Se ci sono errori non bisogna cancellare con il bianchetto ma con una linea in modo che rimanga visibile.<br />

EVIDENCE BASED MEDICINE O MEDICINA DELL’EVIDENZA<br />

È un nuovo approccio all’assistenza sanitaria dove le decisioni cliniche risultano dall’integrazione tra<br />

l’esperienza del medico e l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili. È in pratica un processo di<br />

autoapprendimento in cui l’assistenza del paziente individuale stimola la ricerca dalla letteratura biomedica<br />

8


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

di informazioni clinicamente rilevanti, diagnostiche, prognostiche, terapeutiche o relative ad altri aspetti<br />

della pratica clinica.<br />

Quindi ognuno deve istruirsi ed aggiornarsi dalla letteratura e non solo il primario o il capo reparto come<br />

una volta.<br />

La medicina dell’evidenza è molto importante per la terapia. Per la raccolta dei dati, la diagnosi ha scarsa<br />

utilità mentre per la verifica e la conferma delle ipotesi diagnostiche l’utilità è minima.<br />

ALGORITMO<br />

Insieme di regole per effettuare un dato compito (risolvere un problema). Deve essere:<br />

‐ Finito<br />

‐ Generale<br />

‐ Completo<br />

‐ Non ambiguo<br />

‐ Eseguibile.<br />

Il Flow Chart è un linguaggio visuale per rappresentare un algoritmo che utilizza una serie di simboli.<br />

LINEE GUIDA (www.guideline.org)<br />

Sono affermazioni esposte in modo ordinato destinate ad aiutare il medico nel decidere la terapia (o altro)<br />

appropriata in una data circostanza. Sono raccomandazioni, non obblighi, che nascono dall’incontro tra le<br />

revisioni sistematiche delle prove e la loro valutazione critica da parte di una commissione<br />

multidisciplinare. Ci sono vari livelli che ne indicano l’importanza. Il primo livello è quasi un obbligo.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DEL TORACE<br />

Dimensioni:<br />

‐ Diametro latero‐laterale 24‐26cm<br />

‐ Diametro verticale 30‐33cm<br />

‐ Diametro antero‐posteriore 16‐19cm<br />

La misurazione della circonferenza toracica non si fa più.<br />

Punti di repere<br />

Anteriormente Angolo del Louis È l’unione tra il manubrio e il corpo dello sterno. È dove arriva la<br />

seconda costa e appena sotto c’è il secondo spazio intercostale.<br />

Posteriormente C7 o vertebra prominente.<br />

Si può anche utilizzare come punti importanti l’angolo inferiore della scapola e la spina della scapola.<br />

Linee<br />

Anteriormente<br />

Individuiamo 5 linee verticali:<br />

‐ Linea medio‐sternale Passa a metà dello sterno<br />

‐ Linea margino‐sternale Passa nel margine laterale dello sterno<br />

‐ Linea para‐sternale Passa a livello del terzo interno della clavicola<br />

‐ Linea emiclaveare o mammillare Passa a metà della clavicola<br />

‐ Linea ascellare anteriore Passa nella parte terminale laterale del torace.<br />

Individuiamo 2 linee orizzontali:<br />

‐ Linea xifo‐sternale Passa a livello dell’apofisi xiforme dello sterno<br />

‐ Linea angolo‐sternale Passa a livello dell’angolo del Louis.<br />

Lateralmente<br />

Individuiamo 3 linee verticali:<br />

‐ Linea ascellare anteriore<br />

‐ Linea ascellare media<br />

‐ Linea ascellare inferiore.<br />

Posteriormente<br />

Individuiamo 2 linee verticali:<br />

‐ Linea vertebrale Passa attraverso i processi spinosi<br />

‐ Linea angolo‐scapolare Passa attraverso l’angolo superiore e inferiore della scapola.<br />

Individuiamo 3 linee orizzontali:<br />

‐ Linea soprascapolare Passa attraverso l’angolo superiore della scapola<br />

‐ Linea della spina Passa attraverso la spina della scapola<br />

‐ Linea dell’angolo inferiore della scapola Passa attraverso l’angolo inferiore della scapola.<br />

Regioni<br />

Anteriormente:<br />

• Regione sopraclaveare Sopra alla linea che passa per le clavicole<br />

• Regione sottoclaveare Tra la linea angolo‐sternale e quella che passa per le clavicole.<br />

• Regione mammaria (o precordiale quella sinistra) Tra la linea angolo‐sternale e xifo‐sternale.<br />

Posteriormente:<br />

• Regione soprascapolare Sopra la linea soprascapolare<br />

• Regione sopraspinosa Tra la linea soprascapolare e la linea della spina<br />

• Regione sottospinosa Tra la linea della spina e la linea dell’angolo inferiore della scapola.<br />

• Regione interscapolare Tra le due scapole.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

APPARATO RESPIRATORIO<br />

SINTOMI<br />

I principali sintomi dell’apparato respiratorio sono:<br />

1. Tosse<br />

2. Escreato<br />

3. Emoftoe<br />

4. Dispnea<br />

5. Fischi<br />

6. Cianosi<br />

7. Dolore toracico<br />

8. Ippocratismo digitale<br />

TOSSE<br />

Atto respiratorio modificato che ha lo scopo di espellere corpi estranei o muco che vengono a trovarsi nelle<br />

vie respiratorie. È un atto riflesso che costa di tre fasi:<br />

‐ Fase inspiratoria<br />

‐ Fase di messa in tensione<br />

‐ Fase espulsiva.<br />

Ci sono dei recettori per la tosse, sparsi un po’ ovunque:<br />

Mucosa laringea<br />

Polmone<br />

Pleura<br />

Zone innervate dal trigemino e dal glossofaringeo<br />

Orecchio<br />

Diaframma.<br />

Caratteristiche della tosse:<br />

• Durata Si distingue in:<br />

o Acuta < 4 settimane<br />

o Subacuta > 4 settimane<br />

o Cronica > 8 settimane<br />

• Timbro È legato alle condizioni delle corde vocali e può essere:<br />

o Afona, fioca, velata<br />

o Bitonale (per lesione delle corde vocali).<br />

• Frequenza e ritmo Può essere:<br />

o Giornaliera<br />

o Notturna<br />

o Continua.<br />

• Produttiva (o umida) o non produttiva (secca) Nella produttiva si ha escreato che può essere:<br />

o Mucoso<br />

o Purulento<br />

o Ematico.<br />

La tosse può essere accompagnata da altri sintomi come febbre, dispnea, toracoalgia, disfonia, vomito.<br />

ESPETTORATO<br />

Materiale proveniente dalle vie respiratorie, emesso con i colpi di tosse, costituito dall’insieme di:<br />

‐ Secrezioni tracheo‐bronchiali Sono composte da:<br />

o Una parte più fluida, acquosa, prodotta dalle ghiandole sierose della sottomucosa<br />

o Una parte più densa, insolubile, intimamente commista a formare un vero e proprio gel,<br />

costituita soprattutto da muco, prodotto dalle cellule caliciformi mucipare e dalle ghiandole<br />

della tonaca mucosa. Il muco è costituito da varie glico‐proteine complesse, denominate<br />

“mucine” che possono essere distinte in fuco‐mucine, sialo‐mucine e solfo‐mucine.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Nell’espettorato sono poi presenti sostanze proteiche di origine sierica (albumina, enzimi) o<br />

sintetizzate localmente (lattoferrina, callicreina, lisozima, IgA secretorie), alcune con<br />

spiccata attività antibatterica. Il muco ha una struttura a fitto reticolo, si stratifica sulla<br />

superficie dell’epitelio bronchiale fungendo da filtro per le particelle inalate con l’aria o<br />

trasudate dai vasi, che intrappolate nella sostanza vischiosa vengono veicolate nuovamente<br />

verso l’esterno dal movimento delle ciglia vibratili che rimuovono continuamente il muco<br />

prodotto, attuando così un ricambio costante.<br />

‐ Cellule epiteliali desquamate<br />

‐ Saliva e secrezione dei seni paranasali.<br />

Caratteristiche dell’espettorato:<br />

• Quantità Normalmente il volume delle secrezioni prodotte in 24h non supera i 100ml. In genere<br />

si considera abbondante un escreato superiore ai 200ml. Oltre i 300ml si parla di broncorrea.<br />

Vomica Quando l’emissione di espettorato con un singolo accesso di tosse è tanto cospicua da<br />

apparire simile ad un episodio di vomito.<br />

• Tipo Può essere:<br />

o Mucoso Costituito quasi esclusivamente da muco, ha un aspetto vischioso, filante,<br />

bianco traslucido o perlaceo. È di comune riscontro nelle bronchiti acute e croniche, indice<br />

di flogosi con scarsa componente infettiva. Lo si riscontra anche nell’asma bronchiale e<br />

nella mucoviscidosi (particolarmente denso e viscoso).<br />

o Sieroso È caratteristico dell’edema polmonare. Ha un aspetto acquoso e aerato,<br />

schiumoso, di colorito rosato. Altre patologie polmonari caratterizzate da iper‐produzione<br />

di muco non‐denso, schiumoso ed incolore o biancastro sono il carcinoma bronchiolo‐<br />

alveolare e l’adenomatosi polmonare.<br />

o Purulento È tipico dei processi suppurativi del parenchima polmonare, ma solitamente di<br />

raro riscontro puro senza commistione con espettorato sieroso o mucoso. Si osserva per lo<br />

più alla brusca apertura all’interno dei bronchi di una raccolta ascessuale polmonare,<br />

pleurica o sottodiaframmatica, con un rapido passaggio del pus verso trachea e laringe, per<br />

essere emesso con la tosse, senza che abbia tempo di mescolarsi con il muco. È<br />

caratteristica la stratificazione in tre strati: superiore (muco), medio (siero), inferiore (pus).<br />

o Emorragico o emoftoe Si intende l’emissione di quantità variabili di sangue frammisto a<br />

muco, siero o pus con l’espettorazione che va nettamente distinta con le emorragie vere e<br />

proprie (emottisi). La presenza di sangue in forme diverse nell’espettorato è di riscontro<br />

assai frequente nella maggior parte delle bronco‐pneumopatie infettive, tubercolari e non,<br />

e nelle neoplasie maligne del polmone.<br />

o Fibrinoso Caratterizzato dall’emissione di vere e proprie masse di fibrina, che talvolta<br />

riproducono a stampo la forma dei bronchi. Si riscontra solo nella polmonite fibrinosa e<br />

non frequentemente.<br />

• Colore<br />

• Modalità di emissione<br />

• Odore.<br />

EMOFTOE<br />

L’emottisi è l’espulsione con la tosse di sangue originato dalle vie aeree inferiori. Si presenta rosso brillante<br />

e schiumoso. Può essere lieve (100ml).<br />

Ematemesi È diversa dell’emottisi. Non c’è tosse e il colore è più scuro perché il sangue è parzialmente<br />

digerito. È inoltre più abbondante. Può contenere particelle di cibo. È dovuto ad una patologia intestinale<br />

alta.<br />

ANAMNESI<br />

Ci sono delle domande da porre per analizzare una tosse:<br />

‐ Come descriverebbe la sua tosse?<br />

‐ Da quanto tempo la tosse è presente?<br />

12


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Ha iniziato improvvisamente?<br />

‐ Fuma? Da quanto tempo? Quanto?<br />

‐ La tosse è sempre uguale?<br />

‐ Con la tosse ha sputo? Di che colore? Quanto? Ha un cattivo odore?<br />

‐ La tosse dura da parecchio tempo?<br />

‐ Compare dopo i pasti?<br />

‐ Peggiora variando posizioni?<br />

‐ Cosa la fa passare?<br />

‐ Sintomi associati?<br />

‐ Ha animali in casa? Contatti con TBC?<br />

DISPNEA<br />

È detta anche respiro corto. Si può definire come qualsiasi alterazione del respiro. Si ha dispnea anche<br />

quando il respiro diventa cosciente, volontario, penoso.<br />

CIANOSI<br />

Colorazione bluastra dei tessuti e delle mucose, legata all’aumento dell’emoglobina ridotta, cioè povera di<br />

ossigeno. Questo segno non è sempre presente.<br />

IPPOCRATISMO DIGITALE<br />

Le dita presentano ingrossamento dell’ultima falange.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

ISPEZIONE<br />

Si valuta:<br />

• Forma<br />

• Simmetria<br />

• Deformità Ci possono essere malformazioni della componente:<br />

o Ossea In particolare:<br />

Colonna vertebrale I principali disturbi sono:<br />

• Scoliosi<br />

• Cifosi È fisiologica nell’invecchiamento<br />

• Lordosi.<br />

Sterno Le principali malformazioni sono:<br />

• Pectus excavatum<br />

• Pectus carinatum<br />

• Pectus arcuatum<br />

• Sindrome di Poland Ipoplasia unilaterale della parete toracica e<br />

malformazione della mano dello stesso lato.<br />

• Sindrome di Jeune Distrofia toracica asfissiante, difetto congenito di<br />

sviluppo della gabbia toracica.<br />

• Distrofia toracica restrittiva acquisita<br />

Costole Ci possono essere:<br />

• Fratture saldate male<br />

• Interventi chirurgici.<br />

Scapola Scapola alata.<br />

o Muscolare Come nel torace a botte<br />

o Ghiandola mammaria Ci può essere una ginecomastia, come nella sindrome di<br />

Kleinefelter.<br />

• Tipo di respiro I tipi di respiro sono:<br />

o Costale Addome immobile, si muovono le coste<br />

o Costale inferiore Addome tende a dilatarsi mentre le coste non si muovono.<br />

13


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Esistono poi respiri patologici come:<br />

• Cheyne‐Stokes<br />

• Kussmaul<br />

• Biot<br />

• Atassico.<br />

• Rientramenti costali<br />

• Cute e sottocute Si valutano la presenza di :<br />

o Lesioni cutanee<br />

o Esiti di ginecomastia<br />

o Circoli collaterali.<br />

PALPAZIONE<br />

La misurazione della circonferenza non si fa più. Si valuta invece:<br />

Frequenza del respiro Si valuta per un minuto quanti atti respiratori il paziente compie<br />

appoggiando una mano aperta sul torace.<br />

Simmetria durante il respiro Si valuta da dietro o da davanti con entrambe le mani affiancate.<br />

Con i pollici si solleva una plica cutanea, si chiede al paziente di inspirare. La plica dovrebbe<br />

scomparire. Si può fare anche a livello della porzione superiore del torace, sia a livello della<br />

porzione inferiore. Si valuta quindi se il torace si espande uniformemente.<br />

Fremito vocale tattile (FVT) Si appoggia il palmo della mano e si percepisce la vibrazione che si<br />

crea quando il paziente dice “trentatré”. È determinata dalla vibrazione delle corde vocali che viene<br />

trasmessa alla parete toracica attraverso la colonna d’aria accolta nella trachea e nei grossi bronchi.<br />

o Formazione dell’onda sonora È data dalle corde vocali. Devono perciò essere integre.<br />

o Trasmissione alla periferia Si propaga per la via bronchiale. I bronchi devono perciò<br />

essere pervi e ci deve essere un normale contenuto aereo (più aria c’è, più il FVT si riduce).<br />

Anche il contenuto della cavità pleurica deve essere normale (se aumenta, il FVT<br />

diminuisce).<br />

o Rilievo alla periferia dell’onda Può essere ridotta dall’inspessimento della parete toracica<br />

per presenza di adipe.<br />

Tecnica Si usa una sola mano appoggiando il palmo e non le dita. Bisogna comparare le aree<br />

destra e sinistra. Si parte dall’alto e ci si sposta verso il basso e poi dalla parte opposta. Si può<br />

ricercare anche con il lato ulnare della mano, che consente di delimitare una zona più ristretta dove<br />

il FVT è alterato.<br />

Ricerca di punti dolorosi:<br />

o Punti di Valleix Sono i forami d’uscita dei rami perforanti dei nervi intercostali. Si palpano<br />

quindi gli spazi intercostali a livello della linea margino‐sternale, ascellare media,<br />

paravertebrale.<br />

o Punti frenici Si preme:<br />

Tra i capi dello sternocleidomastoideo<br />

Nel 2 e 3 spazio intercostale sulla linea margino‐sternale<br />

Posteriormente, tra la VI° e XII° costa sulla linea paravertebrale.<br />

PERCUSSIONE<br />

Si distingue in:<br />

‐ Topografica Serve a delimitare il polmone (basi ed apici)<br />

‐ Comparativa Serve a controllare la simmetria.<br />

La percussione può essere:<br />

‐ Diretta Si percuote il torace direttamente<br />

‐ Indiretta SI utilizza il dito medio come plessimetro e l’altro dito medio come plessore. Si deve<br />

appoggiare solo il dito medio (non il palmo e le altre dita) e il movimento di percussione coinvolge il<br />

polso. Si percuote tra la falange media e distale, appena sotto all’unghia quindi. Il dito utilizzato<br />

14


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

come plessimetro deve essere posto parallelamente al margine che si vuole delimitare.<br />

Naturalmente deve essere posto negli spazi intercostali.<br />

I suoni possono essere:<br />

‐ Suono chiaro polmonare Normale<br />

‐ Iperfonetico Quando il tessuto è più aerato<br />

‐ Ottuso Quando c’è tessuto non aerato.<br />

Le caratteristiche del suono sono definite da:<br />

• Frequenza Numero di cicli al secondo. Può essere:<br />

o Aumentata Suono ottuso<br />

o Normale<br />

o Diminuita Suono iperfonetico/ iperchiaro.<br />

• Ampiezza Grandezza dell’onda. Dipende da:<br />

o Forza della percussione Se troppo forte si mette in vibrazione una porzione troppo ampia<br />

di parenchima e si perde sensibilità.<br />

o Spessore della parete.<br />

• Qualità Forma dell’onda. In cavità piene d’aria, con le pareti lisce e poco tese (tipico dello<br />

stomaco) si ha un suono con un timbro diverso, detto suono timpanico.<br />

Per la comparativa bisogna percuotere prima a destra e poi a sinistra, spostandosi in basso prima di<br />

ritornare dalla parte opposta.<br />

Per individuare gli apici si percuote, posteriormente, iniziando vicino a collo e allontanandosi verso la spalla.<br />

Per individuare le basi si procede verso il basso negli spazi intercostali. Si percuote lungo tutte le linee.<br />

Dopo aver individuato la base, si può valutare l’escursione del polmone (bisogna indicare nella cartella i cm<br />

di escursione). Dopo aver individuato la base mentre il paziente respira tranquillamente, si scende di<br />

qualche centimetro e si fa pare un inspirio profondo trattenendo il respiro al paziente e si nota che quel<br />

punto, prima ottuso si schiarisce. Quando poi espiro gli si dice di non respirare per individuare il punto<br />

massimo più alto che raggiunge la base.<br />

AUSCULTAZIONE<br />

Obiettivi:<br />

‐ Riconoscere i rumori fisiologici e le variazioni<br />

‐ Riconoscere i rumori “aggiunti”.<br />

Si utilizza il fonendoscopio con il diaframma. Si può però utilizzare anche la campana. Si può effettuare<br />

l’ascoltazione a distanza e diretta (orecchio direttamente sul torace) ma non si usa più.<br />

Si ascolta sia a destra che a sinistra, alternando e scendendo verso il basso. Sia nella parete anteriore,<br />

posteriore che laterale. Se c’è un dubbio con i rumori cardiaci, si fa trattenere il respiro al paziente e se il<br />

rumore scompare è polmonare.<br />

Regole da non dimenticare:<br />

‐ Bisogna ascoltare sia la fase inspiratoria che espiratoria<br />

‐ Bisogna ascoltare simmetricamente<br />

‐ Il paziente deve respirare a bocca aperta<br />

‐ Bisogna ascoltare anche dopo colpi di tosse e mentre il paziente parla<br />

‐ Se ci sono dei peli che interferiscono bisogna bagnarli.<br />

Si ascoltano:<br />

• Rumori fisiologici:<br />

o Tracheale<br />

o Bronchiale<br />

o Bronco‐vescicolare<br />

o Murmure vescicolare.<br />

• Rumori aggiunti Possono essere:<br />

o Discontinui<br />

o Continui<br />

o Sfregamenti.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Ascolto della voce.<br />

Rumori fisiologici<br />

Origine dei rumori fisiologici I rumori fisiologici originano dal passaggio del flusso d’aria da laminare a<br />

turbolento. Viene poi trasmesso in periferia tramite la parete dei bronchioli. In periferia si percepisce il<br />

murmure vescicolare che non è generato in periferia ma è un rumore trasmesso. Il polmone funziona da<br />

filtro che attenua il rumore creato dalla trachea.<br />

‐ Rumore tracheale Lo si apprezza sia in fase inspiratoria che in fase espiratoria. Tra le due fasi che<br />

una pausa molto breve. Lo si percepisce a livello della trachea, ha un’alta frequenza e sembra una<br />

“U”.<br />

‐ Rumore bronchiale Lo si apprezza in entrambe le fasi della ventilazione con una pausa. Lo si<br />

percepisce tra il manubrio e il corpo dello sterno. Ha un’alta frequenza ed assomiglia al rumore<br />

tracheale.<br />

‐ Rumore bronco‐vescicolare Lo si apprezza sia in fase inspiratoria che in fase espiratoria. Tra le<br />

due fasi che una pausa molto più breve delle precedenti. Lo si percepisce anteriormente a livello<br />

dei margini dello sterno, posteriormente nella zona intrascapolare. È un suono meno intenso dei<br />

precedenti<br />

‐ Murmure vescicolare È quasi esclusivamente inspiratorio. Percepibile anche nella primissima fase<br />

dell’espirio senza pausa. Si percepisce alla periferia del polmone. È molto più lieve dei precedenti.<br />

Rumori patologici<br />

Includono:<br />

• Assenza di rumore<br />

• Rumore fisiologico percepito in altre zone Per esempio i soffi. I soffi sono i rumori fisiologici che<br />

si ascoltano appoggiando il fonendoscopio sulla trachea spostato in periferia. È causato dal fatto<br />

che il parenchima polmonare è addensato (non c’è più aria) ma il bronco è pervio. Il polmone non<br />

svolge la sua funzione di filtro formando il classico murmure vescicolare e quindi si percepisce il<br />

rumore tracheale in periferia. Vengono classificati in 4 tipi:<br />

o Tubarico Sia inspiratorio che espiratorio, intenso, suono a “U”, segno di addensamento<br />

del parenchima.<br />

o Cavitario Solo inspiratorio, intenso, causato da una cavità.<br />

o Pleurico Solo espiratorio, dolce, suono ad “E”, causato da un versamento.<br />

o Anforico Solo espiratorio, dolce, poco intenso, tonalità metallica, causato da aria nella<br />

cavità pleurica.<br />

• Rumori “aggiunti” Si dividono in:<br />

o Polmonari Secondo la classificazione del 1976 del “International Lung Sound Association”<br />

i rumori aggiunti polmonari sono:<br />

Rantoli grossolani Sono rumori discontinui con una durata di circa 10msec. In<br />

genere, sono causati dal passaggio di aria attraverso le secrezioni che contengono<br />

delle bolle che si rompono. Con i colpi di tosse si modificano le secrezioni e i rumori<br />

dovrebbero modificarsi.<br />

Rantoli fini o crepitii Sono rumori discontinui con una durata di circa 5msec. Sono<br />

legati ad una vibrazione della parete delle vie aeree che si aprono<br />

improvvisamente. Sono rumori che quindi non si modificano con i colpi di tosse.<br />

Fischi ad alta frequenza o sibili Sono rumori continui che durano da 80msec a<br />

250msec con una frequenza dominante di 400Hz.<br />

Fischi a bassa frequenza o ronchi Sono rumori continui che durano da 80msec a<br />

150msec con una frequenza dominante di 200Hz.<br />

I fischi in generale, che si dividono in bassa ed alta frequenza, si possono ottenere<br />

fisiologicamente con un’espirazione forzata al massimo poiché si mettono in<br />

oscillazione le pareti bronchiali. Sono infatti dovuti ad una riduzione del calibro<br />

delle vie aeree. Sono determinati da:<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Velocità del flusso<br />

• Grado di stenosi.<br />

Se la velocità del flusso è elevato e la stenosi è severa si avranno dei fischi ad alta<br />

frequenza o sibili, se invece il flusso è lento e la stenosi non è grave i fischi hanno<br />

passa frequenza.<br />

Stridor È il classico rumore che si sente nella fase inspiratoria quando c’è un<br />

corpo estraneo nella trachea che causa un’ostruzione.<br />

o Pleurici Detti sfregamenti. Sono continui, a bassa tonalità e lunga durata. Sono sia<br />

inspiratori che espiratori e si percepiscono meglio a livello delle basi polmonari perché in<br />

quelle zone c’è più movimento pleurico. Sono rumori che non si modificano con i colpi di<br />

tosse.<br />

Suono della voce<br />

Alcune Anormalità sono:<br />

‐ Broncofonia La risonanza della voce aumenta e le parole risultano indistinte.<br />

‐ Egofonia Si fa ripetere la lettera “E” allungata mentre ascolto. Se si modifica in “A” ho<br />

un’egofonia.<br />

‐ Pettoriloquia Quando le parole si sentono molto poco in periferia con il fonendoscopio.<br />

SINDROMI CLINICHE<br />

PNEUMOTORACE<br />

‐ Ispezione Espansione emitorace<br />

‐ Palpazione Asimmetria, FVT assente<br />

‐ Percussione Iperfonesi<br />

‐ Ascoltazione MV assenti, soffio anforico.<br />

VERSAMENTO PLEURICO<br />

‐ Ispezione Decubito sul lato malato, espansione dell’emitorace, asimmetria statica<br />

‐ PalpazioneAsimmetria dinamica, FVT assente<br />

‐ Percussione Ottusità<br />

‐ Ascoltazione MV assente, soffio pleurico.<br />

ENFISEMA<br />

‐ Ispezione Aumento del torace (a botte)<br />

‐ Palpazione FVT ridotto ovunque<br />

‐ Percussione Iperfonesi diffusa<br />

‐ Ascoltazione MV ridotto ovunque.<br />

ASMA BRONCHIALE<br />

‐ Ispezione Aumento del torace<br />

‐ Palpazione FVT ridotto ovunque<br />

‐ Percussione Iperfonesi diffusa<br />

‐ Ascoltazione MV ridotto ovunque, rumori continui.<br />

ADDENSAMENTO<br />

‐ Ispezione Decubito sul lato sano, asimmetria statica<br />

‐ Palpazione Asimmetria dinamica, FVT aumentato<br />

‐ Percussione Ottusità limitata<br />

‐ Ascoltazione Soffio tubarico, rumori discontinui.<br />

FIBROSI<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Palpazione FVT normale<br />

‐ Percussione Normale<br />

‐ Ascoltazione Rumori discontinui.<br />

CAVERNA SUPERFICIALE<br />

‐ Palpazione FVT ridotto a livello della caverna<br />

‐ Percussione Iperfonesi a livello della caverna<br />

‐ Ascoltazione Soffio cavitario.<br />

ATELECTASIA<br />

‐ Ispezione Asimmetria statica<br />

‐ Palpazione Asimmetria dinamica, FVT assente<br />

‐ Percussione Ottusità limitata<br />

‐ Ascoltazione MV assente.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DEL CUORE<br />

L’esame obiettivo del cuore comprende anche:<br />

‐ Frequenza polso radiale È anche utile per altre manovre successive.<br />

‐ Misurazione della pressione arteriosa<br />

‐ Valutazione della pressione centrale con la carotide.<br />

ISPEZIONE<br />

Si ricerca la presenza di bozze precordiali che però è rara. Si può trovare in bambini con cardiopatie<br />

congenite che presentano un cuore grande che crea una bozza a livello delle coste.<br />

Si può invece osservare spesso l’itto della punta o punto di massimo impulso (PMI). Si individuo comunque<br />

con la palpazione.<br />

PALPAZIONE<br />

Bisogna individuare l’itto della punta. Si deve valutare:<br />

‐ Sede Si trova a livello del 5° spazio intercostale 1cm all’interno dell’emiclaveare e 7‐9cm dalla<br />

mediosternale. Una posizione spostata indica un ingrossamento del miocardio. Si può trovare al di<br />

là dell’emiclaveare in quei casi.<br />

‐ Quanto dura<br />

‐ Intensità Può essere aumentato.<br />

Il paziente deve essere supino e si ricerca con l’indice e con il medio. Bisogna inoltre prendere il polso<br />

periferico e dovrebbe coincidere.<br />

Si ricerca poi in decubito laterale sinistro. È importante soprattutto per i pazienti in cui non si sente in<br />

posizione supina.<br />

Con la palpazione si possono valutare anche la presenza di fregamenti, appoggiando il palmo della mano. È<br />

comunque molto raro.<br />

PERCUSSIONE<br />

Sta cadendo in disuso per la presenza dell’ecocardio che fornisce un’immagine nitida del cuore. Si può<br />

valutare l’area di ottusità relativa (relativa perché il cuore è in parte ricoperto dal polmone) e l’area di<br />

ottusità assoluta (porzione non ricoperta dal polmone).<br />

La delimitazione della porzione sinistra non si fa Bisognerebbe comunque farla a raggiera.<br />

La delimitazione della porzione destra può invece avere la sua utilità Il cuore si ferma a livello dello<br />

sterno e quindi non si dovrebbe sentire ottusità a destra dello sterno. Si valuta l’angolo epato‐cardiaco che<br />

è l’angolo di 90° formato dalla linea che delimita il polmone destro dal fegato (valutata con il dito<br />

orizzontalmente) e la linea tra il polmone destro e lo sterno (valutata con il dito verticalmente). L’angolo<br />

dovrebbe avere un suono chiaro. Se è ottuso è probabile che il cuore sia ingrossato e che si sia intromesso.<br />

In questo caso l’angolo sarà ottuso e non più retto.<br />

ASCOLTAZIONE<br />

Il paziente deve essere supino, meglio se inclinato di 30°. Come sempre ci si pone alla destra del paziente.<br />

La aree da auscultare sono 5:<br />

• Aortica II° spazio intercostale destro sulla linea margino‐sternale<br />

• Polmonare II° spazio intercostale sinistro sulla linea margino‐sternale<br />

• Tricuspide V° spazio intercostale sinistro sulla margino sternale<br />

• Mitrale V° spazio intercostale sinistro sulla emiclaveare (a livello dell’itto della punta)<br />

• Seconda aortica IV° spazio intercostale sinistro sulla margino‐sternale.<br />

Sono aree di proiezione delle valvole e sono quindi diverse dalle aree anatomiche che corrispondono alle<br />

valvole. Sono aree e quindi sono abbastanza grandi e si può ricercare il punto in cui si sente meglio.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Si può iniziare da dove si vuole, non c’è una regola precisa. Alcuni preferiscono iniziare dalla base del cuore<br />

e quindi proseguire verso il basso, altri iniziano dall’itto e proseguono verso l’alto. La cosa importante è non<br />

saltare da una parte all’altra ma proseguire con ordine.<br />

Con l’ascoltazione si percepiscono:<br />

Rumori di chiusura valvolare (S1 e S2) Si deve:<br />

o Identificare S1 e S2<br />

o Caratterizzare S1 e S2<br />

o Identificare la sistole e la diastole Si effettua grazie al polso periferico. La sistole è tra S1<br />

ed S2, mentre la diastole tra S2 ed S1. Si solito la sistole è più breve della diastole.<br />

Sono suoni di chiusura valvolare, in particolare:<br />

o S1 Corrisponde alla chiusura della valvola mitralica e tricuspide. Corrisponde inoltre<br />

anche all’inizio della contrazione del ventricolo sinistro, all’eiezione nei grossi vasi e<br />

all’accelerazione del sangue.<br />

o S2 Corrisponde alla chiusura delle valvole aortica e polmonare. In realtà la chiusura delle<br />

due valvole non è perfettamente sincrona. Essendo la pausa molto breve si sente però un<br />

tono unico. Fisiologicamente si sente lo sdoppiamento del secondo tono nella fase<br />

inspiratoria (facendo un profondo inspirio e trattenendo). Nella fase espiratoria lo<br />

sdoppiamento scompare. Quando invece avviene il contrario si parla di paradosso. Viene<br />

invece detto fisso quando lo sdoppiamento è presente sia in fase inspiratoria che in fase<br />

espiratoria.<br />

Toni aggiunti Sono toni a bassa frequenza di difficile ascoltazione e possono essere molto vicini:<br />

o S3 È fisiologico nei pazienti giovani (18‐25 anni). È definito proto diastolico perché è<br />

presente all’inizio della diastole. È legato alla fase di riempimento rapido dei ventricoli.<br />

o S4 Compare poco prima del primo tono e rappresenta la sistole atriale. Quando compare<br />

segnala la presenza di qualcosa di patologico.<br />

L’ascoltazione di un cuore con i toni aggiunti da una sensazione di galoppo.<br />

Clicks Sono toni sistolici. Sono di 4 tipi:<br />

o Aortico È vicino al primo tono e si sente meglio nell’area mitrale<br />

o Polmonare È vicino al primo tono e si sente meglio nell’area polmonare. Si percepisce<br />

meglio nell’espirazione.<br />

o Tricuspidale È più vicino al secondo tono e si sente meglio nell’area tricuspide. Si<br />

percepisce meglio nell’inspirazione e quando il paziente è in piedi.<br />

o Mitrale È circa a metà tra i due toni, un po’ più vicino al secondo. Si sente meglio<br />

nell’area mitralica, in inspirazione e con il paziente in piedi.<br />

Schiocco d’apertura Sono toni diastolici (tra S2 e S3) dovuti all’apertura delle valvole:<br />

o Mitralica Si sente quando la mitralica è stenotica e quindi essendo più consistente fa<br />

rumore quando si apre. Si sente meglio in espirio e con il paziente in decubito laterale<br />

sinistro o sotto sforzo.<br />

o Tricuspide Si senta quando la tricuspide è stenotica. Si sente meglio in inspirio e a<br />

paziente seduto.<br />

Soffi Compaiono quanto il flusso da laminare (in cui non si sente nulla) diventa turbolento.<br />

Bisogna indicare:<br />

o Sede Bisogna indicare l’area in cui si percepisce.<br />

o Tempo di comparsa Possono comparire in sistole o in diastole. Per percepirlo bisogna<br />

avere il polso periferico. Si possono quindi classificare in:<br />

Olo Quando occupa quasi tutta la fase<br />

Proto Quando occupa la prima parte della fase<br />

Meso Quando occupa la porzione intermedia della fase<br />

Tele Quando occupa la porzione finale della fase Si può indicare anche come<br />

Pre seguito dalla fase successiva.<br />

20


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Nelle patologie con pervietà del dotto di Botallo ci possono essere dei soffi che si<br />

sovrappongono a S2 e che quindi occupano entrambi le fasi Vengono detti sisto‐<br />

diastolico (o continuo ma meglio non utilizzare questo termine per non fare confusione).<br />

o Tipo Il soffio può essere:<br />

Continuo<br />

Crescendo<br />

Calando<br />

Crescendo‐calando<br />

Calando‐crescendo.<br />

o Timbro Può essere ad alta o bassa frequenza.<br />

o Intensità Si usa una scala in sesti.<br />

1/6 Molto debole e non sempre percepibile in tutte le posizioni<br />

2/6 Debole ma non difficile da sentire<br />

3/6 Moderatamente forte<br />

4/6 Forte più o meno come un thrill<br />

5/6 Molto più forte di un thrill<br />

6/6 Percepibile anche senza fonendoscopio.<br />

o Irradiazione Possono irradiarsi lungo il percorso del sangue. La mitrale può arrivare fino<br />

all’ascella.<br />

o Modificazione con i vari decubiti I tre classici decubiti sono supino, seduto (inclinato in<br />

avanti) e laterale sinistro.<br />

Si ha quindi:<br />

‐ Stenosi mitralica È un soffio olo‐diastolico calando‐crescendo. C’è una piccola pausa tra<br />

S2 e l’inizio del soffio. I vecchi testi lo chiamano anche “rullio”. Si sente meglio nel decubito<br />

supino e si accentua con lo sforzo. Quello della stenosi della tricuspide è uguale.<br />

‐ Insufficienza mitralica È un soffio olo‐sistolico continuo dovuto al fatto che durante la<br />

sistole il sangue passa attraverso la valvola. Si sente bene in decubito supino e si accentua<br />

con lo sforzo. Quello della insufficienza della tricuspide è uguale.<br />

‐ Stenosi aortica È un soffio olo‐sistolico crescendo‐calando con una piccola pausa dopo<br />

S1. Si sente meglio in espirazione e con il paziente seduto.<br />

‐ Insufficienza aortica È un soffio proto‐ e meso‐diastolico calando. Si sente meglio in<br />

espirazione e con paziente seduto.<br />

‐ Dotto di Botallo È crescendo‐calando e nelle fasi modeste si sovrappone a S2.<br />

Sfregamenti pericardici Sono dovuti ai foglietti pericardici. Sono superficiali, raspanti. Sono<br />

variabili:<br />

o Da un ciclo all’altro<br />

o Con compressione esercitata dal fonendoscopio<br />

o Con la posizione del paziente<br />

o Con il passare dei giorni.<br />

Non si irradiano e non sono rigorosamente o solo in sistole o solo in diastole.<br />

GRAFICAZIONE<br />

‐ Se S1 o S2 sono aumentati si aggiunge una + sopra alla barra<br />

‐ Se S1 o S2 sono diminuiti si aggiunge un – sopra alla barra<br />

‐ Se S2 è sdoppiato si aggiunge una seconda barretta<br />

‐ Se c’è un soffio si aggiunge con le caratteristiche con cui si presenta<br />

‐ Toni aggiunti Si aggiungono barrette nelle posizioni in cui si sentono<br />

‐ Clicks Si aggiungono come barrette nelle varie posizioni.<br />

BOTTOSSO STEFANO<br />

21


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

I segni vitali sono:<br />

‐ Polso arterioso<br />

‐ Pressione arteriosa<br />

‐ Respiro<br />

‐ Febbre<br />

SEGNI VITALI<br />

POLSO ARTERIOSO<br />

È un esame a basso costo ma a grande resa perché mi da molte informazioni sul sistema circolatorio. È il<br />

primo approccio con il malato dopo l’anamnesi.<br />

Definizione Variazione pressoria corrispondente all’onda sfigmica generata dalla sistole cardiaca,<br />

trasmessa nel sistema vascolare e percepibile sui vasi periferici sotto forma di “pulsazione”.<br />

L’onda sfigmica presenta una porzione ascendente detta “anacrota”, un plateau e una porzione<br />

discendente della “catacrota”. Nel mezzo della porzione discendente c’è l’incisura dicrota con una piccola<br />

onda dicrota che non viene percepita. Rappresenta la chiusura delle valvole semilunari.<br />

La sistole corrisponde al piede dell’onda (primo tono), mentre<br />

la diastole corrisponde all’incisura e all’onda dicrota (secondo<br />

tono).<br />

Il punto di acme dell’onda rappresenta la pressione arteriosa<br />

sistolica, mentre il piede dell’onda la pressione diastolica. La<br />

differenza rappresenta la pressione differenziale.<br />

Vi sarà pertanto un ritardo fra battito cardiaco centrale che<br />

Polso dicrotoCondizione frequente<br />

negli ammalati infettivi acuti, negli<br />

anemici e nella ipotensione arteriosa:<br />

l’ipotonia delle pareti arteriose rende<br />

infatti più facile la diffusione centrifuga<br />

di questa onda di rimbalzo.<br />

coincide con la contrazione ventricolare e battito del polso dovuto al tempo impiegato dall’onda sfigmica<br />

per raggiungere l’arteria esplorata.<br />

Le caratteristiche del polso dipendono da:<br />

‐ Gittata cardiaca<br />

‐ Pressione sistolica<br />

‐ Pressione diastolica<br />

‐ Elasticità dell’aorta e delle grandi arterie<br />

‐ Resistenze periferiche<br />

‐ Volume ematico<br />

‐ Viscosità ematica.<br />

Le sedi in cui si può percepire il polso arterioso sono:<br />

o Radiale<br />

o Carotideo Si trova anteriormente al muscolo sternocleidomastoideo e sotto all’angolo<br />

mandibolare.<br />

o Brachiale Medialmente a livello del gomito.<br />

o Femorale<br />

o Popliteo<br />

o Dorsale del piede<br />

o Tibiale posteriore Sotto al malleolo.<br />

o Temporale È patologico e indica l’arterite temporale di Horton.<br />

Mi da informazioni su:<br />

‐ Energia contrattile del miocardio<br />

‐ Gittata cardiaca<br />

‐ Frequenza<br />

‐ Volemia<br />

‐ Pervietà delle arterie<br />

‐ Stato anatomico dei vasi.<br />

1


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Tecnica di palpazione del polso radiale L’analisi del polso arterioso si compie palpando con i polpastrelli<br />

del 2°, 3° e 4° dito della mano destra l’arteria radiale sinistra e con la mano sinistra l’arteria radiale destra al<br />

di sopra dell’apofisi stiloide del radio.<br />

CARATTERISTICHE DEL POLSO:<br />

FREQUENZA<br />

Si stabilisce contando il numero delle pulsazioni in un minuto primo. Bisogna ricordare che:<br />

‐ Nell’adulto Si aggira tra le 60 e 80 pulsazioni/min con valori di 5‐10 battiti superiori nella donna<br />

rispetto all’uomo e nei soggetti longilinei rispetto ai brevilinei.<br />

‐ Nel lattante 130‐140/min<br />

‐ Nel bambino 90‐100/min<br />

Il rilievo della frequenza deve tener conto delle seguenti varianti:<br />

o Emozioni<br />

o Esercizio fisico<br />

o Posizione eretta<br />

o Pasti (incrementi di 10‐20 b/min)<br />

o Sonno.<br />

Si definisce:<br />

‐ Tachisfigmia Frequenza maggiore di 80 pulsazione al minuto Le principali cause possono<br />

essere:<br />

o Febbre (aumenta di 10 battiti ogni grado)<br />

o Ipertiroidismo<br />

o Embolia polmonare<br />

o Miocarditi, pericarditi, insufficienza cardiaca<br />

o Tachicardia parossistica La frequenza raggiunge i 150 battiti/min. In questo caso il rilievo<br />

del polso è patognomonico. I segni di conferma sono l’esordio improvviso e la brusca<br />

cessazione della tachicardia.<br />

‐ Bradisfigmia Frequenza minore di 60 pulsazioni al minuto. Le possibili cause sono:<br />

o Stimolazione del vago:<br />

In via meccanica Per esempio nella sindrome di ipertensione endocranica<br />

In via riflessa Per esempio nella stimolazione del seno carotideo<br />

In via umorale Per esempio nell’ittero occlusivo e nell’avvelenamento da digitale.<br />

o Shock<br />

o Disturbi di conduzione seno‐atriale e atrio‐ventricolare.<br />

Comunque bradicardia e bradisfigmia non sono sinonimi. Quando le pulsazioni non vengono tutte<br />

trasmesse alla periferia il numero dei battiti è normale a livello del cuore mentre è ridotto a livello<br />

del polso (viene detto deficit di polso). Una bradisfigmia per deficit di polso si ha nel bigeminismo<br />

extrasistolico quando le extrasistoli sono così deboli da non terminare una efficiente contrazione<br />

ventricolare.<br />

RITMO<br />

Il polso si definisce ritmico quando gli intervalli fra le singole pulsazioni sono costantemente della stessa<br />

durata. Talvolta il polso può apparire ritmico anche in condizioni di aritmia cardiaca, ad esempio nel flutter<br />

atriale a conduzione regolare o nella dissociazione atrio‐ventricolare completa.<br />

Fra le più comuni aritmie del ritmo del polso va ricordata l’aritmia respiratoria che si manifesta con lieve<br />

incremento della frequenza durante l’inspirazione ed una lieve diminuzione di frequenza durante<br />

l’espirazione. Questa aritmia scompare in apnea ed è benigno. È più frequente nei bambini rispetto agli<br />

adulti.<br />

Le alterazioni elementari del ritmo cardiaco percepibili al polso sono:<br />

• Intermittenza È una pausa inaspettata nel corso di una normale successione di battiti che<br />

equivale per lo più al doppio di un normale ciclo cardiaco. Può essere dovuta a:<br />

2


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Momentaneo arresto del battito ventricolare Per esempio nel blocco seno‐atriale, nel<br />

blocco atrioventricolare tipo Luciani‐Wenckeback, nel blocco una‐tantum di un impulso a<br />

livello sinusale o atri‐ventricolare.<br />

o Extrasistole Non riesce a forzare le valvole semilunari aortiche e pertanto si esaurisce a<br />

livello del cuore senza dare un apprezzabile effetto alla periferia. Solo la contemporanea<br />

ascoltazione cardiaca potrà documentare una simile evenienza.<br />

• Battito prematuro Pulsazione anticipata sulla normale sequenza dei battiti che indica<br />

l’insorgenza di una extrasistole. È percepito al polso in un lieve ritardo rispetto ai corrispondenti<br />

fenomeni acustici cardiaci ed è seguito, salvo rare eccezioni (per esempio nell’extrasistole<br />

interpolata), da un intervallo diastolico maggiore rispetto a quello che separa i battiti normali.<br />

Polso alloritmico Polso caratterizzato da una particolare cadenza nella successione delle<br />

irregolarità dei battiti:<br />

o Polso bigemino Battito prematuro per ogni sistole normale<br />

o Polso trigemino Battito prematuro ogni due battiti normali<br />

o Polso quadrigemino Battito prematuro ogni tra battiti normali.<br />

Una accurata valutazione comparativa del polso e del battito cardiaco centrale consente la<br />

diagnosi.<br />

• Aritmia totale Il polso è caratterizzato da una successione di battiti assolutamente irregolare, il<br />

più delle volte a frequenza elevata (tachiaritmia), altre volte a bassa frequenza (bradiaritmia).<br />

L’irregolarità non si limita alla successione dei battiti ma comprende una evidente disuguaglianza. È<br />

generalmente dovuta a fibrillazione atriale o a extrasistolia multifocale.<br />

UGUAGLIANZA<br />

Quando tutte le pulsazioni hanno la stessa ampiezza il polso si dice uguale. Il termine disuguale definisce<br />

invece una condizione nella quale si rilevano pulsazioni di diversa ampiezza.<br />

Un tipico polso disuguale è il così detto polso alternante caratterizzato da battiti ritmici, alternativamente<br />

più ampi e meno ampi. Non sempre l’alternanza meccanica del battito cardiaco emerge come alternanza<br />

del polso. Quasi sempre però è possibile accertarla nel corso della misurazione della pressione con metodo<br />

ascoltatorio. Se la pressione sistolica varia entro un intervallo superiore a 20mmHg il polso alternante può<br />

essere apprezzato anche mediante palpazione di un polso periferico.<br />

Il polso alternante è un reperto non molto frequente ma molto significativo: dichiara una grave alterazione<br />

dell’energia contrattile del miocardio quale si può osservare nell’infarto del miocardio, nelle miocarditi,<br />

nella cardiopatia ipertensiva. L’alternanza si potrebbe spiegare invocando la legge di Maestrini‐Starling: il<br />

battito più forte sarebbe dovuto al maggiore carico diastolico che consegue alla precedente sistole<br />

insufficiente.<br />

Il polso alternante deve essere distinto dal polso bigemino (extrasistolico). In quest’ultimo l’intervallo fra la<br />

pulsazione più forte e quella più debole (extrasistolica) è sempre costantemente più breve di quella<br />

seguente (detta pausa compensatoria).<br />

È chiaro che una disuguaglianza si può avere sia nei battiti prematuri sia dopo una intermittenza come in<br />

tutte le aritmie cardiache.<br />

Polso paradosso di Kussmaul (detto anche Pulsus Inspiratione Intermittens) Polso disuguale<br />

caratterizzato da cicliche variazioni di ampiezza in rapporto con gli atti del respiro. In particolare consiste<br />

nella caduta della pressione sistolica durante l’inspirazione. Poiché soggetti normali possono avere nella<br />

inspirazione una diminuzione della pressione sistolica di 5‐10mmHg, per definizione il polso è paradosso<br />

quando la caduta è di 20‐40mmHg.<br />

Meccanismo Durante l’inspirazione aumenta il ritorno venoso al cuore destro sia nel soggetto normale,<br />

sia nei soggetti con tamponamento cardiaco. Durante l’inspirazione, inoltre, aumenta la capacità delle vene<br />

polmonari, con sequestro vascolare polmonare (“pooling”) di sangue. Il risultato netto di questi due effetti<br />

è una riduzione del ritorno di sangue al cuore sinistro, con relativa diminuzione della gittata sinistra e<br />

caduta della pressione arteriosa sistolica. Le principali manifestazioni del polso paradosso sono quindi<br />

dovute a manifestazioni del cuore destro. Gli effetti di queste modificazioni, tuttavia, vengono ritardati<br />

3


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

durante il passaggio attraverso i vasi polmonari che si dilatano e l’ampiezza del volume della gittata sinistra<br />

ritarda di uno‐due battiti rispetto a quella della gittata ventricolare destra.<br />

Le possibili cause di polso paradosso sono:<br />

‐ Asma bronchiale<br />

‐ Enfisema polmonare grave<br />

‐ Versamento pericardico.<br />

AMPIEZZA<br />

Per ampiezza del polso si intende il maggiore o minore grado di espansione dell’arteria sotto l’onda di<br />

pressione. L’ampiezza del polso normale dipende da:<br />

‐ Contrazione ventricolare<br />

‐ Massa sanguigna circolante<br />

‐ Elasticità e tono della parete arteriosa.<br />

Polso ampio (pulsus magnus) Si realizza:<br />

• Nell’ipertrofia ventricolare sinistra in perfetto compenso (insufficienza aortica, ipertensione<br />

arteriosa)<br />

• Nella bradicardia come conseguenza di un più completo riempimento ventricolare per<br />

l’allungamento della diastole (polso solenne del blocco atrio‐ventricolare è dovuto alla particolare<br />

ampiezza associata alla bradicardia).<br />

• Nelle pletore in conseguenza dell’ipervolemia<br />

• Negli sforzi fisici o durante le emozioni.<br />

Polso piccolo (pulsus parvus) Si indica come una riduzione di ampiezza dell’onda sfigmica che può essere<br />

espressione di:<br />

• Deficienze della gittata sistolica Caso delle tachicardie parossistiche della stenosi mitralica e delle<br />

pericarditi<br />

• Debole contrazione miocardica in corso di miocardite e infarti cardiaci<br />

• Ipovolemia Caso delle emorragie acute e dello shock (il polso può diventare assai piccolo e<br />

filiforme).<br />

TENSIONE<br />

È in rapporto con la pressione che è presente all’interno del vaso arterioso che si palpa. Si valuta con il<br />

polpastrello del dito anulare una compressione sull’arteria radiale e si accerta con l’indice e il medio<br />

quando l’onda sfigmica scompare: maggiore sarà la compressione necessaria a che l’onda sfigmica<br />

scompaia, maggiore sarà la pressione arteriosa sempre che sia normalmente conservata la struttura<br />

elastica della parete (in questa valutazione interferiscono anche l’elasticità della parete arteriosa ed il suo<br />

tono).<br />

• Polso teso Indice di ipertensione arteriosa Nelle ipertensioni arteriose maligne il polso<br />

arterioso piccolo e teso darà la sensazione palpatoria di un filo di ferro (polso a filo di fero).<br />

• Polso molle Indice di ipotensione arteriosa Frequentemente è dicroto.<br />

L’ampiezza e la tensione del polso opportunamente integrate sono i criteri più importanti per giudicare dal<br />

polso la validità della efficienza della contrazione cardiaca.<br />

Polso piccolo e molle Esprime una grave compromissione della efficienza contrattile del<br />

miocardio o comunque della portata circolatoria; nei casi più gravi assumerà le caratteristiche del<br />

polso filiforme.<br />

Polso piccolo e teso Si osserva nelle gravi ipertensioni arteriose ed indica una scarsa possibilità di<br />

espandersi della parete arteriosa sotto l’onda di pressione.<br />

CONSISTENZA<br />

Esprime le condizioni anatomiche della parete vasale. Diviene consistente, dura per alterazioni sclerotiche<br />

che ne causano indurimento, allungamento e tortuosità e quindi oppone resistenza alla compressione<br />

digitale. Si può quindi parlare di:<br />

4


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Polso duro Quando la parete vasale sclerotica e calcifica oppone resistenza alla compressione<br />

digitale pur essendo normale la pressione arteriosa.<br />

• Arteria a trachea di pollo Nel caso di aterosclerosi avanzata, facendo scorrete le dita leggermente<br />

sul vaso, talora si possono apprezzare delle piccole calcificazioni circolari rilevabili anche<br />

radiologicamente (esempio radiografico diretto), che danno la sensazione della trachea di pollo.<br />

DURATA<br />

Indica il tempo in cui si realizza la salita e la discesa dell’onda sfigmica o in altre parole il tempo che<br />

intercorre fra l’inizio dell’anacrote e la fine della catacrote. Questo carattere può essere agevolmente<br />

accertato sullo sfigmogramma periferico, ma può essere riconosciuto alla palpazione da un medico attento<br />

ed esercitato.<br />

• Polso celere La durata del polso è accorciata per:<br />

o Svuotamento ventricolare eccessivamente rapido<br />

o Diminuzione delle resistenze periferiche<br />

o Insufficienza aortica (polso di Corrigan) È dovuto alla energica e rapida contrazione<br />

ventricolare (che rende breve l’anacrote) ed al reflusso aorto‐ventricolare proto‐diastolico<br />

che rende breve la catacrote. Il polso di Corrigan viene anche definito “a colpo d’ariete” per<br />

l’urto improvviso che determina a cui segue una altrettanto rapida depressione.<br />

o Stati febbrili<br />

o Malattia di Basedow<br />

o Nevrosi.<br />

• Polso tardo La durata del polso è prolungata per stenosi aortica In questa condizione il polso<br />

tardo è dovuto al lento e difficile svuotamento del ventricolo sinistro per l’ostacolo infundibolare<br />

od ostiale. Il difficile scarico del sangue dal ventricolo sinistro può determinare anacronismo del<br />

polso, cioè la comparsa di una incisura sulla branca ascendente dell’onde sfigmica, dopo la quale<br />

più lentamente viene raggiunto l’acme dello sfigmogramma.<br />

• Polso piccolo e tardo Caratteristico della stenosi aortica grave. Nella stenoinsufficienza aortica<br />

può essere evidenziato il polso “bispheriens”, va però precisato che più spesso il polso è normale. Il<br />

polso “bispheriens” può essere meglio identificato palpando la carotide. Questa pulsazione è<br />

caratterizzata da due picchi principali. Il primo è denominato onda di percussione e il secondo onda<br />

di reflusso. Anche se il meccanismo non è chiaro si pensa che il primo picco rappresenti la pressione<br />

del polso mentre la seconda onda sistolica sia dovuta al rimbalzo delle oscillazioni della parete<br />

arteriosa alla periferia.<br />

SIMMETRIA E/O SINCRONIA<br />

Va valutata tra due polsi omologhi. Una asimmetria tra i due polsi radiali suggerisce:<br />

‐ Anomalia di decorso di una arteria radiale<br />

‐ Ostruzione a monte per processo aterosclerotici o embolici<br />

‐ Anomali dell’arco aortico per malattie congenite o acquisite<br />

‐ Presenza di costa cervicale o di sindrome dello scaleno.<br />

I polsi femorali vanno sempre esaminati entrambi sia per quanto riguarda l’ampiezza che per il tempo di<br />

arrivo della pulsazione in rapporto a quello radiale.<br />

Polso bifido Si definisce polso bifido o a due punte o a due battiti quello in cui si possono palpare due<br />

onde sfigmiche per ogni ciclo cardiaco. La prima elevazione viene definita onda di percussione e la seconda<br />

onda di trasmissione o di marea. La pulsazione aggiunta può essere palpabile:<br />

• Durante la sistole:<br />

o Polso Bisferiens Può essere palpato più facilmente a livello dell’arteria carotide. Può<br />

essere riscontrato nelle condizioni in cui una gittata sistolica elevata è espulsa rapidamente<br />

in pazienti con:<br />

Stenoinsufficienza aortica<br />

Insufficienza aortica apparentemente pura<br />

5


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva<br />

Attività fisica forse.<br />

o Polso anacroto Talora nella stenosi aortica severa si riscontra un polso carotideo con due<br />

punte sistoliche per la presenza di una incisura molto marcata sulla branca ascendente<br />

(incisura anacrota). È tuttavia raro che la parte iniziale del polso venga palpato come onda<br />

separata. Quanto più l’incisura anacrota è vicina a piede del polso, tanto più grave sarebbe<br />

la stenosi e tanto più marcato il gradiente transvalvolare aortico.<br />

Ci sono due possibili spiegazioni:<br />

Onda anacrota sarebbe un’onda di rimbalzo legata alla distensione rapida della<br />

parete vascolare aortica; sotto l’impulso dell’onda sfigmica si creerebbe infatti una<br />

specie di fenomeno di vuoto con reflusso di sangue verso le semilunari aortiche.<br />

Il primo picco dell’onda anacrota sarebbe dovuto all’onda di percussione della<br />

sistole ventricolare, trasmessa attraverso la valvola al sangue aortico e il secondo<br />

picco sarebbe invece prodotto dal getto rallentato di sangue che fluisce attraverso<br />

l’ostio valvolare stenotico.<br />

• Durante la diastole:<br />

o Polso dicroto È caratterizzato dalla presenza di una seconda elevazione che compare<br />

nella diastole, dopo il II° tono e che è prodotta dalla accentuazione della incisura dicrota e<br />

dell’onda dicrota normali. La diagnosi differenziale con il polso bisferiens può essere risolta<br />

esercitando con il dito una forte pressione sul polso: se si tratto di un polso dicroto, la<br />

seconda sommità (diastolica) viene cancellata<br />

o Se si tratta di un polso bisferens la seconda sommità (sistolica) viene accelerata.<br />

RESPIRO<br />

La funzione respiratoria ha lo scopo di far giungere alle cellule l’ossigeno necessario e di allontanare<br />

l’anidride carbonica. Comprende:<br />

‐ Una fase polmonare L’aria espirata nell’albero respiratorio raggiunge l’alveolo respiratorio e<br />

l’ossigeno in essa contenuto viene trasferito ai globuli rossi del sangue.<br />

‐ Una fase ematica Durante la quale l’ossigeno viene trasportato dai globuli rossi ai tessuti<br />

‐ Una fase tessutale Inizia con gli scambi gassosi fra sangue e tessuti e comprende i processi<br />

ossido‐riduttivi cellulari.<br />

La respirazione in condizioni normali consta di movimenti anatomici di inspirazione e di espirazione. La<br />

meccanica di questi movimenti richiede, talvolta, l’intervento di muscoli accessori inspiratori<br />

(sternocleidomastoideo e scaleni) o espiratori (addominali) ma in genere si svolge in maniera relativamente<br />

armonica e costante.<br />

Il rapporto tra espirazione ed inspirazione è di 2:1. L’espirazione è seguita dalla pausa di apnea, è passiva e<br />

la retrazione polmonare, associata e conseguente, determina la depressione di Donders, cioè la pressione<br />

negativa in cavità pleurica.<br />

L’atto del respiro comprende quindi due fasi:<br />

‐ Inspirazione Sostenuta dalla contrazione dei muscoli intercostali e del diaframma, che provoca<br />

un aumento del volume del cavo toracico; il polmone attratto dalla pressione negativa<br />

endopleurica si espande seguendo i movimenti della gabbia toracica e l’aria atmosferica viene così<br />

aspirata entro l’albero respiratorio. Si tratta di una fase attiva che tuttavia si compie<br />

involontariamente.<br />

‐ Espirazione Condizionata dal rilasciamento dei muscoli inspiratori con conseguente diminuzione<br />

di ampiezza del cavo toracico e della pressione negativa endopleurica; il polmone non più attratto<br />

dalla pressione negativa endopleurica, per la sua elasticità si retrae. Si tratta di una fase passiva che<br />

nella respirazione normale non richiede l’intervento dei muscoli espiratori.<br />

CARATTERISTICHE DEL RESPIRO<br />

6


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

TIPO<br />

Si distingue:<br />

• Respirazione di tipo costale o toracico Tipica delle donne e dei bambini. In questo tipo di respiro<br />

prevalendo l’azione dei muscoli intercostale e degli elevatori delle costole si muove soprattutto la<br />

parte superiore della gabbia toracica, l’addome restando quasi sempre immobile.<br />

• Respirazione di tipo addominale o diaframmatica In questo tipo di respirazione è il diaframma il<br />

muscolo maggiormente interessato. È il tipo di respiro che si osserva nell’uomo.<br />

La componente costale diventa prevalente sia nell’uomo che nella donna allorché si ha un aumento<br />

volontario o no degli atti della respirazione.<br />

In condizioni patologiche può verificarsi una inversione del tipo di respiro fisiologico nei due sessi:<br />

‐ Nell’uomo si può avere un respiro costale:<br />

o Quando la motilità diaframmatica è ostacolata Pericardite, pleurite, epatosplenomegalia<br />

o Quando aumenta la pressione endoaddominale Ascite, voluminosa neoplasia<br />

addominale, peritonite essudativa.<br />

o In caso di paralisi del diaframma Lesioni del nervo frenico<br />

‐ Nella donna si può avere un respiro addominale:<br />

o Per lesioni polmonari alte nel torace in atteggiamento inspiratorio Enfisema polmonare<br />

o Per lesioni dell’innervazione dei muscoli intercostali o anchilosi delle articolazioni delle<br />

coste.<br />

Durante i normali atti respiratori non si apprezzano rientramenti inspiratori della parete toracica. Negli<br />

individui magri nella respirazione forzata si può rilevare un rientramento degli ultimi spazi intercostali,<br />

limitatamente alla prima fase dell’inspirazione, in relazione ad un aumento della pressione negativa<br />

intratoracica e al non perfetto sincronismo tra espansione della parete ed espansione del polmone<br />

(fenomeno di Litten patologico quando è omolaterale).<br />

In condizioni patologiche si può avere rientramenti inspiratori:<br />

‐ In regione sopra‐ o sotto‐ clavicolare<br />

‐ Al giugulo<br />

‐ Spazi intercostali bassi Fibrotorace, atelettasia<br />

‐ Epigastrio Stenosi laringotracheale o bronchiale, bronchite spastica, enfisema polmonare.<br />

Profilo respiratorio incrociato di Wenckebach Una riduzione od abolizione del movimento respiratorio in<br />

avanti della parete inferiore dello sterno, dell’epigastrio. Si può avere per aderenza tra la parete sternale e<br />

pericardio (accretio pericardica). Nella respirazione si proietta in avanti soltanto la parte superiore dello<br />

sterno, mentre la parte inferiore e l’epigastrio restano fissi.<br />

FREQUENZA<br />

È in funzione dell’età, sesso, peso corporeo, ecc…<br />

• Tachipenea Aumento della frequenza degli atti ventilatori nell’unità di tempo con riduzione dei<br />

volumi dinamici polmonari (“respiro superficiale”) o con scarsa produzione dei volumi dinamici<br />

polmonari. È secondaria all’ipossiemia comunque verificatasi.<br />

• Bradipnea Riduzione del numero degli atti respiratori al minimo con o senza aumento dei volumi<br />

dinamici polmonari. È in genere sempre dovuta ad un rallentamento dell’attività del centro<br />

bulbare. Evoca in genere danni al sistema nervoso centrale, ipertensione endocranica, meningiti,<br />

intossicazioni esogene (barbiturici, oppio, alcool) ed endogene (uremia, diabete), stati di shock.<br />

• Polipnea Aumento dei volumi dinamici polmonari.<br />

La coordinazione ed integrazione cardiopolmonare si esprime, perifericamente, nel rapporto costante fra la<br />

frequenza del polso ed atti respiratori di 4/1.<br />

VOLUME<br />

Il volume respiratorio esprime la quantità di aria ventilata (volume corrente) di cui 150ml occupano lo<br />

spazio anatomico morto e sono inutilizzati.<br />

7


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Volume corrente La quantità di aria che viene ventilata in un normale atto respiratorio.<br />

Rappresenta pertanto la quantità di aria inspirata durante una respirazione tranquilla. Nel soggetto<br />

normale è di 500ml. Aumenta nello sforzo e nella lieve insufficienza respiratoria.<br />

Ventilazione polmonare Si esprime in lt/min correlando il volume corrente con la frequenza<br />

respiratoria. Con un volume corrente di 500ml ed una frequenza respiratoria di 16 atti/min, la<br />

ventilazione polmonare sarà pari a 8 litri/minuto. A questo equilibrio corrisponde un volume d’aria<br />

nei polmoni e nelle vie aeree detto capacità residua funzionale (CRF).<br />

Volume di riserva inspiratorio (VRI) È la quantità d’aria che può essere introdotta con una<br />

inspirazione forzata; sommando il volume corrente al volume di riserva inspiratoria si ottiene:<br />

Capacità polmonare (CI) Quantità di aria che può essere introdotta nelle vie respiratorie e nei<br />

polmoni mediante una inspirazione massima.<br />

Volume di riserva espiratorio (VRE) Definisce la quantità d’aria che può essere ulteriormente<br />

eliminata mediante un’espirazione forzata.<br />

Volume residuo (VR) Quantità d’aria che dopo l’espirazione massima all’interno degli alveoli e<br />

delle vie aeree è il volume residuo e rappresenta la quota d’aria non ulteriormente ventilabile.<br />

Capacità vitale (CV) Volume d’aria eliminato durante un ciclo ventilatorio massimo, cioè<br />

mediante un’espirazione forzata preceduta da un’inspirazione massima rappresenta la capacità<br />

vitale ed è la somma tra la capacità inspiratoria (CI) e il volume di riserva espiratoria (VRE).<br />

Capacità polmonare totale (CPT) Capacità vitale con aggiunto il volume residuo. È la massima<br />

quantità d’aria che può essere contenuta nelle vie aeree e negli alveoli.<br />

Tra le indagini atte a valutare la meccanica respiratoria, particolarmente per ciò che concerne la pervietà<br />

bronchiale e l’elasticità toraco‐polmonare, molto utile è la prova di espirazione forzata di Tiffenau‐Pinelli<br />

che permette il calcolo della capacità vitale e il volume espiratorio massimo secondo (VEMS). Il VEMS<br />

rappresenta il volume massimo d’aria che può essere emessa mediante un’espirazione forzata massima<br />

successiva ad una inspirazione forzata. Una volta calcolato il VEMS viene rapportato alla capacità vitale<br />

onde trarne il valore percentuale. L’indice di Tiffenau è quindi uguale a VEMS/CV per 100. I valori normali<br />

sono 70‐80%.<br />

RITMO<br />

Il ritmo respiratorio è tipicamente e regolarmente intervallato da periodi di apnea di durata costante.<br />

Normalmente esso consta di 4 tempi:<br />

• Inspirazione<br />

• Brevissima pausa inspiratoria<br />

• Espirazione<br />

• Pausa respiratoria (apnea) che dura 1/5 della durata totale dell’atto respiratorio.<br />

Respiri patologici:<br />

‐ Respiro di Cheyne‐Stokes Caratterizzato dal progressivo incremento di ampiezza degli atti<br />

respiratori seguita da una progressiva diminuzione di ampiezza degli stessi e poi da un intervallo di<br />

apnea; dopo il periodo di apnea l’accumulo nel sangue di CO2 riesce a stimolare nuovamente<br />

l’inspirazione. È un fenomeno fisiologico durante il sonno REM, ma al di fuori di questa evenienza è<br />

riconducibile ad una diminuita eccitabilità del centro respiratorio da una danno cerebrale.<br />

Cause:<br />

o In condizioni che ritardano il trasporto dei gas dai polmoni all’encefalo come l’insufficienza<br />

cardiaca grave<br />

o Lesioni cerebrali diffuse<br />

o Intossicazione da oppiacei.<br />

‐ Respiro di Kussmaul Caratterizzato da una profonda e rumorosa inspirazione, da una pausa<br />

inspiratoria, da una espirazione breve e da una pausa espiratoria assai prolungata. È caratteristico<br />

di alcuni stati di acidosi.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Respiro di Biot Caratterizzato dal succedersi di periodi di respirazione normale a periodi di apnea.<br />

Esprime una grave sofferenza del centro respiratorio (meningiti, encefaliti, tumori cerebrali, edema<br />

cerebrale) ed ha un significato prognostico altrettanto grave.<br />

‐ Respiro dissociato o atassocinetico di Grocco Dipende da incoordinazione costo‐frenica cioè dal<br />

mancato sincronismo fra la contrazione del diaframma e dei suoi muscoli della parete toracica. È di<br />

prognosi severa perché denuncia un profondo turbamento bulbare.<br />

‐ Respirazione stertorosa Deriva da “stertor” cioè “russare”. È una respirazione rumorosa e spesso<br />

accompagnata da rantoli (rantolo della morte) predittiva di fine imminente.<br />

PRESSIONE ARTERIOSA<br />

I livelli di pressione si possono così dividere:<br />

Pressione Sistolica Pressione Diastolica<br />

Ottimale < 120 < 80<br />

Normale 120 – 129 80 – 84<br />

Normale alta 130 – 139 85 – 89<br />

Ipertensione lieve (grado I) 140 – 159 90 – 99<br />

Ipertensione moderata (grado II) 160 – 179 100 – 109<br />

Ipertensione severa (grado III) > 180 > 110<br />

Sistolica isolata > 140 < 90<br />

Fa male anche solo la sistolica elevata.<br />

Per misurare la pressione si utilizza lo sfigmomanometro. Ha un bracciale in cui riconosciamo due porzioni:<br />

‐ Porzione esterna<br />

‐ Camera d’aria interna<br />

Si misura la pressione a livello dell’arteria brachiale che è situata medialmente a livello del gomito. Devo<br />

posizionare il bracciale 2‐3cm sopra la piega del gomito e la camera d’aria deve essere sopra all’arteria. Per<br />

questo ci sono tre tipi di bracciale:<br />

‐ Per bambini<br />

‐ Standard<br />

‐ Per i soggetti obesi È allungato perché se è troppo corpo bisogna insufflare più aria falsando<br />

quindi la misurazione.<br />

Il paziente deve rimane a riposo 5 minuti prima della misurazione, deve evitare di parlare prima e dopo la<br />

misurazione e non deve accavallare le gambe, non deve avere la vescica piena, non deve aver appena<br />

fumato, fatto una corsa, mangiato.<br />

Alla prima misurazione bisogna misurarla su entrambe le braccia. Se non ci sono differenze significative,<br />

nelle successive misurazioni si utilizza il braccio destro. Se ci sono delle differenze significative, si utilizza<br />

nelle seguenti misurazioni il braccio con la pressione più alta. Queste differenze sono date da motivazioni<br />

anatomiche.<br />

Per prima cosa bisogna insufflare l’aria nel bracciale e palpare il polso. Quando il polso scompare abbiamo<br />

raggiunto circa la pressione arteriosa sistolica. Ci serve per capire quanto poi bisogna insufflare il bracciale.<br />

Di solito si insuffla 20‐30mmHg in più rispetto alla misurazione del polso.<br />

Si aspetta un minuto e si insuffla tenendo il fonendoscopio sopra l’arteria brachiale (meglio usare la<br />

campana). Raggiunto il livello si fa scendere la colonnina sino all’auscultazione del primo tono di Korotkoff.<br />

Corrisponde alla pressione sistolica. Si continua a far scendere la colonnina finché non si sente più nessun<br />

tono (quinto tono di Korotkoff) e corrisponde alla pressione diastolica.<br />

La pressione diastolica può non essere facilmente distinguibile. In alcuni pazienti si può sentire anche<br />

quando si arriva a 20‐30mmHg che ovviamente è una misurazione falsata. Bisogna quindi valutare il quarto<br />

tono di Korotkoff, che corrisponde all’attenuazione dei toni. Accade in soggetti con vascolopatia.<br />

Lo sfigmomanometro deve essere posizionato all’altezza del cuore per un problema di idraulica. Bisogna<br />

quindi utilizzare un sostegno quando il paziente è seduto. Il paziente deve essere o disteso o seduto. La<br />

9


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

misurazione si può poi rifare con il paziente in piede se si sospetta un’ipotensione ortostatica. Avviene<br />

quando i meccanismi di compenso non funzionano. Si possono avere dei problemi ai barocettori, o una<br />

risposta ad un farmaco.<br />

Possiamo dividere tre tipi di pressione:<br />

• Misura al letto del paziente o in clinica Si ipotizza che sia la stessa pressione per tutto il giorno.<br />

• Registrazione nelle 24 ore Con un registratore la pressione viene misurata ogni 15 minuti<br />

durante il giorno e ogni 20 minuti durante la notte. Si nota così la fisiologica caduta di pressione<br />

durante la notte. Se non accade c’è un rischio aumentato di malattia cardiovascolare. La<br />

registrazione viene fatta per valutare gli effetti di un farmaco.<br />

• Automisurazione a domicilio Spesso elimina l’ansia dovuta alla presenza del medico.<br />

Il valore di pressione va poi messo in relazione con altri fattori di rischio per la malattia cardiovascolare<br />

creando così una “carta di rischio”.<br />

Normale Normale alta Grado I Grado II Grado III<br />

Nessun altro Rischio Rischio Rischio basso Rischio Rischio elevato<br />

fattore normale normale<br />

moderato<br />

1‐2 fattori di Rischio basso Rischio basso Rischio Rischio Rischio molto<br />

rischio<br />

moderato moderato elevato<br />

3 o + fattori di Rischio Rischio elevato Rischio molto Rischio molto Rischio molto<br />

rischio moderato<br />

elevato elevato elevato<br />

Co‐morbilità Rischio elevato Rischio molto Rischio molto Rischio molto Rischio molto<br />

elevato elevato elevato elevato<br />

I fattori di rischio sono:<br />

o Età Uomini sopra i 55 anni, donne sopra i 65.<br />

o Abitudine al fumo<br />

o Dislipidemia Colesterolo totale >250mg/dl, LDL>155mg/dl, HDL 102cm, nelle donne >88cm<br />

o PCR Maggiore di 1mg/dl.<br />

Danno d’organo (TOD) Colpisce:<br />

‐ CuoreIpertrofia ventricolare sinistra<br />

‐ VasiEvidente inspessimento della parete arteriosa o la presenza di placche aterosclerotiche<br />

‐ Cervello<br />

‐ Occhio<br />

‐ Rene Microalbuminuria e lieve incremento della creatinemia.<br />

Il diabete mellito è un fattore che fa aumentare in maniera drammatica il rischio cardiovascolare.<br />

Condizioni cliniche associate:<br />

Malattia cerebrovascolare:<br />

o Ictus ischemico<br />

o Emorragia cerebrale<br />

o Attacco ischemico.<br />

Cardiopatia:<br />

o Infarto miocardico<br />

o Angina<br />

o Procedure di rivascolarizzazione coronarica<br />

o Scompenso cardiaco.<br />

Malattia renale:<br />

o Nefropatia diabetica<br />

o Alterazione della funzionalità renale<br />

o Proteinuria.<br />

Vasculopatia periferica<br />

10


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Retinopatia avanzata:<br />

o Emorragie o essudati<br />

o Papilledema.<br />

TEMPERATURA CORPOREA<br />

L’uomo appartiene agli omeotermi e presenta una temperatura corporea costante, indipendentemente<br />

dalle variazioni termiche ambientali. In realtà nel corso delle 24 ore la temperatura corporea non è<br />

completamente stabile ma oscilla tra:<br />

‐ Valori minimi di circa 36°C al mattino<br />

‐ Valori massimi di circa 37°C alla sera.<br />

La temperatura corporea è mantenuta attraverso meccanismi omeostatici che opportunamente regolano<br />

da un lato la produzione, dall’altro la dispersione del calore endogeno:<br />

• Produzione di calore Portato dell’attività metabolica:<br />

o Del fegato e del tessuto cardiaco a riposo<br />

o Dell’attività dei muscoli scheletrici durante lo sforzo.<br />

• Dispersione di calore Avviene attraverso:<br />

o Cute (90%) Di cui il 70% per irraggiamento ed il 30% per evaporazione legata alla<br />

perspiratio insensibilis.<br />

o Superficie alveolo‐polmonare (10%).<br />

Produzione e dispersione di calore sono governate dal centro termoregolatore situato nell’ipotalamo<br />

anteriore. Esso funge da vero e proprio termostato il cui set‐point assicura il mantenimento della<br />

temperatura con la tolleranza fisiologica già ricordata. Al termocentro giungono informazione dai<br />

termocettori superficiali (cute) e profondi (vasi che per fondono i visceri). Dal termocettore partono stimoli<br />

che attraverso le strutture autonome e somatiche provocano l’adeguata risposta periferica (per esempio<br />

vasodilatazione e sudorazione o vasocostrizione a seconda dei casi).<br />

Bisogna distinguere:<br />

‐ Febbre Elevazione termica legata allo spostamento in alto del set‐point termocentrico. Lo<br />

spostamento è provocato in via mediata dalle citochine pirogene alla cui iperproduzione si giunge<br />

attraverso una catena di eventi innescata da vari stimoli (endotossine di origine batterica,<br />

immunocomplessi, citochine tessutali, ecc…)<br />

‐ IpertermiaElevazione termica da inadeguatezza dei meccanismi omeostatici di fronte ad eventi<br />

fortemente squilibrati (perché inducono eccessiva produzione di calore endogeno o drastica<br />

riduzione della sue dispersione).<br />

IPERTERMIE<br />

• Ipertermie da aumento della produzione di calore:<br />

o Sforzo fisico<br />

o Crisi tireotossica, feocromocitoma<br />

o Ipertermia maligna da anestetici.<br />

• Ipertermie da diminuita dispersione di calore:<br />

o Disidratazione<br />

o Colpo di calore.<br />

• Ipertermie a lesioni ipotalamiche:<br />

o Traumi<br />

o Infezioni<br />

o Danno vascolare<br />

o Tumori.<br />

METODI DI MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA<br />

11


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Ascellare o inguinale Termometro sotto l’ascella o a livello inguinale (valori che oscillano tra 36°C<br />

e 37°C)<br />

Rettale Termometro per un minuto nell’ano (valori di 0,3‐0,5°C maggiori rispetto alle precedenti)<br />

Orale Termometro per un minuto sotto la lingua (valori di 0,3‐0,5°C maggiori rispetto alla<br />

misurazione ascellare o inguinale)<br />

Auricolare Si inserisce la sonda dell’apparecchio computerizzato nell’orecchio e si preme il<br />

pulsato. Risultato immediato.<br />

Le misurazioni orale e rettale hanno dei vantaggi:<br />

‐ Miglior contatto tra bulbo del termometro e mucosa<br />

‐ Maggior aderenza dei valori termometrici alla temperatura interna del corpo.<br />

Ma presenta anche degli svantaggi:<br />

‐ C’è la necessità di un’accurata antisepsi del termometro<br />

‐ Disagio di dover impiegare lo stesso termometro in persone differenti<br />

‐ Possibilità di errori se il paziente ha da poco bevuto una bevanda calda o fredda<br />

‐ Possibilità di far salire dolosamente la colonna mediante movimenti della lingua o dello sfintere<br />

anale.<br />

La febbre può insorgere:<br />

• In maniera subdola In questo caso il paziente riferisce un progressivo senso di calore<br />

• In maniera brusca e drammatica In questo caso può essere preceduta da brivido e freddo. La<br />

cute si presenta pallida e con segni di orripilazione. Dopo 10‐30 minuti la sensazione di freddo si<br />

attenua, compare un intenso calore, la cute diventa rosea, poi rossa, calda al termotatto e si<br />

istituisce un’intensa sudorazione.<br />

Per quanto riguarda l’entità delle febbre, ci si riferisce all’acme e si possono distinguere:<br />

Febbre di lieve entità o febbricola < 38°C<br />

Febbre di media entità Fra 38 e 39°C<br />

Febbre alta Fra 39 e 40°C<br />

Febbre altissima o iperpiressia >40°C.<br />

Il monitoraggio della temperatura corporea nel tempo può essere visualizzato graficamente attraverso la<br />

curva termica. A tal fine è necessario misurare la temperatura ogni 3‐4 ore nel corso del giorno e della<br />

notte. A seconda dell’andamento della curva termica si identificano i seguenti tipi di febbre:<br />

Febbre continua La temperatura si mantiene elevata con oscillazioni che nell’arco delle 24 ore<br />

non sono superiori a 0,5°C<br />

Febbre subcontinua La temperatura si mantiene elevata con oscillazioni che nell’arco delle 24<br />

ore non sono superiori a 1°C<br />

Febbre remittente La temperatura oscilla ampiamente nelle 24 ore di oltre 1°C senza mai<br />

discendere a valori normali<br />

Febbre intermittenti La temperatura oscilla ampiamente nelle 24 ore con valori minimi inferiori a<br />

37°C.<br />

L’andamento della temperatura fra giorni permette ulteriori distinzioni:<br />

Febbri fugaci Perduranti non più di 15‐20 giorni<br />

Febbri persistenti Per definizione superiori alle 2‐3 settimane<br />

Quotidiane<br />

Periodiche (regolari o irregolari).<br />

PARTICOLARI TIPI DI FEBBRE<br />

Febbre ricorrente Caratterizzata da periodi di febbre continua della durata di 3‐4 giorni a rapido esordio<br />

e a rapida scomparsa che si alternano ad intervalli di apiressia della durata di 3‐4 giorni. È tipica della<br />

spirochetosi o febbre ricorrente.<br />

Febbri intermittenti Possono essere:<br />

‐ Biquotidiane Caratterizzate da due accessi febbrili e due cadute della temperatura per crisi nella<br />

24 ore. Si riscontrano nelle sepsi gonococciche e nella Leishmaniosi viscerale<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Di tipo terziario Caratterizzata da accessi febbrili a giorni alterni. Si osserva nella malaria da<br />

Plasmodium Vivax.<br />

‐ Di tipo quartanario Caratterizzata da accessi febbrili separati da due giorni di apiressia. Si osserva<br />

nella malaria da Plasmodium Malariae.<br />

‐ Di tipo quintanario Caratterizzata da accessi febbrili della durata di cinque giorni, separati da tre<br />

giorni di apiressia. Si osserva nella febbre da Rickettsie o quintana.<br />

‐ Di tipo erratico Insorge in maniera imprevedibile in pieno benessere e dura 24 ore o poco più. Si<br />

osserva per lo più in portatori di foci settici bronchiali o nelle cistopieliti croniche.<br />

Febbre ondulante Caratterizzata da fasi di progressivo incremento e di progressivo decremento della<br />

temperatura della durata di una o più settimane. I periodi febbrili sono separati da periodi di apiressia.<br />

Questo tipo di febbre si riscontra con una certa frequenza nella Brucellosi e nel morbo di Hodgkin.<br />

COMPORTAMENTO DELLA CURVA TERMICA<br />

• Ileotipo Prima dell’avvento degli antibiotici, era descritta una caratteristica variazione della<br />

temperatura nei quattro settenari di malattia: fase di incremento, fase di acme o fastigio, periodo<br />

amfibolico o delle grandi escursioni termiche, periodo di decremento.<br />

• Leptospirosi Febbre, continua all’inizio, cade con la comparsa dell’ittero per riprendere 5‐6 giorni<br />

dopo.<br />

• Morbillo Cade con la comparsa dell’esantema e così nel vaiolo, ma in questo riprende nella fase<br />

di pustolazione.<br />

• Scarlattina Si intensifica con la comparsa dell’esantema<br />

• Malattie virali Può presentare un andamento difasico in rapporto ai cicli di sviluppo intracellulare<br />

del virus e alle fasi viremiche (esordio febbrile ‐ defervescenza ‐ ripresa febbrile).<br />

RISOLUZIONE DELLA FEBBRE<br />

Può avvenire:<br />

‐ Per crisi Brusca caduta della temperatura. È quanto succede in conseguenza dell’impiego di<br />

farmaci<br />

‐ Per lisi Lenta e progressiva diminuzione della temperatura.<br />

SINTOMI DI ACCOMPAGNAMENTO<br />

Le febbri si differenziano in rapporto alla maggiore o minore evidenza di alcuni sintomi di<br />

accompagnamento:<br />

Brivido Esso è in rapporto alla rapidità di sviluppo del processo determinante l’iperpiressia. Sarà<br />

particolarmente spiccato nelle sepsi, nei processi suppurativi, nella malaria e nelle emolisi acute.<br />

Sudorazione È generalmente proporzionale alla febbre e costituisce il principale meccanismo di<br />

dispersione del calore. Vi sono febbri particolarmente sudorali come quella della brucellosi, della<br />

tubercolosi florida e della setticemie e febbri scarsamente sudorali come quella dell’ileotifo.<br />

Tachicardia Accompagna sempre la febbre e in tesi generali l’aumento della frequenza del polso<br />

aumenta di 8‐10 pulsazioni per ogni grado centigrado di temperatura. Vi sono però delle condizioni<br />

morbose nelle quali vi è una certa dissociazione rispetto alla temperatura:<br />

o Nell’ileotifo e nell’influenza è frequente riscontrare incrementi della frequenza cardiaca<br />

molto modesti se paragonati alla iperpiressia (con 40°C si arriva a 80‐85 pulsazioni invece<br />

delle 100 che sarebbe lecito aspettarsi)<br />

o Nelle sepsi puerperali, nelle flebiti, l’acceleramento del polso è molto precoce rispetto al<br />

fastigio della temperatura e nettamente superiore a quanto comporterebbe la regola<br />

sopraesposta<br />

o Nelle miocarditi vi sarà anche una dissociazione fra polso e temperatura in vantaggio del<br />

primo.<br />

Cefalea<br />

Delirio Presente soprattutto nelle iperpiressia dei bambini e degli alcolisti ma anche nelle<br />

meningiti e nelle encefaliti per ovvi motivi.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Convulsioni febbrili Presenti soprattutto nelle iperpiressie dei bambini.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO GENERALE<br />

Nell’esame obiettivo generale bisogna valutare i segni vitali e il fenotipo clinico.<br />

Fenotipo clinico:<br />

• Età<br />

• Sesso<br />

• Conformazione somatica e biotipo costituzionale<br />

• Psiche e sensorio<br />

• Facies<br />

• Decubito e atteggiamento<br />

• Stato nutrizionale ed idratazione<br />

• Stato di sanguificazione<br />

• Cute (colorito) e annessi cutanei.<br />

ETÀ<br />

L’età apparente offerta da un paziente con l’esame obiettivo deve essere paragonata all’età anagrafica<br />

ottenuta dall’anamnesi. A volte sono evidenti anacronismi grossolani: ritardi o anticipazioni.<br />

Il rilievo dell’età è importante perché tout court orienta ad una patologia più propria di un dato periodo di<br />

vita.<br />

SESSO<br />

Il sesso di un soggetto deve essere considerato il risultato di una serie di eventi concatenati e complessi che<br />

includono sia la “determinazione del sesso” legata alla fecondazione dell’uovo ed alla combinazione del<br />

corredo cromosomico, della “differenziazione del sesso” influenzata anche da strutture gonadiche.<br />

Distinguiamo quindi:<br />

o Sesso cromosomico Determinato al momento della fecondazione (XX e XY)<br />

o Sesso gonadico Determinato dalla presenza di testicolo/ovaio<br />

o Sesso somatico Risulta da:<br />

o Sesso gonadico o genitale interno<br />

o Sesso genitale esterno o fenotipo<br />

o Caratteri sessuali secondari a comparsa più tardiva.<br />

o Sesso psicologico Percezione intrapsichica dell’identità sessuale ed è legata ad eventi sia pre‐<br />

che post‐ natali.<br />

CONFORMAZIONE SOMATICA<br />

Secondo la classificazione di DeGiovanni si distinguono:<br />

Prima combinazione È caratterizzata dalla prevalenza dei diametri longitudinali su quelli<br />

trasversali. Corrisponde al tipo longilineo. Presenta:<br />

o Collo lungo, costole oblique, scapole alate, arti lunghi.<br />

o Prevalenza dei fenomeni catabolici, maggiore dispersione del calore<br />

o Sono generalmente individui introversi<br />

o Rischi Ulcera duodenale, ipotensione, TBC.<br />

Seconda combinazione Quella entro la quale sono compresi i soggetti a costituzione armonica e<br />

quindi “ideale”. In questi la misura che corrisponde alla massima apertura delle braccia è uguale<br />

alla statura.<br />

Terza combinazione È caratterizzata dalla prevalenza dei diametri trasversali su quelli<br />

longitudinali. Corrisponde al tipo brevilineo. Presenta:<br />

o Collo corto, torace basso ed ampio, addome voluminoso, costole poco oblique, arti brevi<br />

o Prevalenza dei fenomeni anabolici, scarsa dispersione di calore<br />

o Sono individui tenaci con una iperperfusione cortico‐surrenale<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Rischi Diabete, ipertensione, gotta, aterosclerosi.<br />

PSICHE E SENSORIO<br />

Nella pratica clinica il termine “sensorio” viene comunemente impiegato per indicare lo stato di coscienza<br />

del paziente, ossia lo stato delle funzioni concernenti la vita di relazione. Il sensorio si dice integro quando<br />

appare conservato nell’insieme di processi mentali che mantengano ottimale la relazione con l’ambiente<br />

esterno (reattività a stimoli visivi, verbali, tattili, dolorifici, orientamento spazio‐temporale, memoria, …).<br />

Può essere anche definita come lo stato di consapevolezza di se stessi e dell’ambiente che ci circonda.<br />

Il comportamento cosciente è la risultante di:<br />

• Contenuto di coscienza Insieme delle funzioni mentali ed affettive e che è funzione dell’integrità<br />

corticale. I disturbi possono essere:<br />

o Confusione e disorientamento Il paziente può essere perfettamente vigile e persino<br />

collaborare, ma compie errori nella comprensione e nella valutazione del proprio stato e<br />

del proprio ambiente. Si è soliti procedere ad un esame orientato in tre direzioni:<br />

Tempo Si chiede la data attuale: giorno, mese e anno e quanto tempo ha<br />

trascorso nel luogo in cui si trova<br />

Luogo Si chiede dove si trova, la stanza, l’edificio, la città, la nazione<br />

Persona Si chiede chi è, che attività svolge, quanti anni ha.<br />

o Delirio In questo stato il paziente sembra aver perso i contatti con il mondo che lo<br />

circonda, e fornisce spontanea prova della sua confusione e del suo disorientamento<br />

borbottando, farneticando, gridando spesso in modo offensivo, senza sosta, con<br />

allucinazioni, e spesso con una tale attività motoria da essere sopraffatto dall’esaurimento<br />

fisico. Si riscontra negli stati tossici, infettivi e nel delirium tremens.<br />

• Vigilanza Stato di prontezza che ci consente di rispondere e reagire adeguatamente agli stimoli<br />

dell’ambiente e che dipende dall’integrità funzionale e strutturale del tronco encefalico. Le<br />

alterazioni sono:<br />

o Annebbiamento Stato di diminuita prontezza del paziente che talora si può manifestare<br />

con ipereccitabilità alternata a sonnolenza. Il sintomo più precoce è una diminuzione<br />

dell’attenzione, rivelata dalla facile detraibilità del soggetto.<br />

o Obnubilamento o ottundimento o torpore Stato che assomiglia alla normale sonnolenza.<br />

La stimolazione del paziente porta ad uno stato di completa vigilanza e collaborazione,<br />

anche se egli tende a sprofondare di nuovo nel sonno quando la stimolazione cessa.<br />

Normalmente si può eseguire la visita neurologica completa. Questo stato è comune<br />

nell’interessamento diretto o indiretto del mesencefalo e nell’intossicazione da farmaci.<br />

o Stupore Lasciato a se stesso, il paziente sembra completamente privo di coscienza (stato<br />

simile ad uno sonno profondo), ciononostante può essere irrequieto. In seguito ad una<br />

stimolazione vigorosa lo si può risvegliare fino a renderlo capace di opporre resistenza agli<br />

stimoli dolorosi, o persino, per brevi periodi, di obbedire a comandi o rispondere a<br />

domande semplici. Ma non si ottiene una collaborazione soddisfacente e, non appena la<br />

stimolazione cessa, il paziente ritorna al suo stato originario. Cause di stupor possono<br />

essere patologie bilaterali degli emisferi cerebrali come pure una compressione o patologie<br />

del mesencefalo.<br />

o Coma Il paziente è in uno stato di profonda incoscienza; risponderà nel modo più<br />

elementare agli stimoli dolorosi e non potrà in alcun modo essere indotto a collaborare. Di<br />

solito giace immobile ed è incontinente. Si può distinguere:<br />

Coma superficiale Coma che confina con lo stupore<br />

Coma profondo Coma in cui non esiste più alcuna forma di attività spontanea<br />

anche riflessa. I gradi più profondi sono comuni nelle lesioni del ponte e del bulbo; i<br />

riflessi pupillari, corneali e di deglutizione possono essere aboliti.<br />

Si utilizza la scala del coma di Glasgow<br />

Apertura degli occhi Spontanea 4<br />

Allo stimolo verbale 3<br />

Allo stimolo doloroso 2<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Assente 1<br />

Risposta verbale Orientata 5<br />

Frasi confuse 4<br />

Parole sconnesse 3<br />

Suoni incomprensibili 2<br />

Nessuna risposta 1<br />

Risposta motoria Valida 6<br />

Localizza lo stimolo 5<br />

Risposta in flessione 4<br />

Flessione generalizzata 3<br />

Estensione abnorme 2<br />

Nessuna risposta 1<br />

I punteggi possono essere:<br />

15 Nella norma<br />

12‐15 Deficit neurologico di lieve entità<br />

9‐12 Deficit neurologico di media entità<br />


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Facies adenoidea Caratterizzata da ristrettezza delle coane nasali e dalla sporgenza del<br />

labbro superiore e dei denti incisivi superiori su di una bocca permanentemente socchiusa<br />

che conferisce al soggetto un’espressione scarsamente intelligente. Nell’adenoideo la<br />

respirazione avviene per la bocca e ciò determina con il tempo una scarsa dilatazione delle<br />

coane nasali ed una deformazione caratteristica del palato (palato ogivale) e dell’arcata<br />

dentaria superiore che viene a sporgere anteriormente (labbro a tapiro).<br />

• Facies acondroplasia Soggetti che presentano questo tipo di nanismo, caratterizzata da<br />

una manifesta disarmonia strutturale con fronte convessa e sporgente e naso infossato,<br />

piccolo e tozzo. Questa facies è determinata da un difetto di ossificazione encondrale:<br />

durante la crescita, infatti, le ossa della base cranica subiscono un rallentamento nello<br />

sviluppo mentre le ossa della volta cranica si accrescono normalmente.<br />

3. Alterazioni della cute e del sottocutaneo:<br />

• Facies ippocratica Potrebbe trovar posto in questo gruppo a causa della tipica<br />

disidratazione e deplezione di grasso.<br />

• Facies nefritica Caratterizzata da imbibizione del volto specie in sede palpebrale e<br />

sottopalpebrale dove il tessuto connettivo è più lasso e da un tipico pallore biancastro.<br />

• Facies mixedematosa Caratteristica dei gravi ipotiroidismi. C’è:<br />

o Tumefazione del volto che porta all’infossamento dei bulbi oculari entro<br />

palpebre inspessite<br />

o Occhi infossati<br />

o Labbra tumide dalle quali spesso protrude una grossa lingua<br />

o Cute arida e secca<br />

o Capelli secchi, radi e fragili<br />

o Caduta delle sopracciglia nella loro porzione esterna<br />

o Marcata riduzione della mimica facciale<br />

o Torpore con espressione particolare che rende evidente il deficit psichico.<br />

• Facies lunaris Della malattie di Cushing. È caratterizzata da:<br />

o Arrotondamento del viso (a luna piena) per accumulo di adipe e imbibizione dei<br />

tessuti sottocutanei<br />

o Rime palpebrali ristrette e bocca sottile (a pesce)<br />

o Cute rosso‐cianotica per la frequente iperglobulia<br />

o Ipertricosi del viso evidente nelle donne.<br />

• Facies sclerodermica Si determina a seguito delle gravi alterazioni tessutali proprie di<br />

questa malattia. Presenta:<br />

o Viso amimico levigato (senza rughe) come quello di una statua di marmo. Nelle<br />

fasi più avanzata di malattia ciò porta ad un notevole impedimento ai movimenti<br />

di apertura della bocca<br />

o Rughe sottili contornano la bocca<br />

o Le labbra si fanno sottili e rigide<br />

o I denti si rendono visibili.<br />

• Rinofima Determina, con la grossolana nodulazione del naso, una facies caratteristica.<br />

4. Alterazioni della muscolatura mimica:<br />

• Facies parkinsoniana Dovuta alle alterazioni dei centri extrapiramidali regolatori della<br />

sfera vegeto‐emotiva ed è caratterizzata da:<br />

o Immobilità dell’espressione del volto Assume espressioni stereotipate che<br />

possono variare di volta in volta, generalmente sono di stupore o di paura e<br />

magari correlate al reale stato affettivo del soggetto.<br />

o Viso con aspetto lucido e untuoso per la spiccata produzione di sebo.<br />

• Facies miastenica Della miastenia. Trova gli elementi caratteristiche nella ptosi<br />

palpebrale che costringe il malato ad inclinare la testa indietro. Particolarmente evidente la<br />

sera per stanchezza muscolare. Presenta divergenza dei globi oculari che gli conferiscono<br />

un aspetto sonnolento.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Facies tetanica Caratterizzata da persistente contrattura dei muscoli mimici facciali che<br />

porta al “riso sardonico”; la rima labiale è stirata trasversalmente e così le rime palpebrali,<br />

in guida da simulare chi ride sardonicamente.<br />

5. Alterazioni oculari:<br />

• Facies oftalmoplegica Consegue a paralisi di due o più muscoli oculari può dipendere da<br />

lesioni del III° nervo cranico o da lesioni centrali. È caratterizzata da ptosi palpebrale e<br />

corrugamento della fronte volto ad ovviare le conseguenze.<br />

• Facies basedowica Della malattia di Graves‐Flrjani‐Basedow. Si caratterizza Per:<br />

o Esoftalmo accompagnato a retrazione della palpebra superiore (occhi sbarrati)<br />

o Inquietudine del volto<br />

o Fissità dello sguardo (segno di Stelwagg)<br />

o Tremori dei margini palpebrali (segno di Rosenback)<br />

o Estrema mobilità della mimica facciale.<br />

6. Alterazioni del colorito del volto:<br />

• Facies poliglobulica Della malattia di Vaques e delle poliglobulie secondarie. Si<br />

caratterizza per colorito rosso vinoso del viso.<br />

• Facies vultuosa Del morbillo. È rosso accesa per la congestione delle congiuntive e per il<br />

fitto esantema del volto<br />

• Facies mitralica Della stenosi della valvola mitralica. Si caratterizza per cianosi<br />

distrettuale ai pomelli, al naso, alle labbra e al mento che contrasta con il pallore delle<br />

restanti parti del volto e conferisce al paziente una curiosa maschera.<br />

DECUBITO<br />

Per decubito si intende la posizione che l’ammalato assume nel letto. Il decubito può essere attivo o<br />

passivo, a seconda che sia o no mantenuto per azione delle strutture muscolari che si oppongono alla forza<br />

di gravità. Può essere:<br />

‐ Indifferente Quando il paziente si muove senza alcuna limitazione<br />

‐ Preferito Quello che il malato spontaneamente tende ad assumere riconoscendo di trarne<br />

notevole sollievo, spesso l’attenuazione di un dolore (decubito antalgico)<br />

‐ Obbligato Quello che il malato deve necessariamente mantenere pena uno stato di grave<br />

sofferenza.<br />

In particolare:<br />

• Decubito supino obbligato Si osserva:<br />

o Per situazioni dolorose vertebrali nelle quali i più piccoli spostamenti scatenano vivo dolore<br />

o Per processi infiammatori acuti peritoneali nei quali la pressione della parete addominale è<br />

intensamente dolorosa.<br />

• Decubito prono preferito Si può avere in coliche addominali di natura spastica nelle quali la<br />

pressione dell’addome sul letto attenua il dolore.<br />

• Decubito laterale preferito Si può osservare in alcune patologie dell’apparato respiratorio:<br />

o Nella pleurite acuta fibrinosa Il paziente decombe sul lato sano in quanto la pressione<br />

sull’emitorace colpito, con l’avvicinamento dei foglietti pleurici, aggrava il dolore.<br />

o Nella pleurite essudativa e nei grandi idrotoraci Il malato decombe sul lato del<br />

versamento in quanto questa posizione favorisce le escursioni respiratorie dell’emitorace<br />

indenne<br />

o In portatori di grosse caverne o ascessi polmonari comunicanti con un bronco, particolari<br />

decubiti laterali consentono di impedire un continuo deflusso del materiale contenuto in<br />

queste cavità che determinerebbe fastidiosi accessi di tosse e di soffocazione; il paziente<br />

impara a regolare “ad libitum” lo svuotamento della cavità polmonare variando la<br />

posizione.<br />

• Decubito ortopnoico È particolarmente frequente nello scompenso cardiaco di tipo sinistro. È<br />

inteso a sollevare l’ammalato dalla dispnea; il paziente sta seduto nel letto, con le gambe<br />

penzoloni, e si appoggia fermamente alla sponda con le braccia estese per rendere più facili le<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

escursioni respiratorie del torace e del diaframma e formare un solido appoggio alla trazione dei<br />

muscoli ausiliari della respirazione (scaleni, pettorali e sternocleidomastoideo)<br />

• Posizione di Blechman Paziente assiso con ginocchia flesse e tronco fortemente piegato in avanti.<br />

• Posizione genupettorale Posizione di preghiera maomettana. Queste ultime due posizioni<br />

tendono a far raccogliere anteriormente il liquido contenuto nel pericardio e rendere meno difficile<br />

lo svuotamento delle vene cave nell’atrio destro, vengono assunte da pazienti con grave<br />

versamento pericardico.<br />

• Accovacciamento (“squatting”) Si osserva in alcune cardiopatie congenite cianogene e<br />

particolarmente nella tetralogia di Fallot. L’ammalato sta accovacciato a gambe divaricate con il<br />

tronco flesso sulle ginocchia. È provato che questo atteggiamento consente la massima saturazione<br />

possibile di O2 del sangue.<br />

• Posizione a cane di fucile Tipica delle sindromi meningee. È un decubito obbligato laterale. Il<br />

capo è esteso sul tronco, le cosce sono flesse sull’addome e le gambe flesse sulle cosce. Tende ad<br />

evitare lo stiramento doloroso delle radici spinali lombo‐sacrali, ma è indotto soprattutto dalla<br />

ipertonia dei muscoli dorsali.<br />

• Opistotono, ortotono, emprostotono e pleurostotono Sono decubiti obbligati di origine<br />

muscolare. Il paziente si presenta rigido e incapace a modificare spontaneamente il decubito<br />

mentre il suo corpo assume particolari curvature: con concavità dorsale nel caso dell’epistotono,<br />

con concavità ventrale nel caso dell’emprostotono, con concavità laterale nel caso del<br />

pleurostotono. Si osservano nelle sindromi meningee, nel tetano, nell’avvelenamento stricnico e<br />

talvolta nelle tetanie. Atteggiamenti analoghi possono essere assunti per cause psichiche (grande<br />

arco di Charcot delle crisi di male isterico).<br />

MISURE ANTROPOMETRICHE<br />

‐ Indice di massa corporea (BMI) Si calcola dividendo il peso espresso in Kg per altezza espressa in<br />

metri al quadrato. In particolare:<br />

o 20‐25 Normopeso<br />

o 25‐30 Sovrappeso<br />

o >30 Obeso.<br />

‐ Spessore della plica cutanea Valuta la quantità di grasso sottocutaneo, ed è un indice più<br />

affidabile del BMI nei pazienti anziani che hanno perso tessuto muscolare nel quadro del processo<br />

generale di invecchiamento<br />

‐ Rapporto vita/fianchi Per misurare la circonferenza vita bisogna posizionare il metro intorno<br />

all’addome nudo, appena sopra la cresta iliaca. Assicurarsi che il metro sia teso, ma che non<br />

comprima la pelle. Il metro deve essere parallelo a terra e il paziente deve essere rilassato e<br />

respirare mentre si effettua la misurazione. Il rapporto è importante per vedere dove è posizionato<br />

il tessuto adiposo:<br />

o Androide Il rapporto è maggiore di 0.9 Prevale la vita<br />

o Ginoide Il rapporto è minore di 0.9 Prevalgono i fianchi.<br />

‐ Circonferenza addominale È correlata ai valori di trigliceridi e LDL. È utile per la diagnosi di<br />

sindrome metabolica.<br />

La sindrome metabolica è una condizione di aumentato rischio cardiovascolare da aggregazione di fattori di<br />

rischio metabolici. Per la diagnosi oltre all’obesità addominale (nel maschio la circonferenza deve essere<br />

sopra i 94cm, nella donna sopra gli 80cm) ci devono essere almeno due dei seguenti criteri:<br />

o Ipertensione (>130/85mmHg)<br />

o Ipertrigliceremia (>150mg/dl)<br />

o IpoHDL (nel maschio


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

l’elasticità della cute è importante: se si solleva una plica cutanea, si ritrae meno rapidamente più<br />

l’individuo è disidratato. Nell’anziano si ha però una perdita di elasticità dovuta all’invecchiamento e quindi<br />

non dovuta alla disidratazione.<br />

STATO DI SANGUIFICAZIONE<br />

Ci si sofferma soprattutto sul colorito della pelle. Si può inoltre abbassare la palpebra inferiore che<br />

dovrebbe avere un colorito rossastro a causa dei piccoli vasi superficiali che irrorano la congiuntiva.<br />

Nell’individuo anemico assume un colorito più pallido. Si può inoltre osservare il letto subungueale.<br />

CUTE E ANNESSI CUTANEI<br />

Dopo aver osservato il colorito della cute si osservano:<br />

• Unghie In particolare:<br />

o Colorito<br />

o Presenza e forma della lunula<br />

o Sfaldamento o capacità di rottura.<br />

• Capelli Si osserva se c’è perdita. È inoltre importante notare l’attaccatura del cuoio capelluto.<br />

• Peli Si osserva la distribuzione:<br />

o Nel soggetto adulto maschio di solito l’aumento di peli non è associato a nessuna patologia.<br />

La perdita è invece associata all’ipogonadismo.<br />

o Nella donna è invece l’aumento dei peli associabile a patologie come:<br />

Irsutismo L’aumento avviene nelle zone proprie<br />

Ipertricosi L’aumento avviene in zone non proprie<br />

Virilizzazione Si ha anche ipertrofia del clitoride.<br />

21


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

DISPNEA<br />

Tra i vari disturbi del respiro possono essere classificati:<br />

• In base alla frequenza:<br />

o Tachipnea Aumento della frequenza degli atti respiratori/minuto<br />

o Bradipnea Quando la frequenza è inferiore a 12 atti respiratori/minuto.<br />

• In base al volume respiratorio:<br />

o Iperpnea Aumento della ventilazione per incremento dell’ampiezza del respiro<br />

o Polipnea Aumento del respiro volume/minuto.<br />

• In base al ritmo:<br />

o Respiro di Cheyne‐Stokes<br />

o Respiro di Kussmaul e Kien<br />

o Respiro di Biot<br />

o Respiro dissociato o atassocinetico di Grocco.<br />

DEFINIZIONE<br />

La dispnea è una sgradevole sensazione soggettiva di difficoltà o disagio respiratorio. Il termine è sinonimo<br />

di “affanno” o di “respiro corto” che è il respiro normalmente riferito dai pazienti. Tale sintomo anche se<br />

spiacevole non è doloroso e difficilmente quantificabile. La definizione più accettata è la seguente:<br />

“modalità di respirazione avvertita dal soggetto come faticosa e tormentosa, compiuta con l’intervento dei<br />

muscoli respiratori ausiliari ed accessori”. Per alcuni non è necessario l’impiego dei muscoli suddetti.<br />

Nonostante siano state avanzate numerose teorie per spiegare la dispnea, nessuna di essere è mai stata<br />

pienamente accettata.<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

• In base a criteri eziopatogenetici:<br />

o Dispnea da alterazione dell’aria atmosferica<br />

o Dispnee da ridotta produzione di globuli rossi<br />

o Dispnea da alterazioni del centro del respiro:<br />

Anormale sollecitazione meccanica del centro del respiro<br />

Anormale sollecitazione chimica del centro del respiro.<br />

o Dispnea di origine muscolare:<br />

Miastenia, miopatie croniche, tetano, pertosse, pleurodinia o malattia di Bornholm,<br />

paralisi del diaframma, distensioni diaframmatiche.<br />

o Dispnea da alterazioni dell’apparato respiratorio:<br />

Dispnea da ostacolo delle vie aeree superiori<br />

Dispnea da ostacolo bronchiale<br />

Dispnea di origine polmonare.<br />

o Dispnea da alterazioni dell’apparato cardiovascolare:<br />

Insufficienza cardiaca.<br />

• In base a criteri temporali:<br />

o Dispnea acuta<br />

o Dispnea cronica.<br />

• In rapporto alla fase del ciclo respiratorio:<br />

o Dispnea inspiratoria<br />

o Dispnea espiratoria<br />

o Dispnea mista.<br />

• In base alle condizioni di insorgenza:<br />

o Dispnea da decubito<br />

o Dispnea da sforzo<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Accessionale o parossistica<br />

o Dispnea a riposo o continua.<br />

Le possibili cause di dispnea acuta sono:<br />

‐ Vie aeree superiori:<br />

o Patologie della laringe<br />

o Edema della glottide<br />

o Neoplasie<br />

o Corpi estranei.<br />

‐ Polmonari:<br />

o Pneumotorace<br />

o Tromboembolia polmonare<br />

o Polmonite<br />

o Asma bronchiale<br />

o Sindrome da stress respiratorio acuto.<br />

‐ Cardiache:<br />

o Asma cardiaco<br />

o Dispnea parossistica notturna<br />

o Edema polmonare acuto.<br />

Le possibili cause di dispnea cronica sono:<br />

‐ Malattie dell’apparato respiratorio:<br />

o Malattie delle vie aeree<br />

o Malattie parenchimali<br />

o Malattie vascolari<br />

o Malattie della pleura<br />

o Malattie della parete torace<br />

o Malattie vascolari.<br />

‐ Malattie cardiovascolari:<br />

o Riduzione della gittata cardiaca<br />

o Aumento della pressione venosa polmonare<br />

o Shunt destro‐sinistro<br />

o Pericardite costrittiva.<br />

‐ Sindrome da iperventilazione<br />

‐ Disturbi psichici<br />

‐ Gravidanza<br />

‐ Altitudine<br />

‐ Miscellanea (ipertiroidismo, anemia, acidosi, lesioni cerebrali).<br />

OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE SUPERIORI<br />

Può avvenire acutamente o cronicamente. Il primo caso solitamente si manifesta con un quadro di estrema<br />

drammaticità e può costituire una vera emergenza. Le principali cause sono:<br />

• Edema della laringe:<br />

o In corso di allergie scatenate da farmaci, vaccini e sieri, punture di insetti, alimenti<br />

o Nella carenza di C1‐esterasi che può essere ereditaria (angioedema ereditario di Quinke) o<br />

acquisita (solitamente di accompagnamento ad altre malattie: linfoproliferativa, anemia<br />

emolitiche, autoimmuni, ecc…)<br />

o Edema reattivo come nel raro caso di punture di insetti penetrati accidentalmente in gola<br />

o Edema infettivo, in caso di laringite.<br />

• Ingestione di un corpo estraneo<br />

• Neoplasie di laringe, trachea e tiroide<br />

• Retrazioni cicatriziali in pazienti operati o intubati per lungo tempo.<br />

Il quadro clinico è spesso drammatico:<br />

‐ Capo iperesteso<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Dispnea di tipo inspiratorio accompagnata a contrazione dei muscoli ausiliari e rientramento del<br />

giugulo e delle fosse sopraclavicolare (tirage)<br />

‐ Stridore inspiratorio (cornage)<br />

‐ Modificazioni della voce<br />

‐ A seconda del grado di ostruzione di osserva cianosi, turgore delle vene del collo, agitazione<br />

estrema , ipotensione, tachicardia<br />

‐ La cute può presentare i segni di una reazione allergica: orticaria, eritema, edemi del viso.<br />

In questi casi si esegue una laringoscopia e broncoscopia. Raramente un RX permette di visionare un corpo<br />

estraneo.<br />

ASMA BRONCHIALE<br />

Solitamente la dispnea è accessionale in pazienti con anamnesi propria e familiare di malattie allergiche.<br />

Raramente comunque si assiste al primo episodio ed è pertanto possibile raccogliere la storia di analoghe<br />

crisi. La dispnea è prevalentemente espiratoria, con prolungamento notevole di questa fase e sibilo<br />

espiratorio. Il paziente è seduto, piegato in avanti nel tentativo di espellere l’aria, il torace è in<br />

atteggiamento inspiratorio, vi può essere tosse secca.<br />

Obiettivamente è evidente l’iperfonesi del torace e la presenza di fischi e sibili espiratori diffusi.<br />

Solitamente la diagnosi è facile essendo presente la triade: dispnea, tosse, broncospasmo. La diagnosi è<br />

quindi prevalentemente clinica. Gli esami di laboratorio e strumentali possono essere:<br />

‐ Prove spirometriche Possono confermare e quantificare la broncocostrizione, permettendo di<br />

valutare la risposta alla terapia.<br />

‐ RX torace Evidenzia una iperinflazione con appiattimento del diaframma<br />

‐ Prove allergometriche Dosaggio IgE sieriche, conta degli eosinofili circolanti e presenti<br />

nell’escreato, il RAST.<br />

‐ Emogasanalisi In fase acuta permette una precisa valutazione del grado di insufficienza<br />

respiratoria, nell’attacco asmatico accanto ad ipossia è solitamente rilevabile ipocapnia. La<br />

presenza di normocapnia o peggio ipercapnia e acidosi respiratoria sono segni prognostici<br />

sfavorevoli.<br />

BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE OSTRUTTIVE<br />

Le BPCO comprendono la bronchite cronica, le bronchiectasie, l’enfisema. La dispnea si presenta<br />

solitamente cronica con esacerbazioni in occasione di fattori scatenanti (BPCO riacutizzate). La storia di<br />

questi malati (anamnesi patologica remota) è di dispnea cronica con tosse ed espettorato, esposizione al<br />

fumo di sigaretta o polluzione ambientale (anamnesi lavorativa). Nell’enfisema possono giocare un ruolo<br />

alcuni fattori genetici quali quelli legati al fenotipo Pi (carenza di alfa‐1‐antitripsina, di scarso rilievo<br />

epidemiologico nel nostro paese). In questi pazienti molto spesso l’esacerbazione della dispnea è causata<br />

da una infezione intercorrente delle vie aeree: aumento della tosse e dell’escreato che assume caratteri<br />

purulenti, febbre.<br />

Solitamente i pazienti hanno una dispnea da sforzo, ingravescente nel tempo. In caso di riacutizzazione il<br />

quadro clinico è molto simile a quello del paziente asmatico: paziente seduto con busto piegato in avanti e<br />

dispnea espiratoria. Nell’enfisematoso è evidente l’iperinflazione del torace (torace a botte) ed è pink and<br />

puffing (rosa e ansimante), mentre il bronchitico è più spesso pletorico e cianotico, cioè blue and bloating<br />

(blu ed edematoso).<br />

Pink Puffer BPCO in cui prevale la componente enfisematosa. Pazienti in genere longilinei con<br />

iperdistenasione del torace (a botte), con dispnea da sforza variabile; tosse ed espettorato sono di modesta<br />

identità. Non sono cianotici e respirano classicamente a labbra socchiuse con espirazione prolungata.<br />

Blue Bloater BPCO in cui prevale la componente ostruttivo ipersecretiva. È presente tosse con<br />

espettorato di tipo mucoso o purulento, ipossiemia con cianosi. Dispnea spesso presente.<br />

Il quadro auscultatorio può essere caratterizzato da un polmone quasi silente (enfisema e grave<br />

broncocostrizione) oppure dal broncospasmo generalizzato a cui possono associarsi ronchi e rantoli. Nelle<br />

bronchiectasie i rumori umidi sono prevalentemente localizzati alle basi.<br />

Per quanto riguarda gli esami strumentali:<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ RX del torace Si evidenziano i segni della peribronchite, delle bronchiectasie oppure il quadro<br />

caratteristico dell’enfisema polmonare.<br />

‐ ECG Può dimostrare deviazione assiale destra, P polmonari, bassi voltaggi (nell’enfisema).<br />

MALATTIE DELL’INTERSTIZIO POLMONARE<br />

Sono malattie croniche caratterizzate dalla infiammazione e degenerazione dell’interstizio polmonare. A ciò<br />

consegue una perdita funzionale di unità alvelo‐capillari. Nonostante la varietà delle malattie trattate in<br />

questo raggruppamento la sintomatologia è estremamente costante. La dispnea da sforzo è il sintomo di<br />

esordio più frequente accompagnata da affaticabilità e malessere durante le attività quotidiane. Talvolta vi<br />

è tosse non produttiva. Assai più rari altri sintomi quali dolori toracici aspecifici, emoftoe, febbricola, calo<br />

ponderale.<br />

All’esame obiettivo il reperto caratteristico è rappresentato dai rantoli crepitanti (a strappo di velcro) alle<br />

basi polmonari tele‐inspiratori. In fase avanzata può comparire ippocratismo digitale. Gli esami di<br />

laboratorio o strumentali sono:<br />

‐ RX torace Normale o con presenza di reticolo‐nodulia diffusa.<br />

‐ Test funzionali polmonari Sindrome restrittiva ed alterazione della diffusione alveolo‐capillare<br />

‐ Emogasanalisi Ipossiemia aggravata dall’esercizio, PaCO2 solitamente marcatamente ridotta.<br />

EMBOLIA POLMONARE<br />

La dispnea compare improvvisamente a riposo e può accompagnarsi a tosse, emoftoe e dolore toracico di<br />

tipo pleurico. Nell’embolia massiva il quadro è drammatico con dolore toracico di tipo infarto del miocardio<br />

o dissecazione aortica, grave insufficienza respiratoria (dispnea), sincope e shock. L’elemento più<br />

caratteristico dell’embolia polmonare è la dispnea improvvisa ed inspiegata.<br />

Elementi che possono confortare la diagnosi:<br />

‐ Presenza di trombosi venosa profonda<br />

‐ Paziente allettato da tempo<br />

‐ Paziente in periodo post‐operatorio.<br />

All’esame obiettivo in genere si nota solo tachipnea, tachicardia ed eventualmente segni di insufficienza<br />

acuta del ventricolo destro.<br />

Esami di laboratorio e strumentali:<br />

‐ ECG<br />

‐ Emogasanalisi<br />

‐ Scintigrafia polmonare.<br />

MALATTIE DELLA PARETE TORACICA E DEI MUSCOLI RESPIRATORI<br />

Sono una causa non frequente di dispnea.<br />

• Malattie della gabbia toracica (spondiliti, petto escavato, cifoscoliosi) Sono evidenti all’esame<br />

obiettivo. Solitamente solo una forma grave di cifoscoliosi è in grado di causare insufficienza<br />

respiratoria e cuore polmonare cronico.<br />

• Alcune malattie neuromuscolari sono responsabili di insufficienza respiratoria e dispnea.<br />

Solitamente però il distretto respiratorio è colpito tardivamente e prevalgono le manifestazioni a<br />

carico di altri gruppi muscolari.<br />

PNEUMOTORACE SPONTANEO<br />

L’età di insorgenza è di solito tra i 20 e i 40 anni. Colpisce spesso soggetti leptosomico, talvolta con storia di<br />

PNX recidivanti. Si ha dispnea acuta, a volte dopo uno sforzo o un colpo di tosse. C’è dolore toracico.<br />

L’esame obiettivo è caratteristico. Tra gli esami strumentali si può fare un RX del torace.<br />

MALATTIE CARDIACHE<br />

Dispnea da sforzo che si aggrava nel tempo. In fase più avanzata assume i caratteri dell’ortopnea o della<br />

dispnea parossistica notturna. L’anamnesi del paziente affetto da dispnea cariogena è spesso positiva per<br />

ipertensione arteriosa, vizi valvolari mitralici e/o aortici, infarto del miocardio, miocardiopatie.<br />

25


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

All’esame obiettivo, ascultatoriamente sono presenti rantoli polmonari nelle zone declivi. A volte si<br />

possono sentire sibili in‐ ed espiratori. In questo caso il quadro assume le caratteristiche dell’asma cardiaco<br />

(è presente una broncocostrizione causata dalla riduzione del lume delle piccole vie aeree e dei bronchi per<br />

edema). L’ascoltazione cardiaca non sempre facile nei malati più gravi consente spesso di rilevare aritmie,<br />

soffi, ritmo di galoppo. Il paziente può presentare inoltre cianosi, edemi declivi, turgore delle giugulari,<br />

epatomegalia (fegato da stasi).<br />

Esami di laboratorio e strumentali:<br />

‐ RX torace Cardiomegalia, segni di congestione del circolo polmonare: edema interstiziale,<br />

ridistribuzione del flusso verso gli apici, versamenti pleurici scissurali o basali.<br />

‐ ECG Può dimostrare una cardiopatia preesistente oppure permettere la diagnosi di un fatto<br />

acuto causa dello scompenso cardiaco<br />

‐ Ecocardiogramma Diagnosi di vizi valvolari, ipocinesi, versamento pericardico, ipertrofia<br />

ventricolare, ecc…<br />

EDEMA POLMONARE ACUTO<br />

Rappresenta lo stadio più grave dello scompenso ventricolare sinistro e trova come causa sua una malattia<br />

cardiaca preesistente da tempo (come una stenosi mitralica), sia un evento acuto (infarto del miocardio,<br />

aritmie).<br />

In un primo tempo il paziente è modicamente tachipnoico, ipossico e ipocapnico. Con l’accumularsi<br />

ulteriore di liquidi nello spazio extravascolare del polmone il quadro si aggrava e compaiono i primi segni<br />

radiologici di rilievo (strie B di Kerley e perdita di definizione delle impronte vascolari).<br />

Lo stadio successivo consiste nel passaggio dall’edema interstiziale a quello dell’edema alveolare; gli scambi<br />

gassosi sono ulteriormente compromessi, all’ipossia si associano ipercapnia e acidosi. Radiologicamente si<br />

rileva una distribuzione del flusso ematico polmonare verso gli apici e la comparsa di trasudato polmonare<br />

a farfalla di maggiore densità a livello degli ili.<br />

Il quadro clinico è in funzione della gravità dell’eventi e può risultare drammatico. Il paziente è seduto,<br />

agitato, cianotico, visibilmente sofferente, profusamente sudato. Può avere tosse non produttiva che si<br />

accentua in clinostatismo; in caso di edema polmonare grave la tosse comporta l’emissione di schiuma<br />

rosea.<br />

All’ascoltazione del torace si rilevano rantoli e ronchi che dalle basi si possono estendere fino agli apici.<br />

Come si è detto non è raro il riscontro di broncospasmo. Talvolta i rantoli sono udibili entrando nella stanza<br />

del paziente (rumore di pentola che bolle).<br />

Di notevole valore è il rilievo della pressione arteriosa che varia da valori assai elevati (insufficienza<br />

ventricolare sinistra secondaria a crisi ipertensiva) a valori bassi (sono questi i casi a prognosi meno<br />

favorevole).<br />

La diagnosi in genere è facile e non richiede molti accertamenti, l’ECG è però dirimente per accertare<br />

disturbi del ritmo o della conduzione o l’eventualità dei un infarto del miocardio.<br />

ORTOPNEA<br />

Dispnea che insorge in posizione sdraiata e che migliora con la posizione seduta o in piedi. In contrasto con<br />

la dispnea parossistica notturna, l’ortopnea si verifica rapidamente, spesso entro un paio di minuti<br />

dall’assunzione di una posizione supina, e quando il paziente è sveglio.<br />

Meccanismo patogenetico In clinostatismo si ha una minor stasi di liquidi nelle estremità inferiori e<br />

nell’addome con spostamento di liquidi all’interno del circolo con spostamento di sangue dal comparto<br />

extra a quello endotoracico. Il ventricolo sinistro insufficiente non riesce ad espellere tutto il volume di<br />

sangue convogliatogli dal ventricolo destro ancora ben funzionante e così si ha un aumento della pressione<br />

venosa e capillare polmonare con aumento delle resistenza delle vie respiratorie e dispnea.<br />

DISPNEA PAROSSISTICA NOTTURNA<br />

Si possono considerare questi attacchi come un’esacerbazione dell’ortopnea. Si verificano di solito di notte<br />

e i pazienti si svegliano con la sensazione di soffocare, si siedono completamente dritti e sono tutti tesi<br />

nello sforzo di respirare. In questa situazione si ha spesso broncospasmo che può essere dovuto alla<br />

26


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

congestione della mucosa bronchiale e che aggrava la difficoltà ventilatoria ed il lavoro per la respirazione.<br />

È un fattore comunemente complicante la dispnea parossistica notturna.<br />

L’asma spesso associato è responsabile dell’altro nome con cui viene definita questa conduzione Asma<br />

cardiaco.<br />

Meccanismi patogenetici Ci può essere il contributo di almeno quattro fattori:<br />

‐ Il lento riassorbimento di liquido interstiziale dalle porzioni declivi del corpo ed il risultante<br />

aumento di volume ematico intratoracico.<br />

‐ L’improvviso aumento di volume ematico intratoracico e sopraelevazione del diaframma che si<br />

verifica contemporaneamente all’assunzione della posizione supina<br />

‐ Una ridotta attività adrenergica durante il sonno<br />

‐ La fisiologica depressione notturna del centro respiratorio.<br />

DISPNEA DELL’ANEMIA<br />

La dispnea da sforzo è spesso l’unico sintomo presente nel paziente anemico, talvolta associata a<br />

tachicardia e palpitazioni. È tanto più grave quanto l’anemia è severa o di rapida insorgenza. La sua<br />

patogenesi non è completamente nota, ma pare probabile che sia responsabile della dispnea un<br />

inadeguato apporto di O2 ai muscoli respiratori in attività.<br />

DISPNEA PSICOGENA<br />

Associata spesso alla nevrosi d’ansia e più frequente nelle giovani donne e si accompagna a nodo di gola,<br />

senso di soffocamento, palpitazioni, toracoalgie (spesso puntorie a precordio), formicolio periorale ed alle<br />

estremità, spasmo carpale (sintomi questi ultimi dovuti alla iperventilazione con alcalosi respiratoria).<br />

Il respiro è spesso “sospirante” ed irregolare e non si evidenziano segni obiettivi di cardio‐ o<br />

broncopneumo‐patie.<br />

La diagnosi è per esclusione.<br />

ANAMNESI DEL PAZIENTE CON DISPNEA<br />

Sarà necessario valutare:<br />

• Modalità di insorgenza<br />

• Ingravescenza nel tempo<br />

• Eventuale associazione con altri segni o sintomi<br />

• Rapporto tra l’entità della dispnea e le condizioni generali<br />

• Frequenza, durata e circostanze del suo apparire<br />

• Rapporto con postura, sforzo, trauma, inalazione di gas, vapori o pollini, assunzione di farmaci o<br />

altre sostanze<br />

• Caratteristiche ambientali<br />

• Familiarità<br />

• Segni e sintomi di accompagnamento.<br />

Le domande chiave da porre sono:<br />

‐ La dispnea è insorta a riposo?<br />

‐ Era presente dolore toracico?<br />

‐ Cosa stava facendo il paziente subito prima?<br />

‐ Cosa stava facendo il paziente al momento della comparsa della dispnea?<br />

‐ Sono evidenti patologie capaci di provocare dispnea?<br />

27


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELLA TIROIDE<br />

COLLO<br />

Per quanto riguarda l’analisi semeiologica, il collo si può dividere in due triangoli:<br />

‐ Triangolo anteriore Si trova tra lo sternocleidomastoideo. In questo triangolo troviamo la trachea<br />

e nella regione inferiore la tiroide<br />

‐ Triangolo laterale Si trova tra lo sternocleidomastoideo e lo scaleno anteriore.<br />

Nel collo passa:<br />

‐ Carotide Uno dei polsi periferici<br />

‐ Giugulare Turgida con paziente a 45° se c’è un aumento della pressione venosa centrale per<br />

scompenso destro.<br />

CENNI ANATOMICI<br />

La tiroide è composta da due lobi ed un istmo (situato in basso).Ci può essere un altro piccolo lobo (15% dei<br />

casi) detto piramidale È situata anteriormente e caudalmente rispetto alle cartilagini della laringe. È molto<br />

vascolarizzata.<br />

Il parenchima è composto da follicoli che contengono la sostanza colloide in cui ci sono gli ormoni tiroidei.<br />

Accanto ai follicoli ci sono le cellule C parafollicolari che producono calcitonina.<br />

È raggiunta dai nervi laringei ricorrenti che innervano le corde vocali. Un aumento di dimensioni della<br />

tiroide o un intervento possono danneggiare i nervi dando la voce bitonale.<br />

Posteriormente alla tiroide troviamo le paratiroidi che sono 4 ghiandole (2 superiori e 2 inferiori) che<br />

producono paratormone. Di norma le patologie tiroidee non danno problemi alle paratiroidi. Sono però<br />

importante per il chirurgo che deve prestare attenzione a non danneggiarle causando in questo modo<br />

ipocaliemia.<br />

ISPEZIONE<br />

Si effettua ponendosi di fronte al paziente seduto, a tronco e capo bene eretti. L’ispezione viene fatta<br />

invitando il paziente ad estendere bene il collo ed a bere ad esempio un sorso d’acqua o a deglutire. Con<br />

tale manovra si può vedere che la ghiandola, solidale con le strutture laringo‐tracheali, si sposta verso<br />

l’alto.<br />

Finalità dell’ispezione:<br />

• Ricerca di eventuali segni a carico del tegumento: la cute può essere arrossata nelle tiroiditi<br />

• Ricerca di un eventuale rigonfiamento della ghiandola<br />

• L’ispezione va pure rivolta alla base della lingua, origine del dotto tireoglosso, che occasionalmente<br />

può essere sede di una “tiroide linguale” non migrata (molto rara)<br />

• L’ispezione è anche rivolta a cogliere gli aspetti più generali dei disturbi della tiroide come i segni e<br />

sintomi oculari del morbo di Basedow e l’edema pretibiale sempre del morbo di Basedow.<br />

PALPAZIONE<br />

Si effettua tramite due tecniche:<br />

‐ Approccio anteriore Metodo di Lahey Si pone il pollice contro la parete supero laterale della<br />

trachea e si preme in senso laterale rendendo il più prominente possibile il lobo del lato opposto<br />

della tiroide che viene afferrato e palpato con le dita dell’altra mano, mentre al paziente viene fatto<br />

abbassare il mento per rilassare i muscoli.<br />

‐ Approccio posteriore Il medio si pone alle spalle del paziente che sarà seduto con la testa eretta<br />

e collo non rigido. Viene prima palpata la cartilagine cricoide (sotto il margine inferiore della<br />

cartilagine tiroide) in modo che le dita si trovino situate a livello esatto sopra la tiroide. Il medico<br />

deve appoggiare i pollici sulla nuca della paziente e le dita semiflesse sulle rispettive metà<br />

omologhe della regione tiroidea facendo deglutire più volte il paziente (l’indice e il medio vengono<br />

posti medialmente al margine inferiore del muscolo sternocleidomastoideo destro e sinistro).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Un tiroide normale è difficilmente palpabile nell’uomo e nella donna in menopausa. Una tiroide normale<br />

può essere palpabile in una donna in età fertile. In questi casi si presenterà a superficie liscia, di consistenza<br />

molle.<br />

Mediante le manovre palpatorie è possibile precisare le caratteristiche principali della tiroide:<br />

• Volume, forma e superficie L’aumento diffuso o circoscritto della tiroide si chiama struma o<br />

gozzo. I gozzi possono essere:<br />

o Diffusi<br />

o Nodulari:<br />

Uninodulari<br />

Multinodulari.<br />

I gozzi possono essere ipertiroidei, ipotiroidei ed eutiroidei.<br />

• Consistenza Fisiologicamente è soffice. La consistenza può aumentare nelle patologie:<br />

parenchimatosa nel morbo di Basedow, lignea nella tiroide lignea di Riedel, nei carcinomi e nella<br />

cisti calcificata.<br />

• Dolorabilità Generalmente non è dolorabile. Le tiroiditi acute, le forme subacute e anche talora<br />

le tiroiditi croniche presentano una dolorabilità più o meno spiccata alla palpazione.<br />

• Mobilità La ghiandola tiroide è solidale con la trachea. Ciò può essere messo in evidenza<br />

palpando la tiroide mentre il paziente beve un sorso d’acqua. Il carcinoma tiroideo, nella sua forma<br />

infiltrativa, può essere scarsamente mobile in quanto tende ad ancorare la ghiandola alle strutture<br />

circostanti. I gozzi molto sviluppati, inoltre, possono essere immobili perché si trovano ad occupare<br />

tutto lo spazio disponibile alla radice del collo.<br />

• Fremito Rappresenta l’equivalente tattile del soffio vascolare ed è palpato alla tiroide.<br />

• Adenopatie La presenza di linfoadenopatie in prossimità di un gozzo suggerisce la possibilità di<br />

un carcinoma. Anche le tiroiditi, tuttavia, possono decorrere con adeniti satelliti.<br />

La palpazione può essere anche utile a definire due caratteristiche dell’esoftalmo:<br />

‐ Riducibilità Mediante pressione digitale è possibile valutare se l’esoftalmo sia riducibile o meno<br />

‐ Pulsatilità Mediante la palpazione digitale del lobo oculare è anche possibile se l’esoftalmo sia<br />

pulsante oppure no (esempio: aneurisma endo‐orbitale).<br />

GOZZO<br />

Aumento di volume della tiroide, in rapporto ad ipertrofia, iperplasia e neoplasia della ghiandola.<br />

Classificazione funzionale:<br />

• Semplice o eutiroideo<br />

• Ipertiroideo<br />

• Ipotiroideo<br />

Classificazione anatomica:<br />

o Diffuso Quando interessa globalmente la ghiandola<br />

o Circoscritto Quando ne interessa solo una parte.<br />

PERCUSSIONE<br />

In presenza di uno struma retrosternale la percussione può mettere in evidenza l’esistenza di una ottusità<br />

retrosternale alta, sopramediastinica. Il margine inferiore della zona di ottusità può essere convesso o<br />

continuare immediatamente con l’area di ottusità cardiaca.<br />

Altri sintomi dello struma retrosternale possono essere:<br />

‐ Dispnea da compressione (stridore laringeo)<br />

‐ Disfagia<br />

‐ Compressione del nervo ricorrente (voce bitonale oppure afona)<br />

‐ Stasi venosa con turgore delle vene del collo, del torace, delle braccia (sindrome da compressione<br />

della cava superiore).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ASCOLTAZIONE<br />

Nell’ipertiroidismo è possibile rilevare sulla ghiandola tiroide la presenza di un soffio vascolare sistolico,<br />

dovuto all’abnorme aumento del flusso di sangue (la tiroide è ipervascolarizzata) per la condizione<br />

iperdinamica del circolo, con formazione di vortici legati ad aumentata velocità di flusso.<br />

Nell’ipertiroidismo è inoltre molto frequente il riscontro di ronzio venoso cervicale.<br />

In taluni casi di struma non iperfunzionante la tiroide può comprimere i grossi vasi del collo e determinare<br />

un soffio da stenosi vascolare.<br />

MANOVRE PARTICOLARI<br />

• Transilluminazione Viene effettuata mediante una sorgente luminosa puntiforme e serve a<br />

differenziare le masse cistiche da quelle solide della tiroide. Le masse cistiche sono transilluminate<br />

maggiormente di quelle solide.<br />

• Segno di Pemberton o test di innalzamento degli arti superiori Utile nei pazienti in cui si sospetta<br />

l’esistenza di un gozzo retrosternale. Se infatti le vie d’accesso al torace sono già ridotte a causa<br />

dello struma retrosternale, innalzando entrambi gli arti superiori fino a che questi si tocchino ai lati<br />

della testa, si ottiene un ulteriore restringimento delle zone di ingresso del torace, con congestione<br />

facciale e oppressione respiratoria.<br />

VALUTAZIONI DELLA FUNZIONALITÀ TIROIDEA<br />

Si valutano gli ormoni T3 e T4 e il TSH.<br />

‐ In una patologia ipotiroidea primaria T3 e T4 bassi, TSH elevato<br />

‐ In una patologia ipotiroidea secondaria (di origine ipofisaria/ipotalamica) T3 e T4 bassi, TSH basso.<br />

‐ In una patologia ipertiroidea per iperproduzione tiroidea T3 e T4 elevati, TSH basso.<br />

‐ In una patologia ipertiroidea per alterazione della funzionalità ipofisaria T3 e T4 elevati, TSH<br />

elevato.<br />

IPERTIROIDISMO<br />

Le possibili cause sono:<br />

• Morbo di Flaiani‐Basedow‐Graves (gozzo tossico diffuso) Iperstimolazione della ghiandola<br />

tiroidea da parte di autoanticorpi.<br />

• Morbo di Plummer (adenoma tossico) Nodulo singolo della tiroide iperfunzionante svincolato dai<br />

meccanismi di regolazione della produzione ormonale.<br />

• Gozzo multinodale tossico Uno o più noduli che acquistano autonomia funzionale.<br />

• Tiroide subacuta Fase transitoria di ipertiroidismo legata alla aumentata liberazione di ormoni<br />

conseguente al danno prodotto sulla ghiandola dal processo infiammatorio.<br />

• Fase ipertiroidea della tiroidite di Hashimoto Aumento del rilascio ormonale conseguente al<br />

danno infiammatorio.<br />

• Tireotossicosi factitia Disturbo psiconevrotico da ingestione di eccessive quantità di ormoni<br />

tiroidei.<br />

• Forme rare:<br />

o Struma ovarico<br />

o Carcinoma metastatico della tiroide<br />

o Mola idatiforme<br />

o Tireotossico da hamburger<br />

o Tumori ipofisari secernenti TSH<br />

o Resistenza ipofisaria al T3 e T4.<br />

Con tireotossicosi si intende un eccesso di ormoni tiroidei che è diverso da ipertiroidismo che comprende<br />

invece le manifestazioni cliniche legate all’aumento degli ormoni tiroidei.<br />

MORBO DI BASEDOW<br />

Colpisce 1‐2% della popolazione. È 10 volte più frequente nella femmina. È più frequente tra i 40‐60 anni. Il<br />

gozzo che si forma può essere di dimensioni variabili.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Manifestazioni cardiovascolari dell’ipertiroidismo:<br />

‐ Tachicardia Cardiopalmo<br />

‐ Dispnea da sforzo<br />

‐ Angina pectoris per diminuita riserva coronarica<br />

‐ Aumento della gittata sistolica e diminuito tempo di circolo<br />

‐ Aumento della pressione differenziale<br />

‐ Polso ampio e celere<br />

‐ Itto aumentato<br />

‐ Click mesosistolico alla punta<br />

‐ Si può arrivare, se ci sono già problemi cardiaci, allo scompenso cardiaco ad alta gittata.<br />

Con l’ECG si nota:<br />

‐ Tachicardia sinusale<br />

‐ Tachiaritmia sopraventricolare.<br />

Con i reperti ecografici/radiologici si può notare il prolasso della mitrale.<br />

Manifestazioni metaboliche dell’ipertiroidismo:<br />

o Aumento del metabolismo basale<br />

o Aumento della produzione di calore (febbricola, intolleranza al caldo, aumento della sudorazione)<br />

o Calo ponderale<br />

o Ipocolesterolemia<br />

o Aumento del metabolismo proteico.<br />

Manifestazione gastro‐intestinali dell’ipertiroidismo:<br />

Diarrea e/o aumento di frequenza dell’alvo<br />

Iperemesi.<br />

Manifestazioni neuropsichiche dell’ipertiroidismo:<br />

• Nervosismo<br />

• Insonnia<br />

• Agitazione psico‐motoria Psicosi<br />

• Fini tremori.<br />

Manifestazioni neuromuscolari dell’ipertiroidismo:<br />

‐ Astenia, facile stancabilità<br />

‐ Retrazione della palpebra superiore.<br />

Sintomi oculari del morbo di Basedow:<br />

o Semplice protrusione del bulbo<br />

o Congestione congiuntivale (arrossamento, sensazione di corpo estraneo, lacrimazione)<br />

o Chemosi, fotofobia<br />

o Oftalmoplegia con diplopia<br />

o Lagoftalmo Cheratiti<br />

o Aumento della pressione retrobulbare Stasi venosa, neurite ottica, atrofia ottica.<br />

o Dislocazione del bulbo.<br />

Nel morbo di Basedow si ha anche edema pretibiale.<br />

Semeiotica oculare dell’ipertiroidismo:<br />

‐ Segno di Graefe Facendo fissare al paziente un dito che venga abbassato dall’alto verso il basso,<br />

la palpebra superiore del paziente non segue l’occhio e rimane scoperto un tratto di sclera.<br />

‐ Segno di Moebius Facendo fissare al paziente un dito che venga lentamente avvicinato sin<br />

davanti al naso, uno dei due occhi o entrambi deviano all’esterno abbandonando la convergenza.<br />

Semeiotica oculare del morbo di Basedow:<br />

‐ Segno di Dalrymple Retrazione palpebrale superiore e/o inferiore che può associarsi ad edema<br />

ed inspessimento palpebrale.<br />

‐ Segno di Kocher Sguardo fisso, ipervigile, quasi spaventato.<br />

‐ Segno di Rosenbach Sottile tremore palpebrale a palpebre socchiuse.<br />

‐ Segno di Stellwag riduzione della frequenza e dell’ampiezza dell’ammiccamento.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Per il gozzo tossico si fa:<br />

• Ecografia Valutazione morfologica:<br />

o Forma‐volume<br />

o Se ci sono noduli<br />

o Se i noduli sono cistici o no<br />

o Omogeneità<br />

o Presenza di calcificazione<br />

o Se è associata a doppler si valutano anche i vasi.<br />

• Scintigrafia Si valuta la funzionalità della ghiandola. Si inserisce il tecnezio radioattivo.<br />

Fisiologicamente si ha una distribuzione omogenea. Se c’è un nodulo iperfunzionante, esso attrae il<br />

tracciante (ipercaptante) e viene detto nodulo caldo. Se c’è un nodulo ipofunzionante, non attrae il<br />

tracciante (ipocaptante o minus) e viene detto nodulo freddo. I noduli freddi più frequentemente<br />

nascondono un tumore.<br />

AGOASPIRATO<br />

L’agoaspirato tiroideo è un’indagine che permette l’analisi di materiale aspirato da un nodulo o da una zona<br />

di tessuto tiroideo. La metodica FNA (Fine‐Needle Aspiration) è oggi considerata la tecnica di indagine<br />

tiroidea non chirurgica più specifica e sensibile. Per alcuni tumori maligni, come il carcinoma papillare,<br />

l’agoaspirazione ha dimostrato di essere molto più valida della diagnosi fatta su sezioni di tessuto<br />

congelate.<br />

Le patologie della tiroide hanno una netta prevalenza femminile. Dal 4 al 7% della popolazione adulta ha un<br />

nodulo tiroideo palpabile. Il 5% delle donne dopo i 45 anni ha un nodulo tiroideo palpabile. La frequenza<br />

della popolazione generale è più alta nelle aree a carenza iodica. Solo una piccola percentuale di questi<br />

noduli è maligna (5%).<br />

Valutazione pre‐FNA:<br />

‐ Anamnesi<br />

‐ Esame obiettivo tiroide<br />

‐ Funzionalità tiroidea<br />

‐ Ecodoppler tiroideo<br />

‐ Scintigrafia tiroidea.<br />

Fattori di rischio per il carcinoma alla tiroide:<br />

• Età 60 anni<br />

• Sesso Maschi>femmine<br />

• Irradiazione su testa e/o collo<br />

• Familiarità per carcinoma midollare<br />

• Familiarità per carcinoma papillare<br />

• Nodulo singolo<br />

• Rapido accrescimento del nodulo<br />

• Crescita sotto terapia soppressiva con LT4 (L‐tiroxina)<br />

• Fissità, consistenza dura<br />

• Linfoadenopatia.<br />

Caratteristiche ecografiche:<br />

‐ Struttura solida<br />

‐ Diametro antero‐posteriore maggiore del diametro trasversale<br />

‐ Spiccata ipoecogenicità<br />

‐ Margini irregolari<br />

‐ Presenza di fini calcificazioni<br />

‐ Vascolarizzazione solo o prevalente intranodulare.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

L’FNA può essere eseguito con o senza assistenza ecografica. Esistono aghi di lunghezza variabile da<br />

utilizzare a seconda della profondità del nodulo. Si utilizza una siringa da 10cc inserita in un dispositivo a<br />

pistola che permette l’aspirazione del materiale prelevato grazie all’applicazione di una pressione negativa.<br />

Il paziente deve essere disteso con un cuscino sotto le spalle per permettere la giusta estensione del collo.<br />

Si effettua la palpazione del nodulo da agoaspirare e si inserisce l’ago che va tenuto fisso con due dita.<br />

Mobilizzazione ripetuta dell’ago avanti ed indietro per 10‐15 volte in modo da permettere una corretta<br />

espirazione di cellule e colloide.<br />

Alcune gocce del materiale aspirato dovranno essere prontamente deposte su un vetrino per essere<br />

strisciate. I vetrini così allestiti dovranno:<br />

‐ Essere immersi in etanolo 95% prima della colorazione secondo Papanicolau<br />

‐ Lasciati essiccare all’aria per la colorazione con MGG.<br />

La puntura provoca un leggero fastidio, come una normale iniezione intramuscolare, ma all’interno della<br />

ghiandola tiroidea non ci sono recettori dolorifici per cui superato lo strato cutaneo non dovrebbe essere<br />

percepito alcun dolore. Si può percepire un’irradiazione del dolore dietro l’orecchio, questo per la<br />

stimolazione di terminazioni nervose cutanee.<br />

Le complicanze del FNA sono:<br />

‐ Ematoma<br />

‐ Episodio vasovagale<br />

‐ Perforazione della trachea (rarissima).<br />

Un eventuale tumore non può essere disseminato dall’ago.<br />

È controindicata con pazienti con alterato coagulazione.<br />

TUMORI<br />

• Benigni:<br />

o Adenoma follicolare:<br />

Macrofollicolare o colloide<br />

Fetale<br />

Embionale<br />

A cellule di Hurtle.<br />

o Teratoma<br />

o Lipoma<br />

o Emangioma<br />

o Cisti.<br />

• Maligni:<br />

o Primitivi:<br />

Differenziati:<br />

• Carcinoma papillare<br />

• Carcinoma follicolare<br />

• Carcinoma midollare.<br />

Indifferenziati<br />

o Linfoma<br />

o Metastasi tiroidee da altri tumori.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE VENOSA<br />

Completa l’esame obiettivo del cuore.<br />

La pressione venosa centrale può essere valutata misurando la distanza verticale in centimetri dall’angolo<br />

sternale fino al menisco superiore della colonna ematica della vena giugulare esterna destra. La testa e le<br />

spalle del paziente devono essere sollevate a 45°. I valori normali si aggirano sui 3cm a cui bisogna<br />

sommare i 5cm fissi che sono la distanza dell’angolo di Louis dal centro dell’atrio destro. I valore è quindi di<br />

8cm di sangue.<br />

Alternativamente la pressione venosa può essere valutata esaminando le vene del dorso della mano. Il<br />

paziente in posizione semi assisa, abbassa la mano al si sotto del livello cardiaco per il tempo necessario a<br />

produrre una distensione delle vene del dorso. L’arto viene poi passivamente e lentamente sollevato.<br />

Normalmente le vene collabiscono quando il livello del dorso della mano raggiunge il livello dell’angolo<br />

sternale di Louis o dell’incisura soprasternale.<br />

PULSAZIONI GIUGULARI<br />

Le vene del collo possono essere dilatate e pulsanti quando il paziente giace disteso. Non dovrebbero<br />

invece essere dilatate quando il paziente è seduto. Alla posizione di 45 gradi dalla orizzontale, non vi<br />

dovrebbero essere né turgore né pulsatilità delle vene del collo al di sopra del livello del manubrio dello<br />

sterno. Se esiste turgore e pulsatilità, la pressione venosa è probabilmente aumentata. È segno di uno<br />

scompenso del cuore sinistro. È necessario esaminare non solo le vene giugulari esterne, ma anche quelle<br />

interne, che decorrono al di sotto del muscolo sternocleidomastoideo.<br />

Una pulsazione visibile della vena giugulare interna, è spesso male interpretata come pulsazione dell’arteria<br />

carotide. L’ispezione da vicino rivela spesso che le pulsazioni venose sono multifasiche (almeno due picchi<br />

per ciclo) mentre le arteriose sono monofasiche. Se le pulsazioni sono di origine venosa, saranno<br />

influenzate dai cambiamenti di posizione del corpo. Saranno più pronunciate quando il paziente giace<br />

disteso, e meno pronunciate od assenti quando egli è seduto.<br />

In presenza di insufficienza cardiaca congestizia, inoltre, una compressione effettuata sul quadrante<br />

addominale superiore destro, mentre il paziente continua a respirare normalmente, provocherà un<br />

aumento del livello delle pulsazioni quando queste siano di origine venosa. Viene detto riflesso<br />

epatogiugulare. Nella persona normale una compressione ferma esercitata sull’addome superiore per un<br />

minuto, senza interferenze con la respirazione del soggetto, non aumenta la pressione venosa oltre i due<br />

centimetri. Aumenti superiori sono tipici di un reflusso epatogiugulare positivo.<br />

POLSI VENOSI<br />

Se si effettua la registrazione grafica delle pulsazioni delle vene giugulari, si nota una successione di onde<br />

positive e negative:<br />

• Onda “a” Positiva Dovuta alla contrazione atriale<br />

• Onda “c” Positiva Dovuta al fatto che durante la contrazione isovolumetrica del ventricolo, il<br />

piano valvolare atrioventricolare viene sospinto entro la camera atriale ove sporge e crea l’onda<br />

“c”.<br />

• Onda “x” Negativa Dovuta al fatto che durante la fase di eiezione ventricolare, il piano<br />

valvolare atrioventricolare viene stirato verso il basso, per cui la camera atriale si dilata. La<br />

distensione atriale è sufficiente a creare una caduta della pressione, registrata come onda negativa.<br />

Il punto “x” segna la fine del rilasciamento atriale. Questa incisura profonda prende pure il nome di<br />

“collasso sistolico”: mentre infatti il ventricolo si contrae (sistole), l’atrio si rilascia e la pressione<br />

cade (collasso).<br />

• Onda “v” Positiva Dovuta al fatto che nell’atrio continua ad arrivare sangue dalle vene cave e<br />

dal seno coronarico già al termine della presistole (onda a). Quando la pressione di riempimento<br />

atriale distende attivamente le pareti dell’atrio, si inscrive l’onda positiva v, il cui acme corrisponde<br />

all’apertura della valvola tricuspide.<br />

34


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Onda “y” Negativa Creata dallo svuotamento dell’atrio che produce una graduale distesa di<br />

pressione. Questa seconda caduta negativa si chiama pure “collasso diastolico” perché avviene<br />

durante la diastole ventricolare.<br />

Esistono due tipi di polsi venosi, in base al tempo di comparsa del polso venoso riferito alla sistole<br />

ventricolare:<br />

‐ Presistolico Corrisponde all’onda “a”. Questa onda del polso giugulare compare 0.1‐0.2 secondi<br />

prima del polso carotideo. È necessario ricordare che l’onda “a” non si rileva in presenza di<br />

fibrillazione atriale a causa dell’assenza della sistole atriale. È presente:<br />

o Nell’ipertensione polmonare<br />

o Nella stenosi valvolare polmonare<br />

o Nella stenosi della valvola tricuspide<br />

o In tutti i casi in cui la compliance ventricolare destra è ridotta.<br />

‐ Sistolico Corrisponde all’onda “v”. Questa onda del polso giugulare è sincrona o segue di poco il<br />

polso carotideo. È marcata nell’insufficienza della tricuspide (insieme con le pulsazioni sistoliche del<br />

fegato congesto). Se lo scompenso è trattato e la pulsatilità dovuta all’onda “v” scompare dalle<br />

vene del collo, ciò significa che l’insufficienza della tricuspide è relativa e non organica.<br />

È necessario che l’esaminatore palpi l’arteria carotide opposta ed osservi se il polso venoso precede o se è<br />

sincrono con quello carotideo.<br />

35


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELL’OCCHIO<br />

OCCHIO ESTERNO<br />

È composto da:<br />

‐ Palpebre<br />

‐ Congiuntiva<br />

‐ Ghiandola lacrimale.<br />

L’esame obiettivo degli occhi viene eseguito in maniera sistematica iniziando con le sopracciglia ed i tessuto<br />

circostanti e procedendo verso l’interno.<br />

Sopracciglia Vanno ispezionate valutandone:<br />

o Dimensioni<br />

o Estensione<br />

o Consistenza dei peli Ed esempio se le sopracciglia sono spesse e non si estendono oltre il<br />

canto temporale il paziente può essere affetto da ipotiroidismo.<br />

Zona orbitaria Bisogna ispezionare alla ricerca di:<br />

o Edemi<br />

o Turgidità<br />

o Cedimento dei tessuti sottostanti.<br />

Va valutata anche l’eventuale presenza di xantelasmi, cioè di placche rilevate di colesterolo<br />

depositato più frequentemente a livello della porzione nasale della palpebra superiore o inferiore.<br />

Occhi chiusi Bisogna esaminarli alla ricerca di tremori o di fascicolazioni delle palpebre (segno di<br />

ipertiroidismo).<br />

Palpebre Ispezionare valutando la loro capacità di aprirsi o chiudersi in maniera completa.<br />

Bisogna cercare la presenza di arrossamento, desquamazione o tumefazione del margine<br />

palpebrale (blefarite). Le ciglia devono essere presenti su ambedue le palpebre e devono essere<br />

rivolte verso l’esterno.<br />

o Ptosi Quando l’occhio è aperto la palpebra superiore deve coprire una parte dell’iride,<br />

ma non la pupilla. Se una delle palpebre superiori copre una parte maggiore di iride<br />

rispetto all’altra può essere presente ptosi. Può essere indicativa di una ipotonia congenita<br />

o acquisita del muscolo elevatore o di una paresi di una branca del III° paio. La ptosi<br />

palpebrale se associata a miosi ed enoftalmo può essere dovuta a paralisi del simpatico<br />

cervicale o Sindrome di Bernard Horner. In questi casi è perduta l’azione tonica del muscolo<br />

di Mueller e la rima palpebrale risulta ridotta.<br />

o Entropion Il bordo libero palpebrale è rivolto verso l’interno. Le ciglia possono causare<br />

irritazione congiuntivale e corneale, facendo aumentare il rischio di un’infezione<br />

secondaria.<br />

o Ectropion È una condizione opposta alla precedente con eversione del bordo libero<br />

palpebrale, più spesso quello inferiore, e con esposizione minore o maggiore della<br />

superficie congiuntivale.<br />

o Orzaiolo Corrisponde al foruncolo della pelle. È dovuto alla suppurazione delle ghiandole<br />

di Zeiss alla base di una ciglia sotto forma di tumefazione arrossata del bordo palpebrale<br />

per lo più centrata da una ciglia.<br />

o Trichiasi Alterazione acquisita piuttosto frequente della direzione delle ciglia che sono<br />

rivolte verso l’interno in maniera tale che grattano la superficie corneale.<br />

o Calazio Infiammazione granulomatosa delle ghiandole di Meibomio (sono ghiandole<br />

sebacee). In genere è una infiammazione cronica in conseguenza dell’occlusione del sotto<br />

ghiandolare con compartecipazione al processo dei tessuti circostanti.<br />

o Lagoftalmo Impossibilità di chiudere completamente l’occhio.<br />

Congiuntive La congiuntiva è di solito non visibile, chiara e libera da eritemi. Per ispezionare la<br />

congiuntiva che copre la palpebra inferiore si fa guardare il paziente in alto e si abbassa la palpebra<br />

inferiore. L’ispezione della congiuntiva tarsale superiore si effettua solo quando si sospetta la<br />

36


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

presenza di un corpo estraneo. Si chiede al paziente di guardare in basso mentre si tirano<br />

delicatamente le ciglia in basso ed in avanti per vincere la forza di suzione tra la palpebra ed il globo<br />

oculare. Quindi rovesciare la palpebra su un piccolo tamponcino. Dopo aver ispezionato e rimosso<br />

eventuali corpi estranei far ritornare la palpebra alla sua posizione normale; chiedere al paziente di<br />

guardare in alto mentre si applica una pressione sulla palpebra.<br />

A livello della congiuntiva vanno evidenziate si presenti:<br />

o Alterazioni vascolari:<br />

Iperemia Il paziente può avere sensazione di corpo estraneo, bruciori, fotofobia:<br />

• In corso di processi infiammatori<br />

• In forma transitoria in presenza di irritativi ambientali come:<br />

o Freddo<br />

o Fumo<br />

o Vento<br />

o Esposizione a luce intensa.<br />

• In forma cronica per:<br />

o Difetti refrattivi<br />

o Trichiasi<br />

o Alcolismo<br />

o Disturbi metabolici<br />

o Disturbi digestivi prolungati.<br />

Emorragia sottocongiuntivale Generalmente appare come presenza di sangue<br />

vivo in una zona ben definita, circondata da una congiuntiva di aspetto normale. Il<br />

sangue rimane di solo rosso vivo a causa della diffusione diretta dell’ossigeno<br />

attraverso la congiuntiva. Può manifestarsi:<br />

• In soggetti con fragilità capillare<br />

• In seguito a sforzi particolari:<br />

o Starnuti, tosse convulsa<br />

o Parto.<br />

• Traumi<br />

• Infiammazioni congiuntivali<br />

• Senza causa apparente.<br />

o Affezioni flogistiche Si parla di congiuntiviti. Rappresentano la più comune patologia<br />

oculare. In genere il paziente ha senso di bruciore, senso di pesantezza, senso di corpo<br />

estraneo, prurito, arrossamento diffuso o localizzato, lacrimazione, secrezione. La cornea di<br />

solito è trasparente, la pupilla di diametro normale. Considerando la causa possiamo<br />

distinguere congiuntiviti:<br />

Batteriche, virali<br />

Allergiche<br />

Tossiche (endogene ed esogene)<br />

Fungine<br />

Parassitarie.<br />

Un aspetto a ciottolato romano può indicare una congiuntivite allergica.<br />

o Processi degenerativi:<br />

Pterigo Si intende una piega di tessuto congiuntivale che progredisce al di sopra<br />

della cornea, di solito dal lato nasale. Può interferire con la visione se avanza fino<br />

ad interessare la pupilla. Lo pterigo rappresenterebbe la reazione ad un processo di<br />

irritazione prolungata da flogosi croniche o da agenti atmosferici (frequente è<br />

infatti nelle persone esposte al vento e alla luce).<br />

Pinguecola Comunissima negli adulti, si presenta sotto forma di nodulo giallastro<br />

rilevato più spesso localizzato dal lato nasale. Dal punto di vista anatomo‐<br />

patologico si tratta di una degenerazione ialina del tessuto sottoepiteliale.<br />

o Lesioni traumatiche<br />

37


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Tumori.<br />

OCCHIO INTERNO<br />

È composto da:<br />

‐ La tonaca fibrosa è l’involucro più esterno del bulbo oculare. Viene suddivisa in una parte anteriore<br />

(1/6), trasparente, la cornea, ed in una parte posteriore (5/6) di colorito biancastro, la sclera.<br />

o Cornea Parte più anteriore della tonaca fibrosa che si continua posteriormente con la<br />

sclera, rispetto alla quale differisce per la curvatura, per la struttura e per le funzioni. La<br />

superficie anteriore, convessa, è direttamente a contatto con l’ambiente, la superficie<br />

posteriore, concava, limita in avanti la camera anteriore dell’occhio (separa quindi il liquido<br />

contenuto nella camera anteriore dell’occhio dall’ambiente esterno). È perfettamente<br />

trasparente, costituendo uno dei più importanti mezzi diottrici dell’occhio (permette la<br />

trasmissione della luce attraverso il cristallino fino alla retina). Il limite di transizione tra<br />

sclera (bianca) e cornea (trasparente) è ben delineato e prende il nome limbus. La cornea è<br />

priva di vasi sanguigni e viene nutrita dai vasi del limbus e dall’umor vitreo. Possiede<br />

un’innervazione sensitiva, principalmente sensibile agli stimoli dolorosi.<br />

o Sclera Membrana molto resistente, di natura connettivale, con funzioni di protezione e di<br />

sostegno nei confronti delle membrane oculari più interne. Su di essa si inseriscono i<br />

tendini dei muscoli estrinseci dell’occhio. È una struttura avascolare che esteriormente è<br />

visibile come la parte bianca del globo oculare. In corrispondenza della giunzione<br />

sclerocorneale si trova nella parte profonda della tonaca fibrosa, il sistema trasecolare<br />

sclerocorneale, questa formazione ha grande importanza nella regolazione della pressione<br />

endoculare. L’umor acqueo, prodotto continuamente a livello del corpo ciliare, passa infatti<br />

dalla camera posteriore a quella anteriore attraverso il foro pupillare, prende quindi la via<br />

del sistema suddetto e penetrando all’interno del canale di Schlemm viene infine drenata<br />

dalle vene episclerali.<br />

‐ Tonaca vascolare o uvea (coroide, corpo ciliare e iride) È situata tra la tonaca fibrosa e quella<br />

nervosa. È una membrana connettivale molto ricca di vasi, la cui funzione principale è quella di<br />

assicurare una adeguata nutrizione della retina.<br />

o Coroide Si estende nei 2/3 posteriori del bulbo. Ha colorito brunastro. La sua superficie<br />

esterna è connessa con la sclera. Internamente è a contatto con la parte ottica della retina.<br />

Posteriormente presenta un foro che dà passaggio al nervo ottico.<br />

o Corpo ciliare Continuazione anteriore della coroide, alla quale somiglia molto per la<br />

struttura. Inizia a livello dell’ora serrata (la parte più anteriore della retina) e continua poi<br />

in avanti fino al margine ciliare dell’iride. Può essere suddiviso in due zone:<br />

Posteriore della orbicolo ciliare con sottili pieghe radiali<br />

Anteriore detta corona ciliare, con piccoli rilevi radiali, i processi ciliari separati da<br />

piccole depressioni, vallecole, lungo le quali si dispongono filamenti formanti nel<br />

loro insieme la zonula ciliare (di Zinn). Questi filamenti si inseriscono all’equatore<br />

del cristallino. Alla faccia esterna del corpo ciliare si trova il muscolo ciliare.<br />

o Iride porzione più anteriore della tonaca vascolare. Si presenta come un diaframma che<br />

stabilisce un confine tra la camera anteriore del bulbo e quella posteriore. Il centro<br />

dell’iride è occupata da un foro, la pupilla.<br />

Faccia anteriore Volta verso la camera anteriore e visibile per trasparenza<br />

attraverso la cornea, ha il colore variabile da soggetto, secondo il grado di<br />

pigmentazione. La sua superficie è resa irregolare dalla presenza di numerose<br />

creste a decorso radiale, evidenti soprattutto quando il foro pupillare è ristretto e<br />

di piccole depressione (sripte).<br />

Faccia posteriore Volta verso la camera posteriore e poggiata sul cristallino, ha<br />

aspetto vellutato e colorito nero per l’abbondanza di pigmento.<br />

38


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Pupilla<br />

‐ Cristallino<br />

‐ Retina.<br />

Margine ciliare periferico, prosegue posteriormente con il corpo ciliare ed è in<br />

rapporto anteriormente con l’angolo sclerocorneale.<br />

Margine pupillare Circoscrive il foro pupillare. La sua zona di passaggio dalla<br />

faccia anteriore dell’iride alla faccia posteriore della cornea ha il nome di angolo<br />

iridocorneale.<br />

Cornea Bisogna valutare:<br />

o Trasparenza Usando una fonte luminosa tangenziale. Non devono essere visibili vasi<br />

ematici, dal momento che la cornea non è vascolarizzata.<br />

o Sensibilità corneale Controllata dal V° paio di nervi cranici può essere valutata toccando<br />

la cornea con un batuffolo di cotone. La reazione attesa è un ammiccamento che richiede<br />

l’integrità delle fibre sensoriali del V° paio e delle fibre motorie del VII° paio.<br />

o A livello della cornea possono essere messe in evidenza:<br />

Affezioni flogistiche Prendono il nome di cheratiti che possono essere:<br />

• Ulcerative Sono molto comuni ed anche il medico internista avrà spesso<br />

modo di vederle. Il dolo è il sintomo costante in corso di ulcera corneale. Il<br />

paziente può lamentare una semplice sensazione di corpo estraneo che si<br />

accentua con i movimenti palpebrali o al contrario dei dolori più diffusi di<br />

tipo trigeminale per e retro oculari. Quasi sempre è presente lacrimazione,<br />

blefarospasmo, fotofobia. Vi può essere un interessamento dell’acuità<br />

visiva più o meno importante a seconda della localizzazione della lesione. A<br />

parte causa esogene ed endogene (esoftalmo, lagoftalmo, ectropion) le<br />

forme infettive più comuni sono quelle virali (herpes, adenovirus).<br />

• Non ulcerative Sono di diagnosi meno immediata<br />

Processi degenerativi:<br />

• Gerontox o arco senile È costituita da una formazione semicircolare o<br />

anulare biancastra dovuta al deposito di esteri colesterinici, situati alla<br />

periferia della cornea in prossimità del limbus dal quale è separato da un<br />

bordo trasparente (intervallo lucido). Si riscontra praticamente, in forma<br />

più o meno accentuata, nella quasi totalità di individui oltre il 70° anno di<br />

vita. Nei soggetti più giovani può essere indicativo di una alterazione del<br />

metabolismo lipidico.<br />

Sclera Deve essere di colore bianco e dovrebbe essere visibile al di sopra dell’iride solo quando le<br />

palpebre sono completamente aperte. Si possono evidenziate:<br />

o Malformazioni:<br />

Sclera blu Ereditaria. La sclera sottile lascia trasparire le membrana sottostanti, le<br />

quali appaiono blu. A questa anomalia si può associare abnorme fragilità ossea e<br />

sordità (Sindrome di Van der Hoeve).<br />

Melanosi La porzione anteriore può presentare a volte delle macchie brunastra o<br />

violacee che traspaiono attraverso la congiuntiva bulbare.<br />

o Affezioni flogistiche:<br />

Episclerite Infiammazione del tessuto episclerale e degli strati più superficiali<br />

della sclera.<br />

Sclerite Forma più profonda di flogosi. Si può avere in corso di TBC, reumatismo<br />

cronico, iperuricemia.<br />

o Processi degenerativi:<br />

39


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Placca ialina senile È scura di color ruggine e si forma appena anteriormente<br />

all’inserzione del muscolo retto mediale. La sua presenza non implica una<br />

condizione patologica.<br />

Iride Lo strato epiteliale dell’iride è ricco di pigmento e dà la colorazione dell’occhio. Siccome<br />

insieme al corpo ciliare e la coroide compone l’uvea, i processi infiammatori di questa regione<br />

prendono il nome di uveite. A seconda della regione si distinguono:<br />

o Uveite anteriore:<br />

Irite Interessa solo l’iride<br />

Ciclite Interessa solo il corpo ciliare<br />

Iridociclite Sono interessati entrambe. È la più frequente.<br />

o Uveite posteriore o coroidite<br />

o Uveite diffusa.<br />

Pupille Devono essere rotonde, uguali e di dimensioni uguali. La motilità pupillare è garantita da:<br />

o Muscolo sfintere dell’iride Innervato da fibre parasimpatiche, provenienti dai nervi<br />

mesencefalici di Edinger‐Westphal che decorrono nel nervo oculomotore comune e<br />

attraversa il ganglio ciliare.<br />

o Muscolo dilatatore dell’iride Innervato da fibre simpatiche provenienti dal gangli<br />

cervicale superiore aventi il pirenoforo nel centro cilio‐spinale di Budge del muscolo<br />

dorsale.<br />

Un ipertono vagale determina una miosi (diminuzione del diametro pupillare 5mm).<br />

o Midriasi La pupilla si dilata per effetto per effetto di:<br />

Farmaci che stimolano il sistema simpatico:<br />

• Adrenalina<br />

• Anfetamine<br />

• Cocaina.<br />

Farmaci che bloccano il parasimpatico:<br />

• Atropina<br />

• Scopolamina<br />

È di solito associata al coma (diabete, alcol, uremia) ed epilessia.<br />

o Miosi La pupilla si costringe per effetto di:<br />

Farmaci che stimolano il parasimpatico:<br />

• Pilocarpina, muscarina<br />

• Acetilcolina.<br />

Farmaci che bloccano il simpatico, come i derivati della segale cornuta.<br />

La forma ed il diametro della pupilla sono influenzati da vari fattori e si deve pertanto stabilire se<br />

esiste:<br />

o Isocoria pupillare Nel soggetto normale entrambe le pupille hanno lo stesso diametro. La<br />

variazione unilaterale del diametro (anisocoria) può essere l’espressione sia di irritazione<br />

che di lesione delle vie deputate alla motilità pupillare.<br />

o Isociclia pupillare Usualmente le pupille presentano la stessa regolarità di contorno ed<br />

una forma circolare. In situazioni patologiche quali postumi di lesioni infiammatorie<br />

dell’iride, tabe dorsale, paralisi progressiva oppure alterazioni congenite, il contorno può<br />

assumere forme diverse:<br />

Ovale È talvolta secondaria a traumi cranici o emorragia intracranica. Fasi di<br />

transizione tra la pupilla normale e la pupilla dilatata fissa associata all’aumento<br />

della pressione intracranica. Nella maggioranza dei casi torna normale con la<br />

normalizzazione della pressione intracranica.<br />

A goccia<br />

Irregolare.<br />

Sindrome di Claude Bernard‐Horner Si caratterizza per:<br />

Anisocoria con miosi monolaterale<br />

40


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Ptosi palpebrale<br />

Enoftalmo (per deficit del muscolo di muller)<br />

Arrossamento della metà corrispondente del viso.<br />

Indica una lesione distruttiva del simpatico cervicale che è preposto alla contrazione del<br />

muscolo dilatatore dell’iride.<br />

Sindrome di Parfour‐Depetit presenta:<br />

Anisocoria con midriasi<br />

Sollevamento della palpebra superiore<br />

Esoftalmo<br />

Pallore dell’emifaccia corrispondente.<br />

Indica una lesione irritativa del simpatico cervicale. Queste sindromi sono frequenti nelle<br />

affezioni del mediastino superiore ed in quelle dell’apice polmonare (tumori di Pancost).<br />

Sindrome di Pancost Sindrome di Bernard‐Horner più nevralgia cervicobrachiale più turbe<br />

vasomotorie dell’arto superiore.<br />

o Pupillotonia o reazione pupillare tonica La pupilla si dice tonica (pupillotonia) quando la<br />

reazione alla luce è abolita con la comune metodica, ma evocabile, seppure con una<br />

reazione molto lenta, in adatte condizioni (prova in camera oscura). Reazione<br />

all’accomodazione‐convergenza può avvenire seppur lentamente e con intervallo anche di<br />

cinque minuti. La pupilla tonica, spesso osservata in giovani donne, tra i 20 e i 30 anni, se<br />

associata all’assenza di alcuni riflessi profondi (sia patellari che achillei), costituisce la<br />

sindrome di Adie di genesi sconosciuta e di carattere benigno e non evolutivo.<br />

o Hippus Costituito dal ritmico alternarsi di contrazioni e dilatazioni della pupilla. Da alcuni<br />

autori è considerato un segno associato alla sclerosi multipla o tumori cerebrali. In genere è<br />

però ritenuto privo di particolare significato diagnostico.<br />

Riflessi pupillari:<br />

o Riflesso alla luce Esaminare il paziente in una stanza scarsamente illuminata. Illuminare<br />

l’occhio direttamente con una lampadina tascabile ed osservare la costrizione della pupilla.<br />

o Riflesso consensuale alla luce Consiste in una costrizione pupillare dell’occhio opposto a<br />

quello esaminato quando è protetto con uno schermo dalla sorgente luminosa. L’arco<br />

riflesso è costituito da retina, vie ottiche, corpi genicolati, nuclei irido costrittori di Edinger‐<br />

Westphal del mesencefalo, nervo oculomotore comune, ganglio ciliato, muscolo sfintere<br />

dell’iride.<br />

Il riflesso alla luce sarà abolito per una interruzione dell’arco riflesso in qualsiasi punto<br />

(retina, nervo ottico, nervo oculomotore comune).<br />

o Riflesso di accomodazione Per provocare il riflesso di accomodazione si invita il paziente<br />

a fissare un oggetto lontano qualche decina di metri e successivamente a fissare un oggetto<br />

o il dito dell’esaminatore posto a circa 20‐30cm di distanza. Si attua comunemente<br />

ponendo il paziente davanti ad una finestra e facendo fissare prima un oggetto a distanza e<br />

successivamente la penna dell’esaminatore posta a circa 20cm. La visione per vicino<br />

comporta costrizione pupillare.<br />

La valutazione della risposta pupillare all’accomodazione riveste un’importanza diagnostica<br />

solo in presenza di una contemporanea alterazione della risposta pupillare alla luce. Una<br />

mancata reazione alla luce diretta con conservazione del riflesso costrittivo nel corso<br />

dell’accomodazione e convergenza è talvolta osservabile nei pazienti affetti da sifilide o da<br />

diabete (fenomeno di Argyll‐Robertoson).<br />

o Riflesso pupillare alla convergenza Le pupille divengono miotiche seguendo l’avvicinarsi<br />

del dito dell’osservatore alla punta del naso.<br />

La valutazione combinata del diametro pupillare e della reattività alla luce ha grande importanza<br />

pratica.<br />

o Miosi bilaterale rigida Si può osservare nel:<br />

• Sindrome da ipertensione endocranica con sofferenza o lesione del ponte<br />

• Intossicazione da fenotiazine<br />

41


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Intossicazione da oppiacei (eroina, morfina e in tal caso la miosi cede all’installazione<br />

di collirio al naloxone)<br />

• Avvelenamento da estero fosforici<br />

• Muscarina (amanita muscaria).<br />

o Midriasi bilaterale rigida Si può avere in corso di:<br />

• Danno mesencefalico grave dovuto a sofferenza anossica dei centri nervosi (questo si<br />

verifica generalmente nel collasso cardiocircolatorio con sincope).<br />

• Intossicazione da barbiturici<br />

• Intossicazione da atropina<br />

• Intossicazione da anfetamine<br />

• Intossicazione da cocaina.<br />

o Midriasi unilaterale rigida Esprime generalmente lesione del nervo oculomotore comune<br />

(III° paio). Ma può essere realizzata da:<br />

• Aumento della pressione intracranica<br />

• Trauma cranico con ematoma<br />

• Compressione sul tronco encefalico per tumore o aneurisma.<br />

È evidente che in questi casi bisogna essere certi che la dilatazione o costrizione delle<br />

pupille non sia dovuta ad installazione di colliri (ad esempio atropina o pilocarpina).<br />

Cristallino Dovrebbe essere trasparente. Quando illuminato può apparire di color grigio o giallo.<br />

L’esame del cristallino con l’oftalmoscopio aiuterà a giudicare la sua trasparenza.<br />

Cataratta Ogni opacità del cristallino che può interessare la corteccia o il nucleo. La capsula della<br />

lente non diviene mai opaca. Può essere:<br />

o Congenita<br />

o Acquisita:<br />

Cataratta senile<br />

Cataratta traumatica<br />

Cataratta da agenti fisici<br />

Cataratta di origine tossica<br />

Cataratta in corso di altre malattie dell’organismo (diabete, galattosemia,<br />

ipoparatiroidismo, sindrome di Down, ipopituitarismo, ipogonadismo,<br />

iposurrenalismo).<br />

Cataratta complicata Si intende l’opacizzazione della lente che sopravviene come<br />

conseguenza di un’altra malattia oculare: cheratite, uveite, distacco della retina,<br />

glaucoma acuto, miopia elevata, tumori endoculari.<br />

42


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

CIANOSI<br />

Per cianosi si intende una colorazione bluastra della cute e delle mucose visibili dovuta ad eccesso di<br />

emoglobina (Hb) ridotta nel sangue capillare. L’Hb ridotta deve essere maggiore di 5g/100ml. È importante<br />

la quantità assoluta e non quella relativa. I soggetti anemici infatti sono difficilmente cianotici. I soggetti<br />

poliglobulici sono invece più facilmente cianotici.<br />

Pseudocianosi Colorazione bluastra della cute dovuta alla deposizione di sostanze estranee:<br />

‐ Argento Arginosi (colore grigio‐azzurro)<br />

‐ Oro Auriasi<br />

‐ Arsenico Melanosi da arsenico.<br />

Le condizioni che possono modificare l’espressione clinica della cianosi sono:<br />

• Pigmentazione della cute La pigmentazione scura o iperbilirubinemia<br />

• Stato dei capillari cutanei<br />

• Vasodilatazione superficiale facilita<br />

• Spessore della cute.<br />

Cianosi può essere più facilmente osservata dove la cute è più sottile, scarsamente pigmentata e<br />

riccamente irrorata come lobo dell’orecchio, labbra, letto ungueale, …<br />

La cianosi non sempre è segno di ipossiemia. Può essere presente una grave ipossiemia senza cianosi in un<br />

soggetto anemico o nell’avvelenamento da monossido di carbonio (gran parte dell’Hb viene bloccata dal CO<br />

e non può legare l’O2). Viceversa può essere presente cianosi senza ipossiemia in un soggetto policitemico.<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

La cianosi si può dividere in:<br />

Centrale La saturazione di ossigeno è minore della norma e quindi l’Hb ridotta aumenta nel<br />

sangue arterioso. Il sangue parte già desaturato dal ventricolo sinistro per:<br />

o Difettosa ossigenazione del sangue a livello polmonare<br />

o Patologico mescolamento del sangue venoso con sangue arterioso prima che questo venga<br />

immesso nel circolo sistemico<br />

o Presenza di emoglobine anomale con alterata affinità per l’ossigeno.<br />

È sempre generalizzata ed è in rapporto all’ipossiemia.<br />

Periferica Si verifica per aumentata estrazione di O2 da parte dei tessuti e quindi nel versante<br />

venulare dei capillari è presente un contenuto di Hb ridotta maggiore di 5gr/100ml. L’aumentato<br />

depauperamento periferico di O2 è generalmente conseguenza di rallentamento della circolazione,<br />

che può essere:<br />

o Sistemico Per esempio nelle:<br />

Sindromi da bassa portata<br />

Stasi venosa del grande circolo.<br />

o Localizzato Come nel:<br />

Vasospasmo arteriolare<br />

Trombosi venosa periferica.<br />

È sia distrettuale che generalizzata ed è correlata all’aumento della differenza artero‐venosa di O2.<br />

Mista Riconosce meccanismi in parte di origine centrale in parte di origine periferica.<br />

CAUSE<br />

• Cianosi centrale:<br />

o Ridotta saturazione in O2 del sangue arterioso:<br />

Ridotta pressione atmosferica (grandi altezze)<br />

Alterata funzione polmonare:<br />

• Ipoventilazione alveolare:<br />

o Per alterato stimolo centrale<br />

o Alterazioni del sistema neuromuscolare<br />

o Alterazioni della parete toracica<br />

43


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Alterazioni delle vie aeree.<br />

• Alterato rapporto ventilazione/perfusione<br />

o Atelettasia<br />

o Pneumotorace<br />

o Polmonite massiva<br />

o Ecc…<br />

• Alterata diffusione alveolo‐capillare dell’O2.<br />

Shunt anatomici:<br />

• Cardiopatie congenite cianotiche<br />

• Fistole arterovenose polmonari.<br />

Emoglobina con scarsa affinità per l’ossigeno<br />

o Aumento dell’Hb totale Poliglobulia.<br />

• Cianosi periferica:<br />

o Generalizzata:<br />

Ridotta portata cardiaca<br />

Esposizione a basse temperature.<br />

o Distrettuale:<br />

Ostruzione arteriosa:<br />

• Embolia<br />

• Trombosi<br />

• Vasospasmo.<br />

Ostruzione venosa:<br />

• Flebotrombosi o tromboflebite.<br />

• Cianosi mista:<br />

o Insufficienza cardiaca congestizia:<br />

Componente centrale Dovuta alla difettosa ossigenazione del sangue arterioso<br />

per la compromissione degli scambi alveolo‐capillari dovuti all’edema interstiziale<br />

Componente periferica Dovuta alla riduzione della portata cardiaca ed<br />

all’ostacolato ritorno venoso.<br />

o Poliglobulia:<br />

Componente centrale Legata all’impossibilità di ossigenare una quantità di Hb<br />

troppo elevata<br />

Componente periferica Dovuta al rallentamento del circolo per iperviscosità<br />

ematica.<br />

FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITÀ PER L’OSSIGENO<br />

Riduzione dell’affinità per l’ossigeno (spostamento della curva di dissociazione dell’O2 verso<br />

destra):<br />

o Aumentata concentrazione idrogenionica (minore del pH)<br />

o Aumento di pCO2<br />

o Aumento della temperatura<br />

o Aumento di DPG Adenosindifosfato, adenosintrifosfato e fosfato inorganico negli<br />

eritrociti.<br />

o Anemia<br />

o Soggiorno ad alta quota.<br />

Aumento dell’affinità per l’ossigeno (spostamento della curva di dissociazione dell’O2 verso<br />

sinistra):<br />

o Diminuita concentrazione idrogenionica (maggiore del pH)<br />

o Diminuzione di pCO2<br />

o Riduzione della temperatura<br />

o Diminuzione di DPG Adenosindifosfato, adenosintrifosfato, fosfato inorganico negli<br />

eritrociti<br />

44


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Sangue conservato (da emoderivati)<br />

o Sangue fetale<br />

o Aumento di carbossiemoglobina e metaemoglobina eritrocitaria.<br />

CONCLUSIONI<br />

La cianosi si verifica per una alterazione del normale funzionamento del trasporto di O2. Questo richiede:<br />

1. Una corretta ventilazione e diffusione polmonare che assicuri una adeguata pO2 alveolare prima ed<br />

arteriosa poi.<br />

2. La presenza di adeguata quantità di Hb normale in grado di garantire captazione e cessione di O2<br />

3. La capacità del sistema cardiovascolare di fornire a tutti i tessuti una quantità di sangue ossigenato<br />

sufficiente alle richieste.<br />

45


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA NERVOSO<br />

SISTEMA PIRAMIDALE<br />

Il sistema piramidale è costituito da due ordini di neuroni:<br />

‐ Primo neurone Centrale<br />

‐ Secondo neurone Periferico.<br />

Il neurone centrale (protoneurone) è situato nella corteccia motrice (circonvoluzione precentrale) ed il suo<br />

cilindrassi si raccoglie a livello della capsula interna. A livello del bulbo ha luogo la “decussatio”, cioè<br />

l’incrociamento dell’80‐90% delle fibre (fascio piramidale crociato). Nel midollo scendono quindi due fasci<br />

piramidali:<br />

‐ Fascio piramidale crociato che oltrepassa la linea mediana e decorre nel cordone laterale del<br />

midollo del lato opposto<br />

‐ Fasci piramidale diretto (10% delle fibre piramidali) che decorre, senza incrociarsi, nel cordone<br />

anteriore omolaterale.<br />

Entrambi i fasci terminano nelle corna anteriori del midollo spinale, prendendo contatto col neurone<br />

periferico ed esercitando su di esso una funzione di controllo per lo più inibitorio. Il neurone periferico (o<br />

secondo neurone) è situato:<br />

‐ Per i nervi cranici nei nuclei motori corrispondenti<br />

‐ Per i nervi spinali nelle corna grigie anteriori.<br />

Il neurone periferico corrisponde al motoneurone dell’arco diastatico od arco riflesso elementare. I<br />

cilindrassi del secondo neurone decorrono nei nervi periferici assieme a fibre sensitive (nervi sensitivi e<br />

motori) oppure soli (nei nervi motori) e terminano nelle placche motrici dei muscoli.<br />

PARALISI FLACCIDA (SINDROME PIRAMIDALE DEFICITARIA)<br />

Faccia La commissura labiale è abbassata dal lato offeso (paralisi del facciale di tipo centrale con integrità<br />

del facciale superiore. La lingua, se sporta, devia verso il lato paralizzato. C’è deviazione coniugata della<br />

testa e degli occhi (il malato “guarda” l’’emisfero cerebrale leso).<br />

Arto superiore Nell’emiplegia l’arto superiore è interessato in modo più marcato della faccia e dell’arto<br />

inferiore. La paralisi predomina nei muscoli estensori e supinatori. La mano cade in flessione e giace in<br />

pronazione. Facendo tenere le braccia orizzontalmente in avanti, dal lato paralizzato il braccio si abbassa<br />

prima e la mano assume un atteggiamento cascante, con le dita in semiflesisone.<br />

Arto inferiore L’arto paralizzato si trova spesso in rotazione esterna con il piede in estensione plantare<br />

(vedi manovra di Mingazzini e segno di Barrè).<br />

Durante la fase di flaccidità i riflessi tendinei sono normali o aboliti, soprattutto durante il coma. La loro<br />

accentuazione indica il passaggio allo stato spastico (sindrome piramidale irritativa).<br />

PARALISI SPASTICA (SINDROME PIRAMIDALE IRRITATIVA)<br />

Uno o due mesi dopo l’esordio dell’emiplegia compaiono contratture muscolari dovute ad una<br />

esagerazione del tono muscolare.<br />

Faccia e tronco I muscoli della faccia e del tronco sono per lo più indenni. La palpazione dell’addome non<br />

offre resistenza. L’ispezione del volto no permette di identificare il lato paralizzato.<br />

Arto superiore Predomina la contrattura in flessione.<br />

Arto inferiore Predomina la contrattura in estensione.<br />

I riflessi tendinei ed osteopriostei sono esagerati.<br />

L’interruzione o distruzione delle vie di moto in qualsiasi punto del loro percorso o in qualunque loro<br />

struttura avrà come conseguenza una paralisi. I caratteri di tale paralisi sono però molto diversi a seconda<br />

che la via di moto interrotta sia il primo neurone (centrale) o il secondo neurone (periferico).<br />

L’interruzione del motoneurone centrale, a qualsiasi livello essa avvenga, comporta:<br />

46


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

1. Perdita dei movimenti volontari degli arti, contro lateralmente alla lesione cerebrale (paralisi<br />

piramidale o centrale)<br />

2. Aumento del tono muscolare per cui la paralisi si definisce spastica (in realtà, in caso di lesione<br />

acuta vascolare o di lesione acuta trasversa del midollo, inizialmente la paralisi è flaccida, con<br />

abolizione dei riflessi, in quanto i centri spinali, abituati a lavorare sotto controllo della via<br />

piramidale, privati di questa collaborazione, restano incapacità per qualche tempo di funzionare da<br />

soli.<br />

3. Esaltazione dei normali riflessi propriocettivi dello stesso lato della paralisi (con trofismo muscolare<br />

conservato).<br />

4. Comparsa di riflessi patologici:<br />

o Fenomeno di Babinski Estensione dorsale, lenta, dell’alluce, allo strisciamento di una<br />

punta smussa sul margine esterno della pianta del piede.<br />

o Clono della rotula e del piede Successione rapida e ritmica di contrazioni e decontrazioni<br />

che persiste per tutto il tempo che si mantiene con la mano la rotula spinta bruscamente<br />

verso il basso od il piede bruscamente flesso dorsalmente.<br />

5. Scomparsa dei riflessi cutanei addominali dello stesso lato della paralisi piramidale.<br />

La lesione del motoneurone periferico è invece caratterizzata da:<br />

1. Paralisi omolaterale<br />

2. Perdita del tono muscolare (paralisi flaccida)<br />

3. Deficit del trofismo dei muscoli interessati dalla paralisi<br />

4. Abolizione dei riflessi propriocettivi.<br />

ESAME NEUROLOGICO<br />

Comprende:<br />

• Esame del linguaggio<br />

• Sistema motorio<br />

• Sistema sensitivo<br />

• Sistema cerebellare<br />

• Nervi cranici<br />

• Postura e deambulazione<br />

DISTURBI DEL LINGUAGGIO<br />

I possibili disturbi del linguaggio sono:<br />

1. Disfasia (o se completa afasia) Quando il paziente ha difficoltà a formulare con frasi o parole<br />

esatte il pensiero che vuole esprimere, anche con un’adeguata capacità di articolazione. La lesione<br />

interessa uno dei complessi meccanismi del linguaggio nell’emisfero dominante. Sintomi di disfasia<br />

sono anche i disturbi della scrittura (disgrafia), l’incapacità di comprendere le parole (disfasia<br />

recettiva) e i testi scritti (dislessia).<br />

2. Disartria (anartria) Quando il tono della voce e il contenuto del linguaggio sono normali, ma sono<br />

alterate l’articolazione e la pronuncia delle singole frasi. È dovuta ad un disturbo del controllo dei<br />

muscoli che agiscono nell’articolazione del linguaggio, causato da una lesione del primo e del<br />

secondo motoneurone, del sistema cerebellare o di muscoli stessi, dunque a più livelli.<br />

3. Disfonia (afonia) Quando il paziente pur parlando produce suoni con alterata tonalità o<br />

addirittura bisbigliati. È dovuta a patologie della laringe e delle corde vocali. Se il paziente è in<br />

grado di tossire normalmente potrebbe trattarsi anche di una manifestazione isterica.<br />

4. Mutismo Quando il paziente è cosciente ma non si sforza di parlare o di emettere suoni. Rientra<br />

in genere nell’ambito di un disturbo psicologico, ma si può osservare anche in lesioni della parete<br />

anteriore del terzo ventricolo e della superficie posteromediale del lobo frontale bilateralmente. Un<br />

completo mutismo talvolta è dovuto a una grave afasia motoria (afasia di Broca), ma il paziente dà<br />

l’impressione di prestare attenzione e di tentare di comunicare, anche se incapace di parlare.<br />

47


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

SISTEMA MOTORIO<br />

Le conoscenze sul meccanismo di funzionamento dell’unità motoria possono essere approfondite<br />

attraverso lo studio di:<br />

• Tono muscolare Viene definito come il grado di tensione presente nel muscolo a riposo. Se un<br />

muscolo viene palpato mentre è a riposo, o meglio se l’esaminatore mobilizza passivamente gli arti<br />

o il capo, si apprezza un certo grado di resistenza muscolare indicato come tono muscolare. Questa<br />

tensione attiva presente nel muscolo normale è un fenomeno di natura riflessa e dipende in gran<br />

parte dal riflesso di stiramento miotatico.<br />

Si esamina:<br />

o L’atteggiamento generale del paziente:<br />

Postura del tronco in posizione di riposo<br />

Postura del capo e collo<br />

Postura degli arti.<br />

Ciascun atteggiamento va confrontato con il lato opposto o con il tronco. Queste<br />

osservazioni sono ripetute con paziente seduto, in piedi e durante la marcia. In questo<br />

modo vengono osservate le risposte dei vari muscoli alla gravità e le variazioni dovute al<br />

peso della testa e degli arti.<br />

o Si saggia la resistenza passiva alla mobilizzazione degli arti a livello di ciascuna articolazione<br />

(con movimenti di estensione e flessione ripetuti varie volte perché ad esempio la troclea<br />

dentata non si evidenzia subito).<br />

o Si sollevi un braccio del paziente e lo si lasci cadere sul letto, si effettui la stessa manovra<br />

sull’altro braccio, e si confrontino i movimenti che di solito ne rallentano la caduta. Questa<br />

prova è particolarmente utile nei pazienti in stato stuporoso e in quelli non collaboranti. Si<br />

fletta poi l’anca, si sollevi l’arto inferiore fino a formare un angolo più che retto con il<br />

ginocchio e lo si lasci cadere, notando anche in questo caso i normali movimenti di arresto.<br />

Il tono potrà essere normale, aumentato o ridotto. Si parlerà pertanto di:<br />

o Normotonia Resistenza molto modesta con caratteristiche di plasticità<br />

o Ipertonia L’ipertono può essere così marcato da impedire la mobilizzazione. Ci sono due<br />

tipi di ipertonia:<br />

Ipertonia piramidale o spasticità Questo è il segno di una lesione del primo<br />

motoneurone, cioè delle vie piramidali. Si determina una resistenza nella<br />

mobilizzazione passiva di arti o segmenti di arti che aumentano gradatamente<br />

finché ad un certo livello di stiramento cessa all’improvviso (fenomeno del<br />

temperino o coltello a serramanico). L’ipertonia interessa i muscoli antigravitari e<br />

cioè:<br />

• Nell’arto superiore i flessori e pronatori dell’avambraccio e flesso del polso<br />

e delle dita<br />

• Nell’arto inferiore gli adduttori ed estensori della coscia e della gamba e i<br />

flessori del piede e delle dita.<br />

Si viene a determinare un atteggiamento tipico con arto superiore flesso ed<br />

intraruotato e arto inferiore esteso con piede equino. L’andatura, visto<br />

l’atteggiamento dell’arto inferiore, è detta falciante.<br />

Normalmente l’ipertonia piramidale tende ad instaurarsi 7‐15 giorni dopo l’esordio<br />

dell’emiplegia, ma esistono d’altra parte casi che presentano anche<br />

permanentemente una nette ipotonia.<br />

Ipertonia extrapiramidale o rigidità La rigidità interessa in egual misura sia i<br />

muscoli agonisti che gli antagonisti per cui la resistenza opposta alla mobilizzazione<br />

passiva è sempre uguale dall’inizio alla fine del movimento passivo. Il muscolo<br />

passivamente disteso conserva la posizione assunta (rigidità plastica). Questo tipo<br />

di ipertonia è peculiare di una lesione del sistema extrapiramidale.<br />

Si può osservare il fenomeno della ruota o della troclea dentata (tipico del morbo<br />

di Parkinson) Durante la mobilizzazione passiva si succedono variazioni del tono<br />

48


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

dando all’esaminatore la sensazione che a livello dell’articolazione esiste una sorta<br />

di ruota dentata.<br />

o Ipotonia Risulta semeiologicamente di più difficile apprezzamento dell’ipertonia.<br />

Vi è una maggior facilità e cedevolezza alla mobilizzazione passiva<br />

Le articolazioni possono essere maggiormente ipertese<br />

Gli arti ricadono più pesantemente se sollevati passivamente.<br />

I muscoli appaiono flaccidi, pendenti quando siano sospesi liberamente, offrono una ridotta<br />

resistenza ai movimenti passivi e così determinano un aumento dell’estensione dei<br />

movimenti articolari. Riescono con difficoltà a mantenere la posizione di un arto, il quale<br />

può facilmente spostarsi, non accompagnano subito il suo rilassamento. I riflessi tendinei<br />

sono diminuiti o assenti.<br />

Nelle lesioni neurologiche l’ipotonia è prodotta da:<br />

Interruzione di un arco riflesso<br />

Patologia cerebellare<br />

“Shock” cerebrale o spinale, cioè subito dopo un accidente vascolare o un trauma.<br />

Questo stadio o stadio iniziale o stadio dello shock è destinato a durare alcune ore<br />

ed eccezionalmente 2‐3 giorni.<br />

Prove semeiologiche:<br />

Prova del ballottamento Provocare movimenti passivi, alternati e molto rapidi. Si<br />

osserva la facilità e l’ampiezza con cui si avverte il movimento.<br />

Prova della spinta Se il soggetto in piedi subisce una spinta dall’avanti in dietro a<br />

livello del tronco rileva una contrazione del tibiale anteriore che tende ad opporsi<br />

alla direzione della spinta. Nell’ipotonia la contrazione appare con un certo ritardo<br />

rispetto al lato controlaterale<br />

Per ottenere una decontrazione del paziente (se si devono per esempio studiare le oscillazioni degli<br />

arti inferiori) è utile far eseguire la manovra di Jendrassik L’ammalato seduto sul lettino con le<br />

gambe a penzoloni fuori del letto viene invitato a mantenere il capo esteso, occhi fissi al soffitto e<br />

ad agganciarsi le mani l’una all’altra espletando il massimo della forza.<br />

Vale la pena ricordare che una lesione del motoneurone alta produce:<br />

o Spasticità<br />

o Iperriflessia<br />

o Clone<br />

o Segno di Babinski.<br />

Una lesione del motoneurone bassa determina:<br />

o Atrofia<br />

o Fascicolazioni<br />

o Ipotonia<br />

o Iporiflessia.<br />

• Funzione trofica La valutazione del trofismo muscolare deve tener conto di:<br />

o Variazioni individuali nelle dimensioni del muscolo<br />

o Sesso, età e costituzione<br />

o Tipo di lavoro comunemente eseguito<br />

o Abitudine a determinate pratiche sportive<br />

o Stato generale di nutrizione.<br />

Il trofismo muscolare è legato all’integrità dell’unità neuromuscolare. Se un muscolo è denervato,<br />

cioè se una qualunque parte dell’unità motoria è lesa le fibre muscolari si riducono di volume (in<br />

90gg circa l’80% di riduzione).<br />

Valutazione del trofismo muscolare:<br />

o Già con l’ispezione si può osservare una riduzione o un aumento del volume delle masse<br />

muscolari<br />

o Con la palpazione si potrà rilevare la loro consistenza<br />

o La valutazione globali del trofismo va condotta confrontando i muscoli dei due lati.<br />

49


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Si può parlare di:<br />

o Ipotrofia o atrofia Definisce una riduzione più o meno intensa della massa muscolare<br />

precedentemente esistente che può progredire fino a gradi estremi (atrofia). È sempre<br />

associata ad un significativo deficit di forza. Si osserva:<br />

Nelle miopatie<br />

Nelle lesioni del motoneurone periferico (mielopatie, radicolopatie, neuropatie<br />

periferiche)<br />

Nelle immobilizzazione prolungate di uno o più arti (atrofia da non uso).<br />

La distribuzione dell’ipotrofia è un elemento importante per la definizione della sede del<br />

processo patologico. Un’ipotrofia nel territorio di innervazione di un nervo periferico o di<br />

una o più radici orienta verso una lesioni di tali strutture. Negli stati di grave denutrizione<br />

l’ipotrofia non sarà localizzata, ma diffusa.<br />

o Ipertrofia Definisce un aumento di volume della massa muscolare. Generalmente non è<br />

un elemento patologico, soprattutto se associato ad una valida forza.<br />

o Pseudoipertrofia Al contrario, nelle pseudo ipertrofie, presenti in alcune malattie<br />

muscolari, si osserverà un aumento di volume muscolare tanto da simulare<br />

grossolanamente all’ispezione ad un aspetto atletico, mentre la forza è ridotta.<br />

Risposte particolari:<br />

o Risposta miotonica Persistenza di una contrazione muscolare oltre la norma e comunque<br />

diversi secondo dopo la fine della stimolazione che l’ha scatenata. Se un soggetto affetto da<br />

miotonia stringe il pugno con forza per qualche secondo, non potrà, per quanti sforzi faccia,<br />

obbedire immediatamente all’ordine di aprire il pugno.<br />

o Fascicolazioni Contrazioni spontanee, incontrollabili, irregolari e brevi di fibre muscolari<br />

appartenenti alla stessa unità motoria. Possono essere evidenziate soprattutto in regioni<br />

con scarso pannicolo adiposo e sono spesso felicitabili con la percussione del ventre<br />

muscolare. Sono avvertite dal soggetto come rapidi ed improvvisi guizzi di una parte del<br />

muscolo. Sono dovute a lesione del motoneurone periferico. Possono essere anche<br />

benigne.<br />

• Forza muscolare Un disturbo della forza muscolare globale può essere messo in evidenza con le<br />

manovre seguenti, specialmente utili nei deficit di forza di origine piramidale:<br />

o Segno di Mingazzini agli arti superiori Il malato seduto, ad occhi chiusi, viene invitato a<br />

protendere le braccia con le palme rivolte verso il pavimento e a mantenere questa<br />

posizione per 3‐4 minuti. In questa posizione l’arto paretico lentamente inizia ad abbassarsi<br />

per il deficit degli estensori. Qualora il deficit motorio sia estremamente modesto soltanto<br />

le dita della mano o la mano tenderanno ad abbassarsi o l’arto lievemente abbassato viene<br />

richiamato alla posizione di partenza, cosicché si possono osservare lente oscillazioni.<br />

o Segno della pronazione Il malato è posto nella posizione precedente, ma le palme delle<br />

mani sono rivolte verso l’alto. Nelle lesioni piramidali, lentamente la mano paretica, ed in<br />

seguito il braccio, si portano in pronazione perché i muscoli supinatori dell’arto superiore<br />

sono insieme con altri gruppi muscolari, primitivamente colpiti e pertanto si evidenzia<br />

l’azione prevalente dei pronatori.<br />

o Segno della mano cava Segno molto precoce di lesione piramidale. Il malato seduto tiene<br />

gli avambracci a circa 90°, la faccia palmare delle mani in avanti, le dita divaricate con forza.<br />

In caso patologico a causa dell’adduzione del pollice il palmo della mano si incava perché il<br />

pollice e l’eminenza tenar sono portati in avanti ed in dietro.<br />

o Segno di Mingazzini agli arti inferiori Il malato è posto in posizione supina, le cosce sono<br />

flesse a 90° sul tronco e le gambe formano un angolo retto con le cosce. L’arto leso inizierà<br />

lentamente a cadere. Questa prova esplora i muscoli ileo‐psoas e gli estensori della gamba<br />

sulla coscia.<br />

o Segno di Barré Il malato è posto a bocconi sul letto, le cosce lievemente divaricate e le<br />

gambe flesse ad angolo retto sulle cosce. L’arto leso inizierà lentamente a cadere. Esplora<br />

la forza del bicipite femorale, del semitendinoso, del semimembranoso.<br />

50


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Esame segmentale della forza muscolare La forza impiegata in una contrazione<br />

muscolare volontaria o attiva può essere esaminata facendo compiere un movimento<br />

contro resistenza imposta dall’esaminatore. Quando però la forza del soggetto appare di<br />

grado già molto modesto sarà utile esaminare il movimento contro gravità o addirittura a<br />

gravita eliminata.<br />

• Riflessi Sono rappresentati da una contrazione muscolare involontaria ottenuta per appropriata<br />

stimolazione di una determinata struttura sensitiva.<br />

o Riflessi fisiologici presenti in ogni soggetto normale e che, nelle diverse lesioni del<br />

sistema nervoso sono suscettibili di modificazioni quantitative: iperreflessia, iporeflessia,<br />

areflessia. Si dividono in:<br />

Riflessi profondi (o riflessi tendinei o riflessi osteoperiostei o riflessi miotatici o<br />

riflessi di stiramento) Rappresentano la risposta motoria ottenuta per<br />

stimolazione dei recettori sensoriali del fusi neuromuscolari. I riflessi profondi sono<br />

monosinaptici e uni segmentali e ognuno di essi ha un centro proprio situato in un<br />

determinato segmento midollare.<br />

• Riflesso masseterino o mandibolare Si applica un leggero colpo di<br />

martelletto o sul dito posto sul mento del paziente o su un abbassalingua<br />

posto sull’arcata dentaria inferiore. La contrazione del massetere causa la<br />

chiusura della bocca. L’arco afferente è dato dal trigemino, l’efferente<br />

anche.<br />

• Riflesso bicipitale Si ottiene percuotendo il pollice dell’esaminatore<br />

posto sul tendine del muscolo bicipite alla piega del gomito, a braccio<br />

lievemente flesso. In condizioni normali si ottiene la flessione<br />

dell’avambraccio.<br />

• Riflesso tricipitale Si provoca percuotendo, al gomito, il tendine del<br />

muscolo tricipite, subito sopra l’olecrano, ad arto semiflesso. In condizioni<br />

normali si ottiene l’estensione dell’avambraccio sul braccio.<br />

• Riflesso stilo‐radiale o supinatore L’arto superiore del paziente viene<br />

lasciato appoggiare sulla gamba. Si ottiene percuotendo sull’apofisi stiloide<br />

del radio ad arto semiflesso ed in posizione intermedia tra pronazione e<br />

supinazione. Questo determina una flessione dell’avambraccio sul braccio.<br />

• Riflesso stilo‐cubitale o pronatore ulnare Si evoca percuotendo<br />

sull’apofisi stiloide dell’ulna, mantenendo l’arto come per il precedente<br />

riflesso, si ottiene una lieve pronazione dell’avambraccio e della mano.<br />

• Riflesso rotuleo Si provoca percuotendo immediatamente al di sotto<br />

della rotula, a paziente seduto con gambe a ciondoloni o con l’arto in<br />

esame accavallato, oppure a paziente supino, passando la mano libera<br />

sotto il ginocchio dell’arto in esame, allo scopo di fletterne leggermente<br />

l’articolazione. In condizioni normali si ottiene l’estensione della gamba<br />

sulla coscia per contrazione del muscolo quadricipite.<br />

• Riflesso achilleo Si provoca percuotendo sul tendine d’Achille, mentre il<br />

paziente si trova in ginocchio sul letto in modo che i piedi sporgano dalla<br />

sponda, oppure in posizione supina con l’arto inferiore semiflesso e<br />

tenendo, con la mano libera, il piede in stato di leggera flessione. In<br />

condizioni normali si ottiene l’estensione del piede sulla gamba.<br />

Riflessi superficiali esterocettivi A differenza dei riflessi profondi che sono<br />

monosinaptici, i riflessi superficiali sono polisinaptici e polisegmentali.<br />

• Riflesso corneale Stimolando la cornea in senso latero‐mediale (con<br />

cotone) con il paziente che guarda dalla parte opposta si ottiene una<br />

contrazione dell’orbicolare della palpebre con ammiccamento.<br />

• Riflesso faringeo Stimolando la parete posteriore della faringe con un<br />

abbassa‐lingua si ottiene la contrazione dei muscoli faringei.<br />

51


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Riflessi addominali superiore, medio e inferiore A soggetto<br />

completamente rilassato con i muscoli addominali completamente distesi,<br />

l’esaminatore striscia con una punta smussa, obliquamente, dall’esterno<br />

all’interno o dell’interno all’esterno sulla cute dell’addome. Sono spesso<br />

assenti negli stadi iniziali di sclerosi multipla e lesioni piramidali<br />

• Riflesso cremasterico Viene stimolata la cute della faccia mediale della<br />

coscia, alla radice dell’arto, strisciando con una punta smussa per ottenere<br />

una contrazione del cremastere e quindi un sollevamento del testicolo.<br />

• Riflesso anale Si stimola con una punta smussa la cute perianale e<br />

ottiene come risposta la contrazione dello sfintere esterno.<br />

• Riflesso bulbo‐cavernoso Si ottiene stimolando la cute della parte<br />

anteriore del pene o pungendo lievemente il glande. Si apprezzerà la<br />

contrazione del muscolo bulbo‐cavernoso alla base del pene.<br />

• Riflesso cutaneo plantare Per stimolazione, con una punta smussa, della<br />

cute della porzione centrale della pianta del piede ascendendo dal calcagno<br />

alle dita, si ottiene la flessione plantare delle dita.<br />

o Riflessi patologici Non sono presenti nel soggetto normale ed espressione di lesioni del<br />

sistema nervoso<br />

Segno di Babinski Strisciando con un oggetto appuntito lungo il margine esterno<br />

della pianta del piede e quindi verso l’alluce si ottiene, in condizioni normali, la<br />

flessione delle dita. In condizioni patologiche, e cioè nella lesione delle vie<br />

piramidali, si ottiene invece una estensione o dorsiflessione dell’alluce al punto di<br />

congiunzione metatarso‐falangeo. Qualche volta si ha pure l’allargamento a<br />

ventaglio delle ultime quattro dita (fenomeno di Dupré).<br />

Segno di Oppenheim Si provoca strisciando lungo il margine anteriore della tibia<br />

il pollice e l’indice, facendoli scorrere dal ginocchio verso il piede, seguendo la<br />

cresta tibiale.<br />

Segno di Gordon Si stringono con forza tra le mani le masse muscolari dei<br />

gemelli.<br />

Segno di Shaeffer Si provoca pizzicando il tendine d’Achille tra il dito indice ed il<br />

pollice.<br />

SISTEMA SENSITIVO<br />

Gli scopi dell’esame della sensibilità sono:<br />

‐ Delineare con precisione le aree di alterata sensibilità<br />

‐ Determinare quali forme di sensibilità siano lese in tale area<br />

‐ Paragonare i risultati dell’esame con i quadri noti di alterazione della sensibilità.<br />

Funzioni sensitive:<br />

Sensibilità superficiale o esterocettiva:<br />

o Dolorifica<br />

o Termica (caldo e freddo)<br />

o Tattile.<br />

Sensibilità profonda o propriocettiva cosciente:<br />

o Batiestesia e cinestesia<br />

o Barestesia<br />

o Pallestesia.<br />

Sensibilità combinata o epicritica:<br />

o Grafestesia<br />

o Stereognosia<br />

o Discriminazione tattile.<br />

Sensibilità dolorifica<br />

52


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Valutazione preliminare Scegliere una parte del corpo del paziente che, in base all’anamnesi, si prevede<br />

sia anormale e la si tocchi più volte con la punta dello spillo. Si chiede al paziente se avverte qualcosa, cosa<br />

avverte, se avverte una punta gli si chiede se è appuntita o smussa.<br />

Per cercare di produrre uno stimolo uniforme o graduato per testare la sensibilità dolorifica sono stati<br />

proposti molti dispositivi, ma in pratica il metodo più semplice rimane il migliore: uno spillo appuntito con<br />

una capocchia arrotondata.<br />

Quando si è stabilito che il paziente riconosce lo stimolo, si confronti rapidamente la capacità di apprezzare<br />

la sensazione di un certo numero di aree diverse:<br />

‐ Faccia, spalle<br />

‐ Parti esterna ed interna degli avambracci<br />

‐ Pollice e mignolo<br />

‐ Torace superiore e quello inferiore<br />

‐ Addome<br />

‐ Parte anteriore delle cosce, le superfici laterale e mediale delle gambe<br />

‐ Il dorso del piede, il mignolo<br />

‐ Le natiche.<br />

Tenendo presente lo schema dei dermatomeri segmentari sensitivi e delle corrispondenti aree innervate<br />

dai nervi periferici si potrà avere un’idea generale delle principali caratteristiche del difetto sensitivo.<br />

Sensibilità tattile<br />

Può essere testata con un piccolo batuffolo di cotone che non provoca una pressione sufficiente da<br />

stimolare la sensibilità profonda e produce una sensazione che è familiare al paziente. Va benissimo anche<br />

un lieve tocco con il polpastrello di un dito.<br />

Dopo uno screening preliminare simile al precedente si testano le diverse aree dei dermatomeri sfiorando<br />

la cute con il batuffolo mappando le aree di anormalità. L’esame viene condotto facendo chiudere gli occhi<br />

al paziente ed invitandolo a dire “sì” ogni volta che avverte qualcosa.<br />

Sensibilità termica<br />

Testare la sensibilità termica non fornisce alcuna informazione in più rispetto all’esame della sensibilità<br />

dolorifica e pertanto essa non viene abitualmente indagata. Per un esame preliminare si può far<br />

confrontare al paziente la percezione della temperatura di un oggetto freddo. In seguito si possono usare<br />

delle provette contenenti acqua calda (43°C) e fredda (7°C). Si applica sempre lo stesso principio. Il paziente<br />

ha gli occhi chiusi, dapprima gli si chiede se ha avvertito qualcosa, se avverte qualche differenza quando si<br />

usa l’altra provetta e in che cosa consiste tale differenza.<br />

Sensibilità statoestesica o batiestesica<br />

Gli occhi del paziente dovrebbero rimanere chiusi durante tutto l’esame:<br />

1. Si ponga il braccio del paziente in una certa posizione, poi lo si sposti e quindi si chieda al paziente<br />

di riportare il braccio in quella stessa posizione e poi di disporre anche l’altro braccio in una<br />

posizione simile.<br />

2. Si chieda al paziente di toccarsi il dito indice di una mano con quello dell’altra mano, e si renda il<br />

compito più difficile muovendo il dito in diverse posizioni.<br />

3. Si chieda al paziente di provare a mettere in posizione simile le gambe e quindi di sollevare una<br />

gamba per toccare con l’alluce la mano estesa.<br />

4. Si chieda al paziente di toccare con precisione con il dito indice la punta del naso e con il tallone il<br />

ginocchio.<br />

Sensibilità cinestesica<br />

Il paziente deve essere sdraiato, rilassato e stare ad occhi chiusi. Si afferra lentamente la parte centrale,<br />

lontane dalle articolazioni, di un dito del piede o della mano del malato e lo si sposta in una direzione<br />

determinata, in flessione dorsale o plantare. Il paziente deve riferire se ha sentito muovere ed in quale<br />

direzione, ed infine in quale posizione è posto il suo dito, o anche imitarla con il corrispondente dito<br />

dell’altra mano. Il posizionamento passivo deve essere effettuato delicatamente, per evitare che il pazienti<br />

si aiuti con movimenti attivi per riconoscere la vera posizione imposta. A livello degli arti inferiori<br />

dovrebbero essere ritenuto validi solo i risultati ottenuto con l’alluce.<br />

Sensibilità vibratorio o pallestesia<br />

53


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Si utilizza un diapason a 128Hz o 256Hz. Dopo essersi assicurati che il paziente non possa udire il suono, si<br />

appoggia il diapason dapprima sulla fronte, in modo che il paziente possa udire il tipo di sensazione<br />

provocata, invitandolo a riferire se sente o meno la vibrazione. Quindi si sposta il diapason sulle<br />

prominenze ossee (malleoli, rotule, pube, spine iliache, capitello radiale, gomito). Il paziente deve<br />

comunicare se avverte lo stimolo, ed in caso positivo, segnalare quando cessa di avvertirlo, ed inoltre, se lo<br />

percepisce nuovamente spostando velocemente il diapason in sedi simmetriche (o altrove) per evidenziare<br />

asimmetrie della pallestesia.<br />

Con l’aumentare dell’età diminuisce notevolmente la sensibilità pallestesia e, superati i 65 anni, è comune<br />

un deficit a livello delle anche. Nei diabetici tale sensibilità si riduce in età molto più precoce, anche in<br />

assenza di segni di polineuropatia.<br />

Sensibilità dolorifica profonda<br />

Si esplora affondando con decisione i propri pollici nei muscoli o sui tendini. Normalmente il paziente<br />

lamenterà fastidio. Un aumento della dolorabilità muscolare si riscontra in alcune polineuropatie, nella<br />

degenerazione combinata subacuta del midollo spinale, nella miosite ed in alcuni stati psicogeni. Una<br />

diminuita dolorabilità muscolare si riscontra nella tabe dorsale, nella siringomielia, nella neuropatia<br />

carcinomatosa ed in caso di lesione delle radici posteriori e della zona di entrata delle radici posteriori del<br />

midollo spinale.<br />

Discriminazione spaziale tattile e dolorifica<br />

Presuppone una corretta percezione degli stimoli. Si esplora mediante il compasso di Weber, che permette<br />

di applicare simultaneamente due stimoli cutanei a distanza variabile tra loro. Allargando progressivamente<br />

il compasso, si misura la distanza corrispondente alla percezione di due stimoli distinti. La sensibilità<br />

discriminativa è minima al tronco e agli arti (4‐6cm), intermedia sul dorso della mano (1‐2cm) e massima in<br />

corrispondenza dei polpastrelli delle dita (1‐3cm).<br />

La capacità di discriminare due punti dipende dall’integrità della sensibilità tattile superficiale, ma se questa<br />

è normale o solo di poco deficitaria, e non ci sono segni evidenti di una grave patologia a carico dei cordoni<br />

posteriori, l’alterazione della capacità di discriminare due punti deve essere attribuita ad una lesione del<br />

lobo parietale.<br />

Stereognosia<br />

Si tratta della capacità di riconoscere un oggetto semplicemente testandone la forma e le dimensioni. Gli<br />

oggetti devono essere familiari, facilmente identificabili e di dimensioni sufficienti da essere manipolabili<br />

anche da una mano debole. Si invita il paziente a chiudere gli occhi. Si pone l’oggetto dapprima nella mano<br />

che si sospetta anormale e si chiede di identificarlo e poi eventualmente nell’altra per fare un confronto.<br />

Quando nonostante le altre forme di sensibilità siano normali o solo lievemente alterate è presente<br />

stereognosia si può sospettare una lesione del lobo parietale.<br />

Grafestesia<br />

È la capacità di riconoscere lettere o numeri scritti sulla pelle con una punta smussa. Il soggetto deve<br />

riconoscere ad occhi chiusi in quale direzione si sposta un oggetto smusso striato sulla cute (del dorso della<br />

mano, del piede, delle cosce, addome, torace) e simboli grafici semplici (lettera “o” ed “i”, segni aritmetici<br />

come +, ‐, x o geometrici come un triangolo o un quadrato. Tali prove sono molto sensibili al danno delle<br />

afferenze meccanocettive a vasto campo ricettivo. Anche in questo caso se la sensibilità tattile è nella<br />

norma l’alterazione della grafoestesia indica la presenza di una lesione della corteccia parietale.<br />

Alterazioni della sensibilità soggettiva sono:<br />

• Dolore In particolare:<br />

o Dolore Esperienza sensoriale ed emozionale sgradevole, associata a danno tissutale reale<br />

o potenziale, o comunque descritta in tal senso.<br />

o Disestesia Sensazione spiacevole o anche dolorosa abnorme che colora parestesie<br />

spontanee o evocate. È quindi un termine piuttosto generico riferibile ad una grande<br />

varietà di dolori causati da stimoli periferico o insorgenti spontaneamente. Si tratta di<br />

dolori a tipo scossa elettrica, urenti, a puntura di spillo, avvertiti sempre nel territorio di<br />

innervazione di un nervo o di una o più radici.<br />

54


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Iperestesia Aumentata sensibilità ad uno stimolo. Si usa per indicare in senso generale<br />

una diminuzione della soglia ad uno stimolo (tattile, termico, dolorifico), oppure per<br />

definire l’aumentata risposta ad uno stimolo che viene riconosciuto normalmente. I casi<br />

particolari sono:<br />

Allodinia Percezione di dolore, anche intenso, in risposta a stimoli normalmente<br />

non dolorosi, specie tattili. Si tratta quindi di un errore nell’identificazione della<br />

qualità dello stimolo.<br />

Iperalgesia Percezione sproporzionata in eccesso di uno stimolo doloroso. Lo<br />

stimolo viene quindi qualificato correttamente come doloroso, ma la sua<br />

quantificazione in termini di intensità è erronea.<br />

o Alloestesia Percezione di dolore superficiale in un’area normoestesica differente da<br />

quella ipoestesia stimolata. Può assumere carattere controlaterale, nel qual caso è più<br />

corretto chiamarla allorchia. È attribuita alla conduzione del messaggio nocicettivo<br />

attraverso il contingente ascendente omolaterale del tratto spinoreticolare.<br />

o Iperpatia Sindrome caratterizzata da abnorme e ritardata reazione dolorosa ad uno<br />

stimolo, soprattutto se ripetitivo, con aumento della soglia percettiva. Il dolore spesso<br />

insorge in maniera esplosiva ed assume tipicamente connotato psico‐affettivo.<br />

• Iperestesie Sensazioni abnormi, spontanee o evocate, usualmente riferite come sensazioni di<br />

formicolio, di puntura di spillo, di costrizione o fasciatura, di acqua che scorre, di intorpidimento o<br />

addormentamento. Se assumono carattere molto doloroso o francamente doloroso, dovrebber più<br />

appropriatamente definite disestesie.<br />

• Prurito Sensazione anomala, attenuata dal grattamento. Dipende quasi sempre da affezioni<br />

dermatologiche o sistemiche.<br />

Le sensibilità da testare sono:<br />

Esterocettiva Dolorifica, tattile e termica<br />

Propriocettiva Statoestesia (posizione), cinestesia (movimento passivo) e pallestesia (vibrazione).<br />

Complesse Stereognosia, grafoestesia, discriminare due punti.<br />

NERVI CRANICI<br />

Nervo olfattorio (I°) Devono essere disponibili 2‐3 fiale di odori aromatici familiari. Utilizza per<br />

prima la sostanza aromatica meno irritante in modo che la percezione da parte dei pazienti degli<br />

odori più deboli non sia impedita. Fare inspirare profondamente e chiedere di identificare l’odore.<br />

Gli occhi del paziente devono essere chiusi ed una narice occlusa. Confrontare la sensibilità del<br />

paziente e la capacità discriminatoria tra i due lati, alternando i due o tre aromi. L’infiammazione<br />

delle membrane mucose, la rinite allergica ed il fumo di tabacco possono interferire con la capacità<br />

di distinguere gli odori. Il senso dell’olfatto può diminuire con l’età. L’anosmia, ovvero la perdita<br />

dell’olfatto o l’incapacità di discriminare gli odori, può essere causata da un trauma a livello della<br />

lamina cribiforme o da una lesione delle vie olfattive.<br />

Nervo ottico (II°) Deve esser esplorata l’acuità visiva ed il campo visivo.<br />

Nervi oculomotore (III°), trocleare (IV°) ed abducente (VI°) Vanno esplorati:<br />

o I movimenti degli occhi verso i sei punti cardinali dello sguardo<br />

o La forma e le dimensioni della pupilla<br />

o La risposta alla luce e all’accomodazione<br />

o L’apertura delle palpebre superiori.<br />

Quando si valuta un paziente con cefalea grave non remittente, l’esaminatore esperto valuta i<br />

movimenti dell’occhio alla ricerca della presenza o dell’assenza dei movimenti laterali. Il VI° paio di<br />

nervi cranici è frequentemente una delle prime strutture ad essere interessate in presenza di un<br />

aumento della pressione endocranica.<br />

Nervo trigemino (V°) È composto da tre branche: oftalmica, mascellare e mandibolare. È un<br />

nervo misto e trasporta impulsi sensitivi e motori.<br />

55


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Esame della funzionalità motoria La funzione principale della divisione motoria del<br />

trigemino è l’innervazione dei muscoli della masticazione cioè il massetere, temporale e<br />

pterigoideo interno ed esterno. La funzione motoria viene valutata osservando il viso alla<br />

ricerca di atrofia muscolare, deviazioni della mascella da un lato, fascicolazioni. Il tono<br />

muscolare del viso deve essere simmetrico senza fascicolazioni. La funzione motoria viene<br />

valutata palpando i muscoli masseteri e temporali dei due lati, mentre si invita il paziente a<br />

serrare strettamente i denti. Per valutare i muscoli pterigoidei si chiederà al paziente di<br />

spostare la mandibola in avanti, a destra e a sinistra.<br />

o Esame della funzione sensitiva Nell’esaminare la sensibilità del territorio di distribuzione<br />

del nervo trigemino, devono essere osservate sia la cute che le mucose.<br />

o Esame dei riflessi:<br />

Riflesso corneale<br />

Riflesso masseterino o mandibolare.<br />

Nervo facciale (VII°) È principalmente un nervo motore, che innerva i muscoli deputati<br />

all’espressione della faccia. Inoltre esso trasporta le fibre secretorie parasimpatiche alle ghiandole<br />

salivari e lacrimali e alle mucose della cavità orale e nasale. Convoglia vari tipi di sensibilità,<br />

compresa la sensibilità esterocettiva della regione del timpano, la sensibilità gustativa dei 2/3<br />

anteriori della lingua, la sensibilità viscerale generale dalle ghiandole salivari e dalla mucosa del<br />

naso e della faringe, la sensibilità propriocettiva dai muscoli che innerva. Anatomicamente la<br />

branca motoria del nervo è separata dalla porzione che trasporta sensibilità e le fibre<br />

parasimpatiche: quest’ultima parte è denominata nervo intermedio o pars intermedia di Wrisberg.<br />

o Esame della funzione motoria La funzionalità motoria viene valutata mediante<br />

l’osservazione di eventuali asimmetrie del volto e della rima palpebrale, sia in condizioni<br />

statiche che dinamiche, e con l’esecuzione in successione temporale di alcune manovre.<br />

Viene chiesto al paziente di:<br />

Chiudere gli occhi, quindi stringerli opponendosi al tentativo di apertura da parte<br />

dell’esaminatore<br />

Sollevare le sopracciglia e corrugare la fronte<br />

Sorridere e mostrare i denti<br />

Fischiare e gonfiare le guance.<br />

Bisogna ricercare la presenza di tic, movimenti facciali insoliti ed asimmetrie di espressione.<br />

Bisogna ascoltare la voce del paziente e notare qualunque difficoltà di pronuncia dei suoni<br />

labiali (b, m e p).<br />

Paralisi periferica del facciale Conseguenza di una lesione che colpisce il nucleo o il<br />

tronco del nervo. Nel caso di deficit l’esame ispettivo evidenzia:<br />

Asimmetria del viso<br />

Il lato affetto appare appianato e privo di espressione Appiattimento del solco<br />

naso‐labiale e delle rughe frontali<br />

Si osserva uno stiramento della commessura labiale verso il lato sano (la saliva può<br />

calare dall’angolo della bocca [ptialismo])<br />

Ampliamento della rima palpebrale con impossibilità a chiudere le palpebre<br />

(lagoftalmo) e dall’assenza dell’ammiccamento<br />

Abbassamento della palpebra inferiore per paralisi dell’orbicolare<br />

Riflesso corneale abolito per interruzione della parete efferente dell’arco riflesso<br />

Si può avere il fenomeno di Bell Consiste nell’evidenza della rotazione verso<br />

l’alto e l’esterno del globo oculare quando il paziente tenta di chiudere gli occhi.<br />

Paralisi facciale completa o paralisi di Bell Deriva da una lesione del nervo facciale<br />

(generalmente si realizza per lesione del nervo nel suo decorso nella rocca petrosa del<br />

temporale in corso di mastoiditi o per interventi demolitici o per paralisi a frigore o per<br />

infezione da herpes zoster del ganglio genicolato [sindrome di Ramsay‐Hunt]) che essendo<br />

ad un livello sottonucleare non consente alcuna supplenza da parte dell’emisfero<br />

controlaterale. Una lesione soltanto nucleare si associa generalmente ad una paralisi<br />

56


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

dell’abducente dal momento che i due nuclei sono posti in stretta prossimità a livello del<br />

tronco cerebrale.<br />

Paralisi centrale del facciale Nella paralisi centrale è colpita prevalentemente o<br />

esclusivamente la muscolatura inferiore del viso dal lato opposto alla lesione. Ciò è dovuto<br />

al fatto che i muscoli della fronte e delle palpebre ricevono una innervazione da entrambi<br />

gli emisferi, in quanto ogni emisfero provvede non solo all’innervazione dell’emifaccia<br />

controlaterale ma anche di quella omolaterale per incrocio di fibre nel tratto compreso tra<br />

la corteccia ed il nucleo pontino del nervo. Pertanto la muscolatura facciale superiore<br />

riceve impulsi dalle aree motorie di entrambi gli emisferi, mentre la muscolatura facciale<br />

inferiore riceve impulsi esclusivamente dall’emisfero controlaterale. Quindi una lesione<br />

unilaterale della corteccia motoria non comprometterà la muscolatura superiore (paralisi<br />

centrale), che può ancora ricevere impulsi dalla corteccia del lato sano, mentre una lesione<br />

del nucleo o del nervo provocherà una paralisi completa (paralisi periferica).<br />

o Esame della sensibilità gustativa I 2/3 anteriori della lingua che percepiscono il dolce e il<br />

salato sono innervati dal VII° nervo cranico, mentre il terzo posteriore che percepisce acido<br />

e amaro è innervato dal IX° nervo cranico.<br />

o Esame dei riflessi:<br />

Riflesso orbicolare dell’occhio o riflesso sopraorbitario o riflesso gabellare<br />

Percussione sul lato esterno del margine sopraorbitario, sopra la glabella o attorno<br />

al margine dell’orbita è seguita da una contrazione riflessa del muscolo orbicolare<br />

che determina la chiusura degli occhi.<br />

Riflesso oculogiro‐auricolare Consiste in una retrazione del padiglione auricolare<br />

e in un sollevamento indietro dell’elice durante lo sguardo lateralizzato nella<br />

direzione estrema opposta.<br />

Riflesso palpebrale‐oculogiro Nella contrazione degli orbicolari e nella chiusura<br />

degli occhi, i bulbi oculari ruotano verso l’alto. Questo avviene non solo nella<br />

chiusura volontaria degli occhi, ma anche nel sonno. È in realtà un movimento<br />

associato e non un riflesso.<br />

Riflesso orbicolare della bocca Percussione sul labbro superiore o sul lato del<br />

naso è seguita da una contrazione del muscolo quadrato del labbro superiore e del<br />

muscolo canino (elevatore dell’angolo della bocca) omolaterali. In seguito a tale<br />

stimolazione si ha elevazione del labbro superiore e dell’angolo della bocca.<br />

Segno di Chvostek Spasmo o contrazione tetanica crampiforme dei muscoli<br />

facciali omolaterali, che compare percuotendo l’emergenza del nervo facciale<br />

anteriormente all’orecchio. È una tetania, ma si osserva anche se c’è un aumento<br />

della irritabilità riflessa, come nella demenza o nelle alterazioni del tratto<br />

piramidale.<br />

Nervo acustico (VIII°) Composto da due sistemi di fibre che sono mescolati in un solo tronco<br />

nervoso. Essi sono:<br />

o Nervo cocleare Nervo dell’udito:<br />

Studio della componente uditiva Viene valutata in genere dallo specialista<br />

otoiatra con l’esame audiometrico. Dei semplici tests di screening sono:<br />

• Voce sussurrata Valutare la risposta del paziente alla voce sussurrata,<br />

esaminando un orecchio alla volta. Mascherare l’udito nell’altro orecchio e<br />

bisbigliare a 30‐60 cm di distanza.<br />

• Test del ticchettio dell’orologio Può essere usato per valutare le alte<br />

frequenza.<br />

• Test di Rinne, Weber e Schwabach:<br />

o Test di Weber Mettere la base del diapason vibrante sul vertice<br />

della testa del paziente. Chiedere al paziente se il suono viene<br />

avvertito in maniera uguale in ambedue le orecchio o meglio in un<br />

orecchio (lateralizzazione del suono).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Test di Rinne Viene eseguito poggiando la base del diapason in<br />

vibrazione contro il processo mastoideo del paziente. Iniziare a<br />

contare fino a quando il paziente non sente più il suono.<br />

Confrontare il tempo di scomparsa del suono quando il diapason<br />

viene fatto vibrare a 1‐2 cm dall’orecchio.<br />

o Test di Schwabach Confronto tra la trasmissione ossea del<br />

paziente e dell’esaminatore. L’esaminatore deve porre<br />

alternativamente il diapason in vibrazione contro il processo<br />

mastoideo del paziente e contro il suo, fino a quando unno dei due<br />

non sente più alcun suono. Il suono deve essere udito da ambedue<br />

per un periodo uguale di tempo.<br />

Tipi di sordità:<br />

TEST DI TRASMISSIONE NEUROSENSORIALE<br />

WEBER Lateralizzazione del suono Lateralizzazione del suono<br />

all’orecchio sordo<br />

all’orecchio migliore<br />

RINNE Trasmissione ossea uditiva<br />

più a lungo o per un tempo<br />

uguale<br />

aerea<br />

alla trasmissione<br />

SCHWABACH Il paziente sente più a lungo<br />

dell’esaminatore<br />

Trasmissione aerea uditiva<br />

più a lungo ma non per un<br />

periodo pari al doppio della<br />

trasmissione ossea<br />

L’esaminatore sente più a<br />

lungo del paziente.<br />

o Nervo vestibolare Serve all’equilibrio, alla coordinazione, all’orientamento nello spazio.<br />

Non viene esaminata dall’internista. Può essere utile rilevare la presenza di nistagmo<br />

oculare, segno della presenza di una patologia a questo livello. Il nistagmo vestibolare è di<br />

solito laterale, mentre quello che origina dal tronco cerebrale è verticale. Il paziente deve<br />

essere invitato a tenere lo sguardo fisso a 45° verso sinistra o verso destra. In caso di<br />

nistagmo, gli occhi scivolano lentamente verso il centro e poi scattano verso la posizione<br />

iniziale.<br />

Originano in recettori periferici separati e hanno distinte, ma anche diffuse, connessioni centrali.<br />

Nervo glossofaringeo (IX°) Viene valutato solitamente insieme al nervo vago. I due nervi sono<br />

infatti intimamente uniti e frequentemente interessati dallo stesso processo patologico. Spesso<br />

può essere difficile distinguere il coinvolgimento di uno da quello dell’altro. Le fibre motore<br />

probabilmente innervano unicamente il muscolo stilo faringeo. Il nervo glossofaringeo porta<br />

impulsi secretori e vasodilatatori per la ghiandola parotide. Insieme al nervo facciale può fornire<br />

impulsi secretori alla mucosa delle porzioni inferiore e posteriore della faringe e della cavità<br />

buccale. Le branche sensitive interessano porzioni posteriori della membrana timpanica, il cavo<br />

uditivo esterno, parti di faringe, palato molle, ugola, tonsilla, fauci, cellule mastoidee, parte<br />

posteriore della lingua.<br />

o Esame della funzione motoria Si osserva la faringe invitando il paziente a pronunciare la<br />

lettera A. In caso di paralisi si potrà notare:<br />

Disfagia per i solidi<br />

Spostamento dei tessuti molli della faringe verso il lato sano.<br />

o Esame della funzione sensitiva La funzioni gustativa verrà valutata come descritto per il<br />

VII° paio.<br />

o Riflessi:<br />

Riflesso faringeo Si tocca con un abbassalingua la faringe posteriore da entrambi<br />

i lati, la regione tonsillare o la parte posteriore della lingua. Se il riflesso è presente<br />

si osserverà il sollevamento e la costrizione della muscolatura faringea, insieme con<br />

la retrazione della lingua. Se lo stimolo viene applicato all’ugola si osserva<br />

simultaneamente l’elevazione del palato molle e la retrazione dell’ugola.<br />

Nervo vago (X°) Nervo cranico più lungo e con più ampia distribuzione. I nuclei di origine del vago<br />

sono simili, sotto molti aspetti identici, a quelli del glossofaringeo e le funzioni del decimo sono<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

corrispondenti a quelle del nono. La pozione motoria innerva , insieme al glossofaringeo, tutta la<br />

muscolatura striata del palato molle, faringe e laringe, controllando così il processo della<br />

deglutizione. La porzione sensitiva è simile a quella del glossofaringeo (tranne la lingua). La<br />

porzione parasimpatica raggiunge:<br />

o Cuore Azione inotropa e cronotropa negativa<br />

o Bronchi Contrazione della muscolatura liscia della trachea, bronchi e bronchioli. Stimola<br />

le ghiandole della mucosa bronchiale.<br />

o Digerente In generali agisce da stimolatore della funzione alimentare (stimola secrezione<br />

del succo pancreatico e gastrico, contrazione della muscolatura, rilassamento degli sfinteri,<br />

stimola il fegato, inibisce la secrezione surrenalica).<br />

Esame della funzione motoria:<br />

o Ispezionare il palato molle e valutare la simmetria Far dire al paziente “Ah” ed osservare<br />

il movimento dell’ugola e del palato molle alla ricerca di asimmetrie.<br />

o Far deglutire al paziente un sorso d’acqua Il paziente deve deglutire facilmente e non<br />

deve essere osservabile passaggio di acqua attraverso il naso dopo che il nasofaringe è<br />

stato isolato dal sollevamento del palato molle.<br />

o Considerare il carattere e la qualità della voce.<br />

Esame delle funzioni sensitive Gli elementi sensitivi del vago possono essere adeguatamente<br />

analizzati<br />

Esame delle funzioni autonomiche Difficile valutazione clinica<br />

o Riflesso oculo‐cardiaco La frequenza cardiaca ed in un cero grado la frequenza<br />

respiratoria possono essere lievemente rallentate dalle pressione sui globi oculari.<br />

o Riflesso del vomito Vedi riflesso faringeo.<br />

o Riflesso della deglutizione Stimolazione della farete faringea o del dorso della lingua dà<br />

inizio ai movimenti della deglutizione.<br />

o Riflesso della tosse La stimolazione della mucosa della faringe, della laringe, della<br />

trachea, dell’albero bronchiale oppure la stimolazione della membrana timpanica evoca il<br />

riflesso della tosse.<br />

o Riflesso nasale o dello starnuto In risposta alla stimolazione della mucosa nasale si<br />

produce una violenta espulsione di aria attraverso il naso e la gola.<br />

o Riflesso del seno carotideo Stimolazione del seno carotideo da parte della pressione di<br />

un dito alla biforcazione della carotide comune provoca la stimolazione riflessa del vago.<br />

Nervo accessorio del vago (XI°) Ha funzione interamente motoria e innerva lo<br />

sternocleidomastoideo e la porzione superiore del trapezio. Esame funzionale:<br />

o Sternocleidomastoideo Ispezione e palpazione mentre il paziente ruota il capo contro<br />

resistenza. Si può evocare la contrazione percuotendo sull’origine clavicolare.<br />

o Trapezio L’esaminatore preme la spalla in basso contro la resistenza del paziente. Il<br />

paziente cerca di sollevare la spalla contro la resistenza dell’esaminatore.<br />

Nervo ipoglosso (XII°) Controlla i muscoli della lingua. Esame clinico:<br />

o Ispezionare la lingua del paziente a riposo sul pavimento della bocca. Notare la presenza di<br />

fascicolazioni, asimmetrie, atrofie o deviazioni della linea mediana.<br />

o Chiede al paziente di muovere la lingua dentro e fuori la bocca, dai due lati, di curvarla<br />

verso l’alto come per toccare il anso e verso il basso come per toccare il mento.<br />

o Valutare la forza muscolare della lingua chiedendo al paziente di spingere la lingua contro<br />

la guancia mentre l’esaminatore applica una forza contraria con il dito indice.<br />

o Quando si ascolta la voce del paziente non deve essere notato alcun problema con la<br />

pronuncia dei suoni linguali (l, t, d, n).<br />

Nella paralisi si ha la deviazione della lingua dal lato affetto e atrofia lingueale dal lato colpito.<br />

CERVELLETTO<br />

59


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Il cervelletto è deputato al mantenimento dell’equilibrio e della coordinazione dei movimenti. I tests di<br />

funzione cerebellare tendono pertanto a cogliere eventuali anomalie di queste funzioni. È importante<br />

osservare il malato. Già l’esame del comportamento del malato può dare utili informazioni all’esaminatore.<br />

Si annoti come il paziente esegue gli atti della vita quotidiana:<br />

‐ Come si siede o si alza da una sedia<br />

‐ Quale postura mantiene mentre è seduto e quale è in piedi<br />

‐ Com’è la sua andatura<br />

‐ Come esegue movimenti come portare un bicchiere alla bocca, abbottonarsi la camicia o la giacca,<br />

annodarsi il laccio delle scarpe.<br />

In particolare si osservi se esiste armonia nell’esecuzione del movimento.<br />

Coordinazione<br />

Le prove semeiologiche atte ad evidenziare un disturbo della coordinazione dei movimenti vengono<br />

suddivise in:<br />

• Prove in rapporto con le funzioni dell’equilibrio e della marcia:<br />

o Test di Romberg Vale a differenziare le patologie cerebellari dai deficit della sensibilità<br />

propriocettiva. Il paziente è invitato a mantenere la stazione eretta tenendo i piedi uniti<br />

prima ad occhi aperti e poi chiusi.<br />

Se il deficit dell’equilibrio deriva da alterazioni della sensibilità propriocettiva il paziente<br />

riesce a compensarlo grazie alle informazioni ricevute dalla vista. Quando chiude gli occhi si<br />

osserva una rapida perdita dell’equilibrio (Romberg positivo).<br />

Le lesioni cerebellari si contraddistinguono per un deficit dell’equilibrio non influenzato<br />

dall’apertura o dalla chiusura degli occhi e nel malato cerebellare il fenomeno di Romberg è<br />

negativo, poiché il paziente oscilla già ad occhi aperti e l’equilibrio non viene peggiorato<br />

dalla chiusura degli occhi.<br />

o Paziente in posizione eretta su un piede solo L’equilibrio può essere esaminato facendo<br />

rimanere il paziente in posizione eretta su un piede solo. Ripetere il test con il piede<br />

opposto. Il paziente deve mantenersi in equilibrio su ciascun piede per almeno 5 secondi,<br />

ma è normale un lieve ondeggiamento.<br />

o Far saltellare il paziente prima su un piede e poi sull’altro Il paziente deve essere in grado<br />

di saltellare su ciascun piede per almeno 5 secondi.<br />

o Test della spinta Per valutare ulteriormente l’equilibrio, chiedere al paziente di rimanere<br />

in posizione eretta con i piedi leggermente divaricati. Spingerlo alla spalle con una forza<br />

sufficiente a fargli perdere l’equilibrio (stare pronti a sostenere il paziente se necessario).<br />

L’equilibrio deve essere recuperato rapidamente.<br />

o Sinergia muscolare Si deve inoltre valutare la sinergia muscolare o capacità di<br />

correttamente aggiustare il livello di contrazione nei vari muscoli che partecipano al<br />

movimento. L’asinergia si dimostra invitando il paziente a rovesciare il tronco all’indietro:<br />

nel soggetto normale ciò è possibile poiché il movimento si associa alla flessione degli arti<br />

inferiori, cioè alla contrazione sinergica dei flessori degli arti inferiori, mentre il paziente<br />

cerebellare cade all’indietro e la prova è quindi positiva per mancanza di flessione agli arti<br />

inferiori<br />

o Andatura Osservare il paziente mentre cammina a piedi scalzi nell’ambulatorio o lungo<br />

un corridoio prima con gli occhi aperti e poi con gli occhi chiudi. Osservare la sequenza<br />

attesa del passo, notando i movimenti simultanei delle braccia. Si distinguono:<br />

Atassia cerebellare L’andatura è a base allargata, le braccia a bilanciere,<br />

l’ammalato avanza con incertezza e con pulsioni laterali brusche che lo fanno<br />

proseguire a zig zag e mima l’andatura dell’ubriaco rischiando di cadere.<br />

Atassia per turbe della sensibilità profonda Si designa in genere con il termine di<br />

atassia tabetica.<br />

• Nelle lesioni dei cordoni posteriori è caratterizzata dal brusco lancio delle<br />

gambe in avanti, dalla pesante ricaduta del tallone sul suolo e dall’assiduo<br />

60


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

controllo della vista sui movimenti degli arti. Il fenomeno di Romberg è<br />

positivo.<br />

• Nelle lesioni midollari, l’atassia spesso non è pura, ma associata a turbe<br />

piramidali<br />

• Nelle lesioni cerebrali e nelle lesioni talamiche riscontriamo atassia della<br />

marcia per turbe della sensibilità profonda.<br />

Atassia per turbe labirintiche Il labirintico presenta un equilibrio instabile,<br />

divarica i piedi per aumentare la base di appoggio, ma segno distintivo capitale ha<br />

un segno di Romberg positivo. La perdita di equilibrio per chiusura degli occhi<br />

avviene dopo una dozzina di secondi e sempre verso un determinato lato<br />

(lateropulsione). Il labirintico non può come il cerebellare seguire una linea retta,<br />

devia lateralmente, ma sempre nello stesso senso, dalla parte del labirinto malato.<br />

La marcia eseguita verso l’avanti e verso l’indietro per 8‐10 passi, ad occhi chiusi,<br />

disegna raggi di una sella (marcia a sella).<br />

Atassia cerebrale È un termine improprio. Mentre atassia parietale è una vera<br />

atassia per turbe della sensibilità profonda, nel caso di cosiddetta impropriamente<br />

atassia frontale callosa e parietale si osserva un difetto di equilibrio nella marcia e<br />

nella stazione eretta con tendenza alla retro e latero‐pulsione.<br />

• Prove in rapporto col movimento degli arti o coordinazione segmentaria degli arti Viene<br />

esaminata con prove codificate che permettono di mettere in evidenza:<br />

o La dismetria Traduce l’incapacità di regolare l’intensità e la durata dell’attività motoria in<br />

rapporto allo scopo da raggiungere, può essere evidenziata da diverse prove:<br />

Arti superiori:<br />

• Prova indice‐naso<br />

• Prova indice‐naso‐mento<br />

• Prova indice‐orecchio<br />

• Prova della prensione (o prova del bicchiere) Se si invita il paziente a<br />

prendere un bicchiere a metà pieno d’acqua e a portarlo alle labbra per<br />

bere si potrà osservare l’ipermetria, la dismetria, la scomposizione del<br />

movimento, il tremore intenzionale per cui talora alcuni pazienti non sono<br />

neppure in grado di bere, malgrado l’impiego delle mani.<br />

Arti inferiori:<br />

• Prova calcagno‐ginocchio Il paziente deve toccare con il calcagno il<br />

ginocchio dell’arto opposto con precisione<br />

• Prova calcagno‐tibia strisciata Il paziente è invitato a strisciare<br />

leggermente il tallone lungo la cresta tibiale fino al dorso del piede<br />

• Prova dito paziente‐dito esaminatore Il paziente cercherà di toccare con<br />

il suo alluce il dito dell’esaminatore che viene spostato volta in volta.<br />

Se esiste un disturbo della coordinazione il movimento è eseguito in maniera scorretta:<br />

La mira non è raggiunta Dismetria<br />

È raggiunta con troppa forza Ipermetria<br />

In vicinanza della meta il dito o il calcagno si arrestano Braditelocinesia.<br />

o L’asinergia Il movimento globale può essere scomposto in movimenti parziali in tempi<br />

diversi, per difetto di sinergia tra i diversi movimenti che compongono l’atto nel suo<br />

insieme. L’asinergia segmentale o piccola asinergia di Babinski si mete in evidenza con<br />

prove diverse:<br />

Il soggetto seduto è invitato a toccare con la punta del piede un oggetto posto a<br />

circa 50cm dal suolo pochi cm distante dal ginocchio Il soggetto sinergico non<br />

compie simultaneamente la flessione della coscia e della gamba.<br />

Il soggetto disteso a letto a braccia conserte è invitato a mettersi seduto senza<br />

aiutarsi con gli arti superiori Il soggetto normale esegue la prova contraendo i<br />

61


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

muscoli che fissano gli arti inferiori al letto. L’asinergico solleva anche<br />

smodatamente gli arti inferiori mentre non riesce a sollevare il dorso.<br />

Il soggetto sinergico dimostra la scomposizione del movimento nell’esecuzione<br />

delle prove calcagno‐ginocchio Prima flette la gamba, poi la solleva e quindi<br />

adduce per raggiungere il ginocchio.<br />

Una lesione cerebellare omolaterale da emisenergia.<br />

o L’adiadococinesia Esplora la capacità di eseguire movimenti volontari rapidi e alternativi.<br />

La perdita di queste possibilità, denominata adiadocicinesi si esplora con le seguenti prove:<br />

Prova di pronazione‐supinazione delle mani Il paziente è seduto e, poste sulle<br />

ginocchia le mani, esegue rapidi movimenti alternati di prono supinazione. Se<br />

esiste adiadococinesia si osserverà che il paziente non riesce dopo solo alcuni<br />

movimenti, a mantenere il ritmo e l’alternanza della successione.<br />

Prova delle marionette Il paziente seduto di fronte all’esaminatore con le braccia<br />

addotte, gli avambracci flessi sul braccio e palme delle mani in avanti, esegue, al<br />

comando rapidi movimenti alternati di prono‐supinazione.<br />

Le prove di adiadococinesia saranno particolarmente dimostrative se la lesione è<br />

unilaterale.<br />

La scrittura dimostra molto bene turbe della coordinai zone. Se il paziente è invitato a tracciare linee<br />

orizzontali in successione sovrapposta tra due limiti verticali, segnati dall’esaminatore, molte linee<br />

oltrepasseranno o non raggiungeranno il limite verticale e la linea sarà intercisa (ipermetria, dismetria,<br />

asinergia, adiadocinesia, braditeleocinesia). La scrittura può mettere in evidenza turbe dismetriche,<br />

sinergiche, adiadocinetiche.<br />

I tremori cerebellari compaiono durante i movimenti volontari.<br />

SEGNI DI IRRITAZIONE MENINGEA<br />

Segno di Kernig È stato descritto in vari modi. Kernig lo descrisse come una flessione involontaria<br />

del ginocchio quando l’esaminatore tenda di flettere la coscia a livello dell’anca, mentre la gamba è<br />

in estensione. Tuttavia esso viene più comunemente evocato flettendo la coscia del paziente<br />

coricato ad angolo retto e poi tentando di estendere la gamba a livello del ginocchio. Questa<br />

estensione passiva del ginocchio è accompagnata non solo da dolore e resistenza dovuti a spasmo<br />

dei muscoli della coscia ma anche da limitazione dell’estensione.<br />

Segno di Brudzincki Si evidenzia sollevando il capo del paziente in modo da portare il mento<br />

contro lo sterno. In corso di infiammazione meningea, si osserva una resistenza de parte del<br />

paziente che tende a flettere le cosce e le gambe.<br />

Segno di Lasegue Si fa un tentativo di flettere la coscia a livello dell’anca, mentre la gamba è<br />

tenuta in estensione. Quando è positivo questo segno è accompagnato anche da dolore a livello<br />

dell’incisura ischiatica e da resistenza al movimento. È positivo anche durante l’ernia del disco, ma<br />

solo monolateralmente.<br />

Rigidità nucale È probabilmente il segno più ampiamente conosciuto e più frequentemente<br />

incontrato di irritazione meningea e la diagnosi di meningite viene raramente posta in sua assenza.<br />

Essa è caratterizzata da rigidità e spasmo dei muscoli del collo, con dolore ai tentativi di movimento<br />

volontario. C’è anche resistenza al movimento passivo.<br />

62


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA MUSCOLO<br />

SCHELETRICO<br />

ISPEZIONE<br />

Si deve:<br />

‐ Ispezionare gli aspetti anteriore, posteriore e laterali della postura del paziente<br />

‐ Osservare le capacità del paziente di rimanere eretto, la simmetria delle varie parti del corpo e<br />

l’allineamento delle estremità<br />

‐ Notare la presenza di lordosi, cifosi, scoliosi<br />

‐ Ispezionare la cute e sottocutaneo che riveste muscoli, cartilagini, ossa alla ricerca di modificazioni<br />

del colore, tumefazioni, masse<br />

‐ Osservare le estremità<br />

‐ Ispezionare i muscoli alla ricerca di ipertrofie, atrofie, fascicolazioni e spasmi. Le dimensioni dei<br />

muscoli dovrebbero essere approssimativamente simmetriche dai due lati<br />

La simmetria bilaterale non deve essere considerato in assoluto, non essendo una simmetria<br />

perfetta.<br />

PALPAZIONE<br />

‐ Palpare tutte le ossa, articolazione e muscoli circostanti.<br />

‐ Notare la presenza di aumento del termo tatto, dolorabilità, tumefazioni, crepitii e resistenza alla<br />

pressione.<br />

Il paziente non deve avvertire alcun fastidio quando viene applicata una pressione sulle ossa o sulle<br />

articolazioni.<br />

MOTILITÀ ARTICOLARE<br />

Si deve esaminare la motilità attiva e passiva di tutte le articolazioni maggiori e dei gruppi muscolari<br />

correlati. Istruire il paziente a muovere ciascuna articolazione in maniera completa. La presenza di dolore,<br />

limitazione dei movimenti, movimenti spastici, instabilità articolare, deformità e contrazioni suggeriscono<br />

un problema collegato all’articolazione o al gruppo muscolare corrispondente.<br />

La motilità attiva e passiva deve essere identica per la stessa articolazione e tra articolazioni controlaterali.<br />

Discrepanze tra motilità attiva e passiva possono indicare una debolezza muscolare vera o una malattia<br />

articolare. Durante i movimenti non debbono essere evidenti dolorabilità o crepitii.<br />

Quando un’articolazione dimostra un aumento o una diminuzione della motilità, con un goniometro è<br />

possibile misurare precisamente l’angolo di flessione. Misurare gli angoli di maggiore flessione ed<br />

estensione, mettendoli a confronto con gli angoli attesi.<br />

FORZA MUSCOLARE<br />

La valutazione della forza di ciascun gruppo muscolare è di solito integrata dall’esame della articolazione<br />

corrispondente. Chiedere al paziente di flettere il muscolo da voi indicato e quindi resistere quando viene<br />

applicata una forza contraria a questa flessione. Confrontare la forza muscolare bilateralmente.<br />

Normalmente la forza muscolare è simmetrica bilateralmente con una resistenza completa all’opposizione.<br />

Una forza muscolare intatta implica una motilità articolare normale.<br />

Articolazione temporo‐mandibolare<br />

• Localizzare l’articolazione temporo‐mandibolare con la punta delle dita appena anteriormente al<br />

trago di ciascun orecchio<br />

• Permettere alle dita di scivolare nello spazio articolare mentre il paziente apre la bocca e palpare<br />

questo spazio<br />

• Uno scatto o uno schiocco udibili provenienti dall’articolazione temporo‐mandibolare non sono<br />

insoliti, ma non devono essere presenti dolore, tumefazioni o crepitii.<br />

63


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• La motilità viene esaminata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

o Aprire e chiudere la bocca. Normalmente lo spazio tra i denti superiori ed inferiori è di 3‐6<br />

cm<br />

o Spostare lateralmente la mandibola da ciascun lato. La mandibola deve spostarsi di 1‐2 cm<br />

in ciascuna direzione<br />

o Sporgere e retrarre il mento. Normalmente sono possibili entrambe i movimenti.<br />

• La forza dei muscoli temporali viene valutata chiedendo al paziente di serrare i denti mentre si<br />

palpano i muscoli contratti e si applica una forza contraria. Con questa manovra viene<br />

simultaneamente controllato il V° paio di nervi cranici.<br />

Colonna cervicale<br />

Ispezionare il collo del paziente, sia anteriormente che posteriormente, osservando l’allineamento della<br />

testa con le spalle e la simmetria delle pliche cutanee e dei muscoli. Palpare la parte posteriore del collo, la<br />

colonna cervicale ed i muscoli paravertebrali, trapezio e sternocleidomastoideo. I muscoli devono<br />

possedere un buon tono ed essere di dimensioni simmetriche con assenza di dolorabilità o spasmi<br />

muscolari alla palpazione.<br />

Si valuta la motilità della colonna cervicale chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ Inclinare la testa in avanti, monto sul torace. Flessione normale di 45°.<br />

‐ Inclinare la testa all’indietro, mento verso il soffitto. Iperestensione normale di 55°.<br />

‐ Inclinare la testa da entrambi i lati, orecchio verso spalla. Inclinazione laterale normale di 40°.<br />

‐ Girare la testa da ciascun lato, mento verso la spalla. Rotazione normale di 70°.<br />

La forza di muscoli sternocleidomastoideo e trapezio viene valutata come visto in precedenza.<br />

Colonna toracica e lombare<br />

I principali punti di repere sono rappresentati dai processi spinali delle vertebre (C7 e T1 sono di solito i più<br />

sporgenti), le scapole e le creste iliache ed i muscoli paravertebrali.<br />

Valutare l’asse e le curvature spinali Normalmente la testa si trova direttamente sopra al solco<br />

gluteo e le vertebre sono dritte come indicato dall’altezza simmetrica delle spalle, delle scapole e<br />

delle creste iliache. Le curvature della colonna cervicale e lombare devono essere concave, mentre<br />

la curvatura della colonna toracica deve essere convessa. Le ginocchia ed i piedi devono essere<br />

allineati con il tronco, puntando verso l’esterno. Si può avere:<br />

o Lordosi Accentuazione della normale convessità anteriore della colonna. Può aversi per:<br />

Spondilolistesi Scivolamento anteriore della V° vertebra lobare<br />

Malformazione del bacino<br />

Lussazione congenita dell’anca<br />

Miopatie Nelle quali è apprezzabile uno spostamento in avanti delle regioni<br />

glutee<br />

Paziente marcatamente obesi.<br />

o Cifosi Curvatura del rachide a convessità posteriore. Può essere parziale o totale. Nel<br />

primo caso interessa solo un gruppo di vertebre, nel secondo caso interessa il rachide per<br />

una estensione più ampia. La riduzione della statura è una delle principali conseguenza<br />

della cifosi. Sono causa di cifosi a grande raggio:<br />

Stati di ipotonia muscolare<br />

Rachitismo<br />

Osteoporosi post‐menopausale e senile (cifosi senile) Hanno localizzazione<br />

dorsale e sono la esagerazione della fisiologica curvatura dorsale del rachide.<br />

Sono causa di cifosi angolari:<br />

Processi distruttivi di una o più vertebre o i loro postumi Il gibbo presenta in<br />

questi casi un angolo acuto Morbo di Pott, osteomieliti di natura aspecifica,<br />

mieloma, metastasi carcinomatose.<br />

o Scoliosi Curvatura laterale del rachide. Sarà pertanto destra o sinistra e potrà interessare<br />

tutta la colonna o un segmento di essa. A monte e a valle della curvatura principale di un<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

scoliosi si instituiscono delle curvature di compenso le quali hanno lo scopo di ristabilire<br />

l’equilibrio riportando il centro di gravità sulla linea mediana. Per lo più coesiste la cifosi. Le<br />

scoliosi datanti dall’infanzia presentano nefaste conseguenza sullo sviluppo somatico<br />

determinando:<br />

Riduzione della statura<br />

Deformità costali<br />

Appiattimento del bacino in senso antero‐posteriore<br />

Alterazione dello scheletro cranio‐facciale.<br />

Con il paziente in posizione eretta, palpare lungo i processi spinosi ed i muscoli paravertebrali.<br />

Valutare percussoriamente la presenza di dolorabilità spinale prima percuotendo ogni processo<br />

spinoso con un dito e quindi colpendo con il nato ulnare del pugno ambedue i lati della colonna<br />

lungo i muscoli paravertebrali. La palpazione e la percussione non devono mettere in evidenza<br />

alcuna dolorabilità spinale o spasmi muscolari.<br />

Chiedere al paziente di inclinarsi verso avanti e di toccare le dita dei piedi mentre si osserva da<br />

dietro. Ispezionale la colonna alla ricerca di curvature anomale. L’evidenziazione con matita<br />

dermografica dei processi spinosi può aumentare la sensibilità dell’indagine. Il dorso del paziente<br />

deve rimanere simmetricamente piatto quando la curvatura concava della colonna lombare diviene<br />

convessa con la flessione in avanti.<br />

Motilità della colonna Viene valutata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

o Inclinarsi in avanti alla cintola e toccarsi i piedi. Flessione normale di 75‐90°<br />

o Inclinarsi posteriormente alla cintola il più possibile. Iperestensione normale di 30°.<br />

o Inclinarsi da ciascun lato il più possibile. Flessione laterale normale di 35° bilateralmente<br />

o Ruotare la parte superiore del tronco a partire dalla cintola, mentre la pelvi viene tenuta<br />

ferma dall’esaminatore. La rotazione normale della parte superiore del tronco è di 30° nei<br />

due sensi.<br />

Spalle<br />

Ispezione il profilo delle spalle, il cingolo della spalla, le clavicole, le scapole ed i muscoli della regione.<br />

Sospettare una lussazione quando il profilo della spalla è asimmetrico ed una spalla presenta una concavità<br />

nel profilo. Osservare alla ricerca di una scapola alata, una sporgenza verso l’esterno della scapola, che<br />

indica una lesione del nervo del muscolo serrato anteriore.<br />

Palpare le articolazioni sternoclavicolari e acromioclavicolari, le clavicole, le scapole, i processi coracoidei, i<br />

grandi trocanteri dell’omero, i solchi bicipitali e tutti i muscoli della regione.<br />

Esaminare la motilità chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ Sollevare le spalle. Normalmente il sollevamento è simmetrico.<br />

‐ Sollevare entrambe le braccia e portare al di sopra della testa. La flessione normale in avanti è di<br />

180°.<br />

‐ Estendere e portare le braccia al dorso. L’iperestensione normale è di 50°.<br />

‐ Sollevare entrambe le braccia lateralmente e portarle al di sopra della testa. Abduzione normale<br />

180°.<br />

‐ Far oscillare ciascun braccio anteriormente al tronco. Adduzione normale di 50°.<br />

‐ Portare entrambe le braccia dietro i fianchi con i gomiti all’infuori. Rotazione interna normale di 90°<br />

‐ Portare entrambe le braccia dietro la testa, con i gomiti all’infuori. Rotazione esterna normale di<br />

90°.<br />

‐ Il paziente deve mantenere le spalle sollevate, la flessione in avanti e l’abduzione mentre si applica<br />

una forza contraria per valutare la forza di muscoli del cingolo della spalla. Con la manovra del<br />

sollevamento delle spalle viene contemporaneamente valutato l’XI° paio di nervi cranici.<br />

Gomito<br />

Ispezionare il profilo del gomito sia in posizione estesa che flessa. La presenza di noduli sottocutanei lungo i<br />

punti di pressione della superficie estensoria dell’ulna può essere indicativa di artrite reumatoide. Notare<br />

eventuali deviazioni dell’angolo cubitale fra l’omero e l’ulna mentre viene esteso passivamente, con le<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

palme rivolte in avanti. L’angolo cubitale ha una ampiezza laterale compresa di solito tra 5 e 15°. Le<br />

variazioni di quest’angolo sono rappresentate dal cubito valgo (angolo maggiore di 15°) e cubito varo<br />

(angolo invertito medialmente).<br />

Flettere il gomito del paziente a 70° e palpare la superficie estensoria dell’ulna, il processo olecranico, gli<br />

epicondili mediale e laterale dell’omero. Quindi palpare il solco presente in ciascun lato dell’olecrano alla<br />

ricerca di ispessimenti della membrana sinoviale, tumefazioni e dolorabilità. Una tumefazione paludosa,<br />

molle fluttuante, la presenza di dolorabilità a livello dell’epicondilo laterale o lungo i solchi sell’olecrano e<br />

gli epicondili, un aumento di dolore con la pronazione e la supinazione del gomito devono far sospettare<br />

una epicondilite o una tendinite.<br />

La motilità del gomito viene esaminata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ Estensione e flessione del gomito. Flessione normale di 160°. Estensione normale di 180°.<br />

‐ Con il gomito flesso ad angolo retto, ruotare la mano. Pronazione e supinazione sono normalmente<br />

di 90°.<br />

‐ Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione e l’estensione mentre si applica una forza<br />

contraria per valutare la forza dei muscoli del gomito.<br />

Mano e polso<br />

Ispezionare gli aspetti dorsale e palmare delle mani, notando il profilo, la posizione, la forma, il numero e la<br />

completezza delle dita. Notare la presenza delle creste cutanee palmari e falangee. La superficie palmare di<br />

ciascuna mano deve possedere una depressione centrale con una protuberanza rotondeggiante (eminenza<br />

tenar) dal lato del pollice e una eminenza ipotenar meno prominente dal lato del mignolo. Normalmente le<br />

dita completamente estese sono a stretto contatto tra di loro e sono allineate con l’avambraccio. La<br />

superficie laterale delle dita deve gradualmente affusolarsi andando dalla parte prossimale a quella distale.<br />

La deviazione delle dita verso il lato ulnare e la deformità a collo di cigno o ad asola sono di solito indicative<br />

della artrite reumatoide.<br />

Palpare tutte le articolazioni della mano e del polso. Le articolazioni interfalangee possono essere palpate<br />

con il pollice e l’indice. Le articolazioni metacarpofalangee vengono palpate con entrambi i pollici. Il polso e<br />

la doccia radio carpale vengono palpati con i pollici sulla superficie dorsale e con le altre dita sulle superficie<br />

palmare del polso. Le superfici articolari devono essere lisce ed esenti da noduli, tumefazioni, sporgenze e<br />

dolorabilità.<br />

Ricercare la presenza di noduli. In genere si tratta si escrescenze ossee a livello delle articolazioni<br />

interfalangee che possono essere palpate come noduli duri e non dolenti di diametro compreso tra i 2 ed i<br />

3 mm ma che talvolta circondano tutta l’articolazione. Sono associati a processi osteoartritici. Quando<br />

localizzati lungo le articolazioni interfalangee distali prendono il nome di noduli di Heberden. Quando si<br />

trovano lungo le articolazioni interfalangee prossimali sono denominati noduli di Bochard.<br />

Con il dito indice colpire il nervo mediano nel suo punto di passaggio attraverso il tunnel carpale al di sotto<br />

dei legamenti flessori del retinacolo e volare carpale. Una sensazione di formicoli che si irradia dal polso alla<br />

mano lungo il percorso del nervo mediano rappresenta un segno di Tinel positivo, associato alla sindrome<br />

del tunnel carpale.<br />

Esaminare la motilità della mano e del polso chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ Piegare le dita in avanti a livello della articolazione metacarpofalangea. Quindi di estendere le dita<br />

in alto e posteriormente a livello della nocca. L’angolo di flessione normale è di 90°, quello di<br />

iperestensione fino a 20°.<br />

‐ Toccare con il pollice la punta di tutte le dita e la base del mignolo. Tutti questi movimenti devono<br />

essere possibili.<br />

‐ Allargare le dita e quindi riunirle. Devono essere possibili entrambi i movimenti.<br />

‐ Piegare la mano ed il polso su e giù. Angolo di flessione normale di 90°, di iperestensione 70°.<br />

‐ Con i palmi diretti verso il basso, girare ciascuna mano a destra e a sinistra. Movimento radiale<br />

normale di 20°, movimento ulnare di 55°.<br />

Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione e l’estensione del gomito quando viene applicata<br />

una forza contraria per valutare la forza dei muscoli del polso. Per valutare la forza della mano, far stringere<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

al paziente strettamente le dita dell’esaminatore. Anche l’estensione delle dita e le posizioni di adduzione<br />

possono essere utilizzate per valutare la forza della mano.<br />

Anca<br />

Ispezionare le anche anteriormente e posteriormente mentre il paziente si trova in posizione eretta. Usare i<br />

punti di repere principali rappresentati dalla cresta iliaca e dal grande trocantere del femore per valutare<br />

eventuale assimetria di altezza delle creste iliache, le dimensioni delle natiche ed il numero e l’altezza delle<br />

pliche glutee. Palpare le anche e la pelvi con il paziente supino. Non devono essere rilevabili instabilità,<br />

dolorabilità e crepitii.<br />

Esaminare la motilità dell’anca chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ In posizione supina sollevare le gambe al di sopra del corpo con le ginocchia estese. L’angolo<br />

normale di flessione dell’anca è di 90°.<br />

‐ In posizione eretta o prona, portare la gamba estesa dietro al corpo. Angolo di iperestensione<br />

dell’anca inferiore o uguale a 30°.<br />

‐ In posizione supina sollevare un ginocchio mentre l’altra gamba è in estensione. Angolo di flessione<br />

dell’anca normale di 120°.<br />

‐ In posizione supina spostare la gamba lateralmente e medialmente con il ginocchio esteso. Durante<br />

il movimento di adduzione, sollevare passivamente la gamba opposta, per permettere alla gamba<br />

che si sta esaminando un movimento completo. Normalmente esiste un certo grado di adduzione e<br />

abduzione.<br />

‐ In posizione supina flettere il ginocchio e intraruotare la gamba verso l’altra gamba. Rotazione<br />

interna normale di 40°.<br />

‐ In posizione supina, portare la pare laterale del piede sul ginocchio dell’altra gamba; muovere il<br />

ginocchio flesso verso il lettino. Rotazione esterna normale di 45° (test di Patrick).<br />

‐ Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione dell’anca con il ginocchio in flessione ed<br />

in estensione quando si applica una forza contraria per valutare la forza dei muscoli dell’anca. La<br />

forza muscolare può anche essere valutata nel corso della manovre di adduzione e di abduzione.<br />

Test di Thomas Viene utilizzato per identificare le contratture in flessione dell’anca che possono essere<br />

mascherate da una eccessiva lordosi lombare. In caso di affezioni dell’anca il paziente presenta la coscia<br />

flessa e addotta sul bacino. Per evitare errori di interpretazione è necessari appianare la lordosi lombare<br />

fino a che il bacino venga ad applicarsi con il sacro e le spine iliache posteriori sul piano rigido sul quale è<br />

disteso il paziente. Ciò si ottiene flettendo passivamente ed al massimo la coscia controlaterale all’anca in<br />

esame. In questa situazione si osserva la capacità del paziente di mantenere la gamba estesa sul lettino. Il<br />

sollevamento della gamba estesa dal lettino indica la presenza di una contrattura in flessione della gamba<br />

estesa.<br />

Test di Trendelemburg Si utilizza per valutare la lussazione dell’anca.<br />

Ginocchio<br />

Ispezionare le ginocchia e gli spazi poplitei sia in posizione estesa che in posizione flessa notando i principali<br />

punti di repere: tuberosità tibiali, condili tibiale mediale e laterale, epicondili mediale e laterale del femore,<br />

tubercolo adduttore del femore e rotula. Ispezionare il ginocchio steso per identificare le sue concavità<br />

naturali sulla parte anteriore, da ciascun lato e al di sopra della rotula. Osservare l’allineamento della parte<br />

inferiore delle gambe. L’angolo tra il femore e la tibia deve essere inferiore a 15°. Variazioni<br />

nell’allineamento delle gambe sono rappresentate dal ginocchio valgo e dal ginocchio varo. Una eccessiva<br />

iperestesione del ginocchio quando quest’articolazione è sottoposta a carico può essere indicativa di<br />

debolezza del quadricipite.<br />

Palpare lo spazio popliteo, notando la presenza di tumefazioni o dolorabilità.<br />

Palpare lo spazio articolare tibiofemorale, identificando la rotula, la tasca sovrarotulea ed il cuscinetto<br />

adiposo infrarotuleo.<br />

L’articolazione deve essere liscia e compatta, senza aree dolenti o di consistenza paludosa, noduli o crepitii.<br />

67


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Esaminare la motilità del ginocchio chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti:<br />

‐ Piegare entrambe le ginocchia. Normalmente l’angolo di flessione è di 130°.<br />

‐ Iperestendere la gamba. Normalmente l’estensione è completa e l’angolo di iperestensione è di<br />

15°.<br />

La forza dei muscoli del ginocchio può essere valutata facendo mantenere al paziente il ginocchio flesso o<br />

esteso mentre si applica una forza contraria.<br />

Per valutare la presenza di un eccesso di liquido o di un versamento di applica la tecnica del ballottamento.<br />

Occorrono tuttavia quantità relativamente abbondanti di liquido perché siano svelate da questa manovra.<br />

Si esegue comprimendo con la mano sinistra la zona soprarotulea, mentre la mano destra cerca di<br />

provocare il tipo ballottamento della rotula contro il femore nella direzione antero‐posteriore servendosi<br />

del dito indice.<br />

Piedi e caviglie<br />

Ispezionare i piedi e le caviglie mentre le articolazioni sono sottocarico (stare in posizione eretta e<br />

camminare) e non (posizione seduta). I punti di repere della caviglia sono rappresentati dal malleolo<br />

mediale, dal malleolo laterale, dal calcagno sporgente e dal tendine di Achille. Normalmente le sporgenza<br />

malleolari sono lisce e arrotondate, mentre i calcagni e le articolazioni metatarse‐falangee sono sporgenti.<br />

La presenza di calli e duroni indica la presenza di una pressione o di un processo irritativo costanti.<br />

Osservare il profilo del piede e la sua posizione, le dimensioni ed il numero delle dita. Il piede varo ed il<br />

piede valgo rappresentano variazioni frequenti dell’allineamento normale. Esiste di norma, sotto carico,<br />

una lievissima angolazione all’esterno dell’asse longitudinale della gamba e l’asse longitudinale del retro<br />

piede (valgismo fisiologico del piede). Il peso deve essere scaricato sulla linea mediana del piede, su una<br />

linea immaginaria tracciata dalla parte mediale del calcagno fino allo spazio interdigitale tra il II° ed il III°<br />

dito.<br />

Le deviazioni dell’allineamento dell’avampiede (metatarso varo o valgo), la cui pronazione del calcagno, il<br />

dolore ed i traumi spesso causano lo spostamento del punto in cui viene scaricato il peso.<br />

Nel piano sagittale esiste sotto carico, un angolo di 90° aperto anteriormente tra l’asse longitudinale della<br />

gamba e quello longitudinale del piede. L’eventuale aumento di questo angolo (piede equino) o la<br />

diminuzione (piede talo) è di natura patologica.<br />

Nel piano orizzontale l’asse longitudinale del retro piede e quello dell’avampiede si trovano su un’unica<br />

linea. Deve quindi considerarsi patologica sia un’angolazione aperta all’esterno (avampiede abdotto) sia<br />

un’angolazione aperta all’interno (avampiede addotto).<br />

Un atteggiamento coatto in rotazione esterno (piede pronato) o in rotazione interna (piede supinato) ha<br />

pure significato patologico.<br />

La regione plantare presenta medialmente una lieve concavità o volta plantare longitudinale mediale. La<br />

sua diminuzione (piattismo) o accentuazione (cavismo) hanno pure significato patologico.<br />

Le dita del piede devono essere dritte, piatte ed allineate tra di loro. Possono essere osservati numerosi tipi<br />

di deviazione:<br />

‐ Dita a martello Iperestensione dell’articolazione metatarso‐falangea con flessione<br />

dell’articolazione prossimale del dito.<br />

‐ Dito ad artiglio Iperestensione dell’articolazione metatarso‐falangea con flessione delle<br />

articolazioni prossimale e distale dell’alluce.<br />

‐ Alluce valgo Si intende una deviazione laterale dell’alluce che può causare una sovrapposizione<br />

con il secondo dito. Frequentemente di determina borsite fortemente dolente nel punto di<br />

pressione.<br />

Aumento del termotatto, arrossamento, tumefazione e dolorabilità dell’articolazione metatarso‐falangea<br />

dell’alluce devono far sospettare una gotta. Occasionalmente può essere presente un tofo.<br />

Palpare il tendine di Achille e la superficie anteriore della caviglia. Utilizzando il pollice e le dita di entrambe<br />

le mani comprimere l’avampiede, palpando ciascuna articolazione metatarso‐falangea.<br />

La motilità del piede e della caviglia può essere valutata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti<br />

movimenti:<br />

‐ Puntare il piede verso il soffitto. Angolo normale di dorsi flessione pari a 20°.<br />

68


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Puntare il piede verso il pavimento. Angolo di flessione plantare normale pari a 45°.<br />

‐ Piegare il piede a livello della caviglia, girare la pianta verso il piede controlaterale e quindi in<br />

direzione opposta. Normalmente l’angolo di eversione è pari a 30° mentre l’angolo di inversione è<br />

pari a 20°.<br />

‐ Ruotare la caviglia, girare il piede verso quello controlaterale e quindi in direzione opposta, mentre<br />

l’esaminatore tiene ferma la gamba. Normalmente l’angolo di abduzione è di 10°, mentre quello di<br />

adduzione è di 20°.<br />

‐ Piegare ed estendere le dita dei piedi. Normalmente sono possibili entrambi i movimenti,<br />

particolarmente l’alluce.<br />

Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione dorsale e plantare mentre viene applicata una<br />

forza contraria per valutare la forza dei muscoli della caviglia. Anche l’abduzione e l’adduzione della<br />

caviglia e la flessione e l’estensione dell’alluce possono essere utilizzati per valutare la forza muscolare.<br />

BOTTOSSO STEFANO<br />

69


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

<strong>INTRODUZIONE</strong> <strong>ALLA</strong> <strong>SEMEIOTICA</strong><br />

CHIRURGICA<br />

Semeiotica Deriva dal greco ed è l’arte del rilevamento dei segni e sintomi e del collegamento di questi<br />

con le strutture anatomiche.<br />

Con segno si intende un dato oggettivo rilevato dall’esaminatore.<br />

Nel processo diagnostico abbiamo tre fasi:<br />

‐ Fase analitica Fase semeiologica<br />

‐ Fase della messa in teoria dei dati raccolti<br />

‐ Fase diagnostica (sintesi) Si effettua la diagnosi differenziale.<br />

La finalità dell’esame obiettivo è indicare quali siano gli esami complementari più appropriati per<br />

confermare una diagnosi (od una ipotesi diagnostica) evitando così procedure sistematiche inutili che fanno<br />

perdere tempo, denaro e talora non sono prive di rischio per il paziente.<br />

Si può considerare la semeiotica come l’anello di congiunzione tra la patologia e la clinica.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

Può essere diretto (o fisico o semplice) o può essere effettuato con mezzi speciali.<br />

L’esame diretto si effettua con 4 su 5 dei sensi (tutti tranne il gusto) e con pochi elementari strumenti.<br />

Tempi:<br />

• Ispezione<br />

• Palpazione<br />

• Percussione<br />

• Auscultazione<br />

• Odorazione<br />

Norme:<br />

o Esaminare la parte senza indumenti<br />

o Comprendere nell’esame anche le regioni circostanti<br />

o Osservare il paziente in una posizione ben definita<br />

o Disporre di illuminazione sufficiente e, se possibile, naturale<br />

o Rilevare non solo la presenza ma anche l’assenza di dati patologici.<br />

L’ispezione rileva:<br />

‐ Alterazioni morfologiche<br />

‐ Alterazioni funzionali<br />

‐ Caratteristiche delle regioni vicine e i tessuti circostanti alla sede della lesione.<br />

La palpazione può essere:<br />

‐ Manuale Con i polpastrelli di tutte le dita (o almeno 4) oppure l’intera superficie palmare della<br />

mano e delle dita<br />

‐ Digitale Con i polpastrelli di 1 o 2 dita della stessa mano<br />

‐ Bimanuale Con l’intera superficie palmare di entrambe le mani o dei polpastrelli poste una<br />

accanto all’altra<br />

‐ Bidigitale Con 1 o 2 polpastrelli e gli omologhi dell’altra mano<br />

‐ A mani sovrapposte Si usa nella palpazione profonda o in caso di pareti molto spesse. La mano<br />

sovrapposta esercita una pressione mentre quella posta a contatto con la parete si dedica alla<br />

palpazione<br />

‐ A mani contrapposte o combinata Con le due mani applicate a comprendere fra di esse un tratto<br />

di tessuto o di una formazione corporea (è tipica quella del rene)<br />

‐ Obliqua con la serie di 6 dita È utile per lo studio delle formazioni a margine rettilineo esterno. Le<br />

due mani poste obliquamente uniscono le loro ultime tre dita, così da formarne sei.<br />

La palpazione può essere:<br />

o Superficiale Apprezza le caratteristiche delle formazioni superficiali<br />

1


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Profonda Apprezza masse o visceri profondi. Deve iniziare con la semplice applicazione delle<br />

mani (a piatto) e può successivamente scorrere su piani superficiali e la pressione può essere<br />

gradualmente aumentata.<br />

Le esplorazioni delle cavità si effettuano introducendo uno o due dita in una cavità naturale o neoformata<br />

(grossa soluzione di continuità). Le esplorazioni della cavità naturali sono:<br />

‐ Orale<br />

‐ Faringea<br />

‐ Rettale<br />

‐ Vaginale.<br />

2


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELLE TUMEFAZIONI<br />

La storia clinica di un grandissimo numero di malattie si associa alla presenza di 1 o più tumefazioni. La<br />

storia clinica di larga maggioranza delle malattie chirurgiche si associa alla presenza di 1 o più tumefazioni.<br />

Il rilievo accurato dei dati anamnestici e un esame obiettivo “intelligente” generale e della tumefazione<br />

consente spesso di fare una diagnosi precisa della malattia che ne ha determinato la presenza.<br />

Definizione: qualsiasi rigonfiamento anormale di 1 o più parti del corpo. Deriva dal latino “tumor” che<br />

significa gonfiore. Oggi con il termine tumore si intendo una neoplasia ma sarebbe più giusto associarlo alla<br />

tumefazione.<br />

Metodica:<br />

Ispezione:<br />

1. Sede Deve essere precisa. In genere si fa riferimento a punti anatomicamente definiti<br />

(sporgenze ossee, rilievi muscolari o tendinei) o a linee tracciate da punti di repere fissi.<br />

Tranne per le tumefazioni mediane, è indispensabile confrontare la sede controlaterale.<br />

2. Forma e volume Per la forma si fa riferimento a forme geometriche. Per il volume:<br />

Si fa riferimento a oggetti noti per lo più dal regno vegetale<br />

Si fa riferimento alla testa del feto<br />

Si fa riferimento ad una formazione anatomica dell’esaminato<br />

Va comunque incoraggiato, per la maggiore precisione, il riferimento a misure<br />

metriche.<br />

3. Limiti o margini Possono essere:<br />

Netti Tumefazione circoscritta:<br />

• Sessile Se la base d’impianto è rappresentata dal piano stesso della<br />

tumefazione<br />

• Peduncolare Se la base d’impianto ha una superficie inferiore alla<br />

tumefazione.<br />

Indistinti Tumefazione diffusa.<br />

4. Alterazione del normale aspetto del rivestimento cutaneo o mucosa sovrastante Bisogna<br />

descrivere:<br />

Colore cute sovrastante (varie tonalità di rosso)<br />

Presenza di eventuali reticoli vascolari<br />

Eventuale distensione (pelle lucida)<br />

Alterato orientamento delle normali pliche cutanee, con comparsa di multipli<br />

affossamenti circoscritti, per l’esistenza di anormali tralci che uniscono la<br />

tumefazione ai tegumenti (buccia d’arancia).<br />

5. Qualità superficiale Può essere:<br />

Uniforme<br />

Ineguale<br />

Liscia<br />

Lobata<br />

Nodulare<br />

Granulosa<br />

Ci possono essere alterazioni del colorito normale e lesioni di continuo.<br />

6. Movimenti:<br />

Spontanei:<br />

• Da pulsazione:<br />

o Vera Movimento in tutti i sensi su tutta la superficie della<br />

tumefazione<br />

o Falsa o trasmessa Movimento in un solo senso.<br />

3


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Peristaltici<br />

Legati a movimenti fisiologici o manovre speciali:<br />

• Deglutizione (per esempio tumefazioni tiroidee)<br />

• Respirazione (per esempio tumefazioni epatiche)<br />

• Cambio di posizione (per esempio varici, varicocele, ernie, idrocele<br />

comunicante)<br />

• Contrazione muscolare<br />

• Aumento della pressione endocavitaria (manovra di Valsalva, compressione<br />

vascolare)<br />

7. Rapporti con regioni vicine e tessuti circostanti Va fatta sistematicamente iniziando dai<br />

tessuti circostanti sino alle regioni vicine ed anche a quelle lontane che hanno rapporti<br />

anatomo‐funzionali con la sede della tumefazione. Vanno rilevate le alterazioni di:<br />

Colorito<br />

Forma<br />

Volume<br />

Palpazione La precisione della palpazione è in funzione di:<br />

o Profondità della tumefazione<br />

o Spessore dei tegumenti sovrastanti<br />

o Accuratezza tecnica.<br />

Deve rilevare:<br />

1. Termotatto Si eseguiva appoggiando la superficie palmare della mano o dorsale delle<br />

dita. Si rileva l’aumento della temperatura locale per:<br />

Flogosi acuta e subacuta<br />

Neoplasie<br />

Raro nelle flogosi croniche<br />

Assente nelle tumefazioni non flogistiche<br />

2. Sede<br />

3. Forma e volume<br />

4. Limiti o margini<br />

5. Mobilità<br />

6. Superficie<br />

7. Scorrevolezza Una ridotta scorrevolezza dei piani cutanei è indice di aderenza ai tessuti<br />

profondi. Può essere:<br />

Circoscritta Lesioni traumatiche e neoplasie<br />

Estesa Tumefazioni infiammatorie, infiltrazioni neoplastiche massive.<br />

8. Sollevabilità della pelle in pliche La formazione di pliche è funzione dell’elasticità dei<br />

tegumenti e del trofismo del piano sottocutaneo. Possono essere:<br />

Piccole<br />

Grosse<br />

Condizioni patologiche che alterano la sollevabilità sono:<br />

Aderenze estese, parziali o filiformi (cute a buccia d’arancia nella neoplasia della<br />

mammella).<br />

Infiltrazioni di tessuto adiposo (flogosi, edema)<br />

9. Consistenza Può essere:<br />

Ossea<br />

Duro‐lignea<br />

Fibrosa<br />

Duro‐elastica<br />

Parenchimatosa<br />

Molle‐elastica<br />

Molle‐pastosa<br />

Flaccida<br />

4


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

10. Fluttuazione Va ricercata in caso di consistenza molle‐elastica. È indice di raccolta liquida<br />

sotto discreta tensione. È presente in tutte le direzioni (altrimenti si parla di pseudo‐<br />

fluttuazione). Si fa premendo un con dito e con l’altro si percepiscono le oscillazioni.<br />

Fiotto Fluttuazione relativa a grandi quantità di liquido raccolto in cavità di<br />

notevoli dimensioni (per es: liquido ascitico in cavità peritoneale).<br />

Ballottamento Fenomeno non assolutamente tipico delle raccolte di liquido. È<br />

tipico delle tumefazioni renali.<br />

Guazzamento Si provoca in caso di raccolta mista di aria e liquido in cavità,<br />

imprimendo con le mani brusche scosse nella tumefazione.<br />

11. Dolorabilità Bisogna descrivere:<br />

Estensione<br />

Intensità<br />

Carattere del dolore (per es: pulsante nelle flogosi suppurative).<br />

12. Spostabilità Indaga i rapporti tra tumefazione e tessuti circostanti. Va ricercata in tutte le<br />

direzioni.<br />

13. Riducibilità Il paziente deve assumere posizioni declive rispetto alla tumefazione ed<br />

essere a masse muscolari rilassate. Può essere:<br />

Vera Tipica di massa a contenuto liquido che attraverso un canale o una<br />

comunicazione rientra.<br />

Falsa La tumefazione non rientra ma cambia sede.<br />

Completa o parziale<br />

Rapida o lenta<br />

Graduale o massiva<br />

Diretta in ogni senso.<br />

La riduzione sarà bimanuale o digitale. La modalità di riduzione può essere:<br />

Spontanea<br />

Provocata Come per l’ernia<br />

Direzione:<br />

o Dal basso verso l’alto Idrocele<br />

o Dall’alto verso il basso Ernia.<br />

Lenta<br />

Massiva<br />

14. Fremiti e rumori patologici I principali sono:<br />

Fremito aneurismico<br />

Crepitio di neve (dove c’è del gas)<br />

Thrill (ormai non si usa più).<br />

15. Esame delle regioni vicine.<br />

Percussione È meno importante rispetto all’ispezione e alla palpazione.<br />

o Può aiutare a stabilire il contenuto della tumefazione<br />

o Può aiutare a stabilire i limiti della tumefazione<br />

Auscultazione Ha la stessa valenza della percussione. È d’obbligo nelle tumefazioni lungo il<br />

decorso dei grossi vasi.<br />

Esami speciali:<br />

o Esami strumentali:<br />

o Puntura esplorativa<br />

o Specillazione dei tramiti<br />

o Iniezione di liquidi colorati attraverso i tramiti<br />

o Biopsia<br />

o Transilluminazione<br />

o Esame radiografico<br />

o Esami di laboratorio Sul materiale patologico rilevato.<br />

5


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELLE SOLUZIONI DI<br />

CONTINUO<br />

Le soluzioni di continuo comprendono:<br />

• Ferite<br />

• Piaghe<br />

• Ulcere<br />

• Fistole<br />

• Ragadi<br />

FERITE<br />

Soluzioni di continuo recenti, da causa esterna, nelle quali non sono ancora ben apprezzabili i fenomeni di<br />

riparazione. In base al meccanismo di azione dell’agente vulnerante se ne distinguono 4 tipi:<br />

‐ Da punta<br />

‐ Da taglio (comprendono anche quelle chirurgiche A loro volta possono essere:<br />

Lineari Il taglio è stato perpendicolare<br />

A lembo Il taglio è stato tangenziale<br />

Con perdita di sostanza<br />

‐ Lacero‐contuse Si associa l’azione di contusione e compressione.<br />

‐ Da strappamento<br />

Esistono criteri oggettivi, anatomopatologici, per valutare le ferite in base alla profondità:<br />

Superficiali Interessano esclusivamente lo strato cutaneo e/o sottocutaneo (o la mucosa)<br />

Profonde Superano lo strato fasciale e possono interessare strutture sottostanti (muscoli, ossa,<br />

vasi, organi interni)<br />

Penetranti Creano un tramite tra l’esterno e una delle grandi cavità dell’organismo (cranica,<br />

toracica, addominale).<br />

PIAGHE<br />

Soluzioni di continuo che tendono lentamente alla guarigione<br />

ULCERE<br />

Soluzioni di continuo che non tendono a guarire<br />

FISTOLE<br />

Ulcere a canale fornite di uno o più orifizi e di tramite/i.<br />

RAGADI<br />

Ulcere fissurali (a forma di losanga).<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

ISPEZIONE<br />

• Sede Si fa riferimento a classiche regioni dell’anatomia topografica e talora a punti anatomici ben<br />

precisati.<br />

• Forma e dimensioni Si fa riferimento ad oggetti noti o, meglio, a figure geometriche indicandone<br />

in cm l’asse e il perimetro, che può essere:<br />

o Lineare<br />

o Rotondo<br />

o Ovalare<br />

o Allungato<br />

o Serpiginoso<br />

6


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Margini La soluzione può essere:<br />

o A stampo La parte inferiore (il fondo) ha le stesse dimensioni della parte superiore<br />

o A scodella I bordi esterni sono più ampi della soluzione in profondità<br />

o Eversi I margini sono estroflessi<br />

o Sottominati I margini profondi sono più estesi della parte superiore.<br />

Nelle ferite da punta, come per i tramiti fistolosi, non di parla di margini ma di orifizio, che può<br />

essere:<br />

Rotondeggiante<br />

Puntiforme<br />

Ampio<br />

A forma geometrica.<br />

In genere le dimensioni della ferita sono leggermente inferiori (a volte uguali) alle dimensioni del<br />

corpo vulnerante grazie alla retrazione elastica della cute.<br />

Nelle ferite da taglio i margini sono netti e regolari.<br />

Nelle ferite lacero‐contuse i margini sono sfrangiati, ecchimotici, circondati da cute contusa ed<br />

ecchimotica. Fanno eccezione le ferite prodotte da un’azione contusiva su un piano osseo tagliente<br />

(arcata sopraccigliare, tibia) che sono lineari come quelle da taglio, ma l’emorragia è, in genere,<br />

scarsa.<br />

Nelle piaghe i margini sono aderenti al fondo (orletto cutaneo madreperlaceo che si continua con lì<br />

epitelio della cute circostante).<br />

Nelle ulcere i margini hanno caratteri diversi a seconda dell’eziologia.<br />

• Fondo Bisogna rimuovere delicatamente il materiale sovrastante. È utile valutare il fondo per<br />

capire l’agente eziologico. Può essere<br />

o Liscio<br />

o Granuloso<br />

o Vegetante<br />

o Necrotico<br />

o Arido<br />

o Secernente.<br />

Nelle ferite da taglio a lembo, o con perdita di sostanza, è costituito da tessuti poco alterati e ben<br />

riconoscibili.<br />

Nelle ferite lacero‐contuse può presentare ecchimosi e tessuto necrotico.<br />

Nelle ulcere presenta granulazione che possono essere:<br />

Uguali<br />

Diseguali<br />

A bottone<br />

Vegetanti<br />

Sanguinanti<br />

Non sanguinanti<br />

Flaccide<br />

Dure.<br />

• Caratteristiche del materiale patologico secreto dal fondo o raccolto in esso Può essere:<br />

o Sangue<br />

o Siero<br />

o Pus caldo<br />

o Pus freddo<br />

o Pus actinomicotico<br />

o Saliva<br />

o Urina<br />

o Feci<br />

o Ecc…<br />

• Modalità di emissione del materiale patologico secreto dal fondo o raccolto in esso Può essere:<br />

7


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Spontanea<br />

o In rapporto a cambiamenti di postura<br />

o In rapporto a fenomeni fisiologici<br />

• Zone circostanti e regioni vicine Bisogna:<br />

o Osservare le alterazioni del colorito che può essere:<br />

Rosso rameico Tipico ulcere luetiche terziarie<br />

Violaceo Tipico delle ulcere da TBC<br />

Pigmentato Tipico delle ulcere varicose<br />

o Esame obiettivo delle sedi linfonodali di drenaggio.<br />

PALPAZIONE<br />

Si effettua con guanti sterili per evitare infezioni sia del paziente, che del medico. Bisogna valutare:<br />

• Termotatto<br />

• Livello dei margini rispetto ai tessuti vicini Possono essere:<br />

o Pianeggianti<br />

o Eversi<br />

o Depressi<br />

• Consistenza dei margini e del fondo<br />

• Sanguinamento provocato<br />

• Fuoriuscita provocata di secrezioni<br />

• Spostabilità sui piani sottostanti<br />

• Valutazione delle regioni vicine e delle stazioni linfoghiandolari.<br />

ESAMI SPECIALI<br />

• Specillazione e/o sondaggio di eventuali tramiti Si effettua con un bastoncino.<br />

• Iniezione di liquidi (coloranti o non) Se due soluzioni di continuità sono vicine si vede se<br />

comunicano tra loro. Si può utilizzare anche l’acqua ossigenata.<br />

• Biopsie<br />

• Esame del materiale prelevato dal fondo o dal margine Si fa l’esame:<br />

o Chimico<br />

o Microscopico<br />

o Batteriologico.<br />

ESAME OBIETTIVO DELLE FISTOLE<br />

Ispezione Valutazione dell’orifizio e delle regioni circostanti<br />

Palpazione Valutazione delle pareti costituenti il tramite, in particolare:<br />

‐ Consistenza<br />

‐ Conformazione<br />

‐ Dimensioni<br />

‐ Sanguinamento<br />

‐ Dolorabilità<br />

‐ Rapporto con tessuti e formazioni circostanti<br />

CARATTERISTICHE DI ALCUNE ULCERE<br />

Ulcera epiteliomatosa (dovuta ad una neoplasia della cute):<br />

o Margini Sollevati che si continuano con il fondo con bottoni ineguali, friabili, sanguinanti,<br />

con secrezioni più o meno abbondanti.<br />

o Fondo Spesso con detriti di necrosi. La consistenza è dura.<br />

Ulcera tubercolare:<br />

o Margini Irregolari, violacei, dentellati, sottominati, talvolta tubercolati.<br />

o Fondo Con granulazioni flaccide, bavose, cianotiche, segreganti siero torbido.<br />

o Cute circostante Cianotica, infiltrata o cicatriziale<br />

8


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Ulcera luetica (sifilitica) Erosione su fondo indurito, circondata da zone indurite:<br />

o Fondo Superficie rossa, lucente, con scarso secreto. Si approfonda.<br />

o Margini Non sollevati, con aspetto necrotico e infiammazione circostante.<br />

Ulcera luetica terziaria Progredisce dalla periferia, cicatrizza al centro con diffusione a ferro di<br />

cavallo, a rene, serpiginosa. Produce un essudato torbido.<br />

Ulcera della gamba:<br />

o Genesi Quasi sempre da varici, da grattamento, da disturbi circolatori.<br />

o Sede 1/3 inferiore della gamba nella superficie anteriore interna.<br />

o All’inizio piccole con fondo non infossato fatto da tessuto di granulazione poco secernente.<br />

Sono per lo più multiple. Crescendo confluiscono in ulcera irregolare con margini infiltrati,<br />

rigonfi, callosi.<br />

o Fondo Profondo con detriti necrotici.<br />

o Tessuto vicino Eczematoso o edematoso (può arrivare ad elefantiasi).<br />

Ulcera perforante del piede:<br />

o Sede Superficie plantare<br />

o Margini Netti con callosità che si estende nella parte vicina<br />

o Fondo Rosso o grigio‐nerastro secernente poco liquido torbido. È indolente alla<br />

pressione e si approfonda. Non si estende.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA LINFATICO<br />

Le funzioni del sistema linfatico sono:<br />

‐ Drenaggio dello spazio interstiziale<br />

‐ Presentazione dell’antigene<br />

‐ Fagocitosi e produzione di anticorpi<br />

‐ Assorbimento dei chilomicroni.<br />

Comprende:<br />

• Vasi<br />

• Linfonodi<br />

• Milza<br />

• Tonsille<br />

• Adenoide<br />

• Timo<br />

• Placche di Peyer dell’ileo terminale Possono dare adenomesenterite con sintomi simili<br />

all’appendicite.<br />

• Isole polmonari di tessuto linfoide<br />

• Cellule reticolo‐endoteliali del fegato (cellule di Kupffer).<br />

I principali vasi sono:<br />

‐ Dotto linfatico destro Drena la parte superiore destra del tronco, nella confluenza tra la vena<br />

giugulare interna e la succlavia destra.<br />

‐ Dotto toracico Drena dal resto dell’organismo, nella giunzione tra vene giugulare interna e vena<br />

succlavia di sinistra.<br />

LINFONODI<br />

Si dividono in:<br />

Superficiali Occupano il tessuto cellulare sottocutaneo<br />

Profondi Si trovano al di sotto delle fasce di rivestimento muscolare o nelle grandi cavità.<br />

Nello stesso distretto possono coesistere sia linfonodi superficiali che profondi.<br />

Per quanto riguarda l’esame obiettivo si esegue l’ispezione e la palpazione.<br />

I linfonodi normali non sono palpabili. Si parla di linfoadenopatia ogni volta che un linfonodo è palpabile.<br />

Comunque un linfonodo non palpabile può essere sede di malattia.<br />

La linfoadenopatia può essere:<br />

‐ Localizzata Causata da infezioni localizzate, neoplasie<br />

‐ Generalizzata Quando i linfonodi sono palpabili in almeno 3 zone (3 catene linfonodali diverse)<br />

Causata da linfomi, leucemia, infezioni sistemiche.<br />

La linfoadenopatia non è una patologia. In soggetti sani si possono trovare frequentemente delle piccole<br />

linfoadenopatie infracentimetriche cervicali. Se la linfoadenopatia è superiore a 1 cm, viene considerata<br />

patologica, eccetto in alcuni territori, come quello inguinale, ove una linfoadenopatia fisiologica può<br />

misurare sino a 2 cm.<br />

L’esame obiettivo dei linfonodi deve essere metodico e deve coinvolgere tutte le stazioni linfonodali:<br />

• Cervicali e della testa<br />

• Ascellari<br />

• Epitrocleari<br />

• Inguino‐crurali<br />

• Poplitee.<br />

I principi base sono:<br />

‐ Ricercare ogni linfonodo visibile e valutarlo secondo lo schema dell’esame obiettivo delle<br />

tumefazioni<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Palpare preferibilmente un lato alla volta, utilizzando, se possibile, di dita di una sola mano<br />

‐ Valutare ogni linfonodo palpabile seguendo lo schema dell’esame obiettivo delle tumefazioni<br />

‐ Comparare in successione i rilievi a carico di una stazione con i rilievi contro laterali<br />

‐ Esaminare i cervicali e ascellari a paziente seduto<br />

‐ Esaminare gli inguino‐crurali e i poplitei a paziente supino<br />

‐ Ricercare sempre “lesioni” nel territorio di drenaggio<br />

‐ Esaminare sempre tutte le stazioni linfonodali palpabili, per definire la linfoadenopatia.<br />

LINFONODI CERVICALI<br />

Nel collo individuiamo due triangoli:<br />

Anteriore Tra lo sternocleidomastoideo, il margine inferiore della mandibola e lo sterno‐ioideo<br />

(come margine mediale)<br />

Posteriore Tra il muscolo sternocleidomastoideo e il trapezio. Nella porzione inferiore passa il<br />

muscolo omoioideo.<br />

Nel collo passano le vene giugulari (anteriori, esterne ed interne) e le arterie carotidi. Tutti i vasi, tranne le<br />

giugulari anteriori, si trovano centrate a livello del muscolo sternocleidomastoideo.<br />

I linfonodi cervicali si possono dividere in 10 gruppi:<br />

• 6 gruppi Costituiscono una collana che circonda la parte superiore del collo all’unione della testa<br />

ed è detta “cerchio linfonodale pericervicale”. Sono:<br />

o Occipitali<br />

o Mastoidei o retroauricolari<br />

o Parotidei o pretrago<br />

o Sottomandibolari<br />

o Facciali<br />

o Sottomentali.<br />

• 2 gruppi Sono posti medialmente ai precedenti e sono:<br />

o Sottolinguali<br />

o Retrofaringei<br />

• 2 gruppi Sono i:<br />

o Cervicali anteriori Comprendono la catena giugulare anteriore, che si trova sotto la fasci<br />

cervicale superficiale, in rapporto con la vena giugulare anteriore. Ce ne sono poi 4‐10 più<br />

profondi, juxtaviscerali:<br />

Gruppo prelaringeo<br />

Gruppo pretiroideo<br />

Gruppo pretracheale<br />

Catene ricorrenziali<br />

o Cervicali laterali Si dividono in:<br />

Superficiali Sono 2‐4 e formano la catena giugulare esterna.<br />

Profondi Formano:<br />

• Catena giugulare interna<br />

• Catena del nervo accessorio spinale<br />

• Catena cervicale trasversa È disposta tra l’estremità inferiore della<br />

catena del nervo accessorio e la confluenza tra la vena giugulare interna e<br />

la succlavia.<br />

I linfonodi cervicali si possono quindi dividere in:<br />

‐ Gruppo orizzontale ad anello Formato dai primi sei gruppi<br />

‐ Gruppo verticale Formato da:<br />

o Catena profonda Lungo la giugulare interna<br />

o Catena superficiale Lungo la giugulare esterna.<br />

Aree di drenaggio:<br />

Sottomentali e sottomandibolari hanno come area di drenaggio la punta della lingua, la mandibola<br />

e la cute del volto<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Occipitali hanno come territorio di drenaggio il cuoio capelluto<br />

Pretrago e mastoidei hanno come territorio il volto e l’area parotidea<br />

La catena del nervo accessorio spinale ha come territorio di drenaggio il muscolo trapezio<br />

I linfonodi sopraclaveali destri hanno come territorio di drenaggio il mediastino destro<br />

I linfonodi sopraclaveali sinistri hanno come territorio di drenaggio il mediastino sinistro e il<br />

distretto sottodiaframmatico (a causa del dotto toracico)<br />

Catena verticale drena gli organi profondi del collo.<br />

Metodi di palpazione:<br />

• Area giugulo‐carotidea Il paziente deve tenere il capo leggermente piegato in avanti e verso il<br />

lato da esplorare. Il medico è posto posteriormente. Bisogna tenere le dita leggermente piegate<br />

“ad uncino”. Per non sbagliare bisogna ricordare che i linfonodi non sono mobili alla deglutizione.<br />

Diagnosi differenziale:<br />

o Glomo carotideo È però pulsante<br />

o Nodulo tiroideo ed osso tiroideo Sono però mobili alla deglutizione<br />

o Cisti branchiale Sono in genere dolorabili e in flogosi.<br />

• Catene sottomentoniere e sottomandibolari La palpazione si effettua con dita “ad uncino” sotto<br />

alla mandibola dirette verso l’alto. Il medico è sempre posto posteriormente rispetto al malato.<br />

Diagnosi differenziale:<br />

o Cisti dermoide<br />

o Cisti dotto tireoglosso<br />

• Linfonodi pretrago, mastoidei e occipitali Ci si pone anteriormente, con le dita a piatto nell’area<br />

parotidea, nella mastoide e poi nell’occipitale.<br />

Diagnosi differenziale Parotite endemica Se c’è non si riesce a palpare l’angolo della<br />

mandibola. Se è linfonodo ingrossato, l’angolo della mandibola comunque si palpa.<br />

Bisogna stare attenti anche al processo stiloideo.<br />

• Catena spinale Segue il decorso del nervo accessorio spinale. Si palpa lungo il bordo esterno del<br />

muscolo trapezio.<br />

• Linfonodi sopraclaveari Ci si pone sempre posteriormente con le dita ad uncino sopra la clavicola.<br />

Diagnosi differenziale Muscolo omoioideo Passa infatti sotto nel triangolo posteriore.<br />

• Linfonodi sopraclaveari scaleni Si palpano con un dito e sono molto mediali, vicino al collo. Il<br />

paziente deve piegare leggermente la testa verso quella parte. Se ci sono è un segno di patologia<br />

polmonare grave.<br />

Alcune caratteristiche:<br />

‐ Un linfonodo non è mai pulsante. Se pulsa la pulsazione è trasmessa.<br />

‐ Un linfonodo si muove. Se non si muove può essere un muscolo o un’arteria<br />

‐ Un linfonodo duro è segno di una neoplasia maligna<br />

‐ Un linfonodo dolente e dolorabile è segno di infiammazione.<br />

LINFONODI ASCELLARI<br />

Anche in questo caso si possono distinguere dei gruppi:<br />

• Gruppo brachiale A livello della confluenza tra la vena tracheale e ascellare<br />

• Gruppo sottoclavicolare<br />

• Gruppo sottoscapolare Lungo il nervo e la vena sottoscapolare<br />

• Gruppo centrale<br />

• Gruppo toracico Si divide in superiore e inferiore.<br />

Drenano dai seguenti territori:<br />

‐ Ghiandola mammaria e cute annessa<br />

‐ Arto superiore<br />

‐ Parete toracica laterale.<br />

Si palpano come la palpazione della mammella. Si palpa con la mano opposta, perché con la mano<br />

controlaterare si tiene il braccio del paziente staccato dal corpo facendo una contro trazione poiché di fa<br />

avvicinare il braccio al corpo al paziente in modo che contragga il muscolo pettorale. Con la mano ad uncino<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

si esplora con i polpastrelli l’apice della piramide ascellare e si scende palpando la parete mediale, anteriore<br />

e posteriore dell’ascella.<br />

Diagnosi differenziale:<br />

‐ Muscolo piccolo pettorale<br />

‐ Tessuto adiposo.<br />

LINFONODI EPITROCLEARI<br />

Si palpano con la mano omolaterale, mentre con l’altra si tiene il gomito a 90°. Si palpa con il pollice nella<br />

fossa 2‐3 cm sopra il condilo mediale, nel solco tra il muscolo bicipite e tricipite.<br />

LINFONODI INGUINALI E CRURALI<br />

Si dividono in:<br />

• Superficiali Seguono:<br />

o Vena safena interna o grande<br />

o Vena circonflessa iliaca superiore<br />

o Pudenda esterna superficiale<br />

o Epigastrica superficiale.<br />

• Profondi Seguono la vena e l’arteria femorale<br />

Si palpano attraverso il triangolo di Scarpa:<br />

‐ Lato superiore Canale inguinale<br />

‐ Lato laterale Muscolo adduttore lungo<br />

‐ Lato mediale Muscolo sartorio.<br />

È attraversato latero‐medialmente dal nervo, l’arteria e la vena femorale.<br />

I linfonodi superficiali si possono dividere anche in:<br />

Orizzontali (o superiori) Sono quelli che seguono la circonflessa iliaca superiore, la pudenda<br />

esterna superficiale e l’epigastrica superficiale. Drenano:<br />

o Cute dei genitali esterni Quelli più mediali<br />

o Parete inferiore dell’addome, cute postero‐laterale e la cute dell’ano Quelli più laterali.<br />

Verticali (o inferiori) Seguono la vena grande safena e drenano l’arto inferiore.<br />

I linfonodi profondi drenano invece dagli organi interni. Nel caso del carcinoma spinocellulare dell’ano, che<br />

è intermedio, è importante ricordare che drena nei linfonodi superficiali.<br />

La palpazione avviene con il paziente in decubito supino, con l’arto inferiore extra ruotato, mano a piatto<br />

dal triangolo di Scarpa all’arcata crurale. Ci si pone a destra del paziente per palpare quelli a sinistra.<br />

Diagnosi differenziale:<br />

‐ Tumore vascolare Pulsa e c’è un soffio all’auscultazione<br />

‐ Ernia inguinale o crurale Con un colpo di tosse o la manovra di Valsalva si accentua.<br />

LINFONODI POPLITEI<br />

Sono vicini all’arteria poplitea e allo sbocco della safena. Sono quindi profondi. Si palpano con due mani a<br />

paziente in decubito supino con ginocchio flesso a meno di 45°.<br />

DIAGNOSI DIFFERENZIALE<br />

Indipendentemente dalla sede va considerata la diagnosi differenziale con:<br />

‐ Lipoma<br />

‐ Fibroma<br />

‐ Neurinoma<br />

‐ Cisti sebacea<br />

‐ Ascesso freddo<br />

ALTRI ORGANI LINFATICI<br />

• Tonsille<br />

• Fegato<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Milza<br />

• Residuo timico Massa timica a livello della forchetta sternale.<br />

Un esame obiettivo completo deve inoltre prevedere:<br />

‐ Esplorazione rettale<br />

‐ Esame obiettivo dei genitali esterni<br />

‐ Esame obiettivo endobuccale.<br />

ANAMNESI<br />

L’anamnesi può orientare verso la diagnosi:<br />

• Età Una linfoadenopatia superficiale alta è banale nel bambino<br />

• Attività professionale e ambiente domestico Lavori manuali, giardinaggio, caccia, animali<br />

domestici (gatto soprattutto).<br />

• Fattori di rischio per HIV<br />

• Soggiorni in zone di endemia parassitaria.<br />

Segni obiettivi generalmente utili sono:<br />

‐ Astenia e dimagrimento Tipici nella neoplasia<br />

‐ Febbre e sudorazione notturna Tipici nella malattia tubercolare e negli ascessi<br />

‐ Prurito generalizzato Malattie linfatiche (neoplasie del linfatico).<br />

PRINCIPALI CAUSE DI LINFOADENOPATIE LOCALIZZATE<br />

Infezioni localizzate acute e croniche<br />

Tumori maligni metastatici<br />

Malattia di Hodgkin<br />

PRINCIPALI CAUSE DI LINFOADENOPATIE GENERALIZZATE<br />

Leucemie<br />

Linfomi<br />

Infezioni sistemiche sia batteriche che virali.<br />

LINFOADENITE ASPECIFICA ACUTA<br />

Pochi linfonodi coinvolti, dolenti, dolorabili. Uno o due possono raggiungere il volume di una noce. La<br />

consistenza è molle‐pastosa nel periodo infiltrante. Dopo la raccolta di pus presentano fluttuazione, mentre<br />

se la flogosi si estende all’esterno (flemmoni) i limiti si presentano mal definiti.<br />

Presenta inoltre flogosi del tegumento sovrastante.<br />

Linfonodi di Cloquet o di Rosenmuller È rara nel maschio. Si presenta come una tumefazione dolente a<br />

livello dell’arca di Jimbernat dove c’è il legamento inguinale. Diagnosi differenziale con l’ernia crurale<br />

strozzata.<br />

LINFOADENITE ASPECIFICA CRONICA<br />

C’è un lieve aumento di volume di 2‐3 linfonodi separati tra loro. La consistenza è duro‐fibrosa e la mobilità<br />

scarsa. C’è aderenza (anche se non costante) alla cute che non è infiltrante. I linfonodi non sono né dolenti<br />

né dolorabili.<br />

LINFOADENITE DA TBC<br />

I linfonodi sono aderenti tra loro.<br />

LINFOADENITE METASTATICA<br />

È localizzata (solo tardivamente è generalizzata). I linfonodi sono di vario volume, irregolari e bernoccoluti.<br />

La consistenza è duro‐lignea. Sono fissi o poco mobili (se fissi la neoplasia ha superato la capsula). Dolenza e<br />

dolorabilità è scarsa. L’infiltrazione cutanea è tardiva.<br />

Linfonodo di Virchow o di Troisier Si tratta di una linfoadenopatia sopraclavicolare sinistra. È associata<br />

alla diffusione extraddominale di una neoplasia addominale.<br />

Linfonodo periombelicale Indica una diffusione di un adenocarcinoma gastrico.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

MICRO‐POLI‐LINFOADENOPATIA GENERALIZZATA<br />

Soprattutto nei bambini ed indica lo sviluppo del sistema linfatico. I linfonodi sono di vario volume e la<br />

consistenza è duro‐elastica.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

INFEZIONI<br />

Insieme di eventi dovuti alla penetrazione ed alla pullulazione nell’organismo di geni patogeni.<br />

Le tre tappe possibili sono:<br />

• Infezioni locale<br />

• Manifestazione regionale<br />

• Manifestazione generale.<br />

Es: Patereccio Infezione locale del dito successivo ad una puntura, soprattutto nel polpastrello. Bisogna<br />

cercare:<br />

‐ Manifestazione locale<br />

‐ Manifestazione regionale Linfoadenopatia epitrocleare, ascellare<br />

‐ Manifestazione generale Febbre.<br />

Talvolta è la manifestazione generale che porta il paziente dal medico.<br />

MANIFESTAZIONE REGIONALE<br />

C’è una linfoadenopatia dolente o suppurativa (raramente) detta linfadenite aspecifica acuta. Può essere<br />

complicanza di un’infezione digitale, talvolta guarita e cicatrizzata e talvolta anche passata inosservata.<br />

MANIFESTAZIONE GENERALE<br />

La febbre può essere:<br />

o Setticemia Infezione generale grave caratterizzata da passaggio di germi patogeni nel sangue.<br />

o Setticopiemia Setticemia complicata da localizzazioni purulente secondari (ascessi epatici).<br />

La febbre è spesso accompagnata da brividi. Febbre e brividi sono segni di:<br />

‐ Con dolore all’ipocondrio desto e ittero forma la triade di Charcot nella calcolosi delle vie biliari<br />

‐ Pielonefrite acuta<br />

‐ Ascessi secondari o primitivi<br />

‐ Diverticolosi acuta<br />

‐ Neoplasie ascessate<br />

‐ Malaria.<br />

ASCESSO CALDO<br />

Raccolta di pus in una cavità neo formata e successiva ad un’infezione di germi “banali” che ha determinato<br />

una flogosi locale [se la cavità è preformata (colecisti, cavità pleurica) si parla di empiema].<br />

Il pus è un liquido cremoso, giallo‐verdastro, denso. Composto da:<br />

‐ PMN alterati detti globuli del pus<br />

‐ Germi “banali” Stafilococchi e Streptococchi<br />

‐ Tessuti necrotici.<br />

Esame obiettivo<br />

All’esame obiettivo, se l’ascesso è superficiale, si riscontrano i 4 segni tipici (sono i segni cardinali della<br />

flogosi acuta) che sono:<br />

• Tumor<br />

• Rubor Scompare alla pressione digitale<br />

• Calor<br />

• Dolor Dolenzia e dolorabilità.<br />

Se si trova in un’area funzionale c’è anche una functio laesa.<br />

Può inoltre apparire la fluttuazione, che indica che il pus si è raccolto a formare l’ascesso.<br />

Nell’esame obiettivo bisogna ricercare anche:<br />

Manifestazione regionale Linfoadenopatia:<br />

o Inguinale Se localizzato nell’arto inferiore<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Ascellare Se localizzato nell’arto superiore.<br />

Manifestazione generale Si nota:<br />

o Stato generale più o meno alterato Cefalea, anoressia, ecc…<br />

o Febbre con brivido<br />

o Leucocitosi neutrofila.<br />

La ricerca dell’eziologia richiede un E.O. molto accurato, anche nelle cavità.<br />

Evoluzione<br />

Se non si incide chirurgicamente, l’ascesso tende ad aprirsi alla cute (se superficiale) e dare esito al pus.<br />

L’evacuazione del pus può essere incompleta o difficile e la guarigione può tardare. Mai attendere questo<br />

drenaggio spontaneo e tardivo del pus, ma evocarlo con un’incisura chirurgica. Si segue la solita legge: “Ubi<br />

pus ibi evacua”.<br />

Patogenesi<br />

La formazione e l’evoluzione di un ascesso sono determinate dalle difese dell’organismo contro l’infezione.<br />

La membrana dell’ascesso, detta membrana piogenica, costituisce una zona di reazione difensiva del<br />

tessuto connettivo che circonda il focolaio di suppurazione e protegge quindi i tessuti vicini ed è il punto di<br />

partenza della cicatrizzazione.<br />

La tasca tende a retrarsi ed a cicatrizzarsi dopo l’incisione che evacua il contenuto. Si ha quindi<br />

un’evoluzione centripeta.<br />

Flemmone Suppurazione che non mostra alcuna tendenza spontanea alla cicatrizzazione ed ha<br />

un’evoluzione centrifuga. Bisogna fare drenaggi multipli in più punti.<br />

ASCESSO FREDDO<br />

È divenuto raro. La raccolta si è formata lentamente in assenza dei segni cardinali della flogosi. È ad<br />

eziologia frequentemente tubercolare. Le possibili cause sono:<br />

• Necrosi caseosa sottocutanea liquefatta o rammollita<br />

• Linfoadenite tubercolare rammollita<br />

• Osteite tubercolare Ascesso ossifluente<br />

• Artrite tubercolare Ascesso artrifluente.<br />

Il pus si presenta grigiastro, sieroso, con in sospensione zone di caseosi. Non comprende, in genere, dei<br />

germi piogeni all’esame diretto. Questo carattere è più che sospetto.<br />

Gli ascessi freddi non causati dalla TBC sono rari:<br />

‐ Micosi<br />

‐ Infezione melitococcica.<br />

Esame obiettivo<br />

All’esame obiettivo notiamo:<br />

‐ Tumor<br />

‐ Non c’è rubor La cute ha un colore normale<br />

‐ Non c’è calor<br />

‐ Non c’è dolor Né spontaneo né evocato.<br />

‐ La fluttuazione è molto evidente.<br />

Bisogna ricercare:<br />

Manifestazioni regionali Linfoadenite, quando presente, indolore o quasi.<br />

Manifestazioni generali:<br />

o Stato generale non alterato o, se lo è, lo è in ragione non dell’ascesso ma del processo<br />

tubercolare responsabile.<br />

o Non c’è febbre, al massimo una febbricola<br />

o Non c’è leucocitosi neutrofila.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Evoluzione<br />

In assenza di trattamento, la pelle si arrossa, si infiltra, si ulcera, da passaggio al pus. L’ulcerazione, dai<br />

contorni violacei e dai margini sottominati, non presenta alcuna tendenza alla guarigione spontanea.<br />

Questo è dovuta al fatto che la parete è costituita da tessuto infiammatorio sclerogeno che presenta lesioni<br />

tubercolari evolutive, che spiegano l’estensione progressiva dell’ascesso freddo.<br />

Di principio, non va mai inciso perché la sua parete non ha tendenza alla chiusura. Persiste la cavità che,<br />

dopo incisione o apertura spontanea, crea una fistola con l’esterno che non tende a guarigione spontanea.<br />

Se si propone il trattamento chirurgico, bisogna effettuare l’escissione di tutto l’ascesso, parete compresa.<br />

ASCESSO A BOTTONE DI CAMICIA<br />

Ascesso profondo, il più spesso freddo, che da origine ad una tumefazione superficiale solo dopo che la<br />

suppurazione ha perforato l’aponeurosi e si è fatta strada sotto i tegumenti. Le due tasche comunicano con<br />

un tramite. Non bisogna fare un solo drenaggio superficiale perché rimane del pus nella tasca profonda<br />

che, ogni tanto, torna nella porzione superficiale.<br />

Si localizza spesso nella catena linfonodale mammaria interna.<br />

LINFANGITE ACUTA<br />

Flogosi acuta dei vasi linfatici dovuta alla penetrazione nel lume vascolare di germi patogeni (strepto,<br />

stafilo, …). Si può considerare una manifestazione regionale (al limite tra localizzata e regionale). La causa<br />

più frequente è una ferita cutanea infetta. Si associa sempre a manifestazioni generali Febbre fino a 40°C,<br />

functio laesa e dolor.<br />

Due tipi:<br />

• Reticolare Colpisce i vasi linfatici più superficiali e quindi più sottili. Si presenta come un fine<br />

reticolo di linee rosse che scompaiono con la pressione. È localizzata nella superficie circostante alla<br />

ferita infetta. È accompagnata spesso da edema molle. C’è dolor, rubor, calor. Coesiste inoltre una<br />

linfadenite acuta nell’area di drenaggio.<br />

• Tronculare Colpisce i vasi linfatici più profondi e quindi più spessi. Si presenta con delle strie<br />

rosse che scompaiono alla pressione lungo i tronchi linfatici. C’è edema e sensazione palpatoria di<br />

cordoni dolorosi che collegano la lesione ai linfonodi regionali. Coesiste una linfadenite acuta e le<br />

manifestazioni generali sono severe (febbre).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELLA MILZA<br />

CENNI ANATOMICI<br />

La milza ha una forma ovoidale orientata dall’alto in basso e dall’interno all’esterno.<br />

Dimensioni:<br />

‐ Lunghezza 13cm<br />

‐ Larghezza 8cm<br />

‐ Spessore 3‐3.5cm.<br />

Presenta 2 facce:<br />

• Faccia laterale o diaframmatica Convessa<br />

• Faccia mediale suddivisibile in tre porzioni:<br />

o Anteriore o gastrica<br />

o Posteriore o renale<br />

o Inferiore o colica.<br />

Presenta 3 margini:<br />

o Mediale In cui c’è l’ilo<br />

o Anteriore<br />

o Posteriore.<br />

Occupa la parte più laterale dell’ipocondrio sinistro (loggia splenica) in posizione obliqua.<br />

Rapporti:<br />

Anteriormente al rene e surrene sinistro<br />

Posteriormente allo stomaco<br />

Infero‐lateralmente alla cupola diaframmatica sinistra<br />

Superiormente all’angolo colico sinistro.<br />

La sua posizione si modifica:<br />

‐ Con il respiro<br />

‐ Con il riempimento del colon<br />

‐ Con il riempimento dello stomaco.<br />

I mezzi di fissità sono:<br />

• Legamento gastro‐lienale Dove decorrono i vasi brevi.<br />

• Legamento pancreatico‐lienale<br />

• Legamento freno‐lienale<br />

• Legamento freno‐colico sinistro È il vero legamento sospensore della milza.<br />

Proiezione:<br />

o Margine antero‐superiore Ottavo spazio intercostale sull’ascellare media<br />

o Margine postero‐inferiore Margine superiore dell’undicesima costa<br />

o Anteriormente fino all’ascellare media<br />

o Posteriormente si spinge sino a 5cm dalla linea tra le apofisi spinose.<br />

ANOMALIE<br />

Le possibili anomalie della milza possono essere:<br />

Di numero Ci possono essere milze soprannumerarie (accessorie o aberranti). Sono abbastanza<br />

frequenti (10% della popolazione) e in genere sono uniche, di volume variabile (in media 1cm) e si<br />

percepiscono come piccoli noduli. Sono situate di preferenza nel legamento pancreatico‐lienale.<br />

Di sede La milza può essere ectopica o ptosica ma sono molto rare.<br />

Di forma Rarissime<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

La milza normalmente non è palpabile, eccetto nel primo mese di vita in cui deborda di 1‐2cm dal margine<br />

costale. Diventa palpabile se la dimensione è doppia. Se la milza è palpabile, è sempre patologica a meno di<br />

un’anomalia di sede o di compressione da parte di organi adiacenti.<br />

La milza aumenta di volume progressivamente in senso diagonale, estendendosi dal margine costale<br />

inferiore sinistro verso la linea mediana, l’ombelico e la fossa iliaca destra. Quando è ingrossata di parla di<br />

splenomegalia.<br />

Ispezione<br />

Il paziente deve essere in decubito supino. Il medico è ai piedi del paziente e poi nel lato sinistro.<br />

Solo in caso di notevole aumento di volume o di anomalia della sede, con spessore parietale toraco‐<br />

addominale favorevole, sono possibili riscontri ispettivi.<br />

La tumefazione può scendere nella fossa iliaca sinistra, nel pube e nei quadranti addominali destri e bacino<br />

e l’ipocondrio sinistro risulta prominente. La tumefazione sarà mobile con gli atti del respiro e muta con il<br />

decubito. Se il paziente è magro si possono osservare le incisure.<br />

Si possono inoltre essere i reticoli venosi superficiali causati dall’ipertensione portale.<br />

Palpazione<br />

Da destra:<br />

o Paziente supino. Con la mano a piatto. Si può fare con tecnica manuale o con le mani<br />

sovrapposte (si può fare anche con il lato ulnare). Si inizia dalla fossa iliaca destra o<br />

dall’ombelico e si sale progressivamente con le dita della mano destra in posizione obliqua<br />

verso l’ascella, sino al margine costale. A livello della linea ascellare anteriore, le ultime 4<br />

dita vengono dirette sotto l’arcata costale, verso il cavo ascellare.<br />

o Tecnica bimanuale Il palmo della mano sinistra va appoggiata a piatto sulla parete<br />

postero‐inferiore sinistra della gabbia toracica, ove esercita pressione sulle coste. La mano<br />

destra a piatto esegue invece la stessa manovra per la palpazione semplice.<br />

o Paziente in decubito laterale destro con anca e ginocchio sinistro flesso. La gravità spinge la<br />

milza in basso e a destra.<br />

Da sinistra:<br />

o Paziente supino o in decubito laterale destro con anca e ginocchio sinistro flessi e la mano<br />

sinistra sotto la testa. Il medico è posto alla testa del paziente e inserisce il palmo della<br />

mano sinistra tra la cartilagine della costa e l’estremità fluttuante dell’undicesima costa e le<br />

ultime 4 dita ad uncino al di sotto del margine costale. Viene detta manovra di<br />

uncinamento.<br />

o Tecnica bimanuale Si possono utilizzare le 4 dita di entrambe le mani.<br />

Si invita il paziente ad inspirare profondamente. Se c’è splenomegalia, la milza urta la mano e fa apprezzare<br />

il suo margine con le incisure. Se molto aumentata le dita possono essere sollevate.<br />

A metà del secondo inspirio profondo, a milza palpabile, bisogna diminuire la pressione digitale,<br />

mantenendo la mano verso l’alto per permettere alle dita di scivolare sulla superficie apprezzandone le<br />

caratteristiche.<br />

Se c’è splenomegalia bisogna valutare:<br />

1. Distanza in cm tra il margine della milza e l’arcata costale sinistra<br />

2. Forma<br />

3. Volume<br />

4. Direzione dell’asse maggiore (se la tumefazione è renale l’asse è di solito verticale)<br />

5. Consistenza<br />

6. Superficie<br />

7. Margine<br />

8. Dolorabilità<br />

9. Mobilità<br />

10. Spostabilità passiva<br />

11. Ballottamento Manovra per vedere se la tumefazione è renale<br />

12. Contatto lombare Manovra per vedere se la tumefazione è renale<br />

20


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

13. Fremito idatideo Antico<br />

14. Fluttuazione Ci possono essere delle cisti.<br />

Percussione<br />

Le finalità sono:<br />

‐ Delimitare la parte dell’organo che, situata nella gabbia toracica, non è accessibile alla palpazione<br />

‐ Definire meglio il volume dell’organo.<br />

Le aree di repere sono:<br />

• Area di Traube Corrisponde alla proiezione del timpanismo gastrico sulla parete anteriore<br />

dell’emitorace sinistro. Se c’è un aumento di volume della milza o un versamento pleurico il<br />

timpanismo scompare. Compresa tra:<br />

o Sesta cartilagine costale, superiormente<br />

o Nona cartilagine costale, inferiormente<br />

o Regione della punta del cuore, medialmente<br />

o Linea ascellare anteriore, lateralmente.<br />

• Area di Weill Piccola area al di sotto dell’area di Traube. Si trova nella parte inferiore del seno<br />

costo‐diaframmatico.<br />

La percussione può essere:<br />

Longitudinale Il medico è posto a sinistra e il paziente in decubito laterale destro con l’arto<br />

superiore destro sollevato. La percussione va fatta con media forza in alto e debole in basso, lungo<br />

le linee ascellari. L’ottusità splenica è presente tra il margine superiore della nona costa e il margine<br />

inferiore dell’undicesima costa. All’inspirio profondo, si percuote l’ultimo spazio intercostale<br />

sinistro sull’ascellare anteriore. Se il suono è ottuso vuol dire che c’è un aumento di volume della<br />

milza e si indica come segno splenico percussorio positivo.<br />

Trasversale Il medico è alla destra del paziente e il paziente è in decubito supino. Si percuote<br />

l’area di Traube con percussione leggera. Il timpanismo di riduce o scompare per:<br />

o Splenomegalia<br />

o Versamento pleurico sinistro<br />

o Cardiomegalia o versamento pericardico<br />

o Neoplasie del fondo gastrico o retrogastriche, della retro cavità degli epiploon e retro<br />

peritoneali superiori.<br />

Ascoltazione<br />

Si possono percepire:<br />

‐ Sfregamenti Tipici dell’infiammazione<br />

‐ Soffi e rumori vascolari Tipici degli aneurismi dell’arteria splenica o delle splenomegalie<br />

congestizie.<br />

DIAGNOSI DIFFERENZIALE<br />

Quando si trova una probabile tumefazione splenica bisogna effettuare la diagnosi differenziale con:<br />

Massa di origine renale<br />

Voluminoso lobo epatico sinistro<br />

Voluminosa neoplasia pancreatica, colica, surrenalica sinistra, cisti del mesentere (più raramente).<br />

Tumefazione renale Tumefazione splenica<br />

Mobile all’inspirazione profonda Mobile all’inspirazione superficiale (più mobile)<br />

Si può cingere il polo superiore Non si può mai cingere il polo superiore<br />

Il contorno è arrotondato Il contorno è irregolare (incisure)<br />

Asse verticale Asse verso la fossa iliaca destra<br />

SPLENOMEGALIA<br />

Le possibili cause di splenomegalia sono:<br />

• Ipertensione portale<br />

21


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Infezioni<br />

• Leucemia linfoide cronica<br />

• Leucemia mieloide cronica<br />

• Mielofibrosi<br />

• Anemia emolitica<br />

• Malattia di Gaucher.<br />

In certe condizioni l’aumento di volume della milza è associato ad un aumento di volume del fegato<br />

Epatospenomalia. Le cause possono essere:<br />

o Mononucleosi<br />

o Mielofibrosi<br />

o Cirrosi epatica<br />

o Linfomi, amiloidosi, sarcoidosi.<br />

È quindi associare l’esame obiettivo della milza all’esame obiettivo del fegato per cercare l’epatomegalia e<br />

alla palpazione delle stazioni linfonodali per cercare la linfoadenopatia.<br />

La splenomegalia è suddivisibile in tre gradi:<br />

‐ Leggera 1‐2cm dal margine costale<br />

‐ Voluminosa 3‐7cm dal margine costale<br />

‐ Enorme >7cm dal margine costale.<br />

Malattie diverse causano splenomegalia di diverso grado.<br />

22


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELL’APPARATO URINARIO<br />

CENNI ANATOMICI<br />

RENI<br />

I reni sono organi retro‐peritoneali. Sono situati tra D12 e L3. Il rene destro è situato 2cm più in basso del<br />

sinistro ed è più mobile per effetto del lobo del fegato.<br />

‐ Polo superiore del rene destro Disco intervertebrale tra D11 e D12<br />

‐ Polo inferiore del rene destro Corpo di L3<br />

‐ Polo superiore del rene sinistro Corpo di D11<br />

‐ Polo inferiore del rene sinistro Disco intervertebrale tra L2 e L3.<br />

La taglia normale (asse verticale) del rene è variabile, ma è proporzionale a quella delle vertebre dorso‐<br />

lombari. In particolare:<br />

• 3 vertebre e mezzo Rene normale<br />

• Minore o uguale a 3 vertebre Rene atrofico o ipotrofico<br />

• Maggiore o uguale a 4 vertebre Rene aumentato di volume.<br />

Rapporti anteriori:<br />

Rene destro:<br />

o Medialmente con il duodeno<br />

o Duodeno<br />

o Fegato<br />

o Inferiormente con l’angolo colico destro.<br />

Rene sinistro:<br />

o Antero‐superiormente con la milza<br />

o Angolo colico sinistro<br />

o Colon discendente<br />

o Medialmente con la coda del pancreas.<br />

Rapporti posteriori:<br />

Porzione superiore Gabbia toracica A sinistra arriva fino a metà.<br />

Porzione inferiore Muscoli, latero‐medialmente:<br />

o Trasverso dell’addome<br />

o Quadrato dei lombi<br />

o Grande psoas.<br />

Rapporti con i vasi:<br />

‐ Il rene di destra è più vicino alla vena cava<br />

‐ Il rene di sinistra è più vicino all’aorta.<br />

Punti di repere Il più importante è l’angolo costo‐vertebrale o renale che è formato da:<br />

• Bordo inferiore della 12 costa<br />

• Bordo laterale della colonna vertebrale.<br />

URETERI<br />

Sono canali muscolo‐membranosi di 25‐30cm, scavalcati dai vasi gonadici. Il destro è più corto di 1‐2cm. Il<br />

diametro è di 7‐8mm.<br />

Si possono dividere in quattro porzioni:<br />

• Addominale 9‐11cm Sino alla cresta iliaca<br />

• Iliaca 4‐5cm Scavalca i vasi iliaci<br />

• Pelvica 12‐14cm Sino alla parete vescicale<br />

• Vescicale 10‐15mm Attraverso la parete vescicale.<br />

Sono appoggiati posteriormente all’ileo‐psoas. Sono profondi e sottili e quindi praticamente impossibili da<br />

palpare.<br />

23


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

VESCICA<br />

Se vuota, non oltrepassa la sinfisi pubica. Corrisponde anteriormente alla parete anteriore dell’addome, da<br />

cui è separata dallo spazio di Retzius. Posteriormente è separato nell’uomo dal retto dal cavo vescico‐<br />

rettale, e nella donna dall’utero dal cavo vescico‐uterino.<br />

ANOMALIE RENALI<br />

Malformazioni congenite Colpiscono il 3‐4% dei neonati. Le principali sono:<br />

o Agenesia renale unilaterale 1/1000 neonati<br />

o Agenesia renale bilaterale 1/10000 neonati<br />

o Ipoplasia renale (peso inferiore di 50g) 1/1000 neonati<br />

o Reni accessori (sopranumerati) Meno dell’1% dei neonati<br />

o Rene a ferro di cavallo 1‐1.5% dei neonati.<br />

Anomalia di sede:<br />

o Rene ectopico (congenito) In genere si situa nella fossa iliaca o nella pelvi<br />

o Rene ptosico (acquisito) Abbassamento del rene. Può essere:<br />

Di grado lieve Il polo inferiore può essere palpato durante l’inspirazione<br />

profonda.<br />

Di grado elevato Il rene può essere agganciato tra le dita alla palpazione<br />

bimanuale.<br />

Nell’anamnesi bisogna prestare attenzione a:<br />

‐ Dolore<br />

‐ Alterazioni della diuresi e/o delle urine<br />

‐ Febbre Febbricola, febbre uro‐settica.<br />

ESAME OBIETTIVO DEL RENE<br />

Il paziente va esaminato:<br />

‐ In piedi<br />

‐ In decubito supino<br />

‐ Seduto<br />

‐ In posizione laterale<br />

‐ In casi eccezionali in posizione genu‐pettorale o di Trendelemburg.<br />

ISPEZIONE<br />

Il paziente è in decubito supino e il medico è prima di fronte e poi di lato.<br />

Il rene normale per volume e per sede non è visibile. Un grande aumento di volume comporta una<br />

sporgenza dell’ipocondrio ed uno spianamento degli ultimi spazi intercostali. In alcuni processi<br />

infiammatori della loggia renale (ascesso pararenale) a paziente seduto di apprezza un rigonfiamento della<br />

regione lombo‐renale (evidente se confrontata con la controlaterale).<br />

Nelle voluminose idronefrosi si ha una modificazione conformazione dell’addome. Se si svuota poi<br />

scompare.<br />

In caso di reni ectopici o ptosici si possono a volte vedere se il paziente è molto magro.<br />

Se si nota una tumefazione, in nessun caso è possibile attribuire al rene, con la sola ispezione, la paternità<br />

della tumefazione.<br />

PALPAZIONE<br />

Valuta:<br />

• Sede<br />

• Contorni<br />

• Forma<br />

• Volume<br />

• Consistenza<br />

24


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Eventuali punti dolorosi.<br />

Un rene normale è poco o nulla accessibile alla palpazione (al più se ne apprezza il polo inferiore). La<br />

palpazione è facilitata se il paziente è magro e brachitipo.<br />

Si effettua prima la palpazione lombo‐renale (per vedere le modificazioni della conformazione e<br />

contratture) e poi la palpazione renale.<br />

La palpazione renale si può effettuare:<br />

In decubito supino:<br />

o Tecnica bimanuale secondo Trousseau Ci si pone dal lato che si vuole palpare. Se a<br />

destra, la mano sinistra è posta nella fossa lombare per sollevare il rene, mentre la destra<br />

anteriormente per palparlo.<br />

o Tecnica secondo Guyon (del ballottamento) Si da dei colpetti con la mano inferiore e si<br />

percepiscono con la mano superiore. Se è positiva, significa che la tumefazione è renale.<br />

In posizione seduta Si fa raramente e ha lo scopo di favorire la discesa.<br />

In posizione genu‐pettorale Facilita la riposizione del rene ptosico.<br />

I due segni semiologici in caso di massa addominale di origine renale sono:<br />

‐ Contatto manuale Si fa con la manovra di Trousseau. Con l’inspirio profondo si percepisce una<br />

sensazione di pienezza dovuta alla massa renale.<br />

‐ Ballottamento Si effettua con la manovra di Guyon. Diagnosi differenziale a sinistra con la coda<br />

del pancreas e la milza, a destra con il colon.<br />

Zone dolorose:<br />

• Manovra di Giordano Percussione della regione lombare con il margine ulnare della mano.<br />

• Manovra di Lloyd Percussione dell’angolo costo‐vertebrale con indice “a stilo” (a paziente eretto<br />

o in decubito sul fianco).<br />

• Punto costo‐lombare o costo‐muscolare Angolo tra la 12 costa e la massa muscolare sacro‐<br />

lombare.<br />

• Punto costo‐vertebrale Angolo tra la 12 costa e il margine della colonna vertebrale.<br />

Tecnica consigliata per la palpazione:<br />

‐ Omolaterale<br />

‐ Mano opposta al lato esaminato posteriore, appena sotto all’arcata costale e parallela alla 12 costa,<br />

con le dita che raggiungono l’angolo costo‐vertebrale.<br />

‐ Pressione posteriore per spingere il rene anteriormente<br />

‐ Altra mano posta anteriormente parallela e laterale al muscolo retto.<br />

‐ All’inspirio profondo del paziente, esercitare una pressione in profondità con la mano anteriore,<br />

appena sotto il margine costale, per tentare di catturare il rene tra le due mani.<br />

‐ All’espirio, rilasciare lentamente la pressione anteriore per apprezzare lo scivolare del rene in<br />

posizione posteriore.<br />

ESAME OBIETTIVO DELLA VESCICA<br />

ISPEZIONE<br />

La vescica ripiena non è visibile all’ispezione. Quando è sovradistesa per ristagno sporge dall’ipogastrio,<br />

subito sopra al pube, ed assume la forma di un globo ovale, il cui polo superiore può raggiungere<br />

l’ombelico, mentre il polo inferiore è invisibile, perché disposto nel piccolo bacino.<br />

PALPAZIONE<br />

La vescica normale sfugge alla palpazione.<br />

La vescica dilatata e sovradistesa si palpa come una tumefazione sferoidale a larga base di impianto che<br />

protrude all’ipogastrio. Ha limiti netti, superficie liscia, consistenza molle‐elastica, fluttuante, non riducibile,<br />

non spostabile, immobile con gli atti del respiro.<br />

PERCUSSIONE<br />

La vescica è l’unico organo dell’apparato urinario in cui ha senso.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Il suono ottuso rilevato lungo la linea ombelico‐pubica ed ai lati di questa ha una convessità rivolta verso<br />

l’alto e segue i limiti del globo vescicale delimitato alla palpazione.<br />

ESAME OBIETTIVO DEGLI URETERI<br />

PALPAZIONE<br />

È priva di significato. Sono invece importanti i punti dolorosi. I principali sono:<br />

‐ Punto ureterale superiore Incrocio tra l’ombelicale trasversa con il margine laterale del muscolo<br />

retto (a 5cm)<br />

‐ Punto ureterale medio Sulla bispino‐iliaca, all’incrocio con la linea verticale innalzata subito a lato<br />

del tubercolo pubico.<br />

LESSICO UROLOGICO<br />

• Anuria Cessazione patologica della secrezione urinaria che comporta l’assenza dell’urina in<br />

vescica. Può essere:<br />

o Secretoria Grave insufficienza renale<br />

o Escretoria Da ostruzione di entrambe le vie urinarie superiori.<br />

• Disuria Qualsiasi difficoltà della minzione.<br />

• Diuresi Secrezioni renale espressa dalla quantità di urina prodotta.<br />

• Ematuria Emissione di sangue (GR) nelle urine. Può essere:<br />

o Microscopica<br />

o Macroscopica.<br />

Per capire la provenienza si può fare la prova dei tre bicchieri:<br />

o Se solo il primo bicchiere contiene sangue Problema a livello dell’uretra.<br />

o Se il sangue è contenuto solo nel terzo bicchiere Problema vescicale.<br />

o Se il sangue c’è sempre Problema renale.<br />

• Enuresi Emissione involontaria di urina durante il sonno.<br />

• Incontinenza urinaria Perdita involontaria di urina anche durante la veglia. Può essere:<br />

o Vera Compatibile con lo svuotamento completo della vescica<br />

o Falsa Associata a vescica sovra distesa per ritenzione.<br />

• Iscuria Difficoltà di urinare con parziale ritenzione di urina in vescica. Quando è paradossa è<br />

sinonimo di falsa incontinenza.<br />

• Nicturia Emissione volontaria di urina durante la notte in quantità maggiori che durante il giorno.<br />

• Ritenzione urinaria Incapacità di emettere in tutto o in parte l’urina raccolta in vescica . Può<br />

quindi essere:<br />

o Completa<br />

o Incompleta Sinonimo di iscuria.<br />

• Oliguria Diuresi scarsa, inferiore a 400cc/24h<br />

• Piuria Emissione di pus (GB) con le urine<br />

• Pneumaturia Emissione di gas con le urine Tipico di una fistola con il sigma (in questo caso si<br />

avrà anche fecaluria).<br />

• Poliuria Diuresi superiore a 2 litri nelle 24h.<br />

• Pollachiuria Aumento della frequenza delle minzioni.<br />

• Stranguria Minzione difficile (a gocce e dolorosa).<br />

• Tenesmo Stimola alla minzione anche quando la vescica è vuota.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO PROCTOLOGICO<br />

Proctologia Studio del retto e dell’ano.<br />

CENNI DI ANATOMIA<br />

Il retto, il canale anale e l’apparto sfinteriale rappresentano un’unità complessa la cui funzione è duplice:<br />

‐ Assicurare la defecazione<br />

‐ Mantenere la continenza.<br />

Retto<br />

Inizia a livello di S3 (retto anatomico) o a livello del promontorio sacrale (retto chirurgico). È lungo circa<br />

12cm. Presenta due curvature:<br />

• Flexura sacralis A concavità anteriore<br />

• Flexura perinealis A concavità posteriore.<br />

La faccia posteriore è extraperitoneale, mentre quella anteriore è per 2/3 intraperitoneale. Presenta tre<br />

valvole semicircolari di Houston. Quella media di destra è la riflessione peritoneale anteriore o cavo di<br />

Douglas (cavità retto‐vescicale o retto‐uterina).<br />

Il 1/3 inferiore del retto è extraperitoneale ed è detta ampolla rettale.<br />

Anteriormente è in rapporto con:<br />

‐ Base della vescica, vescichette seminali e prostata nell’uomo<br />

‐ Parete anteriore della vagina nella donna.<br />

Ano<br />

Inizia a livello del muscolo pubo‐rettale (canale anale chirurgico) o a livello della linea dentata o pettinata,<br />

formata dal margine libero delle valvole anali o semilunari di Morgagni (canale anale anatomico).<br />

È lungo medialmente 4cm (quello anatomico 3cm, quello chirurgico 4.5cm).<br />

È inclinato verso l’ombelico e forma un angolo posteriore di 90° con il retto (detto angolo ano‐rettale)<br />

grazie al muscolo pubo‐rettale.<br />

A livello delle valvole semilunari (sono da 6 a 14) sboccano le ghiandole tubulari ramificate mucipare (da 3 a<br />

10, in media 6).<br />

A livello della linea pettinata, nella sottomucosa, si trovano i tre cuscinetti anali che contengono vasi<br />

sanguigni. Sono i precursori delle emorroidi. Sono:<br />

‐ Sinistra Laterale<br />

‐ Destro Anteriore e posteriore.<br />

Sono connessi grazie al legamento di Pax. Se si rompe scendono verso il basso dando vita a patologia<br />

emorroidaria.<br />

L’ano termina a livello della linea o margine ano‐cutaneo, o margine anale o orifizio anale, punto in cui le<br />

pareti del canale anale sono a contatto, anche in posizione di riposo (effetto sfinteriale). Attorno al<br />

margine, la cute forma pliche disposte in senso radiale dette pliche anali o raggiate.<br />

La mucosa di rivestimento è malpighiana sotto la linea dentata. Al di sopra è colonnare con interposta una<br />

zona di transizione (6‐12mm).<br />

Alla linea ano‐cutanea il rivestimento diventa più spesso e presenza follicoli piliferi (marcano il margine<br />

interno dello sfintere esterno) e tutte le altre caratteristiche della cute.<br />

Sfintere<br />

Sono due:<br />

• Interno Muscolo liscio. Ispessimento terminale del muscolo liscio circolare del retto, aderisce alla<br />

mucosa a livello della linea pettinata. È lungo 2.5‐3cm e ha uno spessore di 1.5‐5mm. È<br />

responsabile della pressione anale basale che impedisce la fuoriuscita di gas (ano‐rectal ring). 1‐1.5<br />

cm sopra la linea dentata c’è il solco intramuscolare o linea bianca di Hilton.<br />

• Esterno Muscolo striato che circonda lo sfintere interno e il canale anale su tutta la loro<br />

lunghezza. Supera in basso, col bordo della parte sottocutanea, il margine inferiore dello sfintere<br />

interno. Ha un’attività continua importante per la continenza.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Muscolo elevatore dell’ano<br />

È un muscolo largo e sottile, che forma la maggior parte del pavimento pelvico. Ha la forma di imbuto ed è<br />

attraversato dal retto e dell’uretra. È formato da tre parti:<br />

‐ Muscolo ileo‐coccigeo<br />

‐ Muscolo pubo‐coccigeo<br />

‐ Muscolo pubo‐rettale È innervato dal 4° nervo sacrale. Col margine superiore dello sfintere<br />

interno delimita la formazione dell’ano‐rectal ring, anello muscolare che circonda la giunzione ano‐<br />

rettale. L’azione del muscolo è legata alla presenza dell’angolo ano‐rettale. Importante per la<br />

continenza e la defecazione.<br />

Il retto drena ai linfonodi dell’arteria mesenterica inferiore e dell’arteria iliaca. L’ano drena invece alla<br />

catena linfonodale orizzontale dei linfonodi inguinali.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

L’esame anorettale è, o dovrebbe essere, una pratica quotidiana per il medico, ma per il paziente è, in<br />

genere, una pratica inusuale. È quindi obbligatorio per il medico:<br />

‐ Spiegare al paziente in cosa esso consisterà e cosa potrà provocare<br />

‐ Ottenere il consenso all’esame<br />

‐ Eseguire l’esame dopo aver indossato guanti in lattice.<br />

È preferibile l’esame in presenza di personale medico o paramedico (rischi medico‐legali).<br />

Avviene in tre tempi:<br />

• Ispezione anale e perianale<br />

• Palpazione perianale<br />

• Esplorazione rettale.<br />

Per localizzare i reperti si utilizza:<br />

Triangoli del perineo Sono due, con la base in comune (linea tra le 2 tuberosità ischiatiche):<br />

o Anteriore o urogenitale L’apice è la sinfisi pubica<br />

o Posteriore o anale L’apice è l’apice del coccige.<br />

Sistema dell’orologio Si considera l’ano con il centro dell’orologio. Le ore 12 corrispondono<br />

quindi allo scroto o alla porzione inferiore della vagina. Le ore 6 corrispondono al coccige. Bisogna<br />

inoltre definire in centimetri la distanza del margine ano‐cutaneo. Se una soluzione di continuo è<br />

posta anteriormente probabilmente la fistola presenta un canale diretto, mentre se si trova<br />

posteriormente è probabile che la fistola abbia un canale curvilineo.<br />

Più le soluzioni sono distanti dal margine ano‐cutaneo, più complessa di solito è la patologia.<br />

Le posizioni del paziente sono:<br />

• Posizione ginecologica o litotomica I pro sono che la visione è eccellente. I contro sono che serve<br />

un tavolo speciale, il paziente deve avere una buona mobilità ed è difficile la valutazione dei<br />

muscoli del pavimento pelvico.<br />

• Posizione ginecologica ad arti appena flessi e decubito supino I pro sono che è l’unica possibile in<br />

caso di allettamento e motilità ridotta. I contro sono che l’ispezione e la palpazione è difficoltosa.<br />

• Posizione genu‐petturale I pro sono: eccellente esposizione e agevole E.O. I contro sono la<br />

scomodità e la non ben tollerabilità, sia fisica che emotiva, dal paziente.<br />

• Posizione genu‐cubitale Stessi pro e contro della posizione genu‐petturale.<br />

• Posizione laterale sinistra di Sims (quella utilizzata) La coscia sinistra è leggermente flessa,<br />

mentre la destra è ben flessa. I glutei sporgenti di 10‐15 cm dal margine del letto. I pro sono che la<br />

posizione è confortevole e l’esame è facilmente eseguibile.<br />

ISPEZIONE<br />

Per prima cosa, distendere le pliche anali. Si può in questo modo vedere l’ultima parte del canale anale.<br />

L’ispezione va estesa a tutto i perineo e si utilizzano gli stessi criteri per l’esame obiettivo delle tumefazione<br />

e delle soluzioni di continuo.<br />

Bisogna valutare la situazione dell’ano. In genere è chiuso, ma può essere aperto o beante. Può avere<br />

deformità, a buco di chiave (per esito di un intervento chirurgico).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Bisogna inoltre effettuare tre manovre:<br />

‐ Divaricazione ulteriore dei glutei per aprire la parte inferiore del canale anale.<br />

‐ Manovre di Valsalva<br />

‐ Contrazione volontaria dello sfintere esterno e dell’elevatore dell’ano.<br />

Le punture di spillo (o di ago) o un pizzico sulla cute perianale provoca la contrazione dello sfintere esterno,<br />

o riflesso anale. Esso è assente nelle patologie del pavimento pelvico.<br />

PALPAZIONE<br />

Va estesa a tutto il perineo. Si usano i criteri di valutazione dell’esame obiettivo delle tumefazioni e delle<br />

soluzioni di continuo.<br />

La palpazione è digitale e si effettua dal margine anale verso l’esterno.<br />

Si può trovare un’uscita di pus.<br />

ESPLORAZIONE RETTALE<br />

Permette di valutare, in sequenza:<br />

A) Parete rettale, organi e strutture contigue<br />

B) Contenuto intrarettale<br />

C) Cavo di Douglas<br />

D) Canale anale.<br />

La valutazione va quindi fatta in estrazione, cioè dopo aver inserito completamente il dito.<br />

Introduzione del dito:<br />

‐ Lubrificare con gel anestetico trasparente (o vasellina) il 2° dito (o il 5° in caso di bambini o di<br />

pazienti di recente operati per patologia anale).<br />

‐ Appoggiare il polpastrello sul margine anale muovendo attorno ad esso per qualche secondo<br />

(facilita il rilassamento dello sfintere anale).<br />

‐ Invitare il paziente ad eseguire la manovra di Valsalva (l’ano viene verso il dito) ed appoggiare il<br />

polpastrello a ore 6 sul margine anale.<br />

‐ Premendo con il polpastrello, fletter le prime 2 falangi, dirigendo il dito verso l’ombelico. Fine della<br />

manovra di Valsalva. Se provoca dolore, estrarre il dito subito e ritentare la manovra dopo qualche<br />

minuto. Magari cambiare il dito dal 2° al 5°. Se prova ancora dolore bisogna proporre una<br />

esplorazione sotto anestesia (EUA Evaluation Under Anesthesia).<br />

‐ Dirigere il dito, lungo 10cm, verso la curvatura sacrale, inserendolo completamente.<br />

A) Parete rettale Si valuta con il polpastrello, a dito completamente inserito, ruotando di 180° in<br />

senso orario, per palpare la parete anteriore destra, e di 180° in senso antiorario per palpare la<br />

parete sinistra. In caso di riscontri patologico vanno valutati:<br />

o Localizzazione Anteriore, posteriore, laterale, …<br />

o Distanza dei margini dalla linea ano‐cutanea<br />

o Estensione in centimetri e in frazione rispetto alla circonferenza anale<br />

o Mobilità sul piano della sottomucosa<br />

o Tutti i criteri usuali dell’E.O. delle tumefazioni delle soluzioni di continuo.<br />

Organi contigui Si valuta:<br />

o Prostata:<br />

i. Forma<br />

ii. Volume<br />

iii. Superficie<br />

iv. Consistenza<br />

v. Dolorabilità.<br />

Nel cancro la superficie si presenta irregolare, la consistenza dura e non c’è il solco<br />

mediano.<br />

o Collo dell’utero Non si utilizza l’esplorazione rettale la tecnica bimanuale Con una si<br />

effettua l’esplorazione vaginale e l’altra è posta anteriormente. Per la palpazione tramite<br />

l’esplorazione rettale bisogna stare attenti alla presenza di tamponi o di un IUD.<br />

29


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Strutture contigue Seguendo con il dito la concavità sacro‐coccigea, si valuta lo spazio retro‐<br />

rettale. Si valuta:<br />

o Tumefazioni Ossee, linfonodi, neoplastiche, infiammatorie<br />

o Motilità del coccige<br />

o Dolorabilità.<br />

B) Contenuto intrarettale Può essere:<br />

o Feci Valutare la consistenza Ci può essere un fecaloma<br />

o Corpi estranei<br />

o Altro Coaguli, muco.<br />

Si usano i criteri dell’E.O. delle tumefazioni.<br />

C) Cavo di Douglas È il cavo retto‐uterino o retto‐vescicale. Si valuta:<br />

o Dolorabilità<br />

o Presenza di masse Metastasi peritoneale da carcinoma gastrico.<br />

D) Canale anale Estraendo lentamente il dito, invitare il paziente a tossire o a contrarre per qualche<br />

secondo l’apparato sfinteriale (stringa come se dovesse impedire la defecazione). Si apprezza così<br />

l’angolo ano‐rettale, che segna l’inizio del canale anale. Va valutata l’efficacia della contrazione del<br />

muscolo pubo‐rettale (entità dell’angolazione impressa dal muscolo contratto) e dello sfintere<br />

esterno (a contrazione volontaria). Si può inoltre percepire il solco intermuscolare.<br />

A dito retratto nel canale anale, con rotazione successiva sulle pareti si valuta:<br />

o Tono sfinteriale ed elasticità dello sfintere interno<br />

o Tumefazioni e soluzioni di continuo<br />

o Solco intersfinterico.<br />

Le lesioni del canale anale vanno palpate anche tra il primo dito, posizionato subito all’esterno del<br />

margine ano cutaneo, e il secondo dito, posizionato nel canale anale.<br />

Fuoriuscita del dito Si valuta se è pulito o sporco e di che cosa:<br />

‐ Sangue<br />

‐ Pus<br />

‐ Muco<br />

‐ Feci Normali o con alterazioni della cromia.<br />

In caso di lesioni anali/perianali vanno sempre palpate bilateralmente le regioni inguino‐crurali, per<br />

valutare l’eventuale presenza di linfoadenopatia.<br />

30


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELLE VENE DEGLI ARTI<br />

INFERIORI<br />

Le vene degli arti superiori, assieme a quelle del tronco superiore e della testa e del collo, drenano nella<br />

vena cava superiore. Le vene degli arti inferiori e del tronco inferiore drenano nella vena cava inferiore.<br />

Le vene gonadiche di destra drenano direttamente nella vena cava inferiore. Un’ostruzione della cava può<br />

portare quindi ad un aumento di volume del testicolo destro.<br />

Le malattie venose compiscono molto più frequentemente gli arti inferiori rispetto a quelli superiori. Negli<br />

arti superiori la causa più comune è la flebite superficiale da corpo estraneo.<br />

Le malattie venose più frequenti sono:<br />

‐ Varici<br />

‐ Tromboflebite superficiale<br />

‐ Trombosi venosa profonda Che può portare poi ad ulcera cronica della gamba.<br />

CENNI DI ANATOMIA<br />

Vene profonde Forniscono circa il 90% del ritorno venoso degli arti inferiori e sono ben sostenute dai<br />

tessuti circostanti. Sono parallele alle arterie. Sono:<br />

‐ Vena femorale<br />

‐ Vena poplitea.<br />

Vene superficiali Sono sottocutanee e scarsamente sostenute dai tessuti circostanti. Sono:<br />

‐ Vena grande safena Parte dal malleolo interno e sbocca nella vena femorale (con l’ostio safeno‐<br />

femorale) a livello del triangolo di Scarpa.<br />

‐ Vena piccola safena Origina dal malleolo esterno e sbocca nella vena poplitea a livello del cavo<br />

popliteo.<br />

‐ Vene anastomotiche Collegano le vene superficiali.<br />

Vene comunicanti o perforanti Connettono il sistema safeno con il sistema venoso profondo (sono circa<br />

200 per ogni arto).<br />

Le vene hanno tutte valvole anti‐reflusso unidirezionali (caudo‐craniali, dalla superficie in profondità). Il<br />

ritorno venoso è favorito da:<br />

‐ Vis a tergo Compressione della pianta del piede e contrazione dei muscoli<br />

‐ Vis a fronte Aspirazione da parte del torace<br />

‐ Tono parete venosa.<br />

MANIFESTAZIONI CLINICHE<br />

Le manifestazioni cliniche sono:<br />

1. Dolore Può essere:<br />

o Con prurito e senso di gonfiore aggravati da ortostatismo prolungato Varici<br />

o Profondo con edema al di sotto dell’ostruzione venosa TVP<br />

o Nella sede del cordone venoso “rosso” Tromboflebite superficiale<br />

o Attenuato dall’innalzamento dell’arto con ulcera Ulcera varicosa (può comunque anche<br />

essere indolore).<br />

2. Edema Si ha solo nelle:<br />

o Varici<br />

o Reflusso venoso profondo<br />

o TVP.<br />

Nell’ulcera varicosa inizialmente si ha un edema molle che poi diventa duro.<br />

3. Alterazioni della cromia della cute Può essere:<br />

o Rosso Tromboflebite superficiale<br />

o Blu‐nero, violetto, rosso scuro Insufficienza venosa cronica (depositi di emosiderina,<br />

lipodermatosclerosi). Si ha nella faccia interna del terzo inferiore della gamba (sopra al<br />

31


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

malleolo interno). È rara nella faccia esterna del terzo inferiore della gamba ed avviene solo<br />

se il reflusso superficiale predomina nella piccola safena.<br />

4. Ulcera In presenza di varici che possono essere associate a lesioni del tronco venoso profondo.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

Ispezione<br />

Bisogna:<br />

• Esaminare arti inferiori a paziente in ortostatismo e poi supino<br />

• Esaminare la cute Modificazioni del colore, edema, dilatazione e tortuosità delle vene superficiali<br />

• Sollevare un arto alla volta a 15° sopra l’orizzontale e notare la velocità di svuotamento.<br />

Palpazione<br />

Si valuta:<br />

• Termotatto<br />

• Conferma dei dati dell’ispezione<br />

• Manovre funzionali<br />

Esami speciali<br />

Sono:<br />

• Doppler<br />

• Angiografia<br />

VARICI<br />

Sono dilatazioni permanenti delle vene superficiali. Possono essere:<br />

Primitive o essenziali Malattia della parete venosa (degenerazione del collagene e delle fibre<br />

muscolari lisce)<br />

Secondarie Possono essere legate a:<br />

o Obesità<br />

o Stasi legata all’ortostatismo<br />

o Gravidanza<br />

o Ostruzione di vene pelviche (profonde) Difficoltà di scarico<br />

o Traumi<br />

o Ereditarietà<br />

L’insufficienza valvolare che interessi una o le due safene e delle vene perforanti e la causa essenziale delle<br />

varici.<br />

In base al calibro si dividono in:<br />

Tronculari Superficiali, di grosso calibro, tortuose<br />

Reticolari Di piccolo calibro e tortuose<br />

Teleangectasie Di calibro ancora più piccolo e di colore rosso.<br />

Per quanto riguarda l’esame obiettivo:<br />

Ispezione Va effettuato con paziente in piedi. Si valuta:<br />

‐ Sede e calibro delle varici<br />

‐ Tube trofiche cutanee Localizzate in genere nelle zone superficiali e più declivi ove le pressioni<br />

sono più elevate e le condizioni di drenaggio non favorevoli.<br />

‐ Edema.<br />

Palpazione Si valuta:<br />

‐ Sede<br />

‐ Calibro<br />

‐ Estensione<br />

‐ Tragitto<br />

‐ Compattezza (consistenza) In genere, se non complicate, soffice.<br />

Prove funzionali Consiste nella:<br />

Valutazione delle valvole delle vene superficiali Si effettua con la prova di Schwartz Si mettono<br />

le mani una sopra e una sotto. Con la mano inferiore si danno impulsi per vedere se si trasmette in<br />

32


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

alto. Se invece emettendo gli impulsi con la mano superiore si sente con la mano inferiore, significa<br />

che le valvole sono incontinenti.<br />

Valutazione delle valvole delle vene comunicanti Si valuta con la manovra di Trendelemburg Si<br />

valuta oltre alle valvole delle vene comunicanti anche le valvole dello sbocco safeno‐femorale. Il<br />

paziente è supino, si solleva l’arto di 90°. Le tumefazioni dovrebbero svuotarsi. Con un laccio si<br />

chiude lo sbocca tra la vena safena e la femorale. Il pazienti si alza poi in piedi. Il tempo normale<br />

per il riempimento del circolo superficiale è 35 secondi. Si tiene il laccio per 20 secondi. Se le vene<br />

superficiali si riempiono rapidamente già quando la vena è compressa, vuol dire che il sangue<br />

defluisce dal sistema profondo e quindi che le valvole comunicanti sono incontinenti. Se quando<br />

tolgo il laccio si riempiono ancora di più, significa che anche l’ostio della valvola safena‐femorale è<br />

incontinente. Se entrambe le manovre sono positive si parla di testi doppiamente positivo.<br />

Si può effettuare anche con la vena piccola safena. Si può applicare il laccio a vari livelli per vedere<br />

a che livello c’è incontinenza della valvola comunicante.<br />

Valutazione del circolo venoso profondo Si valuta con la manovra di Perthes o di Delbet Il<br />

paziente è in piedi. Si mette il laccio a metà della coscia. Si fa cammina sulla punta dei piedi per un<br />

po’ il paziente (in questo modo si contraggono i muscoli del polpaccio). Se il circolo venoso è pervio,<br />

il sangue si svuota attraverso le comunicanti e le vene profonde. Se le varici rimangono significa che<br />

c’è un’incontinenza delle valvole comunicanti, se le varici aumentano significa che il circolo venoso<br />

profondo non è pervio.<br />

TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE<br />

Infiammazione, in genere asettica, delle vene superficiali con trombosi intraluminare. Colpisce il 10% dei<br />

pazienti con varici severe e sono più frequenti in gravidanza. Se è recidivante può essere associata a una<br />

neoplasia maligna.<br />

All’esame obiettivo si notano i classici segni della flogosi Rubor, tumor, calor, dolor.<br />

TROMBOSI VENOSA PROFONDA (TVP)<br />

Ostruzione da coaguli delle vene profonde (in genere agli arti inferiori). L’evoluzione anatomica avviene in<br />

due fasi:<br />

‐ Flebotrombosi Coagulo molto ostruttivo, ma mobile e flottante C’è il rischio di embolia<br />

polmonare<br />

‐ Tromboflebite Coagulo retratto e aderente alla parete venosa, sulla quale si sviluppa una<br />

reazione infiammatoria.<br />

La formazione di coaguli comincia abitualmente nel sistema venoso profondo del polpaccio.<br />

Anamnesi Bisogna tener presenza a:<br />

‐ Allettamento per lungo tempo (una volta per i traumi ortopedici si utilizzava la posizione di Foulier<br />

che favoriva la formazione di coaguli).<br />

‐ Traumi agli arti inferiori<br />

‐ Gravidanza.<br />

Si manifesta con dolore e edema<br />

Ispezione Si può notare:<br />

• Edema moderato<br />

• Circolo collaterale<br />

• Cianosi<br />

Palpazione Si nota:<br />

• Dolorabilità sulla linea mediana, lungo il tragitto delle vene profonde colpite<br />

• Dorsiflessione del piede limitata dal dolore al polpaccio (segno di Homans)<br />

• Diminuzione del ballottamento del polpaccio<br />

• Assenza di dolorabilità del ginocchio e della coscia.<br />

Non vanno mai eseguite prove funzionali perché c’è il grave rischio di provocare una tromboembolia<br />

polmonare se si è nella fase iniziale.<br />

33


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA<br />

Si presenta con:<br />

‐ Edema duro<br />

‐ Eczema varicoso<br />

‐ Lipodermatosclerosi Circonda l’ulcera<br />

‐ Ulcera Può essere però anche un segno di patologia arteriosa.<br />

BOTTOSSO STEFANO<br />

34


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ESAME OBIETTIVO DELL’ADDOME<br />

<strong>INTRODUZIONE</strong><br />

Nell’esame obiettivo dell’addome viene valutato direttamente l’addome per cogliere tutte le<br />

manifestazioni morbose percettibili. L’esame deve essere eseguito secondo modalità ormai “consacrate”<br />

nella pratica e standardizzate evitando di invertire i tempi.<br />

L’esame può e deve mettere in evidenza i segni obiettivi, cioè rilevabili direttamente dal medico e segni<br />

soggettivi, cioè rilevabili soltanto dal malato. Fra questi ultimi, particolarmente importante è la<br />

“dolorabilità”, cioè il dolore provocato dalla manovra.<br />

Le fasi sono:<br />

‐ Ispezione Si prendere in considerazione tutto ciò e solo ciò, che può essere rilevato con la vista.<br />

L’esame obiettivo inizia quindi quando il paziente entra nel nostro campo visivo (a volte la postura,<br />

l’andatura, la mimica facciale possono essere preziose per una diagnosi).<br />

‐ Palpazione Ci da delle informazioni su una zona limitata. Comprende informazioni che vengono<br />

fornite con il tatto e il senso di profondità legato a riflessi muscolari e articolari. Può stabilire la<br />

temperatura corporea, la forma, i caratteri di superficie, la consistenza, i movimenti attivi e passivi<br />

e la pulsatilità. Sfrutta principalmente la sensibilità dei polpastrelli. Il paziente deve assumere la<br />

posizione opportuna e bisogna evitare reazioni legate a paura, dolore, ecc… I muscoli retti devono<br />

essere rilassati. Si può quindi far piegare le gambe al paziente. Non bisogna mai utilizzare le mani<br />

fredde e bisogna eseguire movimenti lenti e non bruschi e violenti. Inoltre non bisogna palpare<br />

subito la sede del dolore ma la parte opposta. Bisogna evitare ogni danno al malato e quindi ridurre<br />

al minimo ogni manovra dolorosa e fastidiosa. La palpazione può essere:<br />

o Superficiale Si studia la parete<br />

o Profonda Si studia quello che c’è sotto.<br />

Ci può effettuare:<br />

o Con una sola mano:<br />

o Con due mani<br />

o Con la mano in toto<br />

o Con un singolo dito.<br />

‐ Percussione Si mettono in vibrazione diverse strutture. Ogni organo o formazione anatomica<br />

produce, se messo in vibrazione, un rumore abbastanza caratteristico, legato alla maggiore o<br />

minore densità del sistema vibrante. Si può ottenere:<br />

o Suono ottuso, sordo, di coscia La struttura è piena, senza aria<br />

o Timpanico La struttura è tesa e con aria.<br />

La percussione può essere:<br />

1. Diretta<br />

2. Indiretta Si usa un dito come plessimetro.<br />

‐ Ascoltazione Si percepiscono i rumori prodotti all’interno del nostro organismo. Anch’essa può<br />

essere diretta o indiretta. Si cerca la scomparsa o le modificazioni di rumori fisiologici, l’esistenza e i<br />

caratteri di rumori aggiuntivi.<br />

ADDOME<br />

Limiti:<br />

• Superiore Linea che parte dall’apofisi spinosa della 12° vertebra toracica, margine inferiore della<br />

12° costa, apofisi ensiforme (linea toraco‐addominale).<br />

• Inferiore Linea passante al si sopra della sinfisi pubica lungo le arcate inguinali e l’osso iliaco sino<br />

alla quinta lombare.<br />

Si individuano tre regioni:<br />

Anteriore:<br />

o Superiormente delimitata dalla linea toraco‐addominale.<br />

1


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Inferiormente delimitata dalla linea che unisce le spine iliache anteriori‐superiori seguendo<br />

l’arcata crurale e il margine superiore della sinfisi pubica.<br />

o Lateralmente delimitata dalla linea spino‐costale, linea verticale che passa per la spina<br />

iliaca anteriore‐superiore.<br />

Laterale Comprese fra le due linee spino‐costali e le linee ascellari posteriori prolungate verso il<br />

basso.<br />

Posteriore:<br />

o Superiormente delimitata dal prolungamento della linea toraco‐addominale.<br />

o Inferiormente delimitata dalla linea che segue le creste iliache e passa sopra l’apofisi<br />

spinosa della quinta vertebra lombare.<br />

o Lateralmente delimitata dal prolungamento in basso della linea ascellare posteriore.<br />

Linee verticali:<br />

o Xifo‐pubica Dall’apofisi ensiforme raggiunge la sinfisi pubica, passando per l’ombelico.<br />

o Pararettale Passa lateralmente al muscolo retto dell’addome.<br />

o Emiclaveare Passa a metà della clavicola e nell’uomo corrisponde alla mamillare. Passa 1‐2 cm<br />

più lateralmente alla pararettale.<br />

o Ascellare anteriore<br />

o Ascellare media<br />

o Ascellare posteriore.<br />

Linee orizzontali:<br />

o Sottocostale Segue il margine costale<br />

o Ombelicale trasversa Passa attraverso l’ombelico<br />

o Interspinoiliaca anteriore‐superiore Unisce le spine iliache superiori‐anteriori<br />

o Interspinoiliaca posteriore‐superiore Unisce le spine iliache posteriori‐anteriori<br />

o Bicresto iliaca Unisce le creste iliache.<br />

Queste linee permettono la divisione in quattro quadranti (si usa la xifo‐pubica e l’ombelicale trasversa):<br />

Superiore destro<br />

Superiore sinistro<br />

Inferiore destro<br />

Inferiore sinistro.<br />

Queste linee permettono la divisione in nove regioni:<br />

Ipocondrio destro/sinistro Lateralmente all’emiclaveare e superiormente alla sottocostale.<br />

Fianco destro/sinistro Lateralmente all’emiclaveare, superiormente alla interspinoiliaca<br />

anteriore‐superiore e inferiormente alla sottocostale.<br />

Fossa iliaca destra/sinistra Lateralmente all’emiclaveare e inferiormente alla interspinoiliaca<br />

anteriore‐superiore.<br />

Epigastrio Tra le due emiclaveari e superiormente alla sottocostale.<br />

Mesogastrio Tra le due emiclaveari, superiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore e<br />

inferiormente alla sottocostale.<br />

Ipogastrio Tra le due emiclaveari e inferiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore.<br />

L’addome laterale di può dividere in regioni:<br />

‐ Anteriore e posteriore Dal prolungamento dell’ascellare media<br />

‐ Superiore e inferiore Dal prolungamento dell’ombelicale trasversa.<br />

L’addome posteriore si può dividere in regione lombare:<br />

‐ Destra e sinistra Dalla linea vertebrale<br />

‐ Interna ed esterna Dalla linea angolo‐scapolare.<br />

ISPEZIONE<br />

Si valuta:<br />

• Forma e volume Bisogna tener conto di varianti fisiologiche legate al sesso e all’età Le donne<br />

hanno l’addome più allargato in basso, gli uomini più allargato in alto. I soggetti longilinei ce lo<br />

2


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

hanno più appiattito, mentre i brachitipi più voluminoso e sporgente. Un addome fisiologico si dice<br />

“addome piano”. Le varianti patologiche possono essere:<br />

o Globali:<br />

Addome a grembiule<br />

Addome pendulo<br />

Addome incavato a barca<br />

Addome globoso<br />

Addome svasato sui fianchi È simile al globoso ma tende lateralmente.<br />

o Parziali Cisti, tumori, raccolte saccate.<br />

• Movimenti e pulsazioni I movimenti sono:<br />

o Respiratori Possono essere:<br />

Toracici<br />

Addominali Manca con paralisi diaframmatica uni‐ o bi‐laterale o in caso di<br />

irritazione peritoneale.<br />

o Pulsazioni epi‐/meso‐gastriche Se si vedono vuol dire che c’è un vaso che pulsa. Possono<br />

essere fisiologici o patologici (nell’aneurisma dell’aorta addominale o segno di Harzer,<br />

pulsazione in sede epigastrica da ipertrofia ventricolare destra).<br />

o Peristaltici Si vede solo in pazienti molto magri e con la parete atrofica. È patologica in<br />

pazienti subocclusi.<br />

Ci può poi essere immobilità diffusa o circoscritta, probabilmente per processo infiammatorio.<br />

• Cicatrice ombelicale e cicatrici chirurgiche Bisogna descrivere:<br />

o Sede<br />

o Forma (lineare, nastriforme) La cicatrice ombelicale può essere:<br />

Normo‐introflessa<br />

Appianata<br />

Sporgente Può essere per:<br />

• Ernia ombelicale<br />

• Neoplasia<br />

• Ascite.<br />

o Colore (bianca, rosea, rossa)<br />

o Consistenza (ben consolidata, sfiancata).<br />

Ci sono cicatrici classiche che devono essere chiamate con il proprio nome.<br />

• Tumefazioni cutanee Bisogna descrivere:<br />

o Sede<br />

o Forma<br />

o Dimensioni<br />

o Motilità<br />

o Espandibilità, riducibilità<br />

o Colorito della cute.<br />

• Cute ed annessi Bisogna osservare:<br />

o Lesioni cutanee Eritemi, abrasioni, ulcerazioni, necrosi, flittene, ecc…<br />

o Pigmentazione Ittero<br />

o Strie cutanee da smagliature.<br />

• Circoli venosi superficiali Se l’aspetto è normale sono a rete con lo stesso volume. Ci sono due<br />

tipi di circoli venosi superficiali patologici:<br />

o Di tipo cava‐cava Segno di Gasbarrini Le vene hanno un decorso verticale lateralmente<br />

all’addome. Le vene sono dilatate dall’ipertensione venosa e l’andamento segue il flusso<br />

del sangue. Sono dovute ad un ostacolo a livello delle vene cave. Il sangue per arrivare al<br />

cuore trova altre vie.<br />

Se l’ostacolo è a livello della cava superiore, il sangue dalla succlavia, va nella<br />

toracica, nell’epigastrica e quindi nella cava inferiore. Il flusso è quindi verso il<br />

basso.<br />

3


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Se l’ostacolo è a livello della cava inferiore, il sangue dalla femorale, raggiunge<br />

l’epigastrica, la toracica e quindi la cava superiore. Il flusso è quindi verso l’alto.<br />

Per vedere la direzione del flusso si occlude una porzione di vene con due dita (in modo che<br />

non ci sia sangue in mezzo). Si solleva poi un dito alla volta per vedere se si riempie e quindi<br />

in che direzione va il flusso.<br />

o Di tipo porta‐cava Dall’ombelico sgorgano numerose vene che vanno in tutte le direzioni.<br />

Il flusso è centrifugo ed è detto a “caput medusae”. Se c’è ipertensione della vena porta<br />

(per insufficienza cardiaca destra o cirrosi) le vene ombelicali possono avere uno shunt con<br />

la vena porta. Normalmente le vene ombelicali sono obliterate. Si possono quindi aprire o<br />

le vene più piccole vicine si possono dilatare.<br />

Non è l’unica via di deflusso dalla porta alla cava, ci sono 4 shunt:<br />

• Vene ombelicali<br />

• Vene esofagee superiori<br />

• Vene emorroidarie<br />

• Sistema del Retzius.<br />

PALPAZIONE<br />

Gli scopi sono:<br />

‐ Apprezzare e valutare aree trattabili o meno della parete addominale<br />

‐ Esaminare per quanto possibile i vari organi in relazione alla loro posizione, forma, dimensioni,<br />

consistenza, mobilità e tensione.<br />

‐ Apprezzare ed individuare masse abnormi.<br />

Posizione del paziente:<br />

Decubito supino, cosce flesse sul bacino per stendere i muscoli retti.<br />

Per le ernie inguinali può essere esaminato in piedi.<br />

Per l’esame delle regioni perineali e anorettali deve assumere la posizione di Sims (posto sul fianco<br />

sinistro con le ginocchia al petto). Una volta si utilizzava il decubito geno‐pettorale.<br />

Per l’esplorazione vaginale c’è la posizione ginecologica.<br />

Posizione del chirurgo:<br />

A destra del paziente<br />

A sinistra per la palpazione del rene e della milza.<br />

La palpazione può essere fatta:<br />

Con una sola mano:<br />

o Mano a piatto<br />

o Parte anteriore della mano<br />

o Palpazione a stilo<br />

o Palpazione a colpi.<br />

Con due mani:<br />

o Contrapposte<br />

o Sovrapposte<br />

o Affiancate.<br />

Bisogna palpare tutto l’addome. Se c’è un dolore si inizia dalla parte opposta rispetto al dolore. Se non c’è<br />

dolore si inizia dalla fossa iliaca sinistra e si fa un giro antiorario prima superficiale e poi profondo.<br />

PALPAZIONE SUPERFICIALE<br />

Studia la parete, la trattabilità e la presenza di eventuali tumefazioni o lacune. Si esegue con la mano aperta<br />

a piatto. Solo dopo, per valutare eventuali dettagli, di può utilizzare la parte anteriore della mano.<br />

Valuta:<br />

‐ Lo stato di tensione e trattabilità della parete La parete può quindi essere:<br />

1. Trattabile<br />

2. Tensione Non c’è nessun disturbo ma c’è difficoltà alla palpazione. Può essere:<br />

4


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Lieve<br />

Moderata<br />

Intensa.<br />

Può essere legata ad un aumento del gas, liquidi o alla presenza di masse endo‐addominali.<br />

3. Reazione di difesa Può essere vinta da una moderata pressione della palpazione.<br />

4. Contrattura L’addome si irrigidisce. Può essere:<br />

Diffusa (si nota all’ispezione un respiro più costale) o localizzata<br />

Spontanea o provocare<br />

Involontaria o volontaria<br />

Tranne la forma volontaria, è sempre determinata da una flogosi del peritoneo parietale.<br />

Se si arriva all’addome a tavola si tratta probabilmente di ulcera gastrica perforata.<br />

‐ Sensibilità cutanea Iperalgesia (sensibilità aumentata). Si conferma palpando altre zone, come<br />

penna o retro del martelletto. Può essere espressione di un’iniziale peritonite.<br />

‐ Eventuali tumefazioni della parete Si valuta:<br />

1. Sede In rapporto alle 9 regioni e con qualche rapporto anatomico vicino.<br />

2. Rapporti con piani muscolari Se è superficiale o profonda. Facendo contrarre i muscoli al<br />

paziente (alzando la testa) se è superficiale verrà messa in evidenza, se è profonda tende a<br />

scomparire. Un esempio sono i linfonodi in ascella. Ci deve essere un piano per essere<br />

palpati e quindi si fa contrarre i pilastri dell’ascella.<br />

3. Eventuale riducibilità Si tratta di un’ernia se schiacciandola scompare.<br />

‐ Eventuali porte erniarie Sono “brecce” della parete. Le più comuni sono a livello della cicatrice<br />

ombelicale e delle cicatrici chirurgiche (laparocele).<br />

PALPAZIONE PROFONDA<br />

Supera la resistenza dei piani superficiali e si cerca di prendere contatto con le formazioni sottostanti. Le<br />

formazioni si rendono apprezzabili quando possono essere fissate contro un piano posteriore di resistenza.<br />

Si esegue con la parte anteriore della mano. Può essere mono‐ o bi‐manuale. In condizioni fisiologiche alla<br />

palpazione profonda non è percepibile alcun organo ipocondriaco né alcuna tumefazione.<br />

Valuta:<br />

‐ Eventuali tumefazioni Per ogni tumefazioni ci sono 7 caratteristiche da valutare:<br />

1. Dimensioni Espressa in centimetri o rifacendosi ad un frutto<br />

2. Forma Regolare o irregolare<br />

3. Superficie Liscia, irregolare o indistinta<br />

4. Margini Regolari, irregolari o indistinti<br />

5. Consistenza Duro lignea, pastosa, parenchimatosa, teso elastica, molle<br />

6. Mobilità Rispetto ai piani superficiali e profondi, mobilità respiratoria<br />

7. Pulsatilità Trasmessa (si allarga verso un’unica direzione), espansiva (in tutte le direzioni).<br />

Le masse profonde si possono esplorare solo le superficie anteriore e parzialmente quelle laterali,<br />

mai quella posteriore. Per favorire la palpazione il paziente deve rilasciare la parete addominale e<br />

questo è facilitato dalla flessione delle ginocchia. Talora bisogna utilizzare entrambe le mani. Le<br />

tumefazioni retroperitoneali non sono mobili né attivamente né passivamente. Durante gli atti<br />

inspiratori si allontanano dalla mano che li palpa. I tumori dei mesi non hanno motilità respiratoria<br />

ma possono avere una notevole motilità passiva, che è perpendicolare alla radice del meso stesso.<br />

Il colon trasverso si muove quindi verticalmente, il sigma latero‐lateralmente, il mesentere<br />

obliquamente.<br />

Per cercare il rilievo si affondano le mani e si strisciano per 3‐4 cm usando la parete come un<br />

guanto. Non bisogna strusciare sulla superficie della parete.<br />

L’unica tumefazione simil‐fisiologica sono le corde coliche, rilievi a livello della fossa iliaca destra e<br />

sinistra dovuti al colon con delle feci all’interno. Si sente solo nelle fosse iliache perché c’è l’osso<br />

iliaco come base solida sotto.<br />

‐ Punti dolorosi e dolorabilità Ci sono punti dolorosi classici:<br />

5


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

1. Punto epigastrico All’unione del terzo superiore con il terzo medio della linea xifo‐<br />

ombelicale.<br />

2. Punto colecistico Fondo della colecisti. Situato subito al di sotto della X costa,<br />

all’intersezione con la linea pararettale.<br />

3. Punto pancreatico di Dejardins Corrisponde allo sbocco del coledoco. Situato sulla linea<br />

ombelico‐ascellare destra a 5‐6 cm dall’ombelico.<br />

4. Punto solare All’unione del terzo inferiore e del terzo medio della linea xifo‐ombelicale.<br />

5. Punto di Morris (appendicite) Sulla linea che unisce l’ombelico con la spina iliaca<br />

anteriore‐superiore destra a 3 cm dall’ombelico<br />

6. Punto di Mac Burney (appendicite) A metà della linea che unisce l’ombelico con la spina<br />

iliaca anteriore superiore destra.<br />

7. Punto di Lanz (appendicite) All’unione del terzo laterale con il terzo medio della linea<br />

bisiliaca.<br />

8. Punti ovarici A metà della linea che unisce l’ombelico con il centro dell’arcata crurale.<br />

9. Punto uterino Sulla linea mediana, sopra la sinfisi pubica.<br />

10. Punti uretrali:<br />

Superiore Fra ombelicale trasversa e margine del retto<br />

Medio Fra la linea che congiunge le spine iliache anteriori‐superiori e la verticale<br />

innalzata dal tubercolo pubico<br />

Soprapubico di Bazy Sopra il pube a 2‐3cm dalla linea mediana<br />

Inferiore All’esplorazione rettale nel punto di sbocco degli ureteri in vescica.<br />

11. Punti renali:<br />

Punto vertebrale A livello della sesta vertebra toracica<br />

Punto angolo‐scapolare A livello dell’angolo inferiore della scapola<br />

Punto costo‐vertebrale A livello della dodicesima costa a 2‐3 cm dalla vertebra<br />

Punto costo‐muscolare All’estremità della dodicesima costa<br />

Punto costale All’estremità della undicesima costa.<br />

Ci sono poi aree di dolorabilità come la coledocico pancreatica (di Chuffard‐Rivet). Si trova fra la<br />

xifo‐ombelicale e la bisettrice fra questa e la ombelicale trasversa. Si estende per 5‐6 cm sopra<br />

l’ombelico.<br />

Esistono poi delle manovre da compiere:<br />

o Segno di Blumberg Si effettua per vedere se c’è irritazione del peritoneo parietale. È il<br />

primo segno che diventa positivo. Si prende la mano e si comprime piano l’addome. La si<br />

rilascia velocemente. Nel momento in cui si solleva il rilassamento delle fibre è doloroso se<br />

c’è irritazione. C’è quindi dolore alla decompressione.<br />

o Segno di Rovsing Si schiaccia con la mano a piatto il colon sinistro, dal basso verso l’alto,<br />

per spingere le feci verso il colon destro. Se c’è un’irritazione come un’appendicite si<br />

provoca dolore a livello della fossa iliaca destra.<br />

o Manovra di Giordano Percussione della loggia renale con il lato ulnare della mano posta<br />

a taglio (subito sotto l’arcata costale) evoca vivo dolore nelle affezioni renali omolaterali.<br />

‐ Organi ipocondriaci (fegato e milza) ed altri organi Dopo aver sistematicamente esplorato tutto<br />

l’ambito addominale con la palpazione superficiale e profonda ed aver ricercato eventuali punti<br />

dolorosi, si passa ad un circostanziato esame palpatorio degli organi parenchimali dell’addome ed<br />

in particolare del fegato, della milza e dei reni.<br />

PALPAZIONE DELLO STOMACO<br />

In condizioni normali lo stomaco vuoto non è apprezzabile. Se disteso da gas o alimenti si può avere solo<br />

una resistenza elastica in sede epigastrica senza che sia apprezzabile alcuna tumefazione. Se disteso con<br />

abbondante contenuto idro‐aereo la manovra del ballottamento, alla succusione laterale, sarà positiva con<br />

produzione di rumore di guazzamento. È normale se il paziente ha appena mangiato, è patologico a<br />

digiuno.<br />

6


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

In condizioni patologiche può rendersi apprezzabile come tumefazione epigastrica, soprattutto per<br />

ispessimento delle sue pareti da parte di una neoplasia. In questo caso, tipicamente, la tumefazione<br />

presenterà superficie irregolare, margini indistinti, non dotata di motilità attiva né passiva. In generale un<br />

tumore dello stomaco risulta palpabile solo quando è piuttosto voluminoso, avanzato, ed in genere non più<br />

operabile.<br />

Talora anche l’ipertrofia della muscolare conseguente a stenosi ipertrofica del piloro (SIP) nel bambino può<br />

essere palpabile. Nell’adulto invece non è palpabile.<br />

PALPAZIONE DELL’INTESTINO<br />

Le anse dell’intestino tenue sfuggono alla palpazione (sensazione di lieve resistenza elastica). L’intestino<br />

crasso si può apprezzare fisiologicamente a livello del cieco, dell’ascendente, del discendente e soprattutto<br />

del sigma, sottoforma di un cordone duro‐elastico, che sfugge a scatto sotto le dita (cornice colico; corda<br />

colica) talvolta dolente.<br />

In situazioni patologiche, l’ispessimento circoscritto della parete dell’intestino, legato a tumori o a malattia<br />

infiammatorie cronica (Crohn, malattia diverticolare) diviene apprezzata, nella sede dove si è sviluppata,<br />

come una tumefazione di consistenza dura, margini più o meno scarsamente definibili, superficie<br />

irregolare, non mobile o poco mobile (lungo l’asse del meso), poco o nulla solente/dolorabile.<br />

L’invaginazione dell’intestino può essere percepita come un salsicciotto caratteristicamente in FID<br />

(invaginazione ileo‐colica), con superficie liscia, margini netti, di lunghezza variabile, dolente e dolorabile.<br />

Caratteristico e diagnostico è il segno di Von Wahl nella valvola del sigma, con la presenza di una<br />

tumefazione addominale asimmetrica, localizzata in fianco sinistro‐ipogastrico, margini netti, teso elastica,<br />

dolente, dolorabile, ipertimpanica, legata all’ansa sovradistesa.<br />

PALPAZIONE DEL FEGATO<br />

In condizioni normali il fegato raggiunge appena l’arcata costale, con il suo bordo inferiore, nelle profonde<br />

inspirazione, pertanto non è palpabile. Il limite superiore può essere invece sempre delimitato con la<br />

percussione.<br />

La mano va applicata dolcemente a piatto sull’addome ed approfondita dolcemente, lentamente,<br />

privilegiando il lato radiale. La palpazione va iniziata dal basso per poi procedere gradualmente verso l’alto.<br />

Giunti a livello di resistenza che possa essere attribuito al margine del fegato (o se si è giunti in ipocondrio)<br />

si lascia ferma la mano a tale livello ed invita il paziente a respirare. Significativa è la possibilità di<br />

apprezzare il bordo dell’organo che, con l’inspirio, viene a “sbattere” sulle nostre dita. La condizione<br />

indispensabile per poter ritenere epatica una tumefazione in ipocondrio di destra è la possibilità di<br />

apprezzare un margine che risulti mobile con gli atti del respiro.<br />

Il margine libero del fegato può essere apprezzato anche con la mano ad uncino. In questo caso l’operatore<br />

si porterà con il corpo in alto a livello del torace (manovra di uncina mento). Percepito un margine epatico<br />

bisogna descrivere le sue caratteristiche così come quelle delle superficie convessa del fegato, sempre se<br />

palpabile.<br />

Caratteri del margine:<br />

‐ Smusso Normale<br />

‐ Accentuato/tagliente Fibrosi, cirrosi<br />

‐ Arrotondato Stasi acuta, epatite acuta.<br />

• Regolare Normale<br />

• Irregolare Macronoduli, neoplasie.<br />

Dimensioni: indicare la distanza del margine epatico rispetto all’arcata costale sulla linea xifo‐ombelicale,<br />

paracentrale, ascellare anteriore (generalmente espressa in dita trasverse).<br />

Consistenza:<br />

‐ Parenchimatosa Normale<br />

‐ Aumentata Fibrosi, neoplasia, stasi cronica, steatosi<br />

‐ Diminuita Edema.<br />

Superficie:<br />

• Liscia Normale<br />

7


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Micronodulare Epatiti croniche<br />

• Macronodulare Cirrosi alcolica, neoplasie, policistosi epatica<br />

• Nodulo singolo Neoplasia, cisti.<br />

Percussione Utile per delimitare il margine superiore epatico e per vedere se c’è ottusità epatica. Si<br />

esegue classicamente su tutte le linee verticali del torace (parasternale, emiclaveare, ascellare anteriore e<br />

media) e si scende lentamente dall’alto (3‐4 spazio intercostale) verso il basso (oltre l’arcata costale).<br />

Nella palpazione del fegato non è raro l’errore di interpretare come fegato ingrandito quello che è invece il<br />

ventre superiore del muscolo retto addominale contratto.<br />

In casi di abbondante versamento ascitico, il liquido sotto tensione può ostacolare la palpazione del<br />

margine libero del fegato. In questo caso può essere significativa la palpazione a scosse: si imprimono con i<br />

polpastrelli della mano destra, dei piccoli copi alla parete ipocondrica di destra dove si suppone possa<br />

arrivare il fegato. Se il fegato è ingrandito e “galleggia” nel liquido ascitico, si ha la sensazione di colpire un<br />

cubo di ghiaccio che galleggia nell’acqua: sensazione di urto seguita da colpo di rimbalzo (segno del<br />

ghiacciolo).<br />

PALPAZIONE DELLA COLECISTI<br />

In condizioni normali la cistifellea non è palpabile. Può rendersi invece apprezzabile solo quando ingrandita<br />

o per aumento del suo contenuto o per un inspessimento della sua parete. Se palpabile essa si rende<br />

visibile in ipocondrio destro lungo una linea che va dall’arcata costale (X‐XI costa) all’ombelico.<br />

Idrope della colecisti L’ostruzione del dotto cistico o del coledoco possono talora far assumere alla<br />

colecisti dimensioni anche notevoli, così da farle superare l’ombelicale trasversa. In questo caso la colecisti<br />

sarà avvertita come una tumefazione di consistenza teso‐elastica, superficie liscia, mobile con gli atti del<br />

respiro in modo solidale con il fegato. Pur essendo ben ancorata al margine inferiore del fegato, talora,<br />

potrà conservare una certa motilità passiva in senso latero‐laterale.<br />

Patologie infiammatorie della colecisti In queste circostante l’aumento di volume della colecisti non è<br />

mai notevole. I limiti della tumefazione sono quasi sempre non disponibili. La flogosi che coinvolge e<br />

circonda la colecisti provoca inoltre quasi sempre una certa reazione di difesa che ostacola la palpazione.<br />

Tumori della colecisti Raramente palpabili quando si manifestano clinicamente (con l’ittero che può<br />

essere il primo segno). Se palpabili possono essere avvertiti (in corrispondenza del margine libero del<br />

fegato) come una tumefazione a margini irregolari, superficie irregolare, consistenza dura, non mobili<br />

passivamente ma mobili assieme al fegato con gli atti del respiro.<br />

La palpazione della colecisti si effettua come la palpazione del fegato.<br />

Il punto elettivo di dolorabilità è il punto cistico. La manovra elettiva è quella di Murphy, si affonda le dita<br />

della mano destra a livello del punto cistico (meglio se ad uncino) e quindi si invita il paziente a compiere<br />

una profonda inspirazione. Con tale manovra il fondo della colecisti viene spinto contro le dita<br />

dell’operatore. In caso di flogosi della colecisti questa manovra provoca vivo dolore al malato così da<br />

indurlo ad interrompere bruscamente l’inspirazione. C’è arresto dell’atto respiratorio.<br />

PALPAZIONE DELLA MILZA<br />

L’esame inizia classicamente con l’operatore posto alla destra dell’ammalato e con la mano destra posta a<br />

piatto. Si pratica esercitando una lieve pressione, con la faccia palmare delle dita della mano destra posta<br />

parallelamente al margine costale sinistra, tra l’emiclaveare e l’ascellare media, procedendo dal basso verso<br />

l’alto ed affondando gradualmente la mano. Qualora l’esaminatore avverta una “resistenza o una<br />

tumefazione che suppone possa essere attribuita alla milza” classicamente, per completare l’indagine ed<br />

aumentare la sensibilità, si porterà alla sinistra dell’ammalato ponendosi all’altezza della sua spalla. La<br />

manovra risulterà ancora più agevole facendo decombere il paziente sul fianco destro con il braccio sinistro<br />

flesso e poggiato sul capo e le cosce flesse. Con le dita poste ad uncino, invitando il paziente a respirare<br />

profondamente è poi più facile sentire l’estremità inferiore dell’organo (manovra ad uncino).<br />

La milza, come il fegato, in condizioni normali non risulta palpabile (neanche nella pro fondazione<br />

inspirazione). Per poter valutare la milza bisogna spingere a fondo le dita sotto l’arcata costale di sinistra, in<br />

quanto, si norma, non arriva all’arcata. In situazioni fisiologiche può essere percepita solo in pazienti con<br />

pareti molto flaccide e nella profonda inspirazione.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Nella palpazione della milza, la mano sinistra sostiene posteriormente la cassa toracica, la mano destra<br />

esplora il margine splenico.<br />

Splenomegalia La milza ingrandendosi conserva in genere la sua disposizione obliqua verso il basso e<br />

medialmente. Caratteristiche e diagnostiche sono anche le incisure che può conservare sul margine<br />

mediale (da 2 a 4). La manovra del ballottamento è negativa nelle tumefazioni della milza, mentre è<br />

possibile un contatto lombare solo nelle splenomegalie maggiori.<br />

PALPAZIONE DEI RENI<br />

In condizioni normali i reni non sono palpabili. Ci sono due tecniche:<br />

• Metodo bimanuale (manovra di Guyon) Il paziente è supino e rilassato. Per il rene destro ci si<br />

pone alla destra del paziente con la mano destra anteriormente e la mano sinistra posteriormente.<br />

Per il rene sinistro l’osservatore si pone a sinistra con la meno destra posteriormente e la mano<br />

sinistra anteriormente. Si invita il paziente ad inspirare sospingendo in tal modo il rene verso il<br />

basso, lungo le sue guaine.<br />

La mano posteriore (posta sulla regione lombare, fra il bordo costale e la cresta iliaca) deve sia<br />

spingere le dita fino quasi a toccare la colonna vertebrale che esercitare una certa spinta verso<br />

l’avanti. La mano anteriore è invece posizionata nella zona del fianco destro.<br />

Il paziente viene invitato a compiere una profonda inspirazione, sospingendo così in basso il polo<br />

inferiore del rene che viene ad “inserirsi” fra le due mani, come un corpo ovoidale, schiacciato, che<br />

poi nell’espirio successivo tende a sfuggire dalle mani. La possibilità di apprezzare il polo inferiore<br />

del rene, in questo modo, è espressione o di un ingrandimento o di un abbassamento dello stesso.<br />

• Tecnica monomanuale (manovra di Glenard) Non si effettua più. Il paziente stava eretto. Il<br />

medico ha la mano con il pollice posto anteriormente, mentre il resto è posteriormente. Si può fare<br />

anche al contrario.<br />

Quando con la palpazione bimanuale è possibile apprezzare una tumefazione che (imprimendo<br />

alternativamente una pressione con mano anteriore e poi con quella posteriore) si sposta tra le due mani<br />

(ballottamento passivo) questo è molto suggestivo per una origine renale. Se la percezione della<br />

tumefazione è migliore con la mano posteriore si parla di contatto lombare (probabilmente è rene ma<br />

potrebbe essere anche altro), se invece si percepisce solo con la mano anteriore potrebbe essere del colon.<br />

La palpazione del rene si conclude con la manovra di Giordano.<br />

PALPAZIONE DEL PANCREAS<br />

Si effettua la manovra di Grott con iperestensione del rachide lombare. Raramente si può palpare una<br />

tumefazione pancreatico. Si trova in sede profonda nel quadrante superiore destro e sinistro. Non ha<br />

motilità. La superficie può essere liscia (cisti) o irregolare (neoplasie, pancreatiti).<br />

PERCUSSIONE<br />

Serve a:<br />

‐ Conferma le dimensioni di fegato e milza<br />

‐ Dare informazioni sulla distribuzione del meteorismo<br />

‐ Consentire di definire meglio eventuali masse<br />

‐ Confermare la presenza di un globo vescicale Si percuote lungo le linee verticali parallelamente al<br />

margine superiore della vescica andando verso il basso.<br />

‐ Far sospettare la presenza di un eventuale versamento ascitico Si parte dall’ombelico e si va in<br />

tutte le direzioni (raggiata). Si forma una zona di ipertimpanismo mediano che viene segnata con<br />

una penna. Muovendo il paziente, se il liquido si muove rispetto al segno vuol dire che è libero,<br />

altrimenti che è fisso.<br />

AUSCULTAZIONE<br />

Mediante l’ascoltazione si possono rilevare:<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Borborigmi Dovuti a peristalsi attiva. Scompaiono in caso di ileo paralitico.<br />

o Sfregamenti In realtà non si sentono mai.<br />

o Rumori vascolari Nell’aneurisma dell’aorta addominale, nella stenosi dell’arteria renale e della<br />

mesenterica superiore e nei processi stenosanti dei grossi tronchi arteriosi.<br />

Il silenzio intestinale, associato ad una rigidità della parete e ad un dolore diffuso è patognomonico di un<br />

addome acuto (peritonite diffusa o perforazione).<br />

ESPLORAZIONE RETTALE<br />

Serve a:<br />

‐ Valutare il contenuto dell’ampolla<br />

‐ Permettere di riconoscere la presenza di masse nella piccola pelvi<br />

‐ Permettere di riconoscere la sede di un dolore elettivo<br />

‐ Permettere di valutare la presenza di liquido e di una flogosi di Douglas (urlo di Douglas).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

<strong>SEMEIOTICA</strong> DELLA MAMMELLA<br />

CENNI DI ANATOMIA<br />

La ghiandola mammaria si trova in uno sdoppiamento della fascia superficiale del torace in stretto rapporto<br />

con la fascio del muscolo pettorale.<br />

Il drenaggio linfatico avviene:<br />

‐ Per l’80% verso le stazioni ascellare che si possono dividere:<br />

o Primo livello Situate prima del muscolo piccolo pettorale<br />

o Secondo livello Situate dietro il muscolo piccolo pettorale<br />

o Terzo livello A livello dell’apice dell’ascella.<br />

‐ Per il 20% vero i linfonodi dell’arteria mammaria interna.<br />

PATOLOGIA<br />

1. Malformazione Possono essere:<br />

o Congenite:<br />

Di numero:<br />

• Amastia/polimastia Manca o ci sono ghiandole in più<br />

• Atelia/poliatelia Manca o ci sono capezzoli in più.<br />

Quando sono in più si trovano nella linea mammaria.<br />

Morfologiche:<br />

• Micromastia/macromastia Quando la ghiandola è più grande o più<br />

piccola.<br />

• Alterazioni del capezzolo Può essere breve, retratto, ombelicato,<br />

invaginato.<br />

o Acquisite:<br />

Ginecomastia Aumento di volume della mammella per ipertrofia sia del tessuto<br />

stromale che della ghiandola, causata da fattori endogeni o esogeni. Sono problemi<br />

ormonali e sono spesso monolaterali. Può essere:<br />

• Fisiologica Avviene in periodi ben precisi:<br />

o Neonatale<br />

o Puberale<br />

o Età evolutiva.<br />

• Non fisiologica In condizioni di ipogonadismo, cirrosi epatica,<br />

ipotiroidismo, tumori testicolari, tumori corticosurrenali, idiopatica,<br />

carenze alimentari, iatrogena.<br />

Pseudoginecomastia Aumento di volume della mammella legato solo all’aumento<br />

del tessuto adiposo.<br />

2. Lesioni displasiche Alterazione del normale equilibrio esistente tra la componente stromale ed<br />

epiteliale.<br />

o Cisti semplice Epitelio si sviluppa maggiormente. Fisiologicamente si sviluppa durante il<br />

ciclo e poi regredisce alla fine di ogni ciclo. Quando non regredisce si parla si cisti semplice.<br />

o Mastopatia fibrocistica Colpisce il 70‐80% dei pazienti. Si sentono dei pallini da caccia<br />

dovuti alla componente connettivale densa che si sviluppa.<br />

3. Lesioni traumatiche Possono essere:<br />

o Lesioni aperte<br />

o Lesioni chiuse:<br />

Contusione<br />

Ematoma<br />

11


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Steatonecrosi Dopo un trauma c’è il rimodellamento del tessuto adiposo con<br />

formazioni di tessuto cicatriziale rigido dopo l’infiammazione. È una patologia<br />

abbastanza rara. È più frequente nelle donne con il seno voluminoso.<br />

4. Lesioni infiammatorie Particolarmente predisposta la mammella che si trova in una situazione<br />

anatomo‐funzionale critica, cioè in una fase prolieferativa‐secretiva, così come si verifica<br />

nell’allattamento, nella pubertà e durante la gravidanza.<br />

o Ascesso mammario Si fa strada verso il basso.<br />

o Galattocele Cisti contenente latte con una forte componente infiammatoria<br />

o Mastite Infiammazione della ghiandola in cui però non c’è ancora pus.<br />

5. Lesioni neoplasiche Possono essere:<br />

o Benigne:<br />

Papilloma intraduttale<br />

Firboadenoma.<br />

o Maligne:<br />

Morbo di Paget Colpisce il capezzolo. Si hanno lesioni simil‐eczematose del<br />

capezzolo. Compare poi il tumore retro‐areolare.<br />

Carcinoma È il tumore più frequente nella donna e colpisce la ghiandola<br />

mammaria. Colpisce con maggior frequenza tra i 40 e i 60 anni.<br />

Sarcoma Origina dalla componente connettivale, ma ha un’incidenza nettamente<br />

inferiore rispetto al carcinoma.<br />

ANAMNESI<br />

• Anamnesi familiare È importante perché il carcinoma della mammella presenta un’incidenza 2‐3<br />

volte maggiore in casi di familiarità. Esiste inoltre una bilateralità della lesione. Il 7‐10% dei tumori<br />

della mammella ha un’alterazione al gene oncosopressore BRCA‐1/BRCA‐2.<br />

• Anamnesi fisiologica Bisogna prestare attenzione a:<br />

o Menarca precoce<br />

o Menopausa tardiva<br />

o Nulliparità<br />

o Concepimento tardivo (>30 anni)<br />

o Mancato allattamento<br />

o Trattamenti ormonali<br />

o Lesioni precedenti<br />

o Fattori ambientali (esposizione a radiazioni ionizzanti).<br />

• Anamnesi patologica prossima In chirurgia con l’anamnesi patologica prossima si intende i<br />

disturbi che hanno portato il paziente dal medico fin dal momento in cui originino i problemi. Le più<br />

frequenti sono:<br />

o Tumefazione indolente<br />

o Dolenzia discreta<br />

o Sensazione di fastidio<br />

o Vero dolore<br />

o Infiammazione<br />

o Stillicidio del capezzolo.<br />

Per ogni segno o sintomo bisogna indagare:<br />

• Epoca comparsa<br />

• Durata<br />

• Evoluzione/ modificazioni<br />

• Correlazioni fisiologiche.<br />

Si definisce “mastodinia” il dolore mammario spontaneo e può essere:<br />

o Mastodinia fisiologica ciclica Sensazione di peso‐dolenzia, talora opprimente, più<br />

marcata nel prolungamento ascellare, che tipicamente compare durante la settimana che<br />

precede la mestruazione. Si associa ad un turgore mammario premestruale.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Mastodinia non ciclica che può essere localizzata o diffusa<br />

o Dolore associato a noduli neoplastici.<br />

Bisogna distinguerla dalla nevralgia mammaria. È un dolore intercosta. Si solito però è anche<br />

posteriore e si modifica con il respiro.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

ISPEZIONE<br />

Si deve valutare sempre:<br />

‐ Mammella<br />

‐ Capezzolo<br />

‐ Areola.<br />

Si può dividere in quattro quadranti grazie ad una linea orizzontale e una verticale passanti per il capezzolo:<br />

Quadrante superointerno<br />

Quadrante superoesterno<br />

Quadrante inferointero<br />

Quadrante inferoesterno.<br />

Quando individuiamo qualcosa, oltre ai quadranti è importante utilizzare la distanza in centimetri a<br />

qualcosa di fisso.<br />

L’ispezione si fa con la paziente seduta di fronte all’esaminatore. Si distinguono tre fasi:<br />

‐ Prima fase Braccia appoggiata sulle ginocchia<br />

‐ Seconda fase Braccia sollevate<br />

‐ Terza fase Invitare la paziente a flettersi in avanti e/o eseguire manovre “facilitanti”.<br />

Bisogna valutare:<br />

• Simmetria Una certa diversità di volume e forma tra i seni può essere fisiologica. L’aumento di<br />

volume di una mammella viceversa può essere espressione di una anomali congenita, alla presenza<br />

di cisti, mastite e/o tumore.<br />

• Aspetto cutaneoSi osservano:<br />

o Disegno venoso L’accentuazione del disegno venoso può essere sintomo di flogosi o<br />

tromboflebite (Sindrome di Mordor). Nei tumori può esserci, ma non sempre.<br />

o Retrazioni<br />

o Infiltrazioni<br />

o Ulcerazioni<br />

o Arrossamenti o eritemi Possono essere segno di mastite, ascesso, flemmone o carcinoma<br />

infiammatorio.<br />

o Irregolarità<br />

o Erosione<br />

o Buccia d’arancia È segno di edema per blocco dei vasi linfatici. A livello dei follicoli piliferi<br />

la pelle è trattenuta e non può espandersi. L’edema mette in evidenza i follicoli. Se l’edema<br />

è localizzato è spesso segno di tumore, che blocca i vasi linfatici.<br />

• Capezzoli e areola Bisogna osservare:<br />

o Forma<br />

o Simmetrica<br />

o Eventuali ulcerazioni, deviazioni, retrazioni, abrasioni, ragadi, tumefazioni, secrezioni.<br />

Un lesione ulcerata ed eczematose dell’areola può essere segno del morbo di Paget, soprattutto se<br />

monolaterale e se presenta desquamazione.<br />

• Retrazioni cutanee Si manifesta con un grado variabile di increspamento della cute, per lo più<br />

espressione di una invasione/retrazione neoplastica dei legamenti sospensori di Cooper, che si<br />

tendono dalla fascia pettorale (in profondità) alla fascia mammaria superficiale (sottocutanea). Lo<br />

stesso processo è responsabile della deviazione/retrazione del capezzolo.<br />

Si può far effettuare alla paziente manovre facilitanti. Visto il rapporto esistente tra i legamenti di<br />

Cooper e la fascia pettorale, ogni manovra che determina una contrazione del muscolo grande<br />

13


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

pettorale si ripercuote sui legamenti stessi, rendendo in tal modo più evidente un’eventuale<br />

retrazione cutanea. Le tre manovre principali sono:<br />

o Compressione mano‐mano Se la retrazione è mediale<br />

o Compressione mano‐fianchi Se la retrazione è laterale<br />

o Sollevamento di entrambe le braccia Se la lesione è alta.<br />

• Tumefazioni Possono essere rivestite da cute indenne o possono manifestarsi come un fungo<br />

neoplastico, più o meno ulcerato, più o meno necrotico.<br />

PALPAZIONE<br />

La paziente deve essere distesa. La palpazione si effettua con la mano a piatto schiacciando la mammella<br />

sulla parete toracica con i polpastrelli. Con un movimento di strisciamento ci si porta latero‐medialmente<br />

oppure si può effettuare un movimento di rotazione. Per le mammelle molto voluminose la palpazione può<br />

essere eseguita a due mani: una mano sorregge la mammella, mentre l’altra esegue la palpazione. I medico<br />

deve disporsi dallo stesso lato della mammella da visitare.<br />

Non bisogna impugnare il seno tra pollice ed indice.<br />

Per la palpazione dei quadranti mediali, la paziente deve tenere le braccia lungo i fianchi. Per la palpazione<br />

dei quadranti laterali, deve tenere le braccia sopra la testa.<br />

Dopo l’esame dei vari quadranti è opportuna una leggera spremitura del capezzolo.<br />

I parametri da valutare sono:<br />

• Termotatto È segno di flogosi.<br />

• Dolorabilità<br />

• Consistenza ed elasticità<br />

• Tumefazioni Bisogna valutare sempre le solite caratteristiche:<br />

o Sede<br />

o Forma<br />

o Dimensioni<br />

o Superficie<br />

o Margini<br />

o Consistenza<br />

o Dolorabilità<br />

o Motilità Esistono delle manovre per vedere se un nodulo è aderente ai piani profondi o ai<br />

piani superficiali:<br />

Manovra di Tillaux Metter in evidenza una aderenza tra la tumefazione e il piano<br />

muscoloso aponeurotico.<br />

Segno della piastra È l’impossibilità di sollevare in pliche la cute a livello di una<br />

infiltrazione.<br />

• Secrezioni del capezzolo Può evidenziare la presenza di una secrezione che può essere:<br />

o Siero‐ematica<br />

o Ematica<br />

o Puruloide<br />

o Sierosa<br />

o Lattescente.<br />

PALPAZIONE DELL’ASCELLA<br />

Si effettua sempre con la mano a piatto. Il braccio della paziente deve essere in leggere abduzione e i<br />

muscoli pettorali rilasciati. La paziente può quindi appoggiare la mano sulla spalla dell’esaminatore, oppure<br />

l’operatore con l’altra mano tiene il braccio abdotto.<br />

Per percepire i linfonodi a livello del pilastro anteriore dell’ascella, il muscolo pettorale deve essere<br />

contratto. Per percepire quelli a livello dell’apice il muscolo deve essere rilassato.<br />

Bisogna poi palpare anche i linfonodi sopraclaveari Va eseguita con la punta delle dita che devono essere<br />

“affondate” dietro la clavicola, in modo da spingere le strutture sopraclaveari contro il piano muscolare<br />

degli scaleni.<br />

14


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Se sono presenti linfonodi vanno descritti:<br />

‐ Dimensioni<br />

‐ Consistenza<br />

‐ Superficie<br />

‐ Se separati o conglutinati<br />

‐ Mobilità<br />

‐ Dolenti.<br />

ASCOLTAZIONE<br />

Talora è possibile apprezzare un leggero soffio sopra la mammaria interna durante le fasi avanzate della<br />

gravidanza e durante l’allattamento.<br />

CARATTERISTICHE OBIETTIVE DELLE LESIONI MALIGNE<br />

CARCINOMA<br />

Ispezione:<br />

• Rientramenti o tumefazione cutanea<br />

• Aspetto a buccia d’arancia<br />

• Rientramenti o deviazioni del capezzolo<br />

• Secrezione emorragica dal capezzolo.<br />

Palpazione:<br />

Consistenza solida e molto dura<br />

Elasticità diminuita<br />

Margini e superficie irregolari<br />

Assenza di dolorabilità<br />

Linfonodi regionali palpabili.<br />

CARCINOMA INFIAMMATORIO<br />

Ispezione Simile alla mastite Importante edema, ipertermia, eritema della cute della mammella che<br />

appare aumentata di volume.<br />

Palpazione Molto dolorosa, complessivamente la consistenza risulta molto aumentata così da non essere<br />

palpabile alcuna tumefazione.<br />

MALATTIA DI PAGET<br />

Ispezione In una prima fase lesione eczematose (croste) al capezzolo che poi si estendono all’areola.<br />

Seguono quindi ulcerazioni con tendenza al sanguinamento.<br />

Palpazione Sempre associato un carcinoma retro‐areolare che però può essere palpato nelle fasi molto<br />

avanzate.<br />

Il tumore nasce dai dotti galattofori e all’inizio rimane in situ, sopra la membrana basale creando le<br />

desquamazioni. Raggiunge l’areola rimanendo comunque superficiale. Solo in una seconda fase diventa<br />

invasivo andando in profondità.<br />

MODALITÀ DI DIFFUSIONE DEI TUMORI<br />

1. Contiguità<br />

2. Continuità<br />

3. Via linfatica Nel caso del carcinoma alla mammella raggiunge le stazioni ascellari, dell’arteria<br />

mammaria interna e le stazioni sopraclaveari.<br />

4. Via ematica Raggiunge spesso:<br />

• Polmone<br />

• Scheletro<br />

• Cervello<br />

• Fegato<br />

• Pleura, surreni, ovaie.<br />

15


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

5. Via endocelomatico/endoluminare.<br />

STADIAZIONE TNM<br />

È una classificazione che si fa per tutti i tumori ma che è specifica per ogni organo.<br />

T Indica la dimensione del tumore:<br />

‐ T1 5cm<br />

‐ T4 Aderente alla cute o ai piani profondi.<br />

N Indica la situazione dei linfonodi:<br />

‐ N0 Non ci sono linfonodi metastatici<br />

‐ N1 Linfonodi mobili<br />

‐ N2 Linfonodi fissi<br />

‐ N3 Linfonodi sopraclaveari.<br />

M Indica la presenza di metastasi:<br />

‐ M0 Non ci sono metastasi<br />

‐ M1 Ci sono metastasi.<br />

METODICHE DIAGNOSTICHE NELLE LESIONI MAMMARIE<br />

• Esame obiettivo<br />

• Ecotomografia<br />

• Mammografia<br />

• Risonanza magnetica nucleare (RMN)<br />

• Termografia<br />

• Scintigrafia<br />

• Dutto‐galattografia<br />

• PET Utile per vedere le metastasi a distanza.<br />

• Esame istologi‐citologico della lesione È indispensabile prima di qualsiasi operazione. Per l’esame<br />

citologico si può utilizzare il campione prelevato dalla secrezione del capezzolo o dall’agoaspirato.<br />

Per l’esame istologico serve una porzione più consistente. Bisogna quindi fare una biopsia o<br />

un’asportazione chirurgica.<br />

SCREENING<br />

Nel caso del carcinoma della mammella è utile sottoporre la popolazione sana ad un controllo. Si nota una<br />

riduzione della mortalità del 40‐50%. I mezzi possibili sono:<br />

‐ Mammografia Ha dei limiti come i raggi e nel fatto che nei soggetti giovani non si vede nulla<br />

perché il seno è compatto. Indica però le calcificazioni.<br />

o Lesioni benigne Margini netti, forma regolare, calcificazioni rotondeggianti.<br />

o Lesioni maligne Margini irregolari, opacità “a spicole”, multifocalità, microcalcificazioni<br />

spiculate, a bastoncino, a gruppi.<br />

‐ Ecografia Non è così sensibile Ci dice però se la lesione è solida o cistica. Possiamo individuare<br />

anche i margini e la struttura.<br />

‐ Risonanza Tende a soprastadiare<br />

Per una donna dopo i 50 anni si effettua una mammografia ogni secondo anno. Per una donna sotto i 50<br />

anni se c’è un fattore che aumenta il rischio (come la familiarità) si effettua un’ecografia ogni anno.<br />

FATTORI PROGNOSTICI<br />

T<br />

N<br />

Grading istologico e nucleare<br />

Recettori ormonali<br />

Indici di proliferazione (Ki67)<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Proteina p53<br />

17


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

DOLORE ADDOMINALE<br />

Consiste in un’esperienza sensoriale ed emozionale sgradevole, legata ad un danno reale o potenziale per il<br />

nostro organismo. Tutti gli stimoli che causano dolore sono potenzialmente dannosi.<br />

Ci sono patologie in cui il dolore è l’unico sintomo, come nella sindrome dell’addome acuto. Interpretare il<br />

dolore è quindi un cardine della diagnosi fin dai tempi più antichi.<br />

Il dolore può essere:<br />

‐ Sintomo Viene riferito dal paziente<br />

‐ Segno Viene evocato dalla manovra semeiologica e viene detto “dolorabilità”. Le manovre<br />

possono essere:<br />

o Specifiche Murphy, Giordano, ecc…<br />

o Aspecifiche Iperalgesia iperestesia cutanea Si effettua con lo stesso stimolo su porzioni<br />

di cute contigue.<br />

CARATTERI<br />

• Somatico Sensibilità epicritica È un dolore ben localizzabile ed è trasportato da fibre grosse<br />

(veloci). Proviene dalle strutture superficiali e dalla pleura, diaframma e dal peritoneo parietale.<br />

• Viscerale Nocicettori viscerali È un dolore non ben localizzabile ed è trasportato da fibre sottili<br />

(lente). Proviene dai visceri, vasi e dal peritoneo viscerale.<br />

• Dolore somatico profondo È un dolore misto. È meno localizzato e proviene dal peritoneo<br />

parietale posteriore e dalla pleura mediastinica.<br />

Altre caratteristiche del dolore:<br />

Localizzato, diffuso o radiato<br />

Spontaneo o provocato<br />

Episodico o ritmico<br />

Modalità di esordio<br />

Modalità di regressione.<br />

A seconda del tipo di danno, il dolore si divide in:<br />

o Nocicettivo Espressione di un danno.<br />

o Neuropatico Il danno è a livello nervoso. Si tratta quindi di un dolore di proiezione, che viene<br />

interpretato come a partenza periferica. Si ha il dubbio che sia neuropatico quando l’irradiazione è<br />

metamerica.<br />

o Idiopatico In assenza di causa evidente.<br />

DOLORE VISCERALE<br />

L’impulso dalla periferia, attraverso il ganglio radicolare, raggiungono il nucleo intermedio‐mediale e il<br />

nucleo di Takahashi. Da questi nuclei partono neuroni che convergono tra loro e raggiungono poi il<br />

mesencefalo e il talamo. A causa delle anastomosi, il dolore non è localizzato. Non c’è una distribuzione<br />

metamerica.<br />

Recettori Sono presenti nei vasi, nelle pareti dei visceri, sul mesentere, nel peritoneo viscerale e<br />

posteriore.<br />

Stimoli Distensione, ischemia, acidità e flogosi (anche se in maniera minore).<br />

Caratteristiche È un dolore indefinito, non metamerico, non laterizzato. È infatti spesso al centro:<br />

‐ Epigastrio Esofago, stomaco, duodeno<br />

‐ Mesogastrio Digiuno, ileo, colon sinistro<br />

‐ Ipogastrio Colon sinistro, retto.<br />

Nel dolore viscerale si possono avere a volte solo fenomeni viscero‐neurovegetativi (nausea, vomito, ecc…)<br />

e non si hanno mai riflessi somato‐parietali.<br />

Gli organi viscerali sono innervati dai nervi grande splancnico (T5‐T9) e piccolo splancnico (T9‐T12). Le<br />

afferenza viscerali dell’addome arrivano alle radici del tronco. Ci sono inoltre delle zone di cute in cui c’è<br />

18


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

una rappresentazione viscerale. Il dolore viscerale viene quindi riferito a porzioni di cute, anche distanti.<br />

Dipendono dall’altezza a cui arriva il nervo splancnico. Alcuni esempi sono:<br />

‐ Colecisti Dolore riferito alla regione scapolare destra<br />

‐ Diaframma Dolore riferito alla base del collo<br />

‐ Duodeno Dolore riferito alla regione paravertebrale<br />

‐ Bacinetto renale ed ureteri Dolore riferito alla regione inguinale con irradiazione al testicolo.<br />

Ci sono ancora solo delle ipotesi sul perché. Se si fa un’anestesia nella regione del dolore riferito il dolore<br />

passa anche se la causa non è in quell’area. La teoria più importante è quella del gate control. Si pensa che<br />

le afferenze viscerali aprano le afferenze del fascio spino‐talamico, quindi le afferenze somatiche. Un’altra<br />

ipotesi reputa invece come causa principale del fenomeno la convergenza dei neuroni.<br />

Di solito il dolore viscerale si ha all’inizio, per esempio della flogosi. Con il proseguo si apre il gate control e<br />

compare quindi il dolore riferito. Quando la flogosi avanza ancora e arriva alla parete può comparire un<br />

dolore somatico.<br />

DOLORALE SOMATICO<br />

È trasportato da tre neuroni:<br />

‐ Ganglio radicolare<br />

‐ Sostanza gelatinosa di Rolando<br />

‐ Talamo.<br />

La corrispondenza tra i neuroni è 1:1. Questo permette la localizzazione precisa del dolore perché ogni<br />

singola fibra dalla periferia arriva alla corteccia.<br />

Recettori Si trovano sulla parete addominale.<br />

Stimoli algogeni Tutti gli stimoli organici.<br />

Caratteristiche È un dolore riferito, mono‐ o bi‐laterale. Ci può essere iperalgesia e iperestesia. Ci<br />

possono inoltre essere riflessi somato‐parietali con contrazione dell’addome in via riflessi che porta ad un<br />

addome non trattabile.<br />

DOLORE VISCERO‐PARIETALE (RIFERITO)<br />

Stimoli Sono gli stessi del dolore viscerale.<br />

Caratteristiche Sono quelle del dolore somatico. Talvolta il dolore riferito può essere maggiore del dolore<br />

viscerale puro. Ci possono essere intensi fenomeni vegetativi ma mai riflessi somato‐parietali.<br />

ANAMNESI<br />

Bisogna indicare:<br />

• Se è il primo fenomeno o è un dolore ripetuto.<br />

• Fattori scatenanti:<br />

o Ritmato con ingestione di cibo Potrebbe trattarsi di una gastrite o una duodenite<br />

o Tipo di alimento<br />

o Minzione Potrebbe trattarsi di una cistite.<br />

o Defecazione<br />

o Movimento<br />

o Ciclo ormonale.<br />

• Sede:<br />

o Se è abituale<br />

o Se si irradia.<br />

• Tipo:<br />

o Continuo (per esempio flogosi) o intermittente (per esempio spasmo)<br />

o Superficiale o profondo<br />

o Pulsante<br />

o Trafittivo<br />

o Costrittivo<br />

o Urente.<br />

19


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Irradiazione<br />

• Modalità di evoluzione:<br />

o Lenta progressiva / continua<br />

o Riacutizzazione / remissione<br />

o Farmaci utili<br />

o Modificato con il decubito Nella peritonite il paziente è immobile a letto.<br />

o Modificato con il cibo<br />

o Modificato con la minzione<br />

o Modificato con l’emissione di gas/feci.<br />

• Modalità di remissione:<br />

o Spontanea<br />

o Farmaci utili<br />

o Manovre utili<br />

o Non si risolve Invariato, ingravescente, compaiono nuovi segni o sintomi.<br />

ALCUNI ESEMPI<br />

Nella colica, che è uno spasmo viscerale si ha un dolore periodico, di intensità crescente con stimoli neuro‐<br />

vegetativi.<br />

Nella flogosi si ha invece un dolore gravativo‐trafittivo.<br />

In particolare:<br />

‐ Colica biliare Dolore intermittente separato da dei periodi di assenza di dolore<br />

‐ Colecistite calcolosa Dolore sordo, persistente, con eventuali riacutizzazioni<br />

‐ Occlusione intestinale Dolore intermittente<br />

‐ Occlusione intestinale con sofferenza d’ansa Dolore sordo, persistente, continuo.<br />

20


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ERNIE<br />

Per ernia si intende la fuoriuscita di un viscere, o di una parte di esso, dalla cavità naturale nella quale è<br />

contenuto. Tale protrusione può avvenire tramite un orificio o un cale preformato o neoformato.<br />

Possono essere:<br />

• Interne Si producono per impegno dei visceri in orifici preformati o neoformati all’interno della<br />

cavità addominale.<br />

• Esterne I visceri si impegnano e protrudono all’esterno della cavità, attraverso le “zone erniarie”.<br />

Laparocele Protrusione di visceri attraverso una cicatrice post‐traumatica o post‐operatoria della cavità<br />

addominale.<br />

Possono essere:<br />

‐ Congenite Il sacco erniario è già presente alla nascita<br />

‐ Acquisite Si sono sviluppate dopo la nascita su una predisposizione anatomica.<br />

Un’ernia è composta dalle seguenti strutture:<br />

o Orificio o canale erniario Il canale erniario è composto da:<br />

o Orificio interno o profondo<br />

o Percorso (obliquo o diretto)<br />

o Orificio superficiale.<br />

A secondo del loro impegno nel canale erniario si possono classificare come:<br />

o Punta d’ernia<br />

o Ernia interstiziale<br />

o Ernia completa.<br />

o Sacco erniario Si è formato a spese del peritoneo parietale che viene trascinato dall’ernia lungo il<br />

suo progredire attraverso l’orificio o il canale erniario. Rappresenta l’involucro “interno” dell’ernia.<br />

Alcune ernie ne sono prive. È composto dalle seguenti porzioni:<br />

o Colletto<br />

o Corpo<br />

o Fondo.<br />

La forma è variabile e talvolta può essere plurilobulato.<br />

o Contenuto del sacco erniario Il sacco erniario può essere disabitato. Il contenuto varia a seconda<br />

della sede dell’ernia e tutti i visceri della cavità addominale possono erniarie (escluso il pancreas).<br />

Più frequentemente il contenuto è costituito da omento e intestino (sia tenue che colon).<br />

o Involucri esterni Variano a seconda della sede dell’ernia e sono costituiti dai diversi piani<br />

anatomici della zona erniaria. Possono essere più o mano alterati per la presenza dell’ernia.<br />

ISPEZIONE<br />

Prima bisogna visitare il paziente in piedi. Si fa poi distendere il paziente. Se la tumefazione si riduce si<br />

tratta di un’ernia. Si accentua inoltre con i colpi di tosse e con manovre atte ad aumentare la pressione<br />

endo‐addominale.<br />

PALPAZIONE<br />

Si valuta:<br />

• Consistenza Dipende dal suo contenuto, dallo stato di tensione della parete e da eventuali<br />

complicanze intercorse.<br />

• Presenza di un peduncolo Se c’è si tratta di un’ernia.<br />

• Riduzione dell’ernia Può essere ridotta se non è complicata.<br />

o Se è di piccole dimensioni Si possono ridurre con la semplice compressione.<br />

o Se è di grandi dimensioni Bisogna effettuare la manovra di Taxis Con una mano si<br />

preme mentre con l’altra facilito l’entrata dell’ernia a livello del peduncolo.<br />

21


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

PERCUSSIONE<br />

Se c’è l’omento il suono risulta ottuso, se c’è invece un’ansa intestinale il suono sarà timpanico.<br />

TRANSILLUMINAZIONE<br />

Si può evidenziare utilizzando una fonte di luce abbastanza intensa che viene messa a contatto con la<br />

tumefazione. La manovra è positiva in presenza di una tumefazione a contenuto liquido sieroso.<br />

COMPLICANZE DELL’ERNIA<br />

Un’ernia che si riduce non è mai complicata. La complicazione comporta l’irriducibilità.<br />

1. Strozzamento erniario Costrizione serrata dell’intestino o dell’omento o di un altro viscere<br />

contenuto nel sacco erniario, con secondari disturbi di circolo, che conducono alla necrosi del<br />

viscere. In particolare si ha stasi del sangue, aumento della pressione che aumenta a sua volta la<br />

stasi che porta alla necrosi e alla morte dell’ansa. I segni clinici dipendono dall’organo. Si ha<br />

comunque un’improvvisa irriducibilità dell’ernia. C’è dolore:<br />

a. Locale A causa del peritoneo parietale coinvolto<br />

b. Addominale A causa della sofferenza del viscere.<br />

Se è coinvolto l’intestino si hanno i segni dell’occlusione (vomito).<br />

2. Intasamento erniario Accumulo di materiale solido nella porzione di intestino erniata, tanto da<br />

impedire la riduzione in addome. Se c’è accumulo di feci si parla di fecaloma che può portare a<br />

blocco del transito intestinale.<br />

Si ha un progressivo e lento aumento di volume dell’ernia che diventa irriducibile. Non c’è dolore<br />

perché cresce lentamente. Compaiono i segni di occlusione intestinale.<br />

3. Irriducibilità Non risulta possibile la riduzione dell’ernia in cavità:<br />

a. Incoercibili Le ernie sono divenute troppo voluminose<br />

b. Per la presenza di aderenze infiammatorie.<br />

Non sono né dolenti né dolorabili. Non ci sono i segni dell’ostacolo al transito intestinale.<br />

4. Infezione Processo infiammatorio che viene a coinvolgere gli organi contenuti nell’ernia. Le cause<br />

possono essere varie:<br />

a. Trauma<br />

b. Propagata dalla cute<br />

c. Peritonite circoscritte a partenza del viscere<br />

d. Via ematica/peritoneale.<br />

C’è dolore con eventuale aumento di volume della tumefazione erniaria. Ci sono eventualmente i<br />

segni della flogosi (rubor, calor, dolor) che coinvolgono anche solo parte dell’ernia. L’ernia è<br />

irriducibile e non ci sono però segni di occlusione intestinale.<br />

ERNIA INGUINALE<br />

Rappresenta il 90% delle ernie. Fra queste le più frequenti sono le ernie oblique esterne. Sono molto<br />

comuni nei primi anni di vita e nelle età avanzati.<br />

A seconda delle dimensioni si può classificare come:<br />

• Punta d’ernia<br />

• Ernia intraparietale<br />

• Ernia inguino‐scrotale.<br />

L’ernia inguinale diretta origina dalla fossetta inguinale media. Manca di un vero colletto, per cui il sacco<br />

comunica ampiamente con la cavità addominale.<br />

ERNIA CRURALE<br />

Ha la massima frequenza nel sesso femminile dopo i 30 anni. Può comparire dopo un intervento per ernia<br />

inguinale. Tende ad espandersi verso la parete supero‐interna del triangolo dello scarpa.<br />

Linea di Malgaigne Linea tra la spina iliaca anteriore‐superiore e il tubercolo pubico. Se la porta erniaria è<br />

sopra a questa linea si tratta di un’ernia inguinale, se invece si trova sotto si tratta di un’ernia crurale.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ERNIA OMBELICALE<br />

Si manifesta attraverso l’anello ombelicale, che è una lacuna fisiologica della linea alba. Normalmente<br />

l’anello ombelicale è completamente chiuso da tralci fibrosi derivati dai muscoli retti e dai residui del<br />

funicolo. Persiste un’area semilunare di debolezza in corrispondenza della sua porzione superiore.<br />

Può essere:<br />

• Congenita Si rivela nelle prime settimane di vita ed è dovuta ad una ritardata chiusura dell’anello<br />

ombelicale.<br />

• Acquisita È frequente nelle pluripare, nelle anziane e nelle obese. Comune inoltre l’associazione<br />

con l’ascite. È dovuta ad una aumento della pressione addominale.<br />

23


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

CALCOLOSI DELLA COLECISTI<br />

<strong>INTRODUZIONE</strong><br />

La calcolosi biliare o colelitiasi da sola costituisce il 90% delle malattie delle vie biliari. È un problema che si<br />

presenta frequentemente al medico di base (praticamente ogni giorno).<br />

La prevalenza della calcolosi aumenta progressivamente con l’età e nell’insieme, in Italia il 10% degli uomini<br />

ed il 20% delle donne ha o ha avuto i calcoli.<br />

Ogni anno in Italia ci sono 2 operati per calcolosi ogni 100 abitanti.<br />

PATOGENESI<br />

I calcoli si formano per la concomitante presenza dei seguenti fattori:<br />

• Bile litogena Bile sovrasatura<br />

• Stasi Dovuta alla colecisti che non si svuota bene (per questo si rimuove completamente e non si<br />

rimuove solo il calcolo perché rimarrebbe il problema meccanico e si avrebbe di nuovo la<br />

formazione di calcoli).<br />

• Nucleazione Se c’è un composto, come il muco, che neutralizza le cariche si ha precipitazione dei<br />

sali anche se la bile non è proprio litogena (se c’è la nucleazione il primo fattore non è<br />

indispensabile).<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

Si possono classificare i calcoli come:<br />

Calcoli di colesterolo Possono essere:<br />

o Puri Hanno un contenuto di colesterolo maggiore del 75%. Sono radiotrasparenti e si<br />

formano nella colecisti.<br />

o Misti Oltre al colesterolo c’è anche calcio e muco. Si formano nella colecisti e per un 10%<br />

sono radiopachi.<br />

Calcoli di pigmento Possono essere:<br />

o Neri Sono radiopachi per la presenza del fosfato di calcio e si formano sempre nella<br />

colecisti.<br />

o Marroni Sono radiotrasparenti e si formano anche nelle vie biliari.<br />

Calcoli misti.<br />

Sabbia biliare Costituita da sali di calcio, cristalli di colesterolo e mucina. Può:<br />

‐ Rappresentare uno stadio precoce della formazione dei calcoli.<br />

‐ Scomparire da sola<br />

‐ Complicarsi Può a volte diventare più pericolosa del calcolo.<br />

Tipi di calcoli:<br />

• 75% Calcoli di colesterolo misto<br />

• 15% Calcoli pigmentari Sono causati dalla presenza di troppa bilirubina che un eccesso di<br />

emolisi, come per esempio nel favismo, nell’anemia emolitica e nella protesi valvolare.<br />

• 10% Calcoli di colesterolo puro.<br />

Il 99% dei calcoli crescono nella colecisti Possono rimanere lì (rimanendo asintomatici) oppure dare<br />

origine a complicanze.<br />

ANAMNESI<br />

Familiare:<br />

o Malattie emolitiche<br />

o Calcolosi della colecisti Associata all’obesità<br />

Fisiologica:<br />

o Sopra i 50 anni<br />

o Sesso Maschi:donne=1:3<br />

o Gravidanze<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Obesità<br />

Patologica remota:<br />

o Malattie emolitica<br />

o Ipercolesterolemia<br />

Patologica prossima:<br />

o Pregresse coliche biliari<br />

o Fattore scatenante Spesso un pasto grasso che fa contrarre la colecisti. A volte il<br />

movimento.<br />

o Tipo di dolore<br />

o Segni di complicanze Febbre, dolore, ittero.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

Calcolosi non complicata La maggior parte dei soggetti sono asintomatici. La diagnosi è legata<br />

alla diagnostica strumentale, in particolare l’ecografia fatta per altri motivi che mostra i calcoli. Ci<br />

possono essere sintomi non specifici come dispepsia (flatulenza, eruttazioni, gonfiore, nausea,<br />

vomito).<br />

L’unico sintomo specifico è la colica biliare Può comparire in qualsiasi momento, ma più spesso<br />

nelle ore successive alla digestione dopo un pasto grasso. Compare quando il calcolo si “incunea” a<br />

livello dell’infundibolo della colecisti, ostruendo il passaggio della bile. Si ha una contrazione<br />

spastica della colecisti che tenta di vincere l’ostacolo.<br />

o Se il calcolo si sposta e si riporta a livello del fondo/corpo della colecisti il quadro si risolve<br />

completamente<br />

o Se invece non si muove o scende ci possono essere complicanze.<br />

Si presenta come un forte dolore di rapidità crescente nell’ipocondrio destro e nell’epigastrio che si<br />

irradia. Ci sono disturbi neurovegetativi. C’è dolore riflesso:<br />

o Regione sottoscapolare Grazie al nervo grande splancnico<br />

o Regione paravertebrale Grazie al nervo grande splancnico<br />

o Spalla e collo destro Grazie al nervo frenico<br />

o Facci (raramente) Grazie al nervo vago.<br />

Il dolore dura di solito ½ ora, ¾ d’ora ma può arrivare anche a 3‐6 ore. Generalmente non si<br />

accompagna a febbre e si ha risoluzione completa dei sintomi. Può ricomparire.<br />

Esame obiettivo Può essere completamente negativo nel periodo inter‐cistico. Durante la colica,<br />

si ha dolore alla palpazione del punto cistico e la manovra di Murphy risulta positiva (ci deve essere<br />

anche l’arresto del respiro e non solo il dolore per considerarla positiva).<br />

Diagnosi:<br />

o Clinica<br />

o Laboratorio:<br />

Modesta leucocitosi<br />

Subittero fugace In realtà non dovrebbe esserci ma c’è scritto nei sacri testi.<br />

o Immagini:<br />

RX diretta (senza mezzo di contrasto) dell’addome Si vedono solo se c’è calcio e<br />

quindi non spesso non si vedono. Non si fa.<br />

Ecografia<br />

Calcolosi complicata:<br />

o Colecistite:<br />

Cronica È la complicanza più comune della calcolosi della colecisti. Può esordire<br />

come tale o rappresentare l’evoluzione di una forma acuta. È un processo flogistico<br />

cronico, indotto direttamente o indirettamente dal calcolo, che porta ad un<br />

profondo sovvertimento della parete colecistica con segni di flogosi, più o mano<br />

marcati, fibrosi, edema, retrazione, ecc…<br />

25


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Il dolore diventa modesto perché la colecisti perde la sua capacità di contrarsi.<br />

Diventa però sub continuo e scompare raramente. Ci sono i segni della flogosi, ma<br />

solo raramente provocano febbre.<br />

All’esame obiettivo si nota:<br />

• Addome trattabile<br />

• Ipocondrio destro dolorabile<br />

• Punto cistico dolorabile<br />

• Manovra di Murphy più o meno positiva.<br />

Diagnosi:<br />

• Clinica<br />

• Laboratorio:<br />

o Modesta leucocitosi<br />

o Indici di flogosi<br />

• Immagini Ecografia.<br />

Acuta In genere segue la colica biliare. Il calcolo incuneato nel dotto cistico causa<br />

stasi biliare che causa:<br />

• Proliferazione dei batteri (bile come urine non proprio sterile. Il valore<br />

soglia è però 10 volte più basso rispetto a quello delle urine) Colecistite.<br />

• Distensione della parete Danno ischemico della parete Colecistite.<br />

Si hanno:<br />

• Sintomi locali Dolore localizzato in ipocondrio destro e/o epigastrio<br />

importante, improvviso tipo colica ma persistente.<br />

• Sintomi generali Febbre che raggiunge in poche ore valori elevati,<br />

tachicardia, tachipnea.<br />

• Sintomi riflessi Nausea e vomito.<br />

All’esame obiettivo di ha:<br />

• Ispezione L’addome non si muove con gli atti del respiro. Il respiro è<br />

costale e superficiale.<br />

• Palpazione:<br />

o Superficiale Addome non trattabile o poco nell’ipocondrio<br />

destro.<br />

o Profonda Ostacolata dal dolore. Se si riesce a fare si ha Blumberg<br />

e Murphy positive.<br />

• Percussione Timpanismo aumentato<br />

• Ascoltazione Assente o torbida.<br />

Diagnosi:<br />

• Clinica<br />

• Laboratorio:<br />

o Leucocitosi elevata con spiccata neutrofilia<br />

o Aumento della VES E PCR<br />

o Possibile lieve aumento della bilirubina ed enzimi di stasi biliare<br />

• Immagini EcografiaMostra anche l’inspessimento della parete (aspetto<br />

trilaminare).<br />

Complicanze:<br />

• Sepsi da gram negativi<br />

• Perforazione libera del cavo peritoneale Peritonite<br />

• Fistolizzazione con il duodeno o con il colon trasverso Migrazione del<br />

calcolo.<br />

o Ostruzione del cistico Se un piccolo calcolo si incunea nel dotto cistico e lo ostruisce in<br />

modo permanente si ha una colecisti esclusa. Dopo una prima fase di tentativo di vincere<br />

l’ostacolo la colecisti di sfianca e si ha:<br />

26


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Idrope Si forma quando il contenuto di una colecisti esclusa è sterile. La colecisti<br />

aumenta di volume per la formazione di un trasudato. Non c’è nessuno segno di<br />

flogosi.<br />

Esame obiettivo:<br />

• Ispezione L’addome si muove con il respiro<br />

• Palpazione:<br />

o Superficiale L’addome è trattabile. Ci può essere dolenzia.<br />

o Profonda Si apprezza la tumefazione che si presenta mobile agli<br />

atti del respiro, di consistenza teso‐elastica, con superficie liscia e<br />

con margini netti.<br />

Può scomparire se il calcolo si muove.<br />

Empiema Si forma quando il contenuto di una colecisti esclusa non è sterile. Si ha<br />

accumulo di materiale purulento nel lume. Il quadro clinico è analogo a quello di<br />

una colecistite acuta. Si hanno i segni locali e sistemici della flogosi. L’omento di<br />

attacca alla fibrina che trasuda dalla colecisti.<br />

All’esame obiettivo di ha:<br />

• Ispezione Addome non mobile agli atti del respiro<br />

• Palpazione:<br />

o Superficiale Addome non trattabile<br />

o Profonda Si nota una tumefazione molto dolorabile con margini<br />

indistinti (quasi una pastosità) a causa dell’omento.<br />

o Perforazione Si ha un danno alla parete che causa una peritonite.<br />

o Fistole biliari C’è flogosi della parete e aderenza della colecisti con un altro viscere grazie<br />

alla fibrina che viene trasudata (duodeno o colon trasverso). Si ha la perforazione della<br />

parete della colecisti e della parete del viscere, formazione di una fistola e passaggio del<br />

calcolo nell’organo. Il passaggio di solito è misconosciuto. Ci possono essere al massimo<br />

sanguinamenti.<br />

Se il calcolo passa nel duodeno Si ferma nel tenue e può occludere. Siccome il<br />

tenue è sterile non ci sono conseguenze per la colecisti.<br />

Se il calcolo passa nel colon Finisce nelle feci. C’è però flogosi della colecisti<br />

perché il colon non è sterile.<br />

I segni clinici sono:<br />

Pregressi sintomi “biliari”<br />

Dolore improvviso acuto all’epigastrio<br />

Possibile ematemesi o melena<br />

Episodi bilio‐settici<br />

Ileo meccanico.<br />

Con la diagnosi per immagine non si vedono i calcoli ma si può trovare aria nelle vie biliari<br />

o Cancerizzazione Il carcinoma alla colecisti nella maggior parte dei casi si presenta<br />

associato alla colecistite cronica calcolosa di vecchia data. Diffonde rapidamente. La<br />

sintomatologia iniziale va molto spesso confusa con quella della calcolosi che la precede.<br />

Talora la diagnosi è solo intraoperatoria. La comparsa di ittero, pur molto precoce, è un<br />

segno di neoplasia avanzata.<br />

All’esame obiettivo può essere palpabile come una massa dura a margini non netti,<br />

superficie irregolare. Quando si palpa è però allo stadio avanzato e non più operabile.<br />

Diagnosi:<br />

Laboratorio Marker sierici<br />

Immagini:<br />

• Ecografia<br />

• TAC<br />

• ERCP Endoscopica Retrograda ColangioPancreatografia Retrograda<br />

perché si inietta il contrasto dal retto.<br />

27


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Litiasi coledocica Il 10% dei pazienti con litiasi biliare ha litiasi coledocica. Si intende la<br />

presenza di calcoli nella via biliare. Mentre come abbiamo visto un calcolo nella colecisti<br />

può non essere operato, un calcolo nella via biliare deve sempre essere operato.<br />

Sono i piccoli calcoli quelli che possono migrare più facilmente attraverso il cistico. Nel<br />

coledoco possono muoversi liberamente o localizzarsi, a seconda del loro diametro. Il<br />

calcolo determina quasi sempre una certa irritazione del coledoco a cui segue edema che<br />

contribuisce ad ostacolar il flusso della bile. Ne segue una ipertensione endocanalicolare<br />

che è responsabile della progressiva dilatazione della via biliare, sia extra‐ che intra‐epatica.<br />

La stasi biliare:<br />

Può favorire la proliferazione dei germi<br />

Causa un ittero capriccioso se si sgonfia l’edema e l’occlusione scompare a volte.<br />

Se il calcolo si incunea nella papilla può causare una pancreatite.<br />

Può determinare quindi:<br />

Ittero capriccioso Perché non sempre il canale è ostruito se si risolve l’edema o<br />

non c’è più vasospasmo.<br />

Colangite Batteri Gram negativi<br />

Pancreatite biliare<br />

Cirrosi biliare secondaria.<br />

Clinica:<br />

Talvolta asintomatica<br />

Talvolta compare dolore epigastrico (più mediano e aspecifico rispetto ai<br />

precedenti) più viscerale.<br />

Possibile irradiazione<br />

Prurito<br />

Ittero a iperbilirubinemia diretta<br />

Alterazione della cromia fecale/urinaria<br />

Se c’è colangite si ha febbre e i segni della flogosi L’addome è comunque<br />

trattabile perché non è a contatto con la parete.<br />

28


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ASCITE<br />

Per ascite si intende una raccolta di liquido all’interno della cavità peritoneale, indipendentemente dalla<br />

sua natura di essudato o trasudato.<br />

L’esame diretto del malato consente di dimostrare la presenza di ascite solo quando questa è di almeno 1<br />

litro.<br />

Classicamente questo termine viene usato propriamente non tanto per i piccoli versamenti, ma per quelli<br />

che alterano la normale forma dell’addome, cioè quelli valutabili all’esame obiettivo (> 1 litro).<br />

In presenza di liquido ascitico l’intestino e lo stomaco, con il loro contenuto aereo, “galleggiano” e vengono<br />

sospinti verso la parete addominale anteriore.<br />

Se l’ascite è di recente insorgenza l’addome diventa globoso. Dopo una po’ diventa batraciano perché c’è<br />

uno sfiancamento della parete dell’addome sui lati.<br />

Il rilievo dell’ascite è sempre indice di una condizione patologica che deve essere indagata con la massima<br />

attenzione.<br />

CARATTERISTICHE DELL’ADDOME<br />

Si può sospettare la presenza di ascite in presenza di:<br />

‐ Aumento del volume dell’addome<br />

‐ Addome batraciano<br />

‐ Reticoli venosi superficiali<br />

‐ Cicatrice ombelicale appianata o estroflessa<br />

‐ Possibili ernie ombelicali o inguinali.<br />

CAUSE DI ASCITE<br />

Le possibili cause sono:<br />

• Cirrosi epatica<br />

• Neoplasie (gastrica, epatica, ovarica, linfomi, metastasi peritoneali)<br />

• Scompenso cardiaco congestizio<br />

• Pericardite costrittiva<br />

• Tubercolosi<br />

• Pancreatite acuta<br />

• Sindrome nefrosica<br />

• Polisierosite.<br />

La cirrosi è una malattia cronica degenerativa in cui i normali epatociti vengono distrutti e sostituiti da<br />

tessuto fibroso. La perdita della funzione epatica normale porta all’alterazione della capacità del fegato di<br />

detossificare farmaci e tossine, di sintetizzare proteine del plasma e crea un ostacolo al “deflusso” ematico<br />

portale determinando una ipertensione portale.<br />

L’ascite è la più comune complicanza dell’ascite. Ha un significato prognostico negativo e peggiora la qualità<br />

della vita. Necessita di terapia cronica e trattamenti invasivi. Può portare ad ulteriori complicazioni.<br />

Nella cirrosi epatica si ha inoltre:<br />

‐ Ittero<br />

‐ Cachessia<br />

‐ Alterato stato di coscienza<br />

‐ Edema declive Anasarca.<br />

L’insufficienza epatica porta inoltre l’eritema palmare, spider nevi e ginecomastia.<br />

Si può infine arrivare all’ipertensione portale Elevati regimi pressori nel sistema venoso portale che sono<br />

secondari all’aumento delle resistenza al deflusso. Comporta:<br />

o Collateralizzazione del sistema venoso porto‐sistemico con formazione degli shunt:<br />

o Profondi:<br />

Vene esofagee inferiori<br />

29


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Vene emorroidarie superiori<br />

Sistema del Retzius A differenza dei precedenti che sono presenti anche alla<br />

nascita e si ipertrofizzano e basta, questo non è presente ma gli stravasi originano<br />

solo in presenza dell’ipertensione portale.<br />

o Superficiali:<br />

Attraverso le vene porte accessorie dello Sappey Decorrono lungo il legamento<br />

sospensore e il legamento rotondo e permettono lo scarico del sangue portale<br />

nelle vene superficiali dell’addome, soprattutto della regione periombelicale<br />

Attraverso la vena ombelicale che viene a riabilitarsi<br />

Sindrome di Cruveilhier‐Baumgarten con atresia delle sovraepatiche e persistenza<br />

della ombelicale<br />

o Arterializzazione della microcircolazione epatica.<br />

ESAME OBIETTIVO<br />

Ispezione<br />

Si nota:<br />

‐ Addome aumentato di volume (globoso/batraciano)<br />

‐ Cicatrice ombelicale pianeggiante/estroflessa<br />

‐ Reticoli venosi superficiali Caput medusae.<br />

Palpazione<br />

Si ha:<br />

‐ Segno del fiotto<br />

‐ Eventuale segno del “ghiacciolo” Se il fegato è in cirrosi è più rigido e galleggia a causa dell’ascite.<br />

Dando un colpo nell’ipocondrio destro si approfonda e poi ritorna indietro dando un impulso alle<br />

dita.<br />

Percussione<br />

Va effettuata a raggiera. Si nota una zona di ottusità a concavità rivolta verso l’alto, mobile con il decubito.<br />

È importante valutare il movimento con il decubito per effettuare la diagnosi differenziale con la cisti<br />

ovarica e il meteorismo, i quali limiti non variano con il decubito.<br />

PARACENTESI<br />

Prelievo di liquido ascitico. La sede elettiva per la “puntura” della parete addominale è il quadrante<br />

inferiore di sinistra, in corrispondenza del punto di McBurney. Prima di introdurre l’ago in addome è<br />

indispensabile confermare la presenza di liquido nella sede del prelievo. La paracentesi può avere uno<br />

scopo diagnostica o evacuativa. È molto importante che la manovra si eseguita in condizioni di massima<br />

sterilità.<br />

Il paziente deve essere in posizione semiseduta, inclinato sul fianco sinistro. Controllare con la percussione<br />

la presenza di ascite nella sede prescelta. Disinfettare la cute e praticare un’anestesia locale. Introdurre<br />

l’ago perpendicolarmente rispetto alla cute. Inserire l’ago lentamente fino a quando inizia il gemizio di<br />

liquido.<br />

Normalmente si effettua sotto controllo ecografico per non rischiare di bucare un’ansa intestinale se<br />

l’ascite è poca. Se è molta basta la percussione.<br />

CARATTERISTICHE DEL LIQUIDO<br />

Colore<br />

Peso specifico<br />

Concentrazione proteica<br />

Prova di Rivalta<br />

Esame microbiologico<br />

Esame citologico.<br />

Può essere:<br />

• Trasudato presenta:<br />

30


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Colore giallo citrico<br />

o Peso specifico di 1008‐15<br />

o Concentrazione proteica inferiore a 2gr%<br />

o Prova di Rivalta negativa<br />

o Esame microbiologico negativo.<br />

• Essudato Presenta:<br />

o Colore giallo scuro<br />

o Peso specifico maggiore di 1008‐15<br />

o Concentrazione proteica maggiore di 2gr%<br />

o Prova di Rivalta positiva<br />

o Esame microbiologico positivo o negativo.<br />

31


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ADDOME ACUTO<br />

Sindrome a insorgenza per lo più improvvisa, con manifestazioni cliniche acute, a rapida ingravescenza, e<br />

prognosi severa nel breve periodo qualora non si intervenga con provvedimenti urgenti, per lo più di ordine<br />

chirurgico.<br />

DIAGNOSI<br />

È fondamentale per la diagnosi:<br />

‐ Corretta anamnesi<br />

‐ Accurato esame obiettivo<br />

‐ Valutazione radiologica e strumentale essenziale.<br />

La diagnosi è tuttora fondamentalmente clinica e si basa su:<br />

• Dolore<br />

• Obiettività di parete, che evidenzia una difesa.<br />

Dall’anamnesi è fondamentale ricavare:<br />

o Sede e modalità di insorgenza del dolore<br />

o Irradiazione del dolore<br />

o Intensità del dolore<br />

o Tipo di dolore<br />

o Eventuali segni/sintomi associati.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

Emocromo con formula leucocitaria<br />

Glicemia, azotemia, creatininemia, bilirubinemia, transaminasemia, amilasemia<br />

Prove di coagulazione<br />

Elettroliti sierici<br />

Esame delle urine.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

RX diretta dell’addome<br />

Esami radiologici contrastografici<br />

Ecografia<br />

TAC.<br />

Diagnostica strumentale:<br />

‐ Endoscopia digestiva Gastroscopia, coloscopia.<br />

‐ Laparoscopia.<br />

CAUSE<br />

Le possibili cause di addome acuto sono:<br />

1) Infiammazione peritoneale<br />

2) Occlusione intestinale<br />

3) Emorragie.<br />

PERITONITI<br />

Si dividono in:<br />

PrimitivePossono essere:<br />

o Ematogene<br />

o Attraverso le tube a causa di metodi contraccettivi<br />

o Infezione dell’ascite nel cirrotico In realtà secondaria ad un intervento medico.<br />

o Peritoniti in pazienti in dialisi peritoneale In realtà secondaria ad un intervento medico.<br />

Secondarie Causate da:<br />

o Perforazione di un organo Rapida evoluzione verso un quadro di peritonite generalizzata.<br />

o Propagazione di una infiammazione di un viscere Processo infiammatorio inizialmente<br />

localizzato e solo successivamente tendente alla diffusione.<br />

32


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

NOTE FISIOPATOLOGICHE<br />

L’irritazione del peritoneo comporta:<br />

• Risposta locale infiammatorie Iperemia, congestione ed edema comportano la formazione di un<br />

essudato peritoneale che può essere: torbido, purulento o emorragico.<br />

• Ileo paralitico Arresto della peristalsi, distensione intestinale, alvo chiuso a feci e gas, riduzione<br />

del riassorbimento di liquidi dal lume intestinale. I liquidi che si accumulano nel lume intestinale e<br />

nel cavo peritoneale provocano la dilatazione del “terzo spazio”, con conseguente ipovolemia.<br />

L’ileo paralitico è conseguenza della legge di Stokes All’irritazione del peritoneo consegue, in via<br />

riflessa, la paralisi della muscolatura liscia dell’intestino e la contrattura di quella striata della<br />

parete addominale.<br />

• Risposta generale dell’organismo Comprende modificazioni:<br />

o Emodinamiche e cardiovascolari Diminuzione della perfusione dei tessuti.<br />

o Respiratorie Atelettasia delle basi polmonari, alterazioni degli scambi alveolo‐capillari<br />

o Endocrine e metaboliche Aumentata secrezione di ACTH e ormoni catabolici, insulino‐<br />

resistenza, deplezione delle proteine viscerali e quindi dei muscoli.<br />

La perdita di liquidi all’interno delle anse e l’accumulo di liquido nell’interstizio causa ipovolemia e si può<br />

arrivare allo shock ipovolemico. Se nel liquido ci sono germi si può arrivare a shock settico.<br />

Shock complesso Si tratta di una forma particolarmente grave di shock, caratterizzato da un lato da<br />

disidratazione con formazione del terzo settore (shock ipovolemico) e dall’altro dal passaggio in circolo di<br />

germi/tossine (shock settico).<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Dolore addominale Acuto, violento, continuo, dapprima localizzato e quindi diffuso.<br />

Sintomi riflessi Nausea e vomito.<br />

Ileo dinamico Chiusura dell’alvo a feci e gas.<br />

Addome a tavola<br />

Manovre di Blumberg”Dolore di rimbalzo”<br />

Urlo di Douglas<br />

PERITONITI DA PERFORAZIONE<br />

Tutti gli organi cavi, in rapporto ad una patologia di parete, possono perforarsi e dare origine ad una<br />

peritonite che tende rapidamente a diffondere in tutto il cavo peritoneale. La gravità del quadro clinico<br />

dipenderà, in molta parte, dalla carica batterica presente nell’organo sede della perforazione. C’è la<br />

possibilità di un’evoluzione verso uno “shock complesso”.<br />

L’omento e il peritoneo, con il suo potere plastico e la sua clearance batterica, tendono a mantenere<br />

localizzata l’infezione.<br />

I casi clinici più frequenti sono:<br />

• Stomaco e duodeno Nelle prime fasi si ha una peritonite chimica, a causa dell’azione irritante<br />

dovuta all’acido cloridrico. Dopo circa 4 ore interviene la contaminazione batterica e si ha quindi<br />

una peritonite batterica. La perforazione dell’ulcera peptica è spesso preceduta da una patologia<br />

gastro‐duodenale o assunzione di farmaci. Il quadro clinico d’esordio consiste in:<br />

o Violenta sintomatologia d’esordio<br />

o Dolore a colpo di pugnale<br />

o Localizzazione epigastrica<br />

o Posizione supina obbligata<br />

o Tachipnea e tachicardia.<br />

Dopo 4‐6 ore si ha:<br />

o Dolore addominale diffuso<br />

o Ipotensione e shock<br />

o Progressiva distensione addominale<br />

o Ileo dinamico.<br />

All’esame obiettivo:<br />

33


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg positivo<br />

o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica<br />

o Assenza di rumori peristaltici.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

o Aumento dei globuli bianchi<br />

o Aumento dell’ematocrito<br />

o Urine concentrate.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta dell’addome Nel 90% dei casi si nota la presenza di aria libera nell’addome e si<br />

vede la falce d’aria sottodiaframmatica.<br />

o Nei casi dubbi si utilizza la TAC.<br />

• Colon Patogenesi Malattia diverticolare, neoplasia, colite ulcerosa, colite ischemica.<br />

Il quadro clinico è:<br />

o Dolore addominale inizialmente nella sede della perforazione quindi diffusa.<br />

o Chiusura dell’alvo a feci e gas.<br />

o Segni e sintomi di shock<br />

o Febbre e tachicardia.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg positivo<br />

o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica<br />

o Arresto della peristalsi.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

o Leucocitosi neutrofila.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta dell’addome<br />

o Clisma opaco<br />

o Ecotomografia e TAC Utili solo per la definizione di raccolte purulente saccate.<br />

• Tenue Patogenesi Diverticolo di Mekel, traumi, linfomi, morbo di Crohn.<br />

Il quadro clinico immediato è composto da:<br />

o Dolore a colpo di pugnale<br />

o Localizzazione periombelicale<br />

o Tachicardia.<br />

Evoluzione rapida del dolore a tutto l’addome.<br />

All’esame obiettivo si nota:<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg positivo<br />

o Scompaia dell’aia di ottusità epatica<br />

o Silenzio peristaltico.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

o Leucocitosi<br />

o Squilibrio elettrolitico<br />

o Deplezione volemica.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta dell’addome Si nota la presenza di aria libera.<br />

o Ecotomografia Ruolo limitato nei casi di peritonite circoscritta.<br />

o TAC.<br />

• Colecisti e vie biliari C’è spandimento endoperitoneale di bile. C’è l’azione irritante sul peritoneo<br />

dovuta ai sali biliari, quasi sempre associata ad una componente batterica più o meno importante.<br />

Possibili gravi versamenti nel cavo peritoneale.<br />

Quadro clinico immediato:<br />

34


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Dolore per lo più sordo, gravativo<br />

o Localizzazione in ipocondrio destro<br />

o Spesso irradiato alla scapola e alla spalla<br />

o Nausea e vomito.<br />

Quadro clinico dopo alcune ore:<br />

o Febbre<br />

o Tachicardia<br />

o Grave disidratazione<br />

o Ittero o subittero (se presente ostruzione).<br />

Esame obiettivo:<br />

o Addome disteso<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg positivo<br />

o Ileo paralitico.<br />

Diagnosi di laboratorio:<br />

o Leucocitosi<br />

o Emoconcentrazione<br />

o Aumento della bilirubinemia e della fosfatasi alcalina<br />

o Urine concentrate.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta addome (ileo paralitico)<br />

o Ecotomografia (patologia litiasica biliare, versamento libero).<br />

PERITONITI DA PROPAGAZIONE DELL’INFIAMMAZIONE<br />

AppendiciteIl quadro clinico si presenta come:<br />

o Dolore sordo o crampiforme prima in regione epigastrica e successivamente localizzato in<br />

fossa iliaca destra.<br />

o La migrazione del dolore è da considerarsi caratteristica anche se incostante.<br />

o Nausea e vomito<br />

o Alterazione della canalizzazione (stipsi).<br />

Più tardivamente può comparire:<br />

o Febbre<br />

o Alvo chiuso a feci e gas.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Dolore/contrattura di difesa in fossa iliaca destra<br />

o Manovra di Blumberg positiva<br />

o Segno di Rovsing<br />

o Dolore “elettivo” provocato nei punti appendicolari<br />

o Contrattura antalgica dell’ileo‐psoas<br />

o “Grido” di Douglas.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

o Emocromo con formula leucocitaria<br />

o Esame delle urine<br />

o Test di gravidanza.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta dell’addome Poco utile in questo caso<br />

o Ecotomografia Per ricercare eventuale ascesso appendicolare e per diagnosi differenziale<br />

con:<br />

Morbo di Crohn<br />

Patologia ginecologica<br />

Pielonefrite<br />

35


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Calcolosi renale<br />

Colecistite.<br />

o Laparoscopia.<br />

Colecistite Il quadro clinico si presenta come:<br />

o Dolore gravativo in ipocondrio destro<br />

o Irradiazione sottoscapolare, epigastrica e spalla destra<br />

o Vomito biliare e febbre<br />

o Possibile alvo chiuso a feci e gas.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Ridotte escursioni respiratorie<br />

o Distensione addominale<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg e Murphy positivi<br />

o Timpanismo circostante all’area flogistica<br />

o Peristalsi rallentata<br />

o Punti dolorosi Punto cistico, manovra di Murphy.<br />

Diagnostica di laboratorio:<br />

o Leucocitosi elevata con spiccata neutrofilia<br />

o Bilirubina ed enzimi di stasi biliare<br />

o Amilasi.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta addome (calcoli, ileo paralitico)<br />

o Ecotomografia (permette di visualizzare formazioni litiasiche, mostra inspessimento o<br />

assottigliamento della parete del viscere, versamento libero) .<br />

Pancreatite acuta necrotizzante Patogenesi: le forme alcoliche e biliari da sole rappresentano<br />

oltre il 90% di tutte le pancreatiti. Quadro clinico:<br />

o Dolore ingravescente o violento, trafittivo<br />

o Localizzazione epigastrica<br />

o Irradiazione a cintura (forme necrotizzanti)<br />

o Nausea e vomito.<br />

All’esame obiettivo addominale si ha:<br />

o Discreta distensione addominale<br />

o Contrattura di difesa, manovra di Blumberg positiva<br />

o Segno di Grey Turner Aree ecchimotiche nella regione dei fianchi<br />

o Segno di Cullen Aree ecchimotiche nella regione periombelicale<br />

o Peristalsi torpida/assente<br />

o Possibile versamento ascitico.<br />

All’esame obiettivo generale si ha:<br />

o Tachicardia<br />

o Pallore e sudorazione fredda<br />

o Può essere presente ittero o subittero.<br />

Diagnostica di laboratorio<br />

o Emocromo con formula leucocitaria<br />

o Lipasi/amilasemia.<br />

Diagnostica per immagini:<br />

o RX diretta addome (si notano calcificazioni, ileo paralitico)<br />

o Ecotomografia addome superiore<br />

o TAC e colangioRMN.<br />

Malattia diverticolare I diverticoli del colon sono estroflessioni (più o meno numerose) della<br />

mucosa e della sottomucosa attraverso la tunica muscolare. I diverticoli veri coinvolgono mucosa,<br />

sottomucosa, muscolare e sierosa. I diverticoli falsi presentano solo sierosa e mucosa. Si hanno più<br />

36


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

frequentemente nel sigma (65%). Si possono avere anche nel discendente e nell’ascendente<br />

(Giappone). Compaiono per un aumento di pressione all’interno dell’organo.<br />

Sindrome di SAINT C’è una debolezza dei tessuti che si manifesta come:<br />

o Ernia iatale<br />

o Calcolosi della colecisti<br />

o Diverticoli del colon.<br />

Malattia diverticolare Si divide in:<br />

o Lieve Patogenesi: stasi fecale (coprolita) e assenza della parete muscolare (mancata<br />

espulsione più edema del colletto). Il quadro clinico presenta:<br />

Stipsi prevalente<br />

Alterata consistenza a feci e flatulenza<br />

Dolore lieve.<br />

All’esame obiettivo non si nota nulla. Al massico c’è la presenza della corda colica.<br />

o Conclamata Patogenesi: microperforazioni diverticolare (su base ischemica da<br />

compressione a livello del colletto). Si ha l’infiammazione del diverticolo (peridiverticolite).<br />

Sintomatologia (appendicite di sinistra):<br />

Dolore in fianco sinistro<br />

Febbre<br />

Nausea‐vomito/alvo chiuso a feci e gas.<br />

Esame obiettivo:<br />

Difesa e Blumberg positivo<br />

Peristalsi assente/torpida.<br />

o Complicata:<br />

Acuta:<br />

• Ascesso È la complicanza più frequente. La perforazione è coperta e ci<br />

sono condizioni favorenti la circoscrizione del processo (perforazione nel<br />

mesentere, pregresse aderenze, tamponamento dell’omento).<br />

Quadro clinico:<br />

o Dolore (importante) in fossa iliaca destra<br />

o Febbre suppurativa<br />

o Chiusura dell’alvo.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Reazione di difesa<br />

o Blumberg positivo/Douglas dolorabile<br />

o Peristalsi torpida/assente.<br />

• Perforazione Patogenesi: può essere stercoracea o purulente (può<br />

rappresentare anche l’evoluzione di un ascesso peridiverticolare).<br />

Quadro clinico:<br />

o Dolore addominale trafittivo/gravativo inizialmente nella sede<br />

della perforazione quindi diffuso<br />

o Chiusura dell’alvo a feci e gas<br />

o Segni e sintomi di shock (complesso)<br />

o Febbre e tachicardia.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Contrattura di difesa<br />

o Blumberg positivo/Douglas dolorabile<br />

o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica<br />

o Arresto della peristalsi.<br />

• Occlusione Patogenesi:<br />

o Meccaniche:<br />

Edema parietale<br />

Residui vegetali grossolani<br />

37


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Flogosi periviscerale (tenue).<br />

o Dinamiche Ileo paralitico.<br />

Quadro clinico:<br />

o Dolore addominale crampiforme (colica)<br />

o Chiusura dell’alvo a feci e gas<br />

o Nausea e vomito<br />

o Progressiva distensione addominale.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Addome meteorico/trattabile<br />

o Blumberg negativo<br />

o Ottusità epatica conservata<br />

o Peristalsi metallica/assente .<br />

• Emorragia Patogenesi:<br />

o Lesione di un vaso retto:<br />

Decubito del fecaloma<br />

Flogosi di parete.<br />

o Erosione mucosa.<br />

Quadro clinico:<br />

o Rettorragia con emissione di sangue rosso vivo/rosso scuro<br />

o Possibile dolore addominale<br />

o Possibile shock (raro).<br />

Esame obiettivo:<br />

o Addome trattabile<br />

o Per lo più dolorabile in fossa iliaca sinistra<br />

o Possibile corda colica<br />

o Segni di irritazione peritoneale<br />

o All’esplorazione rettale sangue rosso più o meno vivo.<br />

Cronica:<br />

• Stenosi infiammatoria Esiti di ripetuti episodi di flogosi:<br />

o Fibrosi<br />

o Angolatura<br />

o Tumore infiammatorio.<br />

Quadro clinico:<br />

o Stipsi ingravescente<br />

o Dolore crampiforme<br />

o Sindrome di Koening Sub‐occlusione intestinale Dolore<br />

addominale a tipo colica, peristaltismo accentuato (visibile), rumori<br />

musicali, risoluzione del quadro con scarica diarroica e/o gassosa.<br />

o Chiusura dell’alvo a feci e gas.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Distensione addominale<br />

o Tumefazione palpabile in fossa iliaca sinistra<br />

o Peristalsi vivace(accentuata).<br />

• Fistole Possono essere:<br />

o Vescica 50‐65% Si ha pneumaturia, fecaluria, cistiti ricorrenti<br />

o Vagina 10‐25% Perdite maleodoranti, enteriche<br />

o Ileo Accelerato transito intestinale, scariche diarroiche<br />

o Uretere<br />

o Cute Fistola stercoracea.<br />

• Emorragie recidivanti.<br />

38


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

OCCLUSIONE INTESTINALE<br />

Arresto della progressione di soldi, liquidi e gas all’interno del canale alimentare.<br />

Ileo meccanico Presenza di un reale ostacolo alla progressione intestinale. Eziopatogenesi:<br />

o Ostruzione Presenza di un ostacolo endoluminale (tumori vegetanti, corpi estranei,<br />

calcoli biliari, fecalomi)<br />

o Stenosi Presenza di un processo infiltrante parietale (tumori, morbo di Crohn)<br />

o Compressione Presenza di una patologia extraluminare (tumori retroperitoneali, renali)<br />

o Angolatura Formazione di angoli acuti lungo il decorso intestinale (aderenze viscero‐<br />

viscerali e viscero‐parietali).<br />

o Strangolamento Grave compromissione vascolare del tratto occluso (invaginazione,<br />

volvolo, strozzamento da cingolo).<br />

Ileo dinamico (o paralitico) Incapacità di peristalsi con rilassamento diffuso della parete<br />

intestinale. Eziopatogenesi:<br />

o Infiammazione del peritoneo peritonite di qualsiasi origine<br />

o Traumi dell’addome Anche senza lesioni<br />

o Interventi chirurgici<br />

o Farmaci Oppiacei, neuroplegici, miorilassanti.<br />

DOLORE ADDOMINALE<br />

• Dolore addominale:<br />

o Nell’ileo meccanico “semplice” è discontinuo Legato alla peristalsi. Si alternano attacchi<br />

più o meno ravvicinati e momenti di calma. Quando la peristalsi cessa definitivamente,<br />

arrendendosi all’ostacolato transito, il paziente si sente meglio, ma il quadro si è aggravato.<br />

o Nell’ileo meccanico con strangolamento è continuo Dolore continuo con recrudescenze<br />

legate alla peristalsi.<br />

o Nell’ileo paralitico è variabile Dipende per lo più dalla causa che lo ha provocato, può<br />

essere anche molto modesto, mentre è drammatico nell’ileo paralitico associato a<br />

peritonite diffusa generalizzata.<br />

• Chiusura dell’alvo a feci e gas:<br />

o Totale Se ileo paralitico<br />

o Totale o parziale Se ileo meccanico.<br />

Vi può essere l’emissione di “poche feci o acqua sporca” per lo svuotamento del contenuto e dei<br />

secreti della porzione di intestino a valle dell’ostruzione.<br />

• Distensione addominale<br />

• Vomito:<br />

o Se l’ostruzione è alta è gastrico‐bilaire<br />

o Se l’ostruzione è bassa è fecaloide.<br />

Il vomito è tanto più precoce quanto più alta è la sede dell’occlusione.<br />

L’impedito transito e l’atonia parietale non permettono al contenuto liquido normalmente secreto nel lume<br />

intestinale di venire fisiologicamente assorbito.<br />

DIAGNOSI<br />

• Esame clinico:<br />

o Valutazione della sintomatologia<br />

o Anamnesi<br />

o Esame obiettivo:<br />

Ispezione Addome disteso, meteorico<br />

• Diffusamente Nell’ileo dinamico e nelle fasi avanzate dell’ileo meccanico<br />

(arresto della peristalsi)<br />

• Settorialmente Nelle prime fasi dell’ileo meccanico, in relazione alla<br />

porzione dell’intestino sovra disteso<br />

39


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Non trascurare l’ispezione delle regioni inguinali per escludere eventuali ernie<br />

inguinali.<br />

Palpazione Addome teso, elastico (percezione tattile della peristalsi se ancora<br />

presente)<br />

Percussione Suono timpanico<br />

Auscultazione:<br />

• Silenzio addominale Ileo dinamico e fasi avanzate dell’ileo meccanico<br />

• Borborigmi Intendi nelle fasi precoci, di “lotta” dell’ileo meccanico.<br />

o Esplorazione rettale Negativa nell’ileo meccanico da ostruzione colica, può evidenziare<br />

un fecaloma, frequente causa di occlusione intestinale nel paziente geriatrico allettato.<br />

• Esame radiologico RX addome diretto Si basa sulle immagini naturali di contrasto, prodotte<br />

dalle raccolte liquide e di gas che si formano nell’intestino occluso (livelli idro‐aerei). Senza aver<br />

mangiato il tenue è vuoto e il colon non ha acqua perché è assorbita dalle feci. Nell’occlusione si ha<br />

aria a digiuno.<br />

o Ileo meccanico Distensione limitata alla porzione di intestino a monte dell’ostacolo.<br />

Presenza di livello idro‐aerei dovuti al ristagno del liquido sovrastato dal gas.<br />

o Ileo dinamico (paralitico) Distensione diffusa.<br />

Qualora le condizioni cliniche del paziente lo permettano è possibile una diagnosi strumentale di<br />

localizzazione particolarmente utile al chirurgo:<br />

‐ RX clisma opaco<br />

‐ RX tubo digerente<br />

‐ Clisma TC<br />

‐ Colonscopia<br />

‐ EGDS.<br />

OSTRUZIONI MECCANICHE ALTE<br />

Nelle sindromi ostruttive meccaniche alte si ha:<br />

‐ Vomito a getto privo di bile Se l’ostruzione è a livello pilorico<br />

‐ Vomito biliare Se l’ostruzione è sottopapillare<br />

‐ Vomito a contenuto enterico Se l’ostruzione è a livello del digiuno prossimale.<br />

Si ha grave disidratazione, alterazione idroelettrolitica e se di lunga durata, alterazione dell’equilibrio<br />

acido/base.<br />

Esame obiettivo Si nota:<br />

‐ Tumefazione epigastrica<br />

‐ Guazzamento all’auscultazione.<br />

Diagnostica:<br />

• RX diretta addome, spesso negativa<br />

• RX con contrasto idrosolubile<br />

• Endoscopia.<br />

OCCLUSIONI MECCANICHE DEL TENUE MEDIO/BASSO<br />

Patogenesi:<br />

‐ Volvolo, invaginazione intestinale<br />

‐ Strozzamento da briglia, erniario<br />

‐ Neoplasia<br />

‐ Calcolo biliare, fitobenzoari<br />

‐ Compressione estrinseca<br />

‐ Morbo di Crohn.<br />

Quadro clinico:<br />

• Esordio spesso improvviso<br />

• Dolore crampiforme, localizzazione periombelicale<br />

• Nausea<br />

40


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Vomito (enterico)<br />

• Febbre<br />

• Chiusura dell’alvo.<br />

Esame obiettivo:<br />

o Polso frequente e molle (disidratazione da vomito e da terzo settore)<br />

o Presenza di eventuali pregresse cicatrici<br />

o Trattabile (se non sofferenza viscerale)<br />

o Dolorabile<br />

o Aree di timpanismo<br />

o Iperperistaltismo e rumori metallici.<br />

Diagnostica di laboratorio Leucocitosi e alterazioni idro‐elettriche<br />

Diagnostica per immagini:<br />

‐ RX diretta addome in clinostatismo (anse intestinali a monte dell’ostruzione) e in ortostatismo<br />

(livelli idro‐aerei)<br />

‐ RX clisma del tenue (esame del tubo digerente con contrasto<br />

‐ TAC addome.<br />

OSTRUZIONI MECCANICHE DEL COLON<br />

Patogenesi:<br />

• Neoplasie<br />

• Volvolo<br />

• Diverticoliti<br />

• Strozzamento erniario.<br />

Se la valvola ileo‐colica è continente c’è vomito tardivo, massima distensione del colon con possibile<br />

perforazione diastatica. Se la valvola ileo‐colica è incontinente c’è distensione precoce di ileo e colon con<br />

vomito precoce (fecaloide) e addome globoso.<br />

Sintomatologia:<br />

‐ Sintomatologia d’esordio in rapporto alla causa<br />

‐ Dolore inizialmente crampiforme che diventa poi continuo<br />

‐ Distensione addominale (meteorismo)<br />

‐ Chiusura dell’alvo a feci e gas<br />

‐ Nausea e vomito<br />

‐ Sintomi sistemici Tachicardia, febbre, ecc…<br />

Esame obiettivo:<br />

• Distensione addominale<br />

• Tumefazione palpabile (esplorazione rettale)<br />

• Dolorabilità diffusa/circoscritta<br />

• Timpanismo ileo‐colico aumentato<br />

• Peristalsi metalliche che diventa torpida.<br />

Diagnostica di laboratorio Leucocitosi e alterazioni idro‐elettrolitiche<br />

Diagnostica per immagini:<br />

‐ RX diretta addome<br />

‐ Colonscopia<br />

‐ RX clisma opaco<br />

‐ TAC addome.<br />

41


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

SCREENING DEL CANCRO DEL COLON<br />

Per essere un buon screening la malattia deve:<br />

‐ Avere un lungo periodo asintomatico<br />

‐ Avere un andamento preclinico lento<br />

‐ Poter essere trattata precocemente con ottimi risultati<br />

‐ Ci deve essere la possibilità di fare diagnosi precoce<br />

‐ Il test non deve essere invasivo.<br />

Si divide la popolazione in tre fasce:<br />

• Basso rischio < 50 anni Nessun screening<br />

• Medio rischio > 50 anni Si effettua la ricerca del sangue occulto o la colonscopia<br />

• Alto rischio Familiarità o paziente con già storia tumorale o polipo Si fa pancoroscopia.<br />

Nel 5% dei casi i polipi possono essere piatti e sfuggire facilmente.<br />

Con la chirurgia la sopravvivenza è del 75% prima che siano delle metastasi.<br />

EMORRAGIE<br />

Si possono dividere in:<br />

• Occulte<br />

• Croniche<br />

• Acute.<br />

I sintomi sono:<br />

o Ematemesi Emissione di sangue con il vomito.<br />

o Se il sangue è rosso vivo si parla di ematemesi propriamente detta<br />

o Se sangue parzialmente digerito si parla di vomito caffeano.<br />

o Melena Evacuazione di feci nere, di consistenza poltacea, untuose, brillanti e di odore<br />

caratteristico. Il sangue deve persistere nell’intestino per almeno 8 ore. La perdita non deve essere<br />

inferiore a 80‐100ml. Diagnosi differenziale con pseudo melena alimentare o per Fe per os La<br />

consistenza in questo caso è normale.<br />

o Rettorragia Si parla di enterorragia quando c’è evacuazione rettale massiva di sangue rosso più o<br />

meno scuro. La fonte di sanguinamento è distale rispetto al Treitz. È prossimale sono in presenza di<br />

emorragia cataclismatica. Si parla di rettorragia quando il sangue proviene dal retto.<br />

o Manifestazioni cliniche sistemiche In rapporto alla gravità e alla durata.<br />

Di solito quando c’è ematemesi c’è anche melena. Si può comunque avere melena senza avere ematemesi.<br />

Le emorragie si distinguono in:<br />

Superiori Le possibili cause sono:<br />

o Ulcera gastrica<br />

o Gastroduodenite (erosione)<br />

o Varici esofagee.<br />

Inferiori Le possibili cause sono:<br />

o Patologie del canale anale come:<br />

Emorroidi<br />

Ragade anale<br />

Prolassi rettali<br />

Ulcere solitarie.<br />

o Neoplasie<br />

o Morbo di Crohn.<br />

Per quanto riguarda le enterorragie, più alta è la partenza, più scuro è il sangue emesso. Se però il sangue è<br />

abbondante sarà rosso vivo perché percorre il canale velocemente.<br />

Se il sanguinamento è a livello anale, il sangue viene emesso quasi sempre con la defecazione e vernicia le<br />

feci (sono già formate) che sono di consistenza anale.<br />

Se il sanguinamento è a livello dell’ampolla rettale il sangue sarà frammisto alle feci.<br />

BOTTOSSO STEFANO<br />

42


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

INDICI DI FLOGOSI<br />

Flogosi Risposta difensiva locale di un tessuto vascolarizzato ad un danno. È mediata e controllata da<br />

mediatori biochimici. Presenta:<br />

• Effetti locali:<br />

‐ Rubor<br />

‐ Calor<br />

‐ Dolor<br />

‐ Tumor<br />

‐ Functio laesa.<br />

• Effetti sistemici:<br />

‐ Sintomi di una specifica patologia infiammatoria<br />

‐ Febbre<br />

‐ Leucocitosi<br />

‐ Modificazioni biochimico‐cliniche di fase acuta.<br />

Le modificazioni biochimico‐cliniche della fase acuta sono il risultato dell’azione di molteplici regolatori<br />

dell’infiammazione. I principali sono:<br />

‐ TNF‐α Aumenta di concentrazione per prima e regola l’espressione delle altre citochine.<br />

‐ IL‐1 Si attiva subito dopo TNF‐α<br />

‐ IL‐6/IL‐8 Si attivano per ultime.<br />

Non solo si attivano in successione, ma anche con livelli diversi: TNF‐α ha livelli maggiori di IL‐1 ed IL‐1 ha<br />

livelli maggiori di IL‐6 e IL‐8.<br />

Qualsiasi fattore flogogeno, innesca la sintesi di citochine a livello locale che, in circolo, raggiungono il<br />

fegato che viene stimolato a produrre le molecole della fase acuta che sono:<br />

o FCR<br />

o Fibrinogeno<br />

o Proteina sieroamiloide A.<br />

Nella risposta del nostro organismo, non variano solo le concentrazioni di molecole, ma anche la<br />

concentrazione di cellule. In particolare nelle prime fasi aumentano i neutrofili, poi i macrofagi e i linfociti.<br />

Quando la malattia è nella fase cronico o in guarigione c’è il picco di fibroblasti che causano la fibrosi,<br />

formando la cicatrice.<br />

I “reattivi” della fase acuto quindi sono:<br />

• PCR<br />

• VES<br />

• Fibrinogeno<br />

• Leucociti<br />

• Alfa‐1‐Antiplasmina<br />

• Aptoglobulina<br />

• Ferritina<br />

• Ceruloplasmina.<br />

Le ultime quattro proteine non vengono valutate di routine perché non danno informazioni in più rispetto<br />

al fibrinogeno/VES/PCR.<br />

PCR<br />

La proteina C reattiva fa parte della famiglia delle “prentrassine”, che sono delle proteine pentameriche. Si<br />

possono dividere in due categorie:<br />

‐ Corte Fanno parte di questa categoria la PCR e la SAP (Sierum Amiloid Protein)<br />

‐ Lunghe Hanno una regione N‐terminale in più. Fanno parte di questa categoria il PTX3, NP‐1 e<br />

NP‐2 (Neuropentrassine).<br />

1


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Hanno tutte un dominio comune identico che gli fa svolgere la loro funzione comune durante l’apoptosi.<br />

È importante ricordare che mentre la PCR e la SAP vengono prodotte dal fegato in risposta ai mediatori<br />

dell’infiammazione , il PTX‐3 è prodotta in sede locale di infiammazione da parte di diversi tipi cellulari tra<br />

cui fagociti, fibroblasti, adipociti, cellule muscolari lisce e cellule endoteliali.<br />

ApoptosiMorte cellulare programmata.<br />

Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al<br />

mantenimento del numero di cellule di un sistema.<br />

Al contrario della necrosi, che è una forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma<br />

cellulare, l'apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP) e<br />

generalmente porta ad un vantaggio durante il ciclo vitale dell'organismo.<br />

L'apoptosi può avvenire quando una cellula è danneggiata oltre le proprie capacità di riparazione, oppure<br />

infettata da un virus. Il segnale apoptotico può venire dalla cellula stessa o dal tessuto circostante.<br />

La cellula diventa sferica e perde contatto con le cellule adiacenti. Questo avviene perché le proteine del<br />

citoscheletro vengono digerite da specifiche peptidasi (chiamate caspasi) che sono state attivate all'interno<br />

del citoplasma.<br />

La cromatina comincia ad essere degradata e condensata (il nucleo al microscopio risulta eterocromatico) e<br />

si degrada; a ciò fa seguito la degradazione della membrana nucleare. Il plasmalemma si rompe.<br />

La cellula è fagocitata oppure si divide in più vescicole, chiamate corpi apoptotici, grazie ad un processo che<br />

prende il nome di blebbing, che sono in seguito fagocitati.<br />

La PCR facilita ed aumenta le capacità di uptake delle cellule apoptotiche. Lo fa:<br />

‐ Direttamente<br />

‐ Legando C1q Un difetto di C1q causa il LES Si pensa che la causa sia il fatto che le cellule<br />

apoptotiche non vengono più eliminate e il sistema immunitario viene iperattivato e attacca anche<br />

il self.<br />

Il residuo delle cellule apoptotiche ha anche un significato di risposta anti‐infiammatorio. Quando vengono<br />

fagocitate le cellule apoptotiche, infatti i fagociti producono<br />

delle citochine (IL‐10, TGF‐β) con azione antiinfiammatoria e<br />

immunosoppressiva.<br />

Se la cellula va invece in necrosi vengono liberate sostanze ad<br />

azione proinfiammatoria come TNF‐α e IL‐1.<br />

La SAP rimpiazza la apolipoproteina A<br />

sulle HDL favorendo l’uptake di tali<br />

particelle da parte dei macrofagi che<br />

possono utilizzare i lipidi contenuti per<br />

produrre energia.<br />

La PCR è la pentrassina il cui dosaggio è più ampiamente utilizzato a supporto della pratica clinica; il<br />

dosaggio di pentrassine come la PTX‐3 si sta sviluppando ora. È comunque un marker aspecifico<br />

dell’infiammazione dipendente da situazioni infiammatorie, infettive, neoplastiche.<br />

Aumenta molto rapidamente dopo la comparsa della flogosi e se la causa scompare diminuisce altrettanto<br />

rapidamente.<br />

I principali metodi di dosaggio della PCR sono:<br />

• Nefelometria 0.09‐0.8 mg/ml La nefelometria è una metodica ottica di analisi che permette di<br />

ricavare la quantità di sostanza oggetto di analisi misurando la radiazione diffusa per effetto<br />

Tyndall. Viene applicata per fasi disperse estremamente fini, di diametro dell'ordine di decine o<br />

centinaia di nanometri e presenta elevati livelli di sensibilità e, opportunamente standardizzata,<br />

può essere anche molto precisa.<br />

L’effetto Tyndal è un fenomeno di dispersione della luce dovuto alla presenza di particelle, di<br />

dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d'onda della luce incidente, presenti in sistemi<br />

colloidali, nelle sospensioni o nelle emulsioni.<br />

• RIA (Radio Immuno Assay) 0.06‐0.8 mg/ml E' una tecnica che si basa sulla competizione tra un<br />

antigene freddo (Ag) ed un antigene marcato con sostanze radioattive (Ag*) per un numero<br />

limitato di siti di legame sugli Ab legati stabilmente alla fase solida (microsfere di sephadex o le<br />

pareti di una provetta di polipropilene). Dopo un certo tempo di incubazione ad opportuna<br />

2


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

temperatura si effettua un lavaggio per allontanare Ag e Ag* liberi e si esamina la radioattività di<br />

Ag* legati al supporto. Utilizzando quantità note e variabili di Ag e quantità fisse di Ab e Ag* si può<br />

allestire una curva di taratura in cui la quantità di Ag* legato è funzione inversa della quantità<br />

totale di Ag aggiunto. Con questa curva di taratura si può determinare la quantità di antigene in un<br />

campione ignoto trattato allo stesso modo<br />

• Immunodiffusione


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Anemie macrocitiche (per esempio da carenza di folati o da carenza di vitamina B12) I<br />

globuli rossi aumentano di dimensioni. Quando manca il folato mentre di dividono<br />

interrompono il processo perché non riescono a formare nuovo materiale genetico.<br />

• η Essendo al denominatore, tanto più aumenta, tanto più diminuisce la VES. Varia in<br />

funzione di:<br />

o Temperatura Per questo mentre si fa la VES la temperatura deve essere di 28‐22°<br />

o Concentrazione proteica In una ipoalbuminemia la viscosità diminuisce. Le<br />

possibili cause per un’ipoalbuminemia possono essere:<br />

Insufficienza epatica<br />

Perdita proteica per una sindrome nefrosica<br />

Enteropatie proteino‐disperdenti.<br />

o Fibrinogeno È una proteina con carica globale +, opposta quindi ai globuli rossi<br />

che hanno carica netta globale negativa (a causa dell’acido sialico). Se il fibrinogeno<br />

aumenta, aumenta la viscosità e quindi diminuisce la VES. Però siccome vengono a<br />

ridursi le cariche positive e quindi i globuli rossi si respingono aumenta la VES.<br />

L’effetto netto è comunque ignoto.<br />

Misurazione della VES:<br />

Per l’esecuzione del test di mescolano 1,6ml di sangue venoso con 0,4ml di citrato di sodio 3,8%. Si ripone il<br />

tutto in una provetta posta verticalmente e dopo 1 e 2 ore si legge l’altezza della colonna di plasma<br />

formatasi sopra la parte corpuscolata.<br />

La VES si calcola come la somma dell’altezza alla prima ora più metà<br />

dell’altezza alla seconda ora, il tutto diviso due. Questo numero viene<br />

detto anche indice di Katz. Ora si da di solito solo una misurazione<br />

(prima o seconda ora).<br />

Valori normali di VES:<br />

Maschio Età/2<br />

Femmina Età+10/2<br />

La temperatura ideale per l’esecuzione è compresa tra 18‐22°C: a temperature inferiori il processo rallenta,<br />

a temperature superiori l’effetto è variabile perché c’è una diminuzione della viscosità ma anche un<br />

aumento di energia cinetica, con effetti opposti.<br />

Un aumento della VES indica in modo aspecifico la presenza e l’intensità di un processo di infiammazione.<br />

Le sue variazioni sono più significative rispetto al rilievo di un singolo valore elevato.<br />

Può essere utilizzato per:<br />

‐ Identificare malattie nascoste<br />

‐ Monitorare il decorso o la risposta alla terapia di certe malattie<br />

‐ Aiutare a confermare o escludere una diagnosi ma raramente è di aiuto in una diagnosi<br />

differenziale.<br />

Elevati valori di VES possono significare:<br />

• Malattia infiammatoria<br />

• Malattia con un aumento di proteine globulari (per esempio perdita di albumina per sindrome<br />

nefrosica)<br />

• Necrosi tissutale esteso<br />

• Infarto del miocardio, traumi, tumori<br />

• Altre cause (come gravidanza, anemia, ecc…).<br />

Bassi valori di VES possono significare:<br />

• Aumento della viscosità del plasma<br />

• Numero dei globuli rossi<br />

• Diminuzione delle proteine plasmatiche.<br />

Esiste un nuovo metodo per calcolare la VES, la fotometria capillare quantitativa. Il valore della VES non è<br />

più rilevato in un’unica lettura dopo un intervallo di tempo, ma risulta dalla misurazione dinamica del<br />

4


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

processo di formazione degli agglomerati degli eritrociti. Questo processo risente della spinta delle<br />

proteine, specie della fase acuta, ma non viene influenzato dal grado di anemia, dalla poliglobulia, dalla<br />

presenza di crioglobuline o paraproteine.<br />

Fra i vantaggi del nuovo metodo c’è la possibilità di analizzare anche campioni con volume scarso (bambini)<br />

e i risultati si hanno in tempi brevi.<br />

A differenza della PCR la VES varia più lentamente. Perciò la PCR è un marcatore di infiammazione più<br />

precoce e quindi preferibile.<br />

FIBRINOGENO<br />

È un’importante proteina che interviene nella formazione del coagulo. Viene trasformato in fibrina<br />

monometrica dalla trombina e quindi si associa formando una rete.<br />

Da un punto di vista molecolare, il fibrinogeno è un esamero, costituito da tre catene polipeptidiche,<br />

ciascuna presente in due copie: le catene Aα, Bβ e γ. Le lettere A e B si riferiscono alla presenza, nella<br />

regione N‐terminale delle catene α e β, di due corti peptidi (corte sequenze aminoacidiche), denominate<br />

rispettivamente fibrinopeptide A e fibrinopeptide B. Tali sequenze vengono rimosse durante l’attivazione<br />

del fibrinogeno da parte della trombina, che riconosce e taglia specificamente a livello dei fibrinopeptidi A e<br />

B, rilasciando le catene α e β. Le sei catene si assemblano a costituire un esamero mediante un complicato<br />

processo del quale ancora non si conoscono i dettagli molecolari. Una volta assemblato, il fibrinogeno<br />

risulta essere una molecola di forma vagamente bastoncellare.<br />

Il fibrinogeno è prodotto dal fegato su stimolazione di interleuchine pro‐infiammatorie prodotte in<br />

periferia.<br />

Dosaggio:<br />

1. Metodi coagulativi:<br />

• Metodo di Clauss Usando un eccesso di trombina il tempo di formazione del coagulo del<br />

plasma diluito è inversamente proporzionale alla concentrazione del fibrinogeno<br />

plasmatico. Il fibrinogeno è infatti il fattore in minoranza.<br />

• Metodo PT derivato Metodo fotometrico che consente di valutare la concentrazione del<br />

fibrinogeno plasmatico dalla variazione di assorbanza durante il dosaggio del tempo di<br />

protrombina. Il vantaggio è il contemporaneo dosaggio del Fibrinogeno e del PT (tempo di<br />

protrombina o tempo di Quick). Il tempo di Quick il tempo necessario alla formazione di<br />

coagulo in plasma dopo aggiunta di fosfolipidi fattori tissutali e ioni calcio.<br />

2. Metodo immunologico Riconoscimento tramite reazione Ag (fibrinogeno) e Ab.<br />

Valori normali di fibrinogeno 200‐450mg/dl<br />

Piccole variazioni di fibrinogeno si è visto sono correlate al rischio di malattie cardiovascolari. Sembra infatti<br />

che alti livelli di fibrinogeno promuovano l’aterosclerosi.<br />

Aumentati livelli causano anche un aumento della viscosità, dell’aggregazione piastrinico ed hanno un<br />

effetto pro‐infiammatorio.<br />

Non esiste comunque ancora una terapia per ridurre i livelli di fibrinogeno.<br />

LEUCOCITI<br />

I leucociti si dividono in:<br />

• Granulociti:<br />

o Neutrofili La funzione principale è quella di fagocitare e distruggere materiale esterno<br />

(batteri). La fagocitosi è mediata da Ig e/o C3b del complemento. Contengono due tipi di<br />

granuli:<br />

Primari Contengono enzimi battericidi, mieloperossidasi, proteasi<br />

Secondari Contengono lisozima e collagenasi.<br />

Nella granulomatosi cronica si ha un difetto genetico che va a colpire la catena degli enzimi che<br />

produce i composti ad azione battericida, in particolare il complesso NADPH‐ossidasi, formato da<br />

una porzione citoplasmatica e una di membrana. Serve a formare elettroni per formare specie 5<br />

reattive dell’ossigeno. Avviene all’interno dei granuli primari. Se c’è un deficit non sono più in grado<br />

di distruggere i batteri che fagocitano. Di formano granulomi, accumuli di granulociti.


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Eosinofili Eliminano i parassiti degranulandosi sulla loro superficie inducendo un danno<br />

fisico (perossidasi). Intervengono nelle reazioni allergiche.<br />

o Basofili Contengono amine vasoattive quali istamina e serotonina. Hanno recettori per<br />

legare C3, che gli permette l’adesione ai parassiti.<br />

• Linfociti Si dividono in:<br />

o Linfociti T Immunità cellulo‐mediata Riescono a riconoscere un antigene solo se viene<br />

presentato sulla superficie di una cellula complessato con MHC. Hanno attività contro le<br />

cellule tumorali, le cellule infette e gli organismi patogeni.<br />

o Linfociti B Immunità umorale Sono cellule che, in seguito a stimolazione antigenica,<br />

sono capaci di proliferare e trasformarsi in cellule effettrici , le plasmacellule che<br />

producono anticorpi.<br />

• Monociti Rappresentano la forma immatura dei macrofagi a cui danno origine dopo attivazione<br />

da parte di processi infiammatori. Una volta attivati producono IL‐1 responsabile di molti aspetti<br />

della risposta della fase acuta. La funzione principale è quella della fagocitosi.<br />

DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI EMATOLOGICI<br />

Il campione di sangue si preleva comunemente dalla vena di un braccio. Viene conservato a temperatura<br />

ambiente in una provetta contente EDTA/eparina. Si inserisce nel conta globuli automatico che in poche<br />

decine di secondi fornisce il risultato.<br />

Formula leucocitaria:<br />

‐ Granulociti neutrofili55‐70%<br />

‐ Granulociti eosinofili 1‐4%<br />

‐ Granulociti basofili 0,1‐1%<br />

‐ Linfociti 20‐30%<br />

‐ Monociti 2‐8%.<br />

La conta totale normale è invece 5000‐10000 per μl (o mm 3 ).<br />

Leucocitosi Aumento del numero dei leucociti del sangue al di sopra dei valori normali senza alterazione<br />

della loro morfologia. Esistono:<br />

• Forme globali<br />

• Forma parziali Si parla quindi di:<br />

o Leucocitosi granulocitica<br />

o Leucocitosi linfociti<br />

o Leucocitosi monocitica.<br />

Le leucocitosi possono essere<br />

‐ Da ripartizione (leucocitosi relative) Derivano dal fatto che la distribuzione dei leucociti, in<br />

determinate condizioni fisiologiche o patologiche, può variare a favore della quota circolante nel<br />

sangue, con la contemporanea diminuzione relativa nei distretti vascolari della milza, del fegato e di<br />

altri organi.<br />

‐ Da produzione (leucocitosi vere) Sono caratterizzate da un aumento reale dei leucociti in caso di<br />

accentuata attività del midollo osseo<br />

Le più frequenti leucocitosi relative sono le granulocitosi, che si dividono in:<br />

• Neutrofila Le possibili cause sono<br />

1. Malattie infettive soprattutto batteriche<br />

2. Sforzi fisici, stress<br />

3. Ustioni<br />

4. Necrosi tissutali (per esempio infarto miocardico, polmonare e renale)<br />

5. Malattie infiammatorie croniche (per esempio gotta e vasculiti)<br />

6. Farmaci (per esempio cortisonici e litio)<br />

7. Disordini mieloproliferativi<br />

8. Malattie metaboliche (per esempio chetoacidosi diabetica, uremia, ecc…)<br />

9. Neoplasie maligne, emorragie acute o emolisi dopo splenectomia.<br />

• Eosinofila Si riscontra in seguito a :<br />

6


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

1. Assunzione di alcuni farmaci<br />

2. Asma bronchiale<br />

3. Malattie allergiche<br />

4. Nel corso di collagenopatie<br />

5. Nelle infestazioni da vermi.<br />

• Basofila Si riscontra in seguito a:<br />

1. Malattie allergiche<br />

2. Disordini mieloproliferativi<br />

3. Raramente in corso di malattie infiammatorie croniche.<br />

La monocitosi si osserva nelle infezioni a decorso subacuto o cronico come:<br />

‐ Tubercolosi<br />

‐ Morbo di Crohn<br />

‐ Endocardite batterica subacuta<br />

‐ Malaria, Leishmaniosi<br />

‐ Collagenopatie<br />

‐ Leucemie, linfomi, malattie linfoproliferative e mielosisplasiche, anemia emolitiche e neoplasie.<br />

La linfocitosi si osserva invece in occasione di infezioni:<br />

‐ Virali<br />

‐ Tubercolosi, brucellosi, sifilide<br />

‐ Endocrinopatie<br />

‐ Neoplasie (soprattutto leucemia linfatica cronica).<br />

La leucocitosi fisiologica si ha nel neonato durante la prima settimana di vita, nella donna in gravidanza e<br />

nel soggetto adulto in seguito ad intensi sforzi muscolari.<br />

CITOMETRIA A FLUSSO<br />

Consente di valutare caratteristiche fisiche e chimiche di sospensioni cellulari monodisperse usando ligandi<br />

fluorescenti o anticorpi monoclonali marcati con fluorocromi. L’eccitazione del fluoro cromo da parte di<br />

una sorgente luminosa provoca l’emissione di un segnale di fluorescenza che viene raccolto da rilevatori<br />

ottici, convertito in un segnale elettronico e rappresentato in grafico.<br />

Il principio su cui di fonda è la focalizzazione idrodinamica. C’è un ago che preleva il campione e si restringe<br />

i modo che alla fine passi per il canale sono una cellula alla volta. Questo viene detto sistema fluidico. C’è<br />

poi un raggio laser (sorgente di eccitazione) che colpisce la cellule. Parte della luce:<br />

‐ Diffrange Formando lo scatter lineare o Forward Scatter (FSC) Dipende dalle caratteristiche<br />

volumetriche della cellula<br />

‐ Rifrange e riflette Formando lo scatter ortogonale o Side Scatter (SSC) Dipende dalla<br />

complessità interna cellulare e dal rapporto nucleo/citoplasma.<br />

L’analisi quindi dei fasci di luce viene convertita in un citogramma che può essere poi utilizzato colorando<br />

ogni singola sottopopolazione con un colore diverso.<br />

Per invece la ricerca di proteine di membrana o citosoliche si utilizzano molecole marcate con il<br />

fluoroscromo che viene eccitato dal raggio incidente individuando la presenza o mano delle molecole.<br />

Questo esame è importante per esempio per vedere si i linfociti sono Th o Tc nella sarcoidosi polmonare. È<br />

una malattia cronica molti‐sistemica da causa ignota caratterizzata dall’accumulo di linfociti Th e fagociti<br />

con formazione di granulomi epiteliodi. C’è un de‐arrangiamento della normale architettura tissutale di vari<br />

organi con predilezione dei polmoni.<br />

I linfociti Th hanno come marker della membrana il CD46, il CD3 e il CD4, i linfociti Tc hanno il CD46, il CD3 e<br />

il CD8. Nel citogramma evidenzio la popolazione dei linfociti. Utilizzo come marker il CD3 che è presenti in<br />

entrambi così separo i T dai B. Li divido poi usando il CD4 e il CD8.<br />

È molto importante, non solo il numero assoluto, ma anche il rapporto CD4/CD8 (anche ai fini della diagnosi<br />

di HIV). Il rapporto varia con l’età:<br />

1 anno 1,5‐2,9<br />

2‐6 anni 1,0‐1,6<br />

7‐17 anni 1,1‐1,4<br />

7


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Sopra i 18 anni 0,6/2,8.<br />

Si può inoltre vedere a che punto del ciclo cellulare è la cellula. Si fa andando a vedere la quantità di DNA.<br />

Possiamo distinguere 4 fasi del ciclo cellulare:<br />

‐ M Mitosi<br />

‐ G1 Crescita<br />

‐ S Replicazione del DNA<br />

‐ G2 Crescita e preparazione alla mitosi.<br />

Si utilizza un colorante intercalare (propidio ioduro) che è di colore rosso e mi indica il DNA totale, e delle Ig<br />

anti‐BrdU (Bromodiossiuridina) che sono blu ed individuano il DNA neo sintetizzato.<br />

Possiamo quindi, inserendo in ascissa il propidio e in ordinata le Ig e inserendo valori di cut‐off per la<br />

positività o negatività ai singoli coloranti, creare un grafico che viene suddiviso in 4:<br />

‐ Cellule negative ad entrambi i coloranti Genoma 2N Sono in fase G1<br />

‐ Cellule negative al propidio e positive alle Ig Genoma 2N+x Sono in fasi S<br />

‐ Cellule positive ad entrambi i coloranti Genoma 4N Sono in fase G2 o M<br />

‐ Cellule positive al propidio ma negative alle Ig Hanno un genoma 4N ma non neosintetizzato.<br />

Sono cellule che non hanno incorporato il colorante e quindi devono essere sommate alle<br />

precedenti.<br />

Si può utilizzare questo tipico di grafico per vedere gli effetti di composti antiproliferativi. Con un composto<br />

antiproliferativo si hanno delle modificazioni:<br />

‐ Il 70% delle cellule è in G1 contro il 60% del campione di controllo<br />

‐ L’8% delle cellule è in S contro il 21% del campione di controllo<br />

‐ Il 20% delle cellule è in G2/M contro il 20% del campione di controllo<br />

Si nota che quindi il blocca avviene tra la fase G1 e S, infatti ci sono meno cellule in G1 e molte più cellule in<br />

S. Questo test è stato fatto con cellule muscolari lisce che proliferano nell’aterosclerosi e dopo<br />

l’introduzione di Stent dando la ristenosi per iperproliferazione delle cellule muscolari. Si possono quindi<br />

utilizzare questi composti antiproliferativi che agiscono su enzimi di trascrizione che spengono determinati<br />

geni.<br />

8


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ENZIMI CARDIACI E INFARTO MIOCARDICO<br />

ACUTO<br />

Secondo i criteri dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la diagnosi di infarto miocardico acuto<br />

(IMA) sono necessari almeno due dei seguenti tre elementi:<br />

1. Anamnesi di dolore toracico di tipo ischemico<br />

2. Evoluzione delle modificazioni registrate in ECG seriati<br />

3. Innalzamento con successiva riduzione dei marker cardiaci sierici.<br />

Tra i pazienti ricoverati in ospedale con dolore toracico, al 20% viene diagnosticato un IMA. Pertanto, il<br />

dosaggio ripetuto dei marker sierici di IMA è molto importante per confermare o escludere una diagnosi di<br />

IMA. Il dosaggio permette anche una valutazione approssimativa delle dimensioni della zona infartuata.<br />

Il dolore toracico può essere:<br />

• Di origine cardiaca:<br />

o Ischemico:<br />

Cause coronariche:<br />

• Aterosclerosi<br />

• Spasmo<br />

• Trombosi<br />

• Cocaina<br />

• Alterazioni del microcircolo.<br />

Cause non coronariche:<br />

• Tachicardia<br />

• Aumento precarico<br />

• Aumento postcarico.<br />

o Non ischemico.<br />

• Di origine non cardiaca:<br />

o Gastroenterico:<br />

Spasmo esofageo<br />

Reflusso gastro‐esofageo<br />

Ulcera peptica<br />

Pancreatite.<br />

o Psicogeno:<br />

Ansia, attacchi di panico<br />

Depressione.<br />

o Polmonare‐pleurico:<br />

Embolia polmonare<br />

Pneumotorace.<br />

o Mediastinico<br />

o Neuromuscolare:<br />

Costocondrite<br />

Herpes Zooster.<br />

L’aterosclerosi deve occludere più del 75% del calibro della coronaria perché si abbia una sintomatologia. In<br />

condizioni normali ci sono quindi più nutrienti e più ossigeno del necessario che arrivano al cuore. Siccome<br />

l’ostruzione si forma lentamente, si possono formare dei vasi collaterali che bypassano l’ostruzione. Il<br />

problema si ha quando la placca si rompe e si forma il trombo.<br />

CENNI EPIDEMIOLOGICI<br />

In Italia le malattie cardiovascolari sono causa del 45‐50% della mortalità globali. La cardiopatia ischemica<br />

da sola è a sua volta responsabile del 35% dei decessi dovuti a malattie cardiovascolari. Si stima che la<br />

9


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

mortalità annuale per le forme tipiche della cardiopatia ischemica sia tra 70000‐80000 casi. In Italia vivono<br />

circa un milione di soggetti affetti da cardiopatia ischemica nelle sue forme più tipiche.<br />

EZIOLOGIA<br />

L’aterosclerosi coronarica è di gran lunga la causa più frequente di cardiopatia ischemica. Numerosi studi<br />

epidemiologici, condotti negli ultimi 25 anni, hanno consentito di individuare alcune variabili individuali che<br />

si associano ad un maggior rischio di malattia: queste variabili sono state definite fattori di rischio<br />

coronarico:<br />

• Fattori non modificabili:<br />

o Età Man mano che aumenta, il rischio aumenta.<br />

o Sesso I maschio sono più colpiti.<br />

o Fattori genetici e familiarità<br />

o Storia personale di malattie cardiovascolari.<br />

• Fattori parzialmente modificabili:<br />

o Ipertensione arteriosa<br />

o Diabete mellito Il glucosio stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce<br />

o Ipercolesterolemia e basso livello di HDL<br />

o Obesità.<br />

• Fattori modificabili:<br />

o Fumo<br />

o Abuso di alcol.<br />

TROPONINE CARDIO‐SPECIFICHE<br />

La troponina è una molecola formata da tre subunità: C, I e T. è legata alla tropomiosina. Quando il calcio si<br />

lega alla troponina, essa cambia conformazione, sposta la tropomiosina che libera il sito di legame<br />

sull’actina per la testa della miosina. Quando c’è una lesione cellulare c’è il rilascio in circolo delle<br />

troponine. Siccome circa il 6% della troponina T e il 3% della troponina I sono in soluzione nel citosol, in<br />

caso di lesione cellulare vengono rilasciate nell’ambiente extracellulare e quindi in circolo dove si possono<br />

dosare. La troponina C, essendo complessata, viene rilasciata solo tardivamente e se il danno è molto<br />

grave. Le troponine si trovano anche nel muscolo scheletrico ma sono diverse. Possiamo quindi con<br />

anticorpi monoclonali individuare solo le troponine cardiache. Il livelli di troponina T e I si innalzano circa 3<br />

ore dopo l’insorgenza del dolore toracico. L’aumento persiste per circa 10 giorni. Sono marker abbastanza<br />

precoci.<br />

LATTICO DEIDROGENASI (LDH)<br />

La lattico deidrogenasi è formata da 4 subunità che possono essere o H o M. A seconda delle diverse<br />

combinazioni si hanno 5 diversi isoenzimi. Sono presenti in quasi tutti i tipi di cellule e quindi non sono<br />

segni inequivocabili di danno cardiaco poiché è difficile capire la provenienza. Non vengono quindi utilizzati<br />

se non nell’emolisi intravascolare, essendo presenti anche nei globuli rossi.<br />

Le varie isoforme hanno pesi diversi e quindi possono essere separate con la migrazione elettroforetico in<br />

gel.<br />

Si nota che mentre in condizioni normali c’è una prevalenza di LDH2, nell’infarto miocardico tendono ad<br />

aumentare le LDH1. È comunque un fatto poco evidente.<br />

Anche questi enzimi hanno un innalzamento abbastanza precoce (1‐2 giorni), raggiungono il picco introno<br />

al 4‐5 giorno e poi discendono fino all’11‐12 giorno. È un andamento lento (la curva è a campana).<br />

CREATINFOSFOCHINASI (CPK)<br />

È un enzima responsabile del trasporto di un gruppo fosfato dalla creatina‐fosfato all’ADP che diventa ATP.<br />

È quindi responsabile della formazione dell’ATP e quindi essenziale nelle cellule muscolari.<br />

Esistono in 2 isoforme:<br />

‐ Citosoliche<br />

‐ Mitocondriali.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Si trovano in prossimità della banda M delle miofibrille.<br />

Per dosare la CPK si misura la quantità di NADPH, che si forma grazie a queste reazioni.<br />

• Creatina‐P + ADP ATP + Creatina<br />

• ATP + Glucosio ADP + Glucosio‐6P<br />

• Glucosio‐6P + NADP + 6‐fosfogluconato + NADPH<br />

Si inseriscono grandi quantità di tutti i reagenti in modo che sia la CPK limitante e che quindi la sua quantità<br />

regoli la quantità di NADPH che si forma.<br />

Esiste in tre isoforme diverse, essendo composta da due subunità:<br />

‐ MM È formata da due subunità M ed è quella muscolare<br />

‐ MB È formata da una subunità M e una B ed è quella cardiaca<br />

‐ BB È formata da due subunità B ed è quella cerebrale.<br />

Si può valutare il totale che comunque è poco utile e poi si valuta la CPK MB. Elevati valori di BB sono invece<br />

riscontrati nell’ischemia cerebrale. I diversi isoenzimi si possono distinguere con l’elettroforesi su gel.<br />

I diversi isoenzimi, pur essendo presenti come abbiamo visto in un tessuto in particolare, non sono esclusivi<br />

ma sono solo prevalenti. Nel miocardio c’è la prevalenza di MB ma c’è comunque un po’ di MM. Nel<br />

muscolo scheletrico, nell’utero e nell’aorta inoltre c’è anche un po’ di MB che quindi non è esclusiva del<br />

cuore. Non è quindi una valutazione specifica come quella delle troponine. La sensibilità è del 98‐99%, la<br />

specificità del 95‐97%. Dipende poi dai vari metodi di dosaggio:<br />

Elettroforesi<br />

Cromatografia<br />

Immunoinibizione Separo i campioni in due e inserisco anticorpi anti‐subunità M in uno e<br />

anticorpi anti‐subunità B nell’altro. Gli anticorpi anti‐M, per esempio, se c’è CPK MM la legano<br />

completamente e quindi anche se inseriscono del substrato non funziona, se c’è CPK MB viene<br />

legata solo una subunità e quindi con lo substrato ho una reazione. Questo metodo mi permette di<br />

distinguere quindi gli isoenzimi sulla base della funzionalità.<br />

Livelli di CPK possono essere leggermente elevati anche in condizioni fisiologiche (al contrario la troponina<br />

non è mai presente in circolo). Quando aumentano:<br />

‐ Di poco Bassi valori Possono esserci danni muscolari<br />

‐ Di molto Alti valori Possono esserci danni cardiaci.<br />

C’è però una zona intermedia in cui i due casi si sovrappongono. Una volta si utilizzava come limite<br />

l’innalzamento del 6%. Inferiore al 6% era considerato infarto del muscolo scheletrico, superiore al 6%<br />

infarto del miocardio. A Cattinara si prende come limite il 10%. Se ho come risultato un valore borderline mi<br />

conviene riprovare dopo un po’ di tempo, magari è stato un prelievo precoce e stava ancora salendo.<br />

La CPK MB si innalza prima della CPK totale ed è molto precoce (4‐5 ore).<br />

Esistono due sottotipi di CPK MB ma che non vengono ancora dosati. Si pensa che possano dare ulteriori<br />

informazioni, soprattutto nella diagnosi tardiva di IMA.<br />

Il dosaggio delle troponine permette di rilevare la presenza di episodi di necrosi miocardica al di sotto delle<br />

capacità di riconoscimento da parte del dosaggio delle CPK MB. Oltre alla maggiore sensibilità le troponine<br />

sembrano inoltre conferire informazioni circa la prognosi. Elevati valori hanno infatti un potenziale<br />

prognostico sfavorevole. Si fanno comunque entrambe.<br />

MIOGLOBINA<br />

È una proteina (basso peso molecolare


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

PANCREAS ESOCRINO<br />

La componente esocrina della ghiandola è predominante (97‐99% del totale) e determina pertanto la<br />

morfologia esterna e i principali caratteri organizzativa della ghiandola. La componente endocrina è<br />

costituita da “cordoni epiteliali” inframmezzati al pancreas esocrino, più concentrati nel corpo e nella coda<br />

detti isole di Langerhans.<br />

PANCREAS ESOCRINO<br />

PANCREATITE<br />

Processo infiammatorio a carico del pancreas. Si distinguono in<br />

‐ Pancreatite acuta Processo patologico caratterizzato da fenomeno di auto‐digestione dei tessuti<br />

del pancreas causato dai suoi stessi enzimi digestivi.<br />

‐ Pancreatite cronica Indica tutte le affezioni del pancreas a carattere cronico e fibrosante che<br />

producono un danno permanente o disfunzione dell’organo.<br />

Eziologia della pancreatite acuta<br />

• Malattie delle vie biliari come litiasi, infezioni, anomalie congenite (33%)<br />

• Alcolismo cronico (20%)<br />

• Forme miste alcol‐biliari (15%)<br />

• Postoperatoria (10%)<br />

• Idiopatica (8%)<br />

• Traumi, assunzione di farmaci, iperparatiroidismo (7%)<br />

• Ipertrigliceremia (6%)<br />

• Patologie vascolari<br />

• Ostruzione duodenale.<br />

Gli enzimi prodotti non raggiungono il duodeno ed agiscono sul pancreas stesso:<br />

‐ Lipasi Sono attive sui trigliceridi e aggrediscono gli adipociti determinando aree di steatonecrosi,<br />

per saponificazione degli acidi grassi a opera di ioni calcio.<br />

‐ Tripsina e chimotripsina Determinano necrosi coagulative per azione proteolitica diretta e<br />

mediata dall’attivazione delle fosfolipasi, che distruggono le componenti fosfolipidiche delle<br />

membrane.<br />

‐ Elastasi e collagenasi Sostanze ad azione vasoattiva responsabili della vasodilatazione, aumento<br />

della permeabilità capillare, ulteriore diffusione enzimatica e quindi sequestro di liquidi e shock.<br />

L’azione proteasica attiva infine i fattori della coagulazione e della fibrinolisi, quali il fattore XII° e<br />

plasminogeno, provocando disordini dell’emostasi.<br />

Esami di laboratorio<br />

L’aumento nel siero degli enzimi pancreatici è l’unico dato dotato di una certa attendibilità. In particolare:<br />

α‐amilasi è prodotta da:<br />

o Pancreas Amilasi‐P<br />

o Paratiroidi Amilasi‐S<br />

o Anche fegato, intestino tenue, reni Eliminata con le urine.<br />

È presente normalmente nel siero ma in condizioni di pancreatite acuta aumenta notevolmente.<br />

L’aumento è precoce, raggiunge il picco in 2 giorni e si normalizza in 3‐5 giorni. Poiché il dosaggio<br />

avviene valutando l’attività dell’enzima viene dato in unità/litro. Anche i livelli urinari (amilasuria)<br />

sono importanti al fine della diagnosi di pancreatite acuta.<br />

Lipasi pancreatica Stacca gli acidi grassi dal glicerolo nei trigliceridi. C’è chi sostiene che la lipasi<br />

sia più specifica dell’amilasi e che andrebbe quindi utilizzata con maggior frequenza. I livelli sierici<br />

aumentano dopo quelli della amilasi (circa 24‐48 ore) e permangono elevati per un tempo<br />

12


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

superiore (7‐10 giorni). Pertanto la lipasiemia è più utile per fare diagnosi tardiva di pancreatite<br />

acuta.<br />

Tripsina Ha alta specificità e sensibilità ma è un test poco diffuso.<br />

Elastasi Non da risultati migliori della misurazione dei livelli di amilasi e lipasi e tripsina. Potrebbe<br />

comunque essere di aiuto nella diagnosi di pancreatite cronica.<br />

Fosfolipasi A2 Si può a volte associare al dosaggio dell’amilasi.<br />

Transaminasi Possono essere elevate in caso di pancreatite acuta ma non sono affidabili per una<br />

diagnosi. Si innalzano tipicamente in condizioni di danno epatico.<br />

Essendo un’infiammazione si può trovare:<br />

‐ Leucocitosi<br />

‐ PCR e VES elevate.<br />

La parte più importante per la diagnosi è comunque la diagnosi strumentale (ecotomografia, tomografia,<br />

risonanza magnetica) e non il laboratorio.<br />

13


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ANALISI DELLE FECI<br />

Nell’analisi delle feci si:<br />

• Ricerca sangue occulto<br />

• Ricerca markers di infiammazione/proliferazione tumorale<br />

• Coprocoltura<br />

• Analisi microscopica.<br />

RICERCA DI SANGUE OCCULTO NELLE FECI<br />

Tra gli esami chimici, quello che riveste maggiore importanza è la ricerca di sangue occulto, con il quale è<br />

possibile rilevare la presenza di tracce anche minime di sangue. L’esame viene eseguito su un campione<br />

raccolto dopo che il paziente ha seguito una dieta a base di basso contenuto di carne; se risulta positivo,<br />

indica un sanguinamento gastrointestinale cronico, segno di possibile ulcera, diverticolosi, sanguinamento<br />

emorroidario, neoplasia (alcune forme tumorali possono creare piccole emorragie). I sanguinamenti<br />

possono essere saltuari e non continui e quindi questo è un limite perché ci sarà sempre un margine di<br />

incertezza.<br />

La ricerca si effettua su un campione di feci del mattino, raccolte in un apposito contenitore. Con i vecchi<br />

test a disposizione, nei tre giorni precedenti l’esame il paziente doveva osservare una dieta priva di carne,<br />

pollame, pesce, brodo (che contengono emoglobina). Con i test di ultima generazione non è più necessario<br />

poiché si evidenzia direttamente l’emoglobina umana. È bene comunque evitare di prendere farmaci<br />

antiinfiammatori (che potrebbero danneggiare la mucosa dello stomaco, con conseguente fuoriuscita di<br />

sangue) e spazzolare i denti con delicatezza, per evitare la fuoriuscita di sangue dalle gengive. Vanno<br />

raccolti tre campioni di feci in tre diversi giorni.<br />

Con i nuovi test l’individuazione è di tipo immunochimico: tale esame non comporta restrizioni dietetiche,<br />

consente la raccolta di un solo campione di feci e prevede un’analisi di laboratorio completamente<br />

automatizzata. La soglia di positività del test è fissata a 100ng/ml.<br />

Esistono diversi test che individuano componenti diverse:<br />

‐ Guaiaco Individua l’emoglobina intatta e l’eme intatto.<br />

‐ HPA Individua l’emoglobina intatta, l’eme intatto e i metaboli dell’eme. Può creare allarmismi<br />

per nulla.<br />

‐ Immuno Individua solo l’emoglobina intatta.<br />

La ricerca di sangue occulto non può sostituire gli esami endoscopici per l’esatta diagnosi dell’origine del<br />

sanguinamento, essendo possibili falsi positivi e falsi negativi.<br />

RICERCA DI MARKER DI INFIAMMAZIONE E PROLIFERAZIONE TUMORALE<br />

I nuovi test per la ricerca di markers nelle feci sono principalmente due:<br />

Ricerca della M2‐PK È un isoenzima della piruvato‐chinasi, enzima chiave del metabolismo del<br />

glucosio. Nella forma attiva gli enzimi sono tetrameri. Nella genesi di un tumore l’isoenzima<br />

tetramero si decompone nella forma dimerica meno attiva detta M2‐PK che si trova specificamente<br />

nelle cellule tumorali. Un valore elevato di M2‐PK nelle feci può indicare un carcinoma del colon o<br />

la presenza di una malattia infiammatoria nell’intestino.<br />

La forma tetramerica ha alta affinità per il suo substrato (fosfoenolpiruvato) e porta alla formazione<br />

di piruvato. Quando è nella forma dimerica ha bassa affinità, c’è un accumulo di metaboliti a monte<br />

che favorisce la formazione di acidi nucleici, amminoacidi e fosfolipidi. Queste molecole sono<br />

necessarie per una cellula in attiva replicazione. La dimerizzazione (lo switch) è indotto nelle cellule<br />

tumorali da oncoproteine.<br />

La sensibilità per la diagnosi del tumore al colon e retto varia dal 73 al 97%. È quindi bassa e molto<br />

variabile, quindi il test è influenzato dall’operatore. Per la diagnosi di polipi la sensibilità diminuisce<br />

ulteriormente e più il diametro del polipo diminuisce più diminuisce la sensibilità (media del 40%).<br />

Tale test, in via di sviluppo, può essere utile quando associato all’indagine strumentale del colon<br />

retto (pancolonscopia).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Ricerca della Calprotectina La calprotectina è una proteina legante il calcio secreta<br />

prevalentemente dai neutrofili e dai monociti ed è costituita da due proteine (MRP8‐MRP14).C’è<br />

una correlazione tra l’espressione di queste proteine e gli adenocarcinomi nell’uomo. In caso di<br />

processi infiammatori o tumorali della mucosa intestinale il suo valore aumenta perché vengono<br />

secrete elevate quantità di granulociti nel lume intestinale. Viene utilizzato in alcuni paesi per<br />

l’inquadramento delle malattie infiammatorie dell’intestino (Crohn, colite ulcerosa). I risultati<br />

preliminari dello studio suggeriscono che la determinazione della calprotectina fecale e' in grado di<br />

indicare quadri infiammatori in soggetti con sintomi generici del tratto enterico.<br />

La ricerca della calprotectina sembra inoltre essere molto utile nel monitoraggio dei pazienti con<br />

diagnosi accertata di malattia infiammatoria cronica intestinale, in quanto correla con le recidive di<br />

tali patologie.<br />

L'orientamento diagnostico del medico può essere supportato dai risultati del test ''calprotectina'',<br />

in grado quindi di indicare se nel lume intestinale è presente un processo infiammatorio e, di<br />

conseguenza, suggerire ulteriori esami come la colonscopia. Il supporto di questo test può trovare<br />

particolare applicazione in età pediatrica, dove è più problematica la esecuzione di procedure<br />

anche parzialmente invasive.<br />

Elevati livelli di MRP4/MRP14 sono stati riscontrati in numerosi siti di infiammazione e nei liquidi<br />

extracellulari di pazienti interessati da differenti processi infiammatori. La concentrazione di<br />

MRP4/MRP14 nel sangue aumenta nei pazienti con artrite reumatoide, fibrosi cistica, sclerosi<br />

multipla, HIV.<br />

COPROCOLTURA<br />

La ricerca nel campione di feci di batteri eventualmente presenti permette l’identificazione dell’agente<br />

eziologico che causa determinate patologie. In particolare, nelle forme caratterizzate da diarrea viene<br />

ricercata la presenza di enterobatteri, gruppo di microrganismo Gram‐negativi produttori di endotossine<br />

che hanno come veicolo di trasmissione acqua e cibo contaminati con materiale fecale, e di cui fanno parte<br />

i batteri dei generi Salmonella, Shigella, Escherichia e Klebsiella.<br />

‐ Le due specie Salmonella Thypi e Parathypi sono vettori nell’uomo della febbre tifoide che,<br />

caratterizzata da febbre elevata, è generalmente associata all’ingrossamento del fegato e della<br />

milza e inoltre può condurre a complicanze quali enteroemorragie (emorragie della mucosa<br />

intestinale) e perforazioni intestinali.<br />

‐ I batteri del genere Shigella si riscontrano nelle feci di soggetti colpiti da colite acuta infettiva,<br />

associata generalmente a rialzo febbrile. Nei casi più gravi, possono provocare la comparsa di<br />

lesioni ulcerative sulla superficie del colon.<br />

‐ La specie Escherichia Coli si rileva in vari forme diarroiche, come la cosiddetta “diarrea del<br />

viaggiatore”, patologia che, dopo un’incubazione che può arrivare a 72 ore dal contagio, si<br />

manifesta con un quadro clinico variabile da una lieve diarrea associata a crampi addominali e<br />

scarso o nullo rialzo febbrile, a una forma fulminante simile al colera.<br />

‐ Il genera Klebsiella è l’agente eziologico responsabile di sindromi diarroiche acute nei bambini e nei<br />

soggetti debilitati.<br />

L’indagine parassitologica viene eseguita al microscopio e può evidenziare la presenza di:<br />

Ossiuri Vermi nematoidi biancastri di lunghezza da 3 a 10mm che vivono adesi alla mucosa<br />

dell’intestino cieco<br />

Tenie Cestoidi che risiedono nel digiuno, lunghi anche diverse metri<br />

Protozoi Come quelli responsabili dell’amebiasi, tricomoniasi e della giardiasi.<br />

Si può inoltre ricercare nel campione di feci:<br />

o Cellule epiteliali Aumentano in seguito a processi flogistici come il tifo e enterite.<br />

o Eritrociti Vedi ricerca sangue occulto; indicazioni origine sanguinamento.<br />

o Leucociti Aumentano in seguito a processi flogistici come la colite ulcerosa, gastroenteriti<br />

o Fibre muscolari Aumentano in seguito a processi patologici a carico del pancreas (ridotta<br />

digestione proteica degli enzimi pancreatici).<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

o Muco Aumenta in seguito a processi flogistici come tifo, dissenteria, coliti.<br />

o Amidi Presenti in seguito a processi patologici a carico del pancreas (ridotta digestione dei glicidi<br />

da parte degli enzimi pancreatici), diarrea.<br />

o Grassi Presenti in caso processi patologici a carico del pancreas (ridotta digestione da parte degli<br />

enzimi pancreatici), in ittero ostruttivo ed epatite.<br />

La steatorrea è una condizione patologica caratterizzata da presenza di notevoli quantità di<br />

sostanze grasse non digerite nelle feci; si parla di steatorrea quando la quantità di queste sostanze<br />

grasse indigerite supera i 6 grammi al giorno. Questa particolare patologia è causata da malattie<br />

che pregiudicano la normale capacità di assorbimento da parte dell'intestino (pancreatite cronica,<br />

celiachia, morbo di Crohn.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

FEGATO<br />

Il fegato è la più grossa ghiandola del corpo umano situata nella parte alta e destra dell’addome, subito<br />

sotto il diaframma. Come tutti gli organi anche il fegato è costituito da numerose cellule chiamate epatociti.<br />

Ogni epatocita vive in media 150 giorni ed è fortemente irrorato. Si calcola infatti che in condizioni di riposo<br />

giunga al fegato circa un litro e mezzo di sangue al minuto.<br />

Le principali funzioni del fegato sono:<br />

‐ Interviene nel metabolismo dei glucidi fungendo da deposito di glicogeno che può essere usato<br />

come sorgente di glucosio plasmatico. Inoltre controlla direttamente la mobilizzazione del glucosio<br />

da questi depositi in base alle richieste dell’organismo. Ha quindi un ruolo fondamentale nella<br />

modulazione della glicemia.<br />

‐ Interviene nella sintesi di acidi grassi (trigliceridi) come forme di deposito delle calorie assunte in<br />

eccesso (all’interno del fegato viene anche la sintesi del colesterolo).<br />

‐ Distrugge e metabolizza i globuli rossi morti, recuperando il ferro legato all’emoglobina e creando<br />

metaboliti che vengono aggiunti alla bile come pigmenti.<br />

‐ Funge da deposito di vitamine e ferro ed interviene nel loro metabolismo<br />

‐ Metabolizza l’alcol etilico<br />

‐ Interviene nel catabolismo delle proteine (produzione di ammoniaca ed urea), deaminando gli<br />

amminoacidi in eccesso provenienti dalla loro digestione. Grazie a tale processo lo scheletro<br />

carbonioso può essere utilizzato a scopi energetici (gluconeogenesi) o depositato come riserva<br />

dopo essere stato trasformato in lipidi.<br />

‐ Converte l’acido lattico, un prodotto di rifiuto sintetizzato dai muscoli durante l’attività fisica<br />

intensa, in glucosio.<br />

‐ Interviene nella sintesi di amminoacidi non essenziali (tranaminazione) e delle proteine plasmatiche<br />

(tranne le immunoglobuline) come l’albumina ed i vari fattori ella coagulazione (fibrinogeno,<br />

protrombina, fattori V, VIII, IX, X)<br />

‐ Interviene nella detossificazione di scorie metaboliche o di tossine introdotte nell’organismo<br />

tramite l’alimentazione, l’inquinamento o i farmaci (rende questi composti idrosolubili, facilitando<br />

l’attività escretoria del rene).<br />

‐ Funzione esocrina di produzione ed escrezione di bile costituita per lo più da pigmenti biliari, acidi<br />

biliari, colesterolo, fosfolipidi.<br />

ESAMI DI LABORATORIO DI PRIMO LIVELLO<br />

In considerazione della grande varietà di funzioni svolte dal fegato e del fatto che la richiesta di tutti i test<br />

disponibili sarebbe onerosa per il paziente (e per il sistema sanitario nazionale) e dispersiva per la diagnosi,<br />

le funzionalità epatica viene valutata tipicamente con esami di primo livello che sono:<br />

1. Bilirubina, totale e frazionata<br />

2. Enzimi (amino transferasi, fosfatasi alcalina, gamma‐glutamiltranspeptidasi)<br />

3. Proteine plasmatiche (albumina)<br />

4. Fattori della coagulazione.<br />

BILIRUBINA<br />

La bilirubina di forma per 80% dalla distruzione dei globuli rossi senescenti nel sistema reticolo‐endoteliale<br />

e per il 20% dal catabolismo di emoproteine sieriche e dall’eritropoiesi midollare inefficace (globuli rossi<br />

alterati). L’emoglobina contenuta negli eritrociti viene catabolizzata, con recupero della componente<br />

proteica e conversione dell’eme in biliverdina grazie all’eme‐ossidasi. La biliverdina viene a sua volta<br />

trasformata in bilirubina grazie ad un enzima citosolico detto biliverdina‐reduttari. Quasta bilirubina è detta<br />

“non coniugata” o “indiretta” ed è insolubile, quindi per essere trasportata all’interno del sangue deve<br />

essere legata all’albumina. Assieme all’albumina, la bilirubina non coniugata raggiunge il fegato dove viene<br />

scisso il legame con l’albumina e viene internalizzata grazie alla presenza di una proteina vettrice epatica<br />

chiamata ligandina (il deficit ereditario di questa proteina vettrice si manifesta con un’iperbilirubinemia<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

congenita benigna, sindrome di Gilbert). Nel fegato la bilirubina viene coniugata con il glucuronato<br />

formando un composto solubile in acqua. La bilirubina così coniugata è resa solubile e viene quindi escreta<br />

dall’epatocita nella bile (in micelle miste con gli acidi biliari) per essere riversata nel duodeno. Nel colon la<br />

bilirubina viene parzialmente trasformata da idrolasi batteriche in urobilinogeno. Successivamente si ha<br />

l’ossidazione a urobilina. La bilirubina e i suoi derivati (stercobilinogeno) conferiscono alle feci il loro<br />

caratteristico colore marrone. L’urobilinogeno viene in parte riassorbito ed espulso dai reni.<br />

La bilirubinemia totale è normalmente 0.4‐1mg/dl, quasi tutta in forma non coniugata (legata all’albumina).<br />

La diretta si lega facilmente ai Sali di diazonio per formare composti colorati (reazione di van der Bergh<br />

diretta) mentre la bilirubina indiretta si lega ai Sali di diazonio solo dopo liberazione dell’albumina tramite<br />

solvente organico come l’etanolo (reazione di van der Bergh indiretta). La bilirubina non coniugata non<br />

viene filtrata dal glomerulo in condizioni normali a causa del forte legame con l’albumina. Il bilirubina<br />

coniugata, causa la sua buona solubilità in acqua, viene filtrata dal glomerulo ed in condizioni di aumento di<br />

livelli ematici da la tipica colorazione giallo‐marrone delle urine. L’ittero si rende evidenti quando la<br />

bilirubinemia è di 2‐2.5mg/dl.<br />

Una volta posta la diagnosi di ittero, è essenziale stabilire se esso sia dovuto ad un accumulo di bilirubina<br />

coniugata oppure non coniugata. Una facile prova diagnostica è la presenza di bilirubina nelle urine. Essa<br />

indica che l’iperbilirubunemia è di tipo coniugato mentre la sua assenza suggerisce che l’ittero sia dovuto<br />

alla bilirubina non coniugata che non può essere filtrata dal glomerulo.<br />

Cause di ittero:<br />

‐ Iperproduzione di bilirubina<br />

‐ Diminuita captazione epatica<br />

‐ Ridotta coniugazione epatica<br />

‐ Diminuita escrezione nella bile per cause epatiche ed extraepatiche.<br />

Si può quindi dividere i tipi di ittero in:<br />

Ittero pre‐epatico (da emolisi)<br />

Ittero epatocellulare<br />

Ittero post‐epatico od ostruttivo o colestatico.<br />

Bilirubina non coniugata Bilirubina coniugata Bilirubinuria<br />

IPERPRODUZIONE<br />

Emolisi Aumentata Normale 0<br />

Eritropoiesi inefficace<br />

DIFETTI DI CAPTAZIONE<br />

Aumentata Normale 0<br />

Farmaci (o Sindrome di<br />

Gilbert)<br />

DIFETTI DI CONIUGAZIONE<br />

Aumentata Normale 0<br />

Difetti della glucuronil Aumentata Bassa 0<br />

transferasi<br />

DIFETTI DI ESCREZIONE<br />

Ostruzione intra‐epatica Aumentata Aumentata +<br />

(sindromi familiari,<br />

farmaci,<br />

trimestre)<br />

ittero terzo<br />

Ostruzione extra‐epatica<br />

(calcoli, tumori, stenosi<br />

dotti biliari)<br />

PATOLOGIE<br />

EPATOCELLULARI<br />

Epatite (danni alla Aumentata Aumentata +<br />

captazione, coniugazione<br />

ed escrezione)<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Quindi:<br />

Ittero emolitico (per iperproduzione) Si ha:<br />

o Reticolocitosi<br />

o Diminuzione della emoglobina<br />

o Forte aumento delle LDH (dei globuli rossi)<br />

o C’è un aumento della bilirubina non coniugata<br />

Ittero colestatico (per mancata escrezione) Si ha:<br />

o Aumento delle transaminasi (AST e ALT)<br />

o Forte aumento della fosfolipasi alcalina (ALP)<br />

o Aumento delle LDH (meno rispetto all’ittero emolitico)<br />

o Aumento delle γ‐GT<br />

o Forte aumento della bilirubina coniugata.<br />

Ittero epatocellulare Si ha:<br />

o Grande aumento delle transaminasi (AST e ALT)<br />

o Aumento della fosfolipasi alcalina (di minore entità rispetto all’itero colestatico)<br />

o Aumento della bilirubina coniugata (meno rispetto all’ittero colestatico).<br />

ENZIMI<br />

Aspartato‐aminotransferasi (AST) e alanina‐aminotransferasi (ALT) Determinano, nell’ambito delle<br />

reazioni cui prendono parte, lo spostamento di gruppi amminici. AST e ALT non si trovano solo nel fegato.<br />

Una loro alterazione non significa quindi inequivocabilmente che esiste un’epatopatia. Possono infatti<br />

aumentare nel torrente ematico anche in corso di lesione di altri tessuti, soprattutto il tessuto muscolare.<br />

In particolare, vi è un organo che più di tutti può liberare questi enzimi, e cioè il cuore. In caso di infarto del<br />

miocardio, le cellule muscolari del cuore vanno in necrosi rilasciando nel sangue le transaminasi. Anche se<br />

più raramente, un aumento delle transaminasi può essere testimonainaza di patologia del tessuto<br />

muscolare scheletrico, per esempio nel corso di miosite (infiammazione muscolare). Quindi per<br />

l’interpretazione corretta di un incremento delle transaminasi, è estremamente importante una<br />

valutazione completa ed accurata del quadro clinico nella sua totalità.<br />

Esistono tuttavia alcuni dati che riconducono un aumento di queste transaminasi essenzialmente ad una<br />

patologia epatica: infatti, in corso di infarto del miocardio si osserva un incremento delle transaminasi di<br />

modesta entità (i valori al massimo si quadruplicano) e di breve durata (poco più di 48‐72 ore); viceversa in<br />

corso di epatopatia, l’incremento di questi enzimi può essere, anche se non obbligatoriamente, molto più<br />

elevato, raggiungendo talvolta valori di 500‐1000 U/l e oltre, ma soprattutto appare di durata decisamente<br />

superiore. Questo avviene soprattutto quando vi sono lesioni epatiche acute e comunque solo in corso di<br />

processi di una certa identità.<br />

Infine esiste la possibilità di discriminare tra lesione epatica e lesione muscolare in presenza di un<br />

incremento delle transaminasi, dosando l’attività di un altro enzima, la creatinfosfochinasi (CKP), che viene<br />

liberata in circolo in misura notevole solo in corso di sofferenza muscolare; in caso di lesione epatica, la AST<br />

ed ALT risulteranno elevate e la CK sarà invece nella norma, mentre in caso di necrosi muscolare, saranno<br />

elevai entrambi.<br />

Valori normali 20 volte il normale Epatite virale Si vanno a ricercare gli anticorpi<br />

Epatite tossica Si cerca tossicodipendenza.<br />

LDH Il dosaggio nell’LDH totale è un indice non molto sensibile di sanno epatocellulare (è presente in<br />

moltissime altre cellule). Nell’epatite virale acuta, nella cirrosi, nel carcinoma epatico e nelle malattie delle<br />

vie biliari la concentrazioni ematica di LDH aumenta modestamente. Essendo presente anche nei globuli<br />

rossi, quando c’è emolisi intravascolare aumenta molto di più.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Enzimi indicatori di colestasi:<br />

• Fosfatasi alcalina Le fosfatasi sono una classe di enzimi idrolasi che catalizzano la rimozione di<br />

gruppi fosfato, catalizzano cioè reazioni di de fosforilazione. Sono note quattro forme<br />

isoenzimatiche della fosfatasi alcalina (ALP):<br />

o Epatica<br />

o Ossea<br />

o Intestinale<br />

o Pancreatica.<br />

Caratterizzate ciascuna da diversa mobilità elettroforetica e distribuzione tissutale. Reni, leucociti e<br />

placenta rappresentano altre fonti ricche di fosfatasi alcalina.<br />

In genere elevati livelli di ALP si trovano in cellule in fase di attiva proliferazione o con attivo<br />

metabolismo 8epatociti, cellule epiteliali, biliari, osteoblasti, cellule epiteliali intestinali). L’attività<br />

della ALP aumenta nel siero in ogni forma di ostruzione delle vie biliari, sia di natura meccanica che<br />

non. Sembra che l’aumento dipenda da una aumentata sintesi da parte delle cellule epiteliali biliari<br />

piuttosto che da un rigurgito secondario ad ostruzione.<br />

• Gamma‐glutamiltranspeptidasi (γ‐GT) Appartiene alla classe delle transferasi e catalizza la<br />

reazione di transpeptidazione con formazione di un dipeptide contenente l’amminoacido<br />

trasportato. Si trova in grande quantità nel fegato e nell’epitelio tubulare renale. Per la diagnosi<br />

delle malattie epatiche è un enzima poco specifico e non da più informazione delle AST, ALT e ALP.<br />

Tuttavia in presenza di un aumento delle ALP di natura dubbia, un aumento delle gamma‐GT<br />

conferma l’origine epatica.<br />

ALBUMINA<br />

Il fegato sintetizza 12g di albumina al giorno. Il contenuto totale è di 300g di cui il 60% nel pool<br />

extravascolare ed il 40% in quello intravascolare. Le funzioni dell’albumina sono il mantenimento della<br />

pressione oncotica ed il trasporto di numerose sotanze (bilirubina, acidi grassi liberi, ormoni tiroidei,<br />

farmaci, ecc…)<br />

Valori normali 4‐5g/dl<br />

Se i valori scendono sotto di 2.5g/dl come nella cirrosi epatica (ma anche nella sindrome nefrosica e nelle<br />

enteropatie proteino‐disperdenti) si ha la formazione dell’ascite causata da una riduzione della pressione<br />

oncotica ma anche da altri meccanismi (tra cui aumento della pressione portale).<br />

FATTORI DELLA COAGULAZIONE<br />

Fibrinogeno In caso di epatopatie croniche si può verificare una ridotta quantità di fibrinogeno<br />

plasmatico con conseguente alterazione della coagulazione.<br />

Trombina Prodotta dal fegato, circola nel sangue come protrombina. La formazione dipende dalla<br />

vitamina K. Il tempo di protrombina (PT) è il periodo di tempo, in secondi, necessario affinché una carta<br />

quantità di plasma coaguli quando messo in contatto con tromboplastina e ioni Ca 2+ a 37°C. La misurazione<br />

seriata del PT può essere utilizzata per distinguere tra colestasi e malattia epatocellulare grave. Il PT viene<br />

misurato dopo somministrazione di vitamina K, carente nella colestasi per ridotto assorbimento intestinale.<br />

SI pensa alla colestasi se il PT è normale dopo somministrazione di vitamina K, ad una patologia<br />

epatocelluare se non è normale.<br />

ESAMI DI LABORATORIO DI SECONDO LIVELLO<br />

Gli esami meno importanti che si possono fare sul fegato sono:<br />

1. Acidi biliari<br />

2. Urea<br />

3. Ioni ammonio.<br />

ACIDI BILIARI<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Gli acidi biliari contengono 24 atomi di carbonio (struttura simile al colesterolo), due o tre gruppi ossidrilici<br />

opposti ai metilici ed una catena laterale che termina con un gruppo carbossilico. I gruppi OH giacciono<br />

sopra il piano degli anelli, i gruppi CH3 sotto. Ciò conferisce polarità alla faccia con gli OH e no polarità a<br />

quella con i CH3. Sono quindi antipatici e possono agire da emulsionanti nell’intestino e permettere la<br />

degradazione degli acidi grassi da parte degli enzimi digestivi pancreatici. Gli acidi biliari (acido colico e<br />

desossicolico) vengono prodotti coniugati con una molecola di glicina o taurina diventando Sali biliari. I Sali<br />

biliari comprendono l’acido glicocolico, glicochenodesossicolico, taurocolico, taurochenodesossicolico. La<br />

presenza di taurina o glicina determinano la presenza di un gruppo carbossilico con un pKa inferiore<br />

(glicina) o un gruppo solfato (taurina), completamente ionizzati a pH fisiologico. Per questa caratteristica, i<br />

Sali biliari sono più marcatamente amfipatici degli acidi biliari.<br />

I batteri presenti nell’intestino possono rimuovere la glicina e la taurina, riformando gli acidi biliari. Inoltre,<br />

possono rimuovere un gruppo OH dagli acidi biliari primari, formando degli acidi biliari detti secondari<br />

(acido desossicolico a partire dall’acido colico e litocolico a partire dall’acido chenodesossicolico).<br />

Dal punto di vista pratico, l’incremento della concentrazione di acidi biliari a digiuno potrebbe indicare un<br />

alterato uptake o secrezione epatica e quindi essere la prova di sofferenza epatica. Misurazioni seriale degli<br />

acidi biliari possono essere utili per monitorare pazienti con sospetta o provata sofferenza epatica.<br />

UREA – IONI AMMONIO<br />

L’urea deriva dal catabolismo proteico. L’urea prodotta dal fegato entra nella circolazione sistemica ed è in<br />

gran parte escreta dal rene. Circa il 25% passa nell’intestino dove è convertita, ad opera di una ureasi<br />

batterica, in ammoniaca. L’urea viene anche prodotta nell’intestino per deaminazione batterica degli<br />

amminoacidi derivati dalla dieta. L’ammoniaca è quindi riassorbita e riportata al fegato dove viene<br />

riconvertita in urea.<br />

Valori normali 11‐50mg/dl<br />

Nelle gravi epatopatie (compromissione di più del 90% del parenchima) si ha la riduzione dei livelli<br />

plasmatici di urea e conseguente iper‐ammoniemia.<br />

DIAGNOSTICA MOLECOLARE PER L’INFEZIONE DA VIRUS DELL’EPATITE C<br />

Con metodi molecolari si può identificare, quantificare e genotipizzare il virus dell’epatite C.<br />

Le infezioni da HCV sono responsabili del 90% delle epatite non‐A e non‐B. Il 20‐30% delle infezioni acute<br />

diventa croncia con complicazioni quali la cirrosi e/o il carcinoma epatocellulare.<br />

Il 3% della popolazione mondiale possiede anticorpi anti‐HCV. Il virus dell’HCV è stato scoperto<br />

dall’identificazione del suo RNA. Non esistono sistemi colturali per esaminarlo.<br />

L’HCV può infettare i linfociti e albergare nei linfociti B. Causa quindi nel 25% dei pazienti HCV positivi nei<br />

paesi occidentali crioglobulinemia. Si pensa che sia responsabile anche del linfoma non‐Hodgkin.<br />

È un virus ad RNA che codifica per una sola poliproteina che viene processata per dare origine a proteine<br />

strutturali e non strutturali. Ci sono 10 principali sottotipi.<br />

Per replicarsi la catena di RNA a polarità positiva viene copiata in molte catene ad RNA a polarità negativa.<br />

Da esse poi si genera il filamento a polarità positiva. Il numero di catene di RNA a polarità negativa è<br />

indicativo dello stato di replicazione del virus.<br />

La diagnosi di HCV è sierologica, ma la ricerca di anticorpi anit‐HCV presenta alcune limitazioni:<br />

‐ Non permette di accertare se l’infezione è in atto<br />

‐ In alcuni casi di infezione acuta non si rilevano anticorpi specifici e la siero conversione avviene<br />

anche dopo 6 mesi.<br />

Per risolvere questi problemi si ricorre ai metodi molecolari:<br />

• Test qualitativo utilizzato per confermare l’infezione in atto. Il test diventa positivo dopo 1‐2<br />

settimane dal contagio. Utilizzato nei centri trasfusionali per la ricerca di routine. Il principale<br />

metodo è RT‐PCR.<br />

• Test quantitativo È impiegato per monitorare l’andamento della malattia e determinare<br />

l’efficacia della terapia. Si utilizza RT‐PCR Real‐Time, competitive RT‐PCR.<br />

21


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• Genotipizzazione La conoscenza dei sottotipi riveste importanza clinica. Alcuni rispondono<br />

meglio alla terapia che altri. I principali metodi sono PCR‐RFLP, sequenziamento, dot plot.<br />

PCR<br />

La PCR consiste nell’amplificare un piccolo frammento di DNA per poi poterlo individuare.<br />

Si parte da una doppio filamento di DNA che è mantenuto integro da dei ponti ad H. Per prima cosa quindi<br />

si separano i due filamenti (denaturazione) aumentando la temperatura fino a 94‐96°C.<br />

Per amplificare una regioni ci vogliono dei primers, frammenti di DNA complementare a delle regioni del<br />

DNA che si vuole amplificare. Si inseriscono ad una temperatura di circa 60°C.<br />

A questo punto entra in gioco la DNA polimerasi DNA‐dipendente che si attacca ai primers e li allunga in<br />

direzione 5’‐3’. Lavora ad una temperatura di 72°C. Questa tecnica è possibile solo grazie alla scoperta di<br />

DNA polimerasi nei batteri termofilici che resistono a queste temperatura (quella umana lavora a 37°C<br />

ovviamente).<br />

A questo punto di ha di nuovo del DNA a doppio filamento e si rinizia il ciclo. Alla fine del terzo ciclo si sono<br />

formati dei frammenti di DNA che vogliamo cercare della lunghezza giusta (target DNA). Ad ogni ciclo<br />

successivo si aumenta il numero di questi frammenti.<br />

Per vedere il DNA si aggiunge del colorante (etilio bromuro) che si intercala tra le basi. Si fa quindi correre i<br />

frammenti in un gel in un campo elettrico e migrano verso il polo positivo perché le basi sono negative. Si<br />

dividono quindi per lunghezza. In questi casi si effettua sempre un controllo negativo inserendo tutti i<br />

componenti per fare la PCR ma non il DNA, perché in laboratorio, aprendo le provette si possono fare<br />

areosol di DNA che finiscono in altre provette dando dei falsi positivi.<br />

Essendo un virus a RNA si utilizza una trascrittasi inversa (simile a quella dell’HIV) che lo trasforma in cDNA.<br />

Per amplificare un mRNA si può utilizzare un oligo‐dT che si attacca alla coda di poli‐A come primers. Per il<br />

virus non si può fare e si utilizzano quindi:<br />

‐ Esameri casuali<br />

‐ Oligo sequenza‐specifici.<br />

La reazione avviene a 37°C.<br />

È stato creato un enzima che funziona sia da trascrittasi inversa che da DNA‐polimerasi. Quando si aumenta<br />

la temperatura da 37 a 94 cambia la sua azione. In questo modo si risparmia tempo e di diminuiscono i<br />

rischi di contaminazione.<br />

Con questa tecnica possiamo vedere se c’è o no il virus. In realtà con il colore delle bande si può vedere se<br />

c’è più o meno DNA ma dipende a che punto della reazione di polimerizzazione ho fermato (se nella fase<br />

logaritmica o nella fase di plateau).<br />

PCR‐REAL TIME<br />

Viene fatta da una macchina che unisce la PCR (sistema di amplificazione) ai sistemi di rilevazione del DNA<br />

amplificato. Si aggiunge, oltre alle altre molecole utili per la PCR, anche una sonda che emette segnali<br />

luminosi che la macchina è in grado di individuare. La sonda presenta un frammento di DNA che si lega<br />

all’interno del DNA amplificato e due molecole ad esso legate:<br />

‐ Reporter Emette la fluorescenza<br />

‐ Quencher (o inibitore) Inibisce la reporter quando le due molecole sono vicine.<br />

L’azione della polimerasi scalza il frammento e divide in questo modo le due molecole. La molecola<br />

reporter può emettere la fluorescenza. L’intensità della fluorescenza è quindi proporzionale al DNA<br />

prodotto.<br />

In una PCR si ha inizialmente una fase di latenza in cui non c’è amplificazione, una seconda fase con<br />

andamento lineare. Quando poi l’efficienza cala si ha il plateau. I cicli passano ma le molecole non<br />

aumentano. Bisogna quindi tener presente l’efficienza (E). Il numero di frammenti è quindi uguale ai<br />

frammenti iniziali per 1 più l’efficienza che varia da 0 a 1 [N = N0 ∙ (1+E)].<br />

La macchina valuta la fluorescenza fin da subito ma non vede nulla. Dopo un po’ la fluorescenza aumenta<br />

con una andamento abbastanza rettilineo finche non raggiunge il plateau.<br />

Si può far valutare alla macchina a quale ciclo della PCR la fluorescenza supera un valore soglia. In questo<br />

modo si possono valutare le quantità di DNA iniziale. Più molecole c’erano inizialmente, prima la<br />

22


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

fluorescenza supererà il livello soglia. È una quantità relativa ma che può anche portare a dei numeri<br />

assoluti.<br />

Cambiando i primer, si modifica poi l’obiettivo del test. Se si inserisce un primer contro l’RNA positivo<br />

possiamo calcolare quanto virus c’è, mentre mettendo primer contro RNA negativo si calcola la quantità di<br />

virus in attiva replicazione.<br />

Un inconveniente di questa tecnica è il fatto che è molto costosa perché le sonde marcate costano molto.<br />

DOT BLOT<br />

È un test utile per la genotipizzazione del virus e quindi capire di quale dei 10 sottotipi è il virus.<br />

I diversi genotipi sono determinati da sequenze particolari in particolari porzioni di DNA. Il metodo più<br />

semplice e meno costoso per genotipizzare è il dot blot (l’altro sarebbe il sequenziamento).<br />

Si prende un piccolo oligonucleotide complementare per la porzione di DNA di un genotipo. Questo si<br />

legherà alla sua sequenza complementare se il virus è di quel genotipo. Devo quindi dividere prima il<br />

campione in 10 parti ed in ogni provetta inserisco l’oligonucleotide per un diverso genotipo. I frammenti<br />

sono fissati ad un supporto solito. Prima di inserire il DNA si marca con fluoro cromi o con molecole<br />

radioattive. Nella provetta con l’oligonucleotide fisso inserisco il DNA virale. Faccio un lavaggio e osservo<br />

quanto DNA è rimasto fissando essendo stato precedentemente marcato.<br />

Ci possono essere campioni più o meno negativi. È dovuto a:<br />

‐ Aspetti tecnici La reazione può funzionare più o meno bene<br />

‐ Aspetti biologici Ci possono essere più genotipi nell’infezione. Non è comunque frequente. In<br />

questo caso comunque non possono dire quanto ce né per ogni genotipo ma posso dire solo il<br />

totale del virus.<br />

LIPOPROTEINE PLASMATICHE<br />

Il colesterolo è un componente strutturale delle membrane plasmatiche dove ne modula la fluidità. In oltre<br />

è il precursore degli acidi biliari, degli ormoni steroidei e della vitamina D.<br />

Il colesterolo è introdotto:<br />

‐ Dalla dieta<br />

‐ Sintetizzato da tessuti extraepatici<br />

‐ Sintetizzato ex novo dal fegato.<br />

È poi ridotto grazie a:<br />

‐ Secrezione di lipoproteine<br />

‐ Colesterolo libero nella bile<br />

‐ Trasformato in acidi e sali biliari.<br />

Le apolipoproteine hanno varie funzioni tra cui:<br />

• Fungere da siti di riconoscimento per recettori presenti sulle membrane cellulari<br />

• Fungere da attivatori o co‐enzimi per enzimi coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine.<br />

Le apolipoproteine sono formate da:<br />

o Componente proteica Apoproteine Sono di 5 classi dalla A alla E.<br />

o Componente esterna formata da fosfolipidi e qualche molecola di colesterolo non esterificato<br />

o Componente interna lipidica formata da trigliceridi e colesterolo.<br />

CHILOMICRONI<br />

I grassi assunti con la dieta vengono assorbiti ed organizzati in chilomicroni che vengono messi in circolo.<br />

Sono per lo più formati da trigliceridi con una piccola porzione di colesterolo. In circolo acquisiscono dalle<br />

HDL le apoproteine APO‐C2, APO‐E e APO‐B48. La APO‐C2 serve ad attivare la lipoproteina lipasi che scinde<br />

i chilomicroni prendendo i trigliceridi che serviranno al tessuto (per creare energia se si tratta del muscolo).<br />

Si formano quindi delle rimanenze di chilomicroni che sono ricchi in colesterolo e poveri in trigliceridi.<br />

L’APO‐E è invece necessaria per l’uptake epatico. L’APO‐B48 è invece necessaria per l’assemblamento del<br />

chilomicrone.<br />

VLDL E LDL<br />

23


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Le VLDL sono sintetizzate dal fegato. In circolo prendono dalle HDL le apoproteine APO‐C2, APO‐E e APO‐<br />

B100 (serve per l’assemblaggio). Le VLDL sono ricche in trigliceridi e povere in colesterolo ma con una<br />

differenza minore rispetto ai chilomicroni (le quantità di trigliceridi e colesterolo non sono così diverse). In<br />

periferia vengono trasformate in IDL (a densità intermedia) scambiando trigliceridi e colesterolo con le HDL.<br />

Le IDL vengono poi trasformate in LDL cedendo APO‐C2 e APO‐E alle HDL. A questo punto hanno un alto<br />

contenuto di colesterolo e un basso contenuto di trigliceridi. Possono quindi depositare colesterolo a livello<br />

dei vasi. Il valore delle LVL è direttamente proporzionale al rischio di malattie cardiovascolari.<br />

HDL<br />

Le HDL hanno le apoproteine APO‐E, APO‐C e APO‐A. Sono importanti perché prendono il colesterolo dalla<br />

periferia e lo portano al fegato. Questo meccanismo viene detto trasporto inverso del colesterolo. Il valore<br />

delle HDL è quindi inversamente proporzionale al rischio di malattie cardiovascolari.<br />

MECCANISMO DI FORMAZIONE DELLA PLACCA<br />

In presenza di fattori pro‐aterosclerotici i macrofagi migrano maggiormente dal lume all’interno della<br />

parete del vaso. Iniziano a togliere colesterolo alle LDL. A causa del troppo colesterolo non riescono a<br />

smaltirlo e diventano cellule schiumose. Iniziano ad accumularsi le une sulle altre.<br />

Riescono a prendere il colesterolo dalle LDL‐ossidate. Bisognerebbe cercare solo quelle ma non si fa e si<br />

cerca solo il valore di LDL totale.<br />

ESAMI DI LABORATORIO<br />

L’indagine più richiesta in laboratorio è la valutazione del colesterolo plasmatico (c’è però un errore<br />

dell’8%). Si consiglia un digiuno pre‐esame si 12 ore anche se non è strettamente necessario perché il<br />

colesterolo non varia in correlazione al cibo a breve termine. È importante invece il digiuno se l’esame si<br />

associa ad altri come la glicemia. I valori normali sono 40mg/dl. È utile anche il<br />

rapporto tra colesterolo‐HDL e il colesterolo totale che deve essere inferiore a 5.<br />

Disponendo dei valori di colesterolo totale e colesterolo‐HDL e trigliceridi si può calcolare il colesterolo LDL<br />

con la formula di Frieewald: 5<br />

. I valori di LDL devono essere<br />

inferiori a 160mg/dl.<br />

I trigliceridi plasmatici vengono misurati con metodi enzimatici‐colorimetrici. La variabilità biologica della<br />

trigliceremia impone un più attento rispetto delle condizioni pre‐analitiche: il campione va prelevato al<br />

mattino dopo 12‐14 ore di digiuno. La conservazione del campione non deve superare i 4 giorni al fine di<br />

evitare l’idrolisi spontanea. I valori desiderabili sono inferiori di 200mg/dl. L’ipertrigliceremia viene<br />

considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di cardiopatia ischemica.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

DIABETE<br />

Il diabete è un complesso disordine del metabolismo dei carboidrati caratterizzato da:<br />

‐ Iperglicemia<br />

‐ Glicosuria<br />

‐ Complicazioni cliniche Aterosclerosi, nefropatia, neuropatia, retinopatia Si manifestano dopo<br />

alcuni anni di malattia.<br />

La causa è:<br />

• O un difetto di secrezioni insulinica Diabete di tipo I° o giovanile<br />

• O un difetto di azione insulinica Diabete di tipo II° (sono il 90‐95% dei diabetici).<br />

• O una combinazione delle due.<br />

Esiste inoltre un diabete detto gestazionale È un normale diabete che compare in gravidanza e che si<br />

normalizza dopo il parto. Può però attivare una situazione di pre‐diabete preesistente e quindi non<br />

scomparire. L’iperglicemia durante la gravidanza causa:<br />

‐ Un crisi ipoglicemica del bambino dopo il parto perché si era abituato a livelli elevati in utero.<br />

‐ Macrosomia.<br />

MISURAZIONE DELLA GLICEMIA<br />

Prelievo del campione Siero o plasma dovrebbero essere separati dai costituenti cellulari<br />

immediatamente, se possibile, e non più tardi di un’ora, prelevando il campione di sangue. Il sangue può<br />

essere conservato fino a 24 ore dopo aver aggiunto l’inibitore della glicolisi (NaF, KF).<br />

Si effettua poi il test dell’esochinasi in cui si misura la quantità di NADPH che viene prodotta dalle seguenti<br />

reazioni:<br />

<br />

6 <br />

6 <br />

6 La quantità di NADPH è direttamente proporzionale alla quantità di glucosio iniziale.<br />

I valori a digiuno (dopo una notte quindi 8 ore, meglio 12 [è quindi importante fare il test al mattino perché<br />

durante la notte il consumo è basale]) devono essere inferiori a 100mg/dl. Il valore soglia da noi è<br />

110mg/dl. Valori tra 100 e 125 mg/dl indicano una condizione di prediabete, mentre valori maggiori di<br />

126mg/dl indicano il diabete vero e proprio.<br />

Se i valori indicano uno stadio intermedio si può fare il test OGTT (Oral Glucose Tollerance Test). Si fa<br />

ingerire 75g di glucosio e si valuta la cinetica nel tempo. Normalmente si fa solo una misurazione dopo due<br />

ore. Un valore inferiore a 140mg/dl è normale, un valore tra 140 e 199mg/dl indica il pre‐diabete, mentre<br />

un valore maggiore o uguale a 200mg/dl indica il diabete.<br />

CRITERI PER LA DIAGNOSI DI DIABETE<br />

1. Glicemia a digiuno maggiore di 126mg/dl<br />

2. Sintomi di iperglicemia (poliuria, polidipsia,…) e valori casuali di glucosio maggiori di 200mg/dl.<br />

3. OGTT dopo due ore maggiore di 200mg/dl.<br />

Per la diagnosi di diabete gestazionale si utilizzano altri criteri. Si fa un OGTT con 50g e si fa la misurazione<br />

dopo 1 ora. Il valore deve essere inferiore a 140mg/dl. È una sorta di pretest. Se è positivo si fa il test<br />

dell’OGTT con 100g di glucosio e si valuta la glicemia dopo tempi più lunghi.<br />

GLICOSURIA<br />

Misura la quantità di glucosio nelle urine solitamente rapportata nelle 24 ore. Se il glucosio plasmatico<br />

supera 180mg/dl supera il valore soglia di riassorbimento tubulare e quindi ne ritroviamo nelle urine. Il test<br />

si effettua con strisce che devono essere imbevute nell’urina. Hanno una buona approssimazione e si fa 7<br />

volte al giorno in modo da creare una curva giornaliera.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

INSULINEMIA<br />

È importante soprattutto nelle prime fasi per vedere di che tipo di diabete si tratta. Si effettua sia il<br />

dosaggio basale sia il valore dopo uno stimolo.<br />

Se l’insulinemia è ridotta si tratta di un diabete di tipo I°.<br />

Il diabete di tipo II° inizialmente presenta un’insulinemia elevata perché le cellule del pancreas tentano di<br />

compensare la mancata azione dell’insulina. Con il passare degli anni i livelli diminuiscono perché le cellule<br />

beta del pancreas si esauriscono.<br />

EMOGLOBINA GLICOSILATA<br />

È un test utile per il controllo dell’andamento della terapia. L’emoglobina nell’adulto è di due tipi:<br />

‐ HbA2 Presenta due subunità α e due δ È poco rappresentata<br />

‐ HbA1 Presenta due subunità α e due β È la più rappresentata. La catena β può legarsi con il<br />

gruppo aminico a diversi zuccheri. Si possono quindi distinguere vari sottotipi:<br />

o HbA1a1<br />

o HbA1a2<br />

o HbA1b<br />

o HbA1c Si lega al glucosio.<br />

La reazione è: .<br />

La quantità di intermedio instabile (6‐8% fisiologicamente) varia piuttosto rapidamente con variazioni della<br />

glicemia. La quantità dell’intermedio stabile si forma solo dopo esposizione ad alte concentrazioni di<br />

glucosio per lunghi periodi (settimane, mesi).<br />

La forma stabile rappresenta un indice dei livelli di glicemia nei tre mesi precedenti il test. Si può quindi<br />

valutare quanto la terapia funziona.<br />

I valori normali sono inferiori a 6% 6% della HbA1c è glicosilata.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

ELEMENTI DI EMATOLOGIA DI LABORATORIO<br />

CONTA‐GLOBULI MULTI‐PARAMETRICI<br />

È uno strumento che permette di contare i globuli rossi e valutare anche altri parametri fisici. Utilizza:<br />

• Impedenziometria Misura il volume cellulare La doppia membrana lipidica delle cellule agisce<br />

da isolante del campo elettrico, opponendosi al passaggio di corrente a bassa frequenza che fluisce<br />

in modo continuo. L’aumento di resistenza che si verifica al passaggio di ogni cellula attraverso<br />

l’apertura del campo elettrico provoca una rispettiva diminuzione di voltaggio. La variazione di<br />

voltaggio viene registrata dal circuito elettrico sotto forma di impulso, la cui ampiezza è<br />

direttamente proporzionale al volume della cellula che lo ha prodotto.<br />

• Conduttività Misura l’opacità cellulare La conduttività è una misurazione ottenuta applicando<br />

sulle cellule una corrente ad alta frequenza (23MHz) che consente alla corrente elettrica di<br />

attraversare la cellula. Il segnale che attraversa e oltrepassa la cellula è legato alla resistenza<br />

opposta dal contenuto interno della cellula al passaggio della corrente. La quantità di corrente che<br />

oltrepassa la cellula viene trasformata matematicamente per depurarla dalla componente volume,<br />

ottenendo così la misura di opacità. La misura di opacità è ulteriormente convertita in conduttività<br />

che viene rappresentata sul citogramma. La conduttività consente di differenziare cellule di volume<br />

simile ma con diversa composizione e struttura interna (ci da un’idea della complessità cellulare).<br />

• Scatter di luce laser Misura la granularità cellulare Un raggio monocromatico di luce laser<br />

colpisce le cellule. Un rilevatore consente di valutare la luce diffratta dalle cellule, direttamente<br />

proporzionale alla loro granularità e alla struttura della membrana cellulare. Al segnale di luce laser<br />

diffratto viene sottratto matematicamente il volume totale della cellula calcolato con<br />

l’impedenziometria, in modo che la misura di luce laser sia esclusivamente legata alla sua<br />

granularità e alla struttura della membrana cellulare.<br />

Valutazione dei parametri dei globuli rossi:<br />

‐ Numero Uomo 4.5‐6 milioni/μl. Donna 4‐5 milioni/μl.<br />

‐ Ematocrito Si calcola dal prodotto del numero dei globuli rossi per il volume corpuscolare medio.<br />

I valori normali sono 40‐50% nell’uomo e 36‐46% nella donna. Aumenta fisiologicamente con la<br />

disidratazione e con l’ipossia da alta montagna. Per doparsi si usava iniettarsi EPO esogena. La<br />

nuova modo è invece quella di inserire DNA di EPO in modo che la proteina creata sia endogena e<br />

quindi irriconoscibile dal test anti‐doping.<br />

‐ Volume corpuscolare medio (MCV) Volume medio di un globulo rosso ed è espresso in<br />

femptolitri (fl). Valori normali sono considerati tra 80 e 94 fl. Si parla di “microcitosi” quando MCV è<br />

inferiore a 60fl, “macrocitosi” quando è superiore a 120fl. Si usano un po’ distanti dai valori noramli<br />

perché ci possono essere della variazione di volume di alcuni globuli rossi.<br />

‐ RDW (Red‐Cell Distribution Width o ampiezza della distribuzione eritrocitaria) misura il grado di<br />

anisocitosi Coefficiente di variazione Deviazione standard della distribuzione dei volumi<br />

eritrocitari / MCV. I valori normali sono compresi tra 11.5 e 14.5.<br />

I contaglobuli possono anche valutare, tramite le misure di scattering, la concentrazione di Hb (HCHM‐><br />

Mean Hemoglobin Corpuscolar Concentration). Dal rapporto tra la deviazione standard della distribuzione<br />

ed il valore medio di HCHM si ottiene l’indice di anisocromia (HDW‐> Hemoglobin Distributione Width). Il<br />

metodo elettivo per la misurazione dell’Hb è basato sulla misurazione spettrofotometrica dell’assorbanza<br />

dell’emolisato di un volume noto di campione. I valori normali sono 13.7‐17g/dl nel maschio 12.5‐16g/dl<br />

nella donna.<br />

INDICI ERITROCITARI<br />

Sono detti indici eritrocitari perché vengono calcolati e non misurati e sono MCHC e MHC.<br />

27


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

• MCHC o concentrazione corpuscolare media di Hb Si ottiene dal rapporto tra la concentrazione<br />

di Hb/dl e l’ematocrito. I valori normali sono compresi tra 32 e 36%. Di fatto HCHM e MCHC sono<br />

uguali tranne per il motivo che il primo è misurato, il secondo è calcolato da altri parametri<br />

misurati.<br />

• MHC o Hb corpuscolare media Contenuto medio (massa) di emoglobina per globulo rosso,<br />

espresso in picogrammi e viene calcolato dal rapporto tra il valore della concentrazione di Hb e il<br />

numero di globuli rossi/mm 3 . I valori normali sono compresi tra 26 e 32 picogrammi.<br />

ANALISI POPOLAZIONI ERITROCITARIE<br />

Inserendo in un grafico in cui in ascissa c’è la densità (concentrazione di Hb) e in ordinata il volume i globuli<br />

rossi si individuano tre popolazioni:<br />

‐ Normociti Volume tra 60 e 120 fl. Densità tra 28 e 41 g/dl Hanno una vita media di 60 giorni.<br />

Sono incapaci di sintesi proteica e non avendo mitocondri non possono trarre energia<br />

dall’ossidazione degli acidi grassi e l’unica fonte di NADPH deriva dallo shunt dell’esoso monofofato<br />

poiché il ciclo di Krebs non può avere luogo.<br />

‐ Reticolociti o neociti Sono i precursori dei globuli rossi e rappresentano circa lo 0.5‐2% dei globuli<br />

rossi totali. Contengono ancora mitocondri o loro frammenti e residui di sostanza ribosomiale. Si<br />

riconoscono con al colorazione di blu di metilene che provoca la precipitazione del materiale<br />

ribosomiale sottoforma di un fine reticolo colorato da cui deriva il loro nome. Invecchiando danno<br />

origine ai normociti.<br />

‐ Gerociti o sferociti Sono i normociti invecchiati e hanno un volume inferiore.<br />

ERITROPOIETINA<br />

La produzione dei globuli rossi è continua ed è regolata dal livello di ossigenazione dei tessuti. L’ipossia a<br />

livello del rene induce la secrezione dell’eritropoietina (dalle cellule iuxtaglomerulari del rene). Il dosaggio<br />

dell’eritropoietina (Epo) può essere eseguito tramite RIA od ELISA. La concentrazione di Epo diminuisce in<br />

modo inversamente proporzionale all’ematocrito. Nell’insufficienza renale cronica si può osservare una<br />

diminuita produzione di Epo.<br />

METABOLISMO DEL FERRO<br />

Il ferro è un elemento indispensabile per formare l’Hb, la mioglobina, il citocromo c, ecc… Il ferro libero è<br />

tossico e per questo viene immagazzinato legato a proteine. Le miglior fonti alimentari di ferro sono il<br />

fegato, la carne e il pesce. Il duodeno è la sede principale di assorbimento del ferro. Nelle cellule della<br />

mucosa intestinale il ferro viene immagazzinato coniugato alla ferritina e poi trasportato verso il polo<br />

vascolare della cellula per essere legato alla proteina vettrice transferrina.<br />

Ferritina Proteina globulare che si trova principalmente nel fegato e che può contenere più di 2500 ioni<br />

di ferro in una struttura a nano gabbie composta da 24 identiche subunità composte da due subunità H e L.<br />

All’interno della struttura a pori della ferritina gli ioni ferro rimangono intrappolati e formano il minerale<br />

ferridrite insieme a fosfati e ioni idrossido. Si ritiene che la subunità H sia coinvolta nel caricamento del<br />

ferro mentre la subunità L sia coinvolta nella formazione e stabilizzazione del ferro interno al complesso. La<br />

ferritina circolante si trova in concentrazioni molto basse rispetto alla ferritina presente nei tessuti. In<br />

assenza di processi infiammatori, di tumori, di patologie epatiche (che possono innalzare i livelli sierici della<br />

ferritina) tale proteina è considerata un buon indicatore delle riserve di ferro dei tessuti. La concentrazione<br />

di ferritina nel siero è strettamente correlata con la quantità di ferritina intracellulare che è a sua volta<br />

prodotta in funzione dei livelli di ferro intracellulare.<br />

Transferrina Essendo insolubile nel plasma, il ferro può circolare a livello plasmatico solo legato alla<br />

proteina transferrina, la quale, una volta legato il ferro, può legarsi ai recettori per la transferrina (TfR)<br />

presenti sulle superfici cellulari. Una volta legati al TfR, la transferrina viene internalizzata, il ferro separato<br />

ed utilizzato dalla cellula mentre la transferrina viene riportata in superficie e rilasciata nel plasma. È<br />

sintetizzata dal fegato con una velocità che è inversamente proporzionale alle scorte di ferro. La<br />

transferrina può essere misurata come mass (mg/dl) ma anche come indice di saturazione della transferrina<br />

28


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

(quantità di transferrina saturata con il ferro). Si calcola dal valore della sideremia (corrisponde alla quota di<br />

ferro legata alla transferrina) e dalla capacità di legare il ferro (TIBC‐> Total Iron Binding Capacity).<br />

ANEMIE<br />

Per anemia si intende una riduzione della quantità totale di emoglobina circolante nel sangue periferico<br />

all’interno degli eritrociti. La quantità di globuli rossi/μl può non riflettere il grado di anemia: infatti nelle<br />

anemie microciti che‐ipocromiche (deficit di ferro. Detta anche anemia mediterranea) il calo di Hb si associa<br />

ad un numero normale o aumentato di globuli rossi.<br />

Sono principalmente di due tipi:<br />

‐ Iporigenerative:<br />

o Produzione insufficiente di globuli rossi da cause midollari<br />

o Difetti qualitativi dell’eritropoiesi (difetti della sintesi del DNA)<br />

o Difetti della sintesi di emoglobina.<br />

‐ Anemie rigenerative:<br />

o Da emorragia acuta<br />

o Da emolisi.<br />

Tra le varie forme di anemie possibili, tratteremo brevemente alcune forme più comuni di anemia:<br />

• Microcitica‐ipocromica Presentano MCV minore di 79fl, MCHC minore di 32% e un discreto grado<br />

di anisocitosi. Le cause più comuni sono riconducibili ad una carenza di ferro (anemie<br />

sideropeniche) o da difetti delle catene globiniche (talassemie).<br />

o Anemia sideropenica Presenta la sideremia diminuita, la transferrina insatura aumentata<br />

e la ferritina diminuita. Il ferro è contenuto in due distretti: i depositi (fegato) e l’eritrone<br />

(deposito del midollo che utilizza per fare Hb). Sono separati ma comunicanti. Quando c’è<br />

la deplezione di ferro il primo a consumarsi è quello del deposito. Si abbassano solo i livelli<br />

di ferritinemia. Quando c’è un’ulteriore depauperamento del ferro inizia a diminuire anche<br />

il ferro dell’eritrone e diminuisce anche la sideremia e la saturazione della transferrina. Il<br />

globulo rosso diventa microcitico ipocromico.<br />

o Anemia talassemica La sideremia è normale o leggermente aumentata. Bisogna<br />

effettuare lo studio della Hb tramite elettroforesi e lo studio familiare (test genetici). C’è un<br />

alterato rapporto nelle catene.<br />

Alfa‐talassemia Si formano tetrameri β e i globuli rossi vengono detti corpi<br />

inclusi. Si un aumentata distruzione da parte del midollo e della milza. I geni che<br />

codificano per la catena α e ci sono vari gravi di talassemia a seconda di quanti geni<br />

sono ancora funzionali. Fino al 50% il paziente non presenta sintomi. Quando solo 1<br />

o 0 geni non sono alterati si ha la cosiddetta anemia grave. Le mutazioni sono<br />

grosse.<br />

Beta‐talassemia Si formano tetrameri α e i globuli rossi precipitano. Si un<br />

aumentata distruzione da parte del midollo e della milza. Le mutazioni sono piccole<br />

e possono essere diverse (più di 200).<br />

Nelle talassemie è opportuno studiare Hb con l’elettroforesi. Nel 60% dei casi si<br />

evidenziano delle variazioni strutturali dell’emoglobina. Nella β‐talassemia si ha inoltre un<br />

aumento della quantità di HbA2 e un possibile aumento della quantità di HbF (fetale,<br />

prodotta dal fegato). Nell’α‐talassemia si ha invece una riduzione della quantità di HbA2.<br />

Soprattutto per la β‐talassemia è opportuno fare un Dot Blot. Si fissano degli<br />

oligonucleotidi che sono complementari ad una sequenza mutata. Si inserisce il DNA<br />

colorato e si fanno dei lavaggi. Se si fissa presenta la mutazione. Si possono utilizzare<br />

oligonucleotidi complementari all’allele normale e oligonucleotidi complementare all’allele<br />

mutato. Se si legano entrambi vuol dire che il paziente è eterozigote, altrimenti omozigote.<br />

[Le alterazioni delle basi possono in alcuni casi creare sequenze di stop che quindi creano<br />

catene molto più corte e facilmente rilevabili].<br />

• Macrocitica sia normo che ipo‐cromica Sono causate da un gruppo eterogeneo di malattie o<br />

dovute alla carenza di fattori alimentari tra cui i folati e la vitamina B12 (fattori che l’organismo non<br />

29


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

sa sintetizzare). Tutte le anemie di questo gruppo sono caratterizzate da un difetto della sintesi del<br />

DNA che si evidenzia nel midollo con una eritropoiesi megaloblastica.<br />

o Folati Intervengono nei processi metabolici coinvolti nella sintesi delle purine e della<br />

timidina, nonché nella sintesi degli amminoacidi quali la metionina.<br />

o Vitamina B12 Il suo deficit si ritiene conduca ad una riduzione dei livelli di acido<br />

tetraidrofolico e quindi ad una ridotta sintesi di purine e pirimidine. Si ha quindi una<br />

riduzione della sintesi del DNA e quindi blocco della divisione cellulare.<br />

La carenza di acido folico o vitamina B12 è assai diffusa, soprattutto nei paesi sottosviluppati. Le<br />

cause di ciò sono molteplici e vanno dalle malattie infettive, alle terapie farmacologiche, alla<br />

gravidanza, al malassorbimento (stati infiammatori intestinali, morbo celiaco), deficit nutrizionale.<br />

Il fattore intrinseco è una glicoproteina secreta dalla mucosa gastrica che, legando la vitamina B12<br />

introdotta con la dieta, ne consente l’assorbimento. Nello stomaco si viene a formare un legame tra<br />

il fattore intrinseco e la vitamina B12. Il complesso, resistendo all’azione digestiva dei numerosi<br />

enzimi proteolitici, prosegue inalterato lungo il tubo digerente, fino a raggiungere l’ileo dove la<br />

vitamina B12 viene assorbita. In assenza di fattore intrinseco, la vitamina B12 viene quasi<br />

completamente eliminata con le feci: la conseguente avitaminosi è responsabile di una tipica<br />

anemia, detta perniciosa (o megaloblastica).<br />

• Normocitica normocromica Tipica delle situazioni post‐emorragiche acute (interventi chirurgici,<br />

ferite, ecc…) o post‐emolitiche (infezioni, agenti tossici, autoimmunitarie, ecc…). L’aumento dei<br />

reticolo citi che raggiunge un picco 7‐10 ore dall’episodio emorragico, esclude un difetto<br />

dell’emoglobinogenesi o dell’eritropoiesi. La perdita acuta di sangue non determina variazioni dei<br />

parametri eritrocitari in fase acuta. Successivamente determina un calo dell’ematocrito e dell’Hb<br />

(anemia).<br />

Solo nelle forme post‐emolitiche si osserva, dopo un certo tempo dalla crisi, un aumento della<br />

bilirubina totale ed indiretta, segno di aumentato catabolismo dell’eme. Nell’emolisi intravascolare<br />

si libera inoltre LDH.<br />

30


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

APPARATO URINARIO<br />

CESSI DI FISIOLOGIA<br />

L’intera massa sanguigna, 5‐6 litri, passa attraverso i reni circa 20 volte in un’ora, vale a dire circa 100 litri di<br />

sangue all’ora. L’urina primitiva che esce da questi setacci (e che comprende, insieme agli scarti, molta<br />

acqua, sali, zuccheri e proteine) viene recuperata quasi al 90%: infatti nelle 24 ore i corpuscoli renali filtrano<br />

180 litri di liquido, ma solo un litro e mezzo, in media, verrà eliminato.<br />

L’escreto è formato da:<br />

‐ Filtrato glomerulare Liquido simile al plasma che però non contiene significative quantità di<br />

proteine. L’albumina (PM di 69KD) è filtrata solo per lo 0‐005%, quindi in condizioni fisiologiche solo<br />

una piccola parte delle proteine plasmatiche sono filtrate dal glomerulo. Ciononostante, se non<br />

avvenisse un riassorbimento tubulare (pinocitosi), si perderebbero circa 30g di proteine al giorno,<br />

una quantità eccessiva per il bilancio corporeo.<br />

‐ Più il secreto tubulare meno il riassorbito tubulare In particolare:<br />

o Tubulo contorto prossimale Elabora l’80% del filtrato glomerulare:<br />

Riassorbe:<br />

• I 2/3 del Na + del filtrato A questo segue il riassorbimento di Cl ‐ e H2O,<br />

HCO3 ‐ e urea.<br />

• Quasi tutti i K + , poi Ca 2+ e Mg 2+ .<br />

• Glucosio e amminoacidi (meccanismo attivo)<br />

• Vitamine e altri composti.<br />

Secreti H + e NH3 e varie sostanze di origine metabolica.<br />

o Ansa di Henle Il primo tratto si comporta come il tubulo prossima, nel secondo tratto si<br />

hanno i processi passivi di scambio di Na + , Cl ‐ e H2O, nel quarto tratto c’è infine un<br />

intensissimo riassorbimento attivo di Na + e di Cl ‐ , con le pareti quasi impermeabili al H2O e<br />

urea.<br />

o Tubulo contorto distale:<br />

Riassorbe attivamente Na + (aldosterone dipendente).<br />

Secerne H + e NH3.<br />

o Tubulo e dotto collettore Riassorbe:<br />

Na + (con Cl ‐ ) aldosterone dipendente<br />

H2O fortemente dipendente dall’ADH.<br />

ANALISI DELLE URINE<br />

Un’analisi completa delle urine consiste in punti distinti:<br />

• Esame fisico Rileva il colore, trasparenza e la densità<br />

• Esame chimico Testa chimicamente la presenza di diverse sostanza che forniscono informazioni<br />

sullo stato di salute e di malattia<br />

• Esame microscopico Identifica e conta il tipo di cellule, cilindri, cristalli e altre componenti<br />

(batteri, muco) che possono essere presenti nell’urina.<br />

• Esame microbiologico identifica la presenza di patogeni.<br />

RACCOLTA DEL CAMPIONE<br />

Le urine per l’esame chimico‐fisico possono essere raccolte in qualunque momento, ma è di gran lunga<br />

migliore il campione del primo mattino perché, essendo più concentrato, offre maggiori possibilità di<br />

rinvenire eventuali residui patologici. Nel caso di indagine microbiologica, l’urina del mattino permette più<br />

facilmente l’individuazione di micro‐organismi a causa della stasi urinaria (vescicale) notturna che ne<br />

permette la crescita e quindi l’incremento di numero. Nel caso di una valutazione microbiologica dell’urina,<br />

a causa del pericolo di contaminare le urine con batteri della cute circostante, nella fase di raccolta<br />

(soprattutto nelle donne) è importante pulire i genitali. Appena inizia la minzione, il primo getto va<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

eliminato, quindi si raccoglie l’urina (10‐20ml) in un adatto contenitore (sterile se richiesta indagine<br />

microbiologica) stando attenti ad evitare il contatto tra i genitali e il contenitore.<br />

ESAME CHIMICO‐FISICO<br />

Aspetto In condizioni normali l’urina deve essere limpida e di colore giallo paglierino: tale<br />

caratteristica colorazione è dovuta principalmente alla presenza di urocromo, urobilinogeno e uro<br />

eritrina, pigmenti presenti nella bile ed eliminati con i reni.<br />

o Torbidità Potrebbe essere dovuta a precipitazione di fosfati a pH alcalino, presenza di<br />

pus, di muco o di batteri, generalmente indici di infezione delle vie urinarie.<br />

o Sfumatura rossa Può segnalare una anomale presenza di sangue che può essere<br />

confermata dall’esame per la ricerca dell’emoglobina. Un’urina di questo colore può<br />

semplicemente essere dovuta a una contaminazione del flusso mestruale o all’assunzione<br />

di particolare alimenti o farmaci. Tra le cause patologiche invece si possono manifestare le<br />

infiammazione della vescica, la perdita di sangue dai reni.<br />

o Colorazione arancione (simile al tuorlo d’uovo) Può far pensare ad un’eccessiva quantità<br />

di urobilina, un prodotto della trasformazione della bilirubina, normalmente presente<br />

nell’urina solo in tracce. L’aumento dell’urobilina può essere il segnale di alcune malattie a<br />

carico del fegato o del sangue.<br />

o Colorazione marrone Sono dovute ad un’elevata presenza di bilirubina, indice<br />

generalmente di alterata funzionalità epatica.<br />

Densità (peso specifico in rapporto a quello dell’acqua distillata) Varia in relazione alla capacità<br />

dei tubuli renali di concentrare il filtrato glomerulare. In condizioni normali il peso specifico varia da<br />

1005 a 1025 (normostenuria). In condizioni di astensione prolungata di liquidi può superare i 1025,<br />

mentre in condizioni di carico idrico può essere inferiore a 1005. L’incapacità del rene di<br />

concentrare o diluire l’urina è indice di disfunzione renale.<br />

pH Valori normali sono considerati tra 4‐8 e 7. Fattori che possono rendere le urine acide sono<br />

una dieta iperproteica o ricca di frutti (mirtilli) e l’assunzione di farmaci. Le urine possono essere<br />

alcaline a causa di farmaci a base di bicarbonato di sodio o citrato di potassio, infezioni alle vie<br />

urinarie, ecc…<br />

Proteine La proteinuria fisiologica è 40‐200mg/24h. Quantità minime e non patologiche di<br />

albumina e globuline potrebbe essere dovuta a diverse situazioni come sforzi fisici, malattie<br />

febbrili, colpi di calore. Una loro presenza significativa potrebbe essere invece determinata da<br />

glomerulo nefrite, pielonefrite, sindrome nefrosi, ecc…<br />

o Nella proteinuria da danno glomerulare si ritrovano nelle urine proteine con peso<br />

molecolare superiore a 67KD a causa dell’alterato permeabilità dei capillari glomerulari.<br />

Proteinuria selettiva Se compare prevalentemente l’albumina<br />

Proteinuria non selettiva Se compaiono anche proteine con più alto peso<br />

molecolare quali IgG.<br />

o Nella proteinuria da danno tubulare si riscontrano proteine con peso molecolare inferiore<br />

(α1‐microglobulina, ecc…) a causa del mancato riassorbimento tubulare.<br />

o Esistono forme miste in cui un danno primitivamente glomerulare determina un<br />

sovraccarico di proteine da riassorbire a livello tubulare che col tempo induce un danno a<br />

carico dei meccanismi di riassorbimento dei tubuli stessi.<br />

Bilirubina Proviene dalla distribuzione dei globuli rossi a livello del fegato ed è quindi<br />

sostanzialmente assente in condizioni normali. Una sua eccessiva presenza (bilirubinemia diretta<br />

maggiore di 2‐2.5mg/100ml) conferisce alle urine un colore marrone scuro e la presenza di<br />

schiuma. Un aumento rispetto ai valori normali può essere dovuto a patologie epatiche.<br />

Pigmenti biliari Urobilinogeno, prodotto di trasformazione della bilirubina è presente in minime<br />

quantità nelle urine. L’urobilina non è presente in condizioni normali. Entrambi possono aumentare<br />

in corso di epatopatie (virali, acute e croniche, tossiche, cirrosi, neoplasie), anemia emolitica o<br />

un’ostruzione delle vie biliari.<br />

32


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

Glucosio Normalmente nelle urine deve essere assente, perché i reni provvedono al suo<br />

completo riassorbimento. Quando la quantità di glucosio filtrato supera la soglia di riassorbimento<br />

tubulare, corrispondente a circa una glicemia di 180mg/dl, il glucosio passa nelle urine e si può<br />

dosare (glicosuria). La glicosuria è indice di svariate patologie tra cui il diabete mellito.<br />

Urea Rappresenta la principale forma di eliminazione delle scorie azotate. I valori normali variano<br />

tra 25‐35g/24h. Valori aumentati si possono avere in seguito a diete iperproteiche, stati febbrili,<br />

ecc… Una riduzione dell’eliminazione di urea (insufficienza renale) causa aumenti dall’azotemia<br />

(azoto non proteico derivato da aminoacidi, acido urico, ecc…).<br />

Corpi chetonici Sono composti chimici che derivano dalla degradazione degli acidi grassi.<br />

Normalmente non sono presenti nell’urina. Una loro presenza può essere determinata da<br />

alterazione del metabolismo dei lipidi, da digiuno prolungato, da stress (sforzi fisici prolungati,<br />

prolungata esposizione al freddo, stati febbrili) da diabete mellito di tipo I scompensato, da epatiti<br />

croniche, ecc…<br />

Emoglobina In condizioni normali deve essere assente. La sua presenza può essere causata da<br />

anemie emolitiche, farmaci, infezioni alle vie urinarie, ecc… Ha significato diverso dall’ematuria<br />

macro e micro‐scopica in quanto indice di rottura dei globuli rossi.<br />

ESAME MICROSCOPICO<br />

Viene eseguito sul sedimento urinario, ottenuto per centrifugazione delle urine.<br />

Eritrociti Normalmente nelle urine dovrebbero esser assenti o presenti in quantità modeste (0‐2 per<br />

campo). La loro presenza nell’urina viene definita ematuria. Le cause sono molteplici (calcoli renali,<br />

glomerulo nefrite, neoplasie benigne e maligne dell’apparato urogenitale, farmaci come aspirina,<br />

sulfamidici, anticoagulanti).<br />

‐ L’ematuria è definita macroematuria quando è visibile ad occhio nudo e microematuria quando<br />

evidenziabile solo con il microscopio ottico.<br />

‐ L’ematuria è definita glomerulare quando i globuli rossi presentano deformazioni morfologiche<br />

(globuli rossi dismorfici più dell’80% dei globuli rossi). In caso contrario si parla di ematuria non<br />

glomerulare.<br />

Per una più precisa valutazione dell’origine dei globuli rossi si può ricercare la presenza di α2‐microglobulina<br />

nell’urina. Dato il suo alto PM questa proteina non passa mai attraverso il glomerulo anche in caso di grave<br />

danno glomerulare. Quindi la sua presenza abbinata ad ematuria indica un’origine postglomerulare del<br />

globulo rosso.<br />

Leucociti La presenza di leucociti nelle urine è segno aspecifico di infezione delle vie urinarie. Il valore<br />

normale dei leucociti è di 1‐2 per campo microscopico (40X). Un aumento massivo dei leucociti è<br />

generalmente indice di infezione acuta. Un aumento moderato può essere indice di glomerulo nefrite,<br />

cistite acuta o cronica, neoplasie della vescica, prostatite, uretrite o traumi.<br />

Cellule epiteliali La presenza delle cellule epiteliali nelle urine rappresenta il normale ricambio cellulare<br />

dell’epitelio delle vie urinarie. In condizioni normali, l’esame evidenzia poche cellule per campo<br />

microscopico. Un eventuale aumento può essere conseguenza di infezione.<br />

Batteri e miceti in condizioni normali l’urina è sterile. La presenza di batteri o funghi, associata alla<br />

presenza dei leucociti, è indice di infezione. È necessaria un’urinocoltura.<br />

Cilindri Si tratta di agglomerati di proteine e di altri elementi che si formano nei tubuli renali.<br />

Normalmente, nel sedimento urinario, non sono presenti e la loro esistenza indica una sofferenza renale. A<br />

seconda della loro composizione, i cilindri sono sintomi di diverse disfunzioni dei reni:<br />

‐ Cilindri cerei Nefropatie avanzate<br />

‐ Cilindri ialini Dopo anestesie, sforzo fisico, nelle nefriti<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

‐ Cilindri eritrocitari e cilindri leucocitari Permettono di accertare l’origine renale di una ematuria e<br />

leucocituria, rispettivamente.<br />

‐ Cilindri pigmentati Negli itteri e nelle emolisi acute.<br />

‐ Cilindri epiteliali Formati da cellule di sfaldamento dell’epitelio e che si riscontrano nelle<br />

glomerulo nefriti acute.<br />

Cristalli Sono spesso presenti nelle urine, anche in assenza di particolari patologie. I più comuni sono i<br />

fosfati amorfi, il fosfato di calcio, il bicarbonato di calcio, i cristalli di acido urico e l’ossalato di calcio. Tra i<br />

cristalli rilevabili in corso di stati patologici vi sono:<br />

• Leucina Può segnalare insufficienza epatica<br />

• Cistina Può segnalare patologie a livello renale<br />

• Tiroxina Tipicamente aumentata nell’insufficienza epatica<br />

• Cristalli di sulfadiazina Presenza in relazione all’assunzione di sulfamidici.<br />

VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ GLOMERULARE<br />

L’inulina è un polimero glucidico utilizzato per valutare la funzionalità glomerulare. L’escrezione urinaria di<br />

inulina, precedentemente somministrata per via endovenosa, è uno dei metodi utilizzabili per determinare<br />

la velocità di filtrazione (VFG). Correntemente di parla di clearance dell’inulina. Per clearance si intende la<br />

capacità che hanno i reni di depurare il plasma da varie sostanze. Poiché l’inulina filtrata al glomerulo non<br />

viene né riassorbita né secreta dal tubulo, il volume di plasma da cui essa deriva corrisponde a tutto quello<br />

filtrato in un minuto e quindi alla velocità di filtrazione glomerulare.<br />

Ciononostante, in ambito di laboratorio clinico è più utilizzata la stima della clearance della creatinina, in<br />

quanto l’analisi con l’inulina è invasivo, di lunga durata e richiede ospedalizzazione. Una piccola parte della<br />

creatinina è secreta nelle urine, quindi la sua clearance non è precisa per la valutazione della funzionalità<br />

renale come quella dell’inulina. Tuttavia avendo notevoli vantaggi pratici viene comunemente utilizzata. A<br />

creatinina è il prodotto catabolico della fosfocreatina, un composto deputato all’accumulo di energia. È<br />

principalmente presente nei muscoli. Durante le reazioni energetiche che coinvolgono la creatina, una<br />

piccola quota di questo amminoacido viene spontaneamente ed irreversibilmente convertita in creatinina.<br />

In ogni individuo, il ritmo di produzione delle creatinina è pressoché costante. La quota prodotta è<br />

direttamente proporzionale alla massa muscolare dell’individuo e può perciò variare in relazione all’età, al<br />

sesso, alla razza e allo sport praticato. I livelli di creatinina possono essere rilevati sia nel sangue che nelle<br />

urine. Nel primo caso si tratta di un esame di routine, per cui è sufficiente il prelievo di un campione di<br />

sangue dalla vena di un braccio (a digiuno e a riposo da almeno 8 ore). Sono considerati valori normali tra<br />

0.6 e 1.2mg/dl. Va sottolineato che i livelli di creatinina (creatininemia) si alzano quando una parte<br />

considerevole (>40%) del parenchima renale è mal funzionante. La misurazione dei livelli urinari<br />

(creatininuria) viene effettuato su un campione di urine raccolto nelle 24 ore. Quest’ultimo esame viene<br />

spesso abbinato alla creatinine mia per ottenere una valutazione più affidabile della funzionalità renale<br />

(clearance della creatinina).<br />

Per clearance (depurazione) di una sostanza si intende la quantità di sangue che viene depurata da tale<br />

sostanza nell’unità di tempo (1 minuto), per opera del rene. I valori di creatinine mia e cratininuria vanno<br />

poi inseriti nella formula: · / dove<br />

C = clearance<br />

U = concentrazione urinaria della sostanza<br />

V = volume di urine raccolto nelle 24 ore<br />

P = concentrazione plasmatica della sostanza (creatinine mia).<br />

Se si vuol tenere conto della superficie corporea del soggetto, la formula viene così leggermente<br />

modificata: · / · .<br />

dove 1.73 è uguale alla superficie corporea standard in m2 di una<br />

persona di 70Kg e S è la superficie corporea del soggetto preso in esame, sempre espressa in m 2 e ricavabile<br />

dal peso e dall’altezza del paziente mediante apposite tabelle.<br />

Poiché la raccolta delle urine delle 24 ore non sempre è agevole, soprattutto nel paziente ambulatoriale e si<br />

presta a facili errori, molti laboratori preferiscono calcolare la clearance della creatinina utilizzando formule<br />

34


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

matematiche che tengono conto della creatinine mia, del peso, dell’età e del sesso: si parla di clearance<br />

stimata della creatinina.<br />

VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ DEL RIASSORBIMENTO TUBULARE<br />

Si può diagnosticare il danno tubulare dal confronto tra concentrazione plasmatica e concentrazione<br />

urinaria di elettroliti, glucosio, H + , HCO3 ‐ . Un indicatore importante della funzionalità renale tubulare è la<br />

capacità di concentrare l’urina (osmolarità delle urine, peso specifico). L’osmolarità è il numero di particelle<br />

osmoticamente attive presenti in un Kg di solvente. L’osmolarità è indipendente dalla massa delle particelle<br />

in soluzione. Un altro modo per valutare il riassorbimento tubulare si ha misurando la capacità di<br />

riassorbire proteine a basso peso molecolare come la β2‐microglobulina.<br />

URINOCOLTURA<br />

L’urinocoltura è l’esame volto a individuare la quantità ed il tipo di germi patogeni nelle urine. In base<br />

all’esito dell’urinocoltura gli operatori compilano l’antibiogramma, ossi indicano, i tipi di antibiotici che si<br />

rivelano più efficaci per inibire la crescita del patogeno individuato.<br />

A differenza della ricerca di batteri nel sedimento urinario, che talora dà esiti negativi anche se di fatto i<br />

batteri patogeni sono presenti, l’urinocoltura fornisce sempre risultati attendibili.<br />

Una batteri uria superiore a 50000 batteri/ml di urina è considerata clinicamente significativa e va trattata.<br />

Vanno anche trattate batteri urie inferiori in presenza di sintomatologia.<br />

I patogeni più frequenti sono rappresentati da:<br />

‐ Escherichia Coli (80% delle cistiti)<br />

‐ Proteus<br />

‐ Stafilococco<br />

‐ Enterococco<br />

‐ Klebsiella<br />

‐ Condida albicans (miceto).<br />

Metodo classico di individuazione Colture su terreni selettivi. La maggior parte dei batteri sono coltivabili<br />

rapidamente e caratterizzabili fenotipicamente e biochimicamente. I test molecolari utilizzati in questi casi:<br />

• Identificazione di organismi lenti a cresce in coltura o difficili da coltivare<br />

• Tipizzazione molecolare del microrganismo per la determinazione della resistenza agli antibiotici.<br />

I principali batteri patogeni identificabili tramite test molecolari nelle infezioni genito‐urinarie sono:<br />

Clamydia trachomatis Batterio intracellulare obbligato. Causa infezioni comuni del tratto genitale<br />

maschile e femminile. Rilevato con PCR.<br />

Neisseria gonorreae Agente eziologico della gonorrea. Causa infezioni del tratto genitale.<br />

Rilevato con test o PCR.<br />

Micoplasmi Batteri intracellulari. Principale causa di polmonite non sostenute da batteri classici.<br />

Coinvolto anche in infezioni genito‐urinarie (ureaplasma urealiyticum). Rilevato con PCR.<br />

Sono stati identificati numerosi geni plasmi dici o cromosomico responsabili della resistenza verso gli<br />

antibiotici.<br />

Sistema per identificarle Antibiogramma diretto (MIB = minima concentrazione inibente) o da ceppo<br />

isolato. Si può ricorrere alla PCR.<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

MARKERS TUMORALI<br />

Sono sostanze espresse sia dai tessuti neoplastici che dai tessuti normali. Vengono prodotti in maggior<br />

quantità dai tessuti tumorali (indicatori quantitativi e non qualitativi del tumore). Sono presenti nel sangue<br />

in quantità proporzionale alla massa del tumore. Sono misurabili nel sangue anche nei soggetti senza<br />

tumore.<br />

CLASSIFICAZIONE BIOLOGICA<br />

• Molecole a struttura chimica nota:<br />

o Enzimi/isoenzimi:<br />

PAP (fosfolipasi acida prostatica)<br />

NSE (enolasi neuro specifica)<br />

Fosfatasi alcalina<br />

PSA (antigene prostatico specifico).<br />

o Ormoni/subunità:<br />

HCG (gonadotropina corionica)<br />

Calcitonina<br />

Tiroglobulina.<br />

o Molecole di adesione:<br />

CEA (antigene carcinoembrionario).<br />

o Molecole di trasporto:<br />

AFP (alfa feto proteina).<br />

o Citocheratine:<br />

TPA (antigene polipeptidico tessutale)<br />

Cyfra21.1<br />

TPS<br />

TPAcyk.<br />

• Glicoproteine di cui si sono identificati gli epitopi che caratterizzano il marker CA19.9, CA15.3,<br />

MCRC, CA50, MCA, CA242, CA195, CA549, CA72.4, M26, M29.<br />

• Autoanticorpi circolanti generati contro molecole caratteristiche del fenotipo tumorale per il quale<br />

è proposto un possibile ruolo come marker Anti‐p53, Anti‐p185/neu<br />

• Cellule tumorali in materiali biologici Prime esperienze di impiego come markers tumorali:<br />

o PSA espressione RNA<br />

o Citocheratina20 Espressione RNA<br />

o K‐ras, p53 Mutazioni DNA<br />

o Ca. prostatico Sangue<br />

o Ca. mammario Sangue<br />

o Ca. del colon Feci.<br />

CLASSIFICAZIONI IN BASE ALL’UTILIZZO CLINICO<br />

In pressoché tutte le più comuni neoplasie sono stati studiati numerosi markers tumorali; è pertanto<br />

necessario scegliere per ciascun tipo di neoplasia il o i markers da utilizzare. Fra i markers da utilizzare, da<br />

un punto di vista pratico si può distinguere fra markers sicuramente utili e markers probabilmente utili.<br />

• Markers di prima scelta Sono markers sicuramente utili per i quali esiste una solida letteratura<br />

biologica e clinica, tale da garantire nell’utilizzo routinario costo/risultato favorevole.<br />

• Markers di seconda scelta markers probabilmente utili per i quali ad una letteratura biologica<br />

consolidata non fa riscontro una verifica clinica definitiva del rapporto costo/risultato. Inseriti in<br />

protocolli di valutazione clinica possono dare informazioni addizionali.<br />

• Markers affini Diversi biomarcatori appartengono a famiglie chimiche nell’ambito delle quali<br />

esistono più markers dai quali ci si dovrebbero attendere prestazioni simili in una data patologia<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

(markers mucini, markers citocheratinici): si possono usare in alternativa ma non ha senso in<br />

combinazione.<br />

USO CLINICO DEI MARKERS TUMORALI<br />

Screening I markers tumorali hanno sensibilità e specificità limitate. Non devono quindi essere<br />

usati in programmi di screening su popolazione generale. In alcuni casi i markers possono essere<br />

utilizzati per screening di popolazioni selezionate con maggior rischio di tumore.<br />

o AFP Nell’epatopatia cronica evolutiva.<br />

o PSA Nei maschi adulti dopo i 60 anni (rapporto costo/efficacia ancora in valutazione).<br />

Diagnosi tumore primitivo Generalmente, i markers tumorali non possono essere di aiuto<br />

diagnostico per la limitata specificità e sensibilità. Fanno eccezione alcuni markers dotati di alta<br />

specificità tissutale che possono essere utilizzati in alcune patologie:<br />

o Cancro a piccole cellule del polmone NSE<br />

o Cancro midollare della tiroide CT<br />

o Cancro del testicolo AFP, HCG<br />

o Cancro dell’ovaio AFP, HCG<br />

o Coriocarcinoma HCG<br />

o Neoplasie endocrine secernenti specifici ormoni.<br />

Ricerca della sede di origine di metastasi a partenza ignota L’uso di markers può essere utile solo<br />

nel caso di tumori secernenti marker tessuto specifici.<br />

Tumore primitivo già diagnosticato In questo caso il dosaggio dei markers deve essere fatto per:<br />

o Avere un valore basale prima della terapia<br />

o Avere indicazioni indirette sulla estensione della malattia (i livelli ematici dei markers sono<br />

proporzionali alla massa del tumore)<br />

o Avere indicazioni aggiuntive circa l’istotipo per i tumori nei quali diversi isotipi producono<br />

markers diversi<br />

o Avere indicazioni prognostiche aggiuntive.<br />

Monitoraggio a breve termine dopo la terapia primaria Livelli elevati persistenti dopo una terapia<br />

ritenuta radicale suggeriscono la possibile presenza di malattia occulta, residua o disseminata. Il<br />

marker può incidere sulle decisioni cliniche in modo critico (restaging, terapia adiuvante, periodicità<br />

del follow‐up).<br />

Monitoraggio a lungo termine dopo la terapia L’incremento del livello di un marker tumorale può<br />

suggerire la ripresa della malattia. L’incremento del livello del marker può precedere di parecchi<br />

mesi (3‐12) l’evidenza clinico/strumentale della ripresa della malattia. Nel caso di neoplasie curabili<br />

in fase avanzata il marker può incidere in modo critico sulle decisioni cliniche (trattamento precoce<br />

della ripresa della malattia).<br />

ANTIGENE PROSTATICO SPECIFICO (PSA)<br />

L’antigene prostatico specifico (PSA) è un enzima appartenente alla classe delle idrolasi, che viene prodotto<br />

dalla prostata. La sua funzione fisiologica è quella di mantenere fluido il seme dopo l’eiaculazione,<br />

permettendo agli spermatozoi di “nuotare” più facilmente attraverso la cervice uterina.<br />

‐ Livelli ematici di PSA sotto 4ng/mL sono generalmente considerati normali.<br />

‐ Livelli di PSA tra 4 e 10ng/mL indicano un rischio di tumore più alto del normale ma il rischio stesso<br />

non sembra direttamente proporzionato al livello.<br />

‐ Quando il PSA è sopra i 10ng/mL, l’associazione col tumore diventa più forte, anche se la specificità<br />

del PSA non è ottimale: alcuni uomini con tumore prostatico in atto non hanno livelli elevati di PSA,<br />

e la maggioranza di uomini con un elevato PSA non hanno un tumore.<br />

I livelli ematici di PSA possono variare per molteplici ragioni diverse dal tumore; due cause comuni di<br />

incremento dei livelli di PSA sono l’ipertrofia prostatica benigna (in genere valori


Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

È una glicoproteina che si trova sulle cellule alveolari e sulle cellule dei dotti ghiandolari normali e<br />

neoplastici della mammella. Il dosaggio di questa proteina (mediante Ig) viene utilizzato per il monitoraggio<br />

di pazienti con carcinoma mammaria in corso di trattamento, per i controlli post‐terapeutici e per la<br />

valutazione dell’estensione della malattia. Valori elevati di questo marcatore tumorale sono proporzionali<br />

alla massa del tumore e allo stadio della neoplasia.<br />

I valori di questo marcatore possono anche aumentare nel caso di alcune patologie benigne come malattie<br />

epatiche croniche e alcune infezioni dell’apparato respiratorio.<br />

MUCIN‐LIKE CARCINOMA‐ASSOCIATED ANTIGEN (MCA)<br />

Il Mucin‐like Carcinoma‐associates Antigen (MCA) è una glicoproteina la cui individuazione è utilizzata nel<br />

contesto del carcinoma mammaria. Gli impieghi sono simili al CA‐15.3.<br />

ANTIGENE POLIPEPTIDICO TESSUTALE (TPA)<br />

L’antigene polipeptidico tessutale è una proteina della famiglia delle citocheratine. Il TPA più che<br />

rappresentare un marcatore specifico di una patologia tumorale è un indice di proliferazione cellulare. Il<br />

suo aumento è correlato alla velocità di accrescimento tumorale più che alla massa tumorale. Pertanto il<br />

TPA è utile nel follow‐up di pazienti con tumori già accertati più che nella fase diagnostica. È dosabile nel<br />

siero così come nelle urine.<br />

Diversi tipi di tumore possono indurre il TPA: cancro della mammella, ovaio, polmone, tumori dell’apparato<br />

digerente, vie urinarie.<br />

Un aumento del TPA può essere presente anche in malattie non neoplastiche quali la cirrosi epatica, le<br />

infezioni del tratto biliare, epatiti in genere, infezione del tratto respiratorio.<br />

CYFRA 21‐1<br />

La determinazione del CYFRA 21‐1 è utile per l’individuazione di frammenti di citocheratina 19 nel siero. Le<br />

citocheratine sono un gruppo di circo 20 proteine che formano il citoscheletro cellulare, la struttura<br />

portante delle cellule. La citocheratina 19 è presente nelle cellule i tumori epiteliali e dell’albero bronchiale.<br />

Il CYFRA 21‐1 è quindi un marcatore tumorale che mostra una discreta specificità per i tumori polmonari del<br />

tipo NSCLC (Non Small Cell Lung Carcinoma).<br />

ENOLASI NEURO SPECIFICA (NSE)<br />

L’enolasi p un enzima gli colitico citoplasmatico prodotto da cellule nervose e neuroendocrine. È un marker<br />

tumorale utilizzato nella stadi azione, l’individuazione di recidive e monitoraggio di terapie dei pazienti con<br />

carcinoma polmonare a piccole cellule e neuroblastoma. Può essere presente anche nei tumori midollari<br />

della tiroide.<br />

Piccoli aumenti non stabili nel tempo possono essere presenti anche in malattie polmonari non<br />

neoplastiche.<br />

CA125<br />

Il Cancer Antigen 125 è una glicoproteina prodotta dall’utero, cervice uterina, tube di falloppio, ovaio e<br />

dalle cellule che rivestono gli organi delle vie respiratorie e dell’addome. Livelli elevati di CA125 possono<br />

essere indotti anche da eventi come l’insorgenza di una patologia tumorale, una gravidanza, il ciclo<br />

mestruale, una patologia epatica, o un’endometriosi.<br />

Meno della metà dei casi di cancro ovario in stadio precoce inducono un diretto aumento del livello di<br />

CA125 nel sangue. L’analisi del CA125 si è dimostrata molto utile per tracciare lo stato di progressione della<br />

patologia in donne in fase terapeutica per cancro delle ovaie già diagnosticato. Diminuzioni successive dei<br />

livelli di CA125 durante un trattamento chemioterapico possono essere un indice del successo della terapia<br />

e un’analisi continuativa dei livelli di CA125 può indicare se la patologia sta regredendo.<br />

ANTIGENE CARCINO‐EMBRIONARIO (CEA)<br />

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Semeiotica III° anno Bottosso Stefano<br />

È una glicoproteina coinvolta nell’adesione cellulare. Viene normalmente prodotta durante lo sviluppo<br />

fetale, ma la produzione si ferma prima della nascita. Il CEA può aumentare a livello plasmatico in soggetti<br />

affetti da carcinoma colon‐rettale, gastrico, pancreatico, polmone e della mammella.<br />

La misurazione del CEA viene utilizzata per identificare la recrudescenza del tumore dopo la sua resezione<br />

chirurgica. L’aumento del CEA durante il follow‐up è un probabile indicatore della recidiva del tumore. Si<br />

possono riscontrare livelli elevati del CEA in alcune condizioni non‐neoplastiche come la colite ulcerosa, la<br />

pancreatite e la cirrosi epatica.<br />

ALFA1‐FETOPROTEINA (AFP)<br />

È una glicoproteina prodotta nell’embrione e nel feto durante la loro fase di sviluppo. Il ruolo biologico è<br />

quello di proteina di trasporto (soprattutto di acidi grassi). Valori aumentati si riscontrano in corso di:<br />

‐ Carcinoma epatocellulare<br />

‐ Neoplasie germinali (testicoli, ovaio, mediastino, retro peritoneo)<br />

‐ Cancro del pancreas.<br />

Poiché l’emivita è di 5 giorni, se dopo l’asportazione del tumore i livelli non calano, si può pensare ad<br />

residuo neoplastico non asportato.<br />

Tra le cause non neoplastiche si aumento vanno ricordate le epatopatie acute e croniche, la gravidanza e la<br />

morte fetale.<br />

RT‐PCR<br />

A partire dal primo studio di Smith del 1991, l’applicazione della tecnica di RT‐PCR alla rivelazione delle<br />

cellule tumorali nel sangue periferico o in altre sedi mediante ricerca dell’mRNA, ha aperto la strada a<br />

nuove possibili applicazione dei MT nella diagnostica molecolare. Si tratta di una metodica estremamente<br />

sensibile, perché almeno teoricamente basterebbe una sola cellula a dare il segnale sufficiente. È quindi<br />

capace di individuare già poche cellule tumorali circolanti nel sangue o situate come micro metastasi a<br />

livello linfonodale, di midollo osseo, ecc…<br />

MICROARRAY<br />

Il settore di microarray per analisi multiple di DNA, RNA o proteine su chips, saranno in grado di<br />

rivoluzionare le performance delle tecniche precedenti. Quello dell’oncologia è il campo principale di<br />

ricerca, in vista di possibili applicazioni per diverse neoplasie: mammella, prostata, ovaio, colon‐retto,<br />

leucemie e linfomi.<br />

[…]<br />

BOTTOSSO STEFANO<br />

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