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22<br />

E mentre sul parquet va in scena gara tre fra i biancoverdi e gli ateniesi<br />

olimpici, uno si accorge che quelle sensazioni le ha già vissute e provate.<br />

Dico: quelle che presentano manifestazioni fisiologiche e biochimiche (sarà<br />

corretto definirle così? boh, macchennesò. Io faccio un altro mestiere: speriamo<br />

che abbiate capito che cosa voglio dire, sennò, gente, non vi ci posso<br />

far niente. Meglio di così non ci riesco). Riassumiamo contesto e reazioni.<br />

La Mens Sana è in vantaggio. Non tantissimo: varia da un punto a tre. Come<br />

dire che se si sbaglia più del consentito o se non sbagliano quell’altri, <strong>il</strong> risultato<br />

si ribalta e allora son dolori. Del resto, chi è lì è reduce dalla visione<br />

di gara uno e di gara due.<br />

La prima non era stata una partita:<br />

era la versione pallabbalzellesca<br />

di un f<strong>il</strong>m dell’orrore. Si guardavano<br />

Si sta come<br />

cani?<br />

Per forza:<br />

siamo<br />

di Sien Siena...<br />

■ ducciobalestracci<br />

quei brindelloni bianchi e rossi insaccare<br />

a raffica; si assisteva sgomenti<br />

ai palloni che, tirati da tremebonde<br />

mani bianchevverdi, finivano<br />

chissaddove o barullavano sul cerchio<br />

per spegnersi fuori campo o fra<br />

amorose, protese braccia greche,<br />

mentre dalle tribune risuonavano risate,<br />

cachinni, ironie, sarcasmi e presediculo<br />

assortite che non importa se<br />

non si riuscivano a comprendere (data<br />

la scarsa dimestichezza col greco demotikì:<br />

con quello antico è un’altra<br />

solfa. Gente, che s’è fatto <strong>il</strong> Liceone a fare, sennò?) ma si capivano lo stesso.<br />

Ma davvero la Mens Sana era quella? No, dai: ci s’aspettava che comparisse<br />

da un momento all’altro qualcuno a dirci “suvvia, non v’incazzate,<br />

siete su scherzi a parte”. Non era comparso nessuno. E <strong>il</strong> risultato<br />

finale aveva decretato un quasi meno cinquanta. Un<br />

record assoluto. Forse paragonab<strong>il</strong>e a quel che s’era<br />

visto l’anno scorso con la squadra di Napoli (buonanima)<br />

quando la baracca era andata a carte<br />

quarantotto, gli atleti avevano fatto fagotto e<br />

in campo ci avevano mandato i ragazzini a buscarne<br />

da tutti prima<br />

che qualcuno si<br />

rendesse<br />

conto<br />

del-<br />

l’indecenza di<br />

quello spettacolo<br />

e staccasse<br />

la spina. Vabbene<br />

che la Mens Sana è<br />

una squadra che sbalordisce,<br />

ma tutti s’era pensato che<br />

non era così necessario che ci sbalordisse in quel modo.<br />

Poi, gara due era stata un’altra musica. Gli olimpici<br />

mai in partita, rimbussolati bene bene (o fateli ora<br />

- simpaticoni di ateniesi - gli “ooooléééé” e gli applausi<br />

di scherno mentre Siena tirava gli stitici tiri liberi di gara<br />

uno. Applauditeci ‘sto...no: questa <strong>il</strong> direttore non me la passa.<br />

Fate finta che non ho scritto niente). Dicevo: gara due era stata<br />

un’altra musica.<br />

Proprio per questo gara tre era importante: o decretare che la vittoria<br />

senese era stata un caso e rassegnarsi all’inevitab<strong>il</strong>e ri-um<strong>il</strong>iazione, o far<br />

sapere che - ad Atene - su scherzi a parte c’era finito qualcun altro.<br />

E gara tre stava dicendo proprio questo.<br />

Così, mentre i biancoverdi reggevano botta, eccole le sensazioni fisi-<br />

che già altre volte - e in un contesto assolutamente differente - provate. Le<br />

tempie che pulsano come martelli; caldo insopportab<strong>il</strong>e ai bulbi oculari; essudazione<br />

fredda lungo la schiena; tatt<strong>il</strong>ità ridotta e gelo alle falangi; stomaco<br />

chiuso e senso di nausea; riduzione della salivazione fino quasi a zero.<br />

E’ stato a quel punto che - personalmente - mi sono chiesto “o questa roba<br />

dove me la sono risentita addosso?”. E la risposta è stata immediata: nei<br />

lunghi, interminab<strong>il</strong>i momenti in cui i cavalli entrano al canape e si aspetta<br />

che entri la rincorsa. Non nella corsa: che non si ha tempo di provare niente,<br />

tanto è veloce. Nei preliminari di essa, in quei momenti in cui ogni senese<br />

di buonsenso vorrebbe essere nato a Belluno o a Caprarola per non patire<br />

come una bestia rognosa, e in cui, lo stesso senese di buonsenso, ringrazia<br />

dio (o chi per lui) di non essere nato altrove che a Siena perché queste sono<br />

sensazioni che contribuiscono a costruire un pezzettino del senso della vita.<br />

Siamo furbi, noi senesi, oh quanto siamo furbi. Siccome siamo nati qui<br />

e patire per <strong>il</strong> Palio fa parte delle clausole (nemmeno scritte in lettere piccole)<br />

del contratto di nascita che ti fanno firmare quando ti dicono che stai per venire<br />

al mondo in questa gabbia di matti (le puoi anche non firmare, ma sei un<br />

senese per modo di dire. E pensare che c’è anche chi queste stesse clausole<br />

le sottoscrive dopo essere nato da un’altra parte ma gli garba patire lo stesso<br />

per queste stesse cose, <strong>il</strong> ri-furbo...) ci mettiamo, di nostro, anche <strong>il</strong> carico di<br />

briscola: <strong>il</strong> patimento aggiuntivo che viene dallo sport. E che è differente secondo<br />

la specialità, perché noi, furbi senesi, non ci facciamo mancare nulla:<br />

meglio dei raffinati e pervertiti personaggi dei romanzi del signor Leopold<br />

von Sacher Masoch (che non è l’inventore della torta alla cioccolata, buona<br />

quanto volete ma che dà un malditesta fotonico) che godono quando gli fanno<br />

del male, diversifichiamo anche <strong>il</strong> modo di star male. Così abbiamo elaborato<br />

la sofferenza intensa del Palio e delle partite di basket, quando non c’è<br />

tempo per rifiatare fra un’azione di gioco e l’altra, e quella a r<strong>il</strong>ascio lento<br />

delle partite di calcio, quando lo stomaco si chiude all’entrata in campo dei<br />

bianchenneri, poi si r<strong>il</strong>assa, poi si chiude di nuovo se perdi o se, vincendo, te<br />

la fai sotto dalla paura che ti richiappino, soprattutto quando hai da difendere<br />

una posizione in classifica in serie A (dolci memorie) o da difendere la testa<br />

di serie per ritornarci, in serie A (sogno sublime).<br />

Insomma: ma noi che ci s’è capito nella vita? Non si stava bene lo stesso<br />

se si faceva, una volta all’anno, una bella sagra del maiale con le patate alla<br />

fattoressa, seguita da una corsa nei sacchi e dalla partita scapoli ammogliati<br />

(con tanto di rituale scambio di corna e di sega da falegnami)? e non si stava<br />

bene lo stesso se ci s’accontentava di mettere in piedi una squadrina di calcio<br />

fatta di bravi ragazzi d<strong>il</strong>ettanti che giocavano la domenica mattina dalle<br />

11 alle 12 prima di desina? e una bella selezione di pallabbalzellisti da far<br />

esibire nella palestra della scuola media? Ci si poteva cavare facendola allenare<br />

da uno che stava per le mi’ scale. E invece, uno che stava per le mi’<br />

scale s’è andati a cercarlo davvero per farlo allenare, ma allenare che cosa?<br />

una squadra che è campione d’Italia e si gioca, pugnal fra i denti, l’accesso<br />

alle final four di Eurolega.<br />

Maremma, quanto siamo ‘mbec<strong>il</strong>li!<br />

ps: mentre mi accingo a mandare in redazione<br />

questo articolo, mancano appena cinque ore a gara<br />

quattro. Lo stomaco comincia a chiudersi e avverto<br />

leggere scariche adrenaliniche nelle mani<br />

e nei piedi. Ovvài: ci risiamo. S’era appena finito<br />

col “luglio” ed anche sul parquet riè bell’e<br />

agosto.<br />

[aggiunta alle 23.55 del 31 marzo, dopo<br />

gara quattro] E poi, quando arriva alla fine di<br />

una partita così, mentre vedi gli olimpici, mogi<br />

mogi, risalire delusi sugli autobus dai quali erano<br />

discesi con tanta tracotante sicurezza, capisci che tachicardia,<br />

iposalivazione, senso di oppressione alla bocca<br />

dello stomaco, tutto questo ha un senso. Ti viene in mente <strong>il</strong> tifoso<br />

col volto cianotico che ti ha detto, un’ora prima, “io ho 73 anni e guardo<br />

la Mens Sana da sempre, ma tutte le volte sto male come la prima”. E capisci<br />

che è giusto così e che tutto questo ha un senso grande, immenso. Più<br />

o meno come l’amore che portiamo per questa strana città. Un po’ ‘mbec<strong>il</strong>li<br />

lo siamo, ma pazienza... •

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